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Monte Santa Maria Tiberina, perla nascosta tra Umbria e Toscana

Una torre svetta al centro di un gruppo di edifici in pietra, sulla sommità di un colle in mezzo alla classica campagna del Centro Italia, fatta di ampie coltivazioni adagiate su morbidi declivi e boschi di castagno, leccio e quercia.

Nella pianura a oriente corre il Tevere, lungo il crinale delle colline a occidente il confine con la Toscana. Si ammirano entrambi dagli oltre 600 metri di altitudine di Monte Santa Maria Tiberina, piccola bomboniera medioevale in provincia di Perugia, non lontano da Città di Castello.

Un borgo che ha conservato un’atmosfera unica anche nell’ampio panorama delle antiche cittadine millenarie che pullulano in questa zona del Paese, solitario e un po’ isolato e per questo immerso in una pace singolare. Pressoché privo di automobili, interamente costituito da edifici con pietra a vista, le vie abbellite da lampioni in ferro battuto che si affacciano con ampi panorami sull’affascinante territorio circostante: Monte Santa Maria Tiberina è un luogo pieno di storia e bellezza, conosciuto ma defilato, geloso della sua quiete.

Fonte: Lorenzo Calamai

Tra i vicoli di Monte Santa Maria Tiberina

L’indipendenza del Marchesato del Monte

L’unicità di Monte Santa Maria Tiberina è figlia della sua particolare storia. L’origine dell’insediamento è etrusca, popolo noto per costruire le proprie città in luoghi che potessero essere militarmente presidiati, come i vertici delle colline. A questo scopo la geografia fisica del Monte rappresenta un paradigma perfetto: dalla cima si domina a 360 gradi l’Alta Valle del Tevere, senza che nessun altro colle possa avvicinarsi alla medesima altitudine.

In più il Monte si trovava lungo una delle vie principali di collegamento tra i centri dell’Etruria a ovest e l’asse della Valle del Tevere a est. Una posizione di estrema rilevanza che mantenne nel corso dei secoli, per tutta l’epoca romana fino al medioevo.

Nel 1250 Monte Santa Maria assunse lo status di feudo imperiale sotto l’egida di Guido da Montemigiano, discendente del fu Marchese di Toscana Ranieri, il quale aveva assunto il patronimico Bourbon del Monte Santa Maria poiché originario proprio dell’insediamento sulla vetta del colle.

Da quel momento la storia del Monte Santa Maria si intrecciò a doppio filo con quella di una delle famiglie nobili più importanti dell’Italia centrale. Non solo: Guido assunse il titolo di marchese di Monte Santa Maria e, un secolo dopo, il suo discendente Ugolino ottenne dall’imperatore Carlo IV il diploma di investitura di feudo imperiale maggiore, che proteggeva l’indipendenza del marchesato dal crescente potere dello Stato della Chiesa.

Dal 1355 fino all’epoca napoleonica Monte Santa Maria Tiberina godette quindi di uno status speciale, con poteri autonomi singolari, un proprio statuto, una sua moneta, un suo fisco e una diplomazia propria. Un piccolo territorio franco fra la Toscana e il Papato, insomma, come peraltro alcuni altri territori vicini come la Repubblica libera di Cospaia, un fazzoletto di terra rimasto indipendente dai grandi stati per 400 anni.

Il Congresso di Vienna del 1815 pose fine all’autonomia di Monte Santa Maria Tiberina, assegnando la cittadina al Granducato di Toscana, ma l’indipendenza avuta per quasi mezzo millennio è rimasta un’eredità connaturata al paese, che fino al 1927 fece parte della Provincia di Arezzo prima di passare in Umbria.

Fonte: Lorenzo Calamai

Tra i vicoli di Monte Santa Maria Tiberina

Come arrivare

Monte Santa Maria Tiberina si trova nell’Alta Valle del Tevere, non lontano da Sansepolcro, Città di Castello e Arezzo.

Per chi arriva da nord si percorre la Strada statale 3/bis che collega Cesena a Terni fino all’uscita di Città di Castello, la più vicina. Da sud si imbocca la medesima statale per uscire, invece, a Promano. Per chi arriva dalla Toscana si raggiunge Arezzo e da lì Monterchi attraverso la Strada statale 73.

Il borgo, infine, si raggiunge percorrendo la Strada provinciale 103 che collega Lippiano con San Secondo, che attraversa piccole frazioni e ampie campagne.

Già da una certa distanza dal borgo, qualunque sia la direzione da cui lo si raggiunge, si possono individuare le mura e il castello simbolo del paese, il Palazzo Bourbon del Monte Santa Maria, svettare con la sua torre in cima alla collina, presidiando le circostanze, come dimostra la foto di copertina di questo articolo.

Una volta arrivati, potrete lasciare l’auto negli appositi posteggi lungo via Roma, dalla quale si accede all’ampio piazzale antistante il Palazzo, oppure nel parcheggio di Largo Dante Alighieri, percorrendo fino in fondo via XXV Aprile.

La nuda pietra del borgo è vivacizzata dalla cura degli abitanti, con molto verde tra i vicoli

Cosa vedere a Monte Santa Maria Tiberina

Il centro storico di Monte Santa Maria Tiberina è piccolo e si visita senza fretta in meno di un’ora.

La principale attrazione è rappresentata dal borgo stesso: stretti vicoli acciottolati portano ai quattro angoli del borgo, dai quali si gode di panorami sensazionali sul territorio circostante, fra colline coperte di boschi, declivi coltivati a vite e ulivo, piccoli borghi; la pietra a vista di case e palazzi racconta la storia secolare della cittadina; un paio di campanili denotano la presenza di vecchie chiese dalla facciate scarne.

Fonte: Lorenzo Calamai

Panorami a perdita d’occhio si aprono dai vicoli di Monte Santa Maria Tiberina

Godetevi una passeggiata lenta tra i saliscendi del centro storico, sedetevi ad un tavolino del bar-ristorante Oscari, dove godervi un aperitivo, una merenda, il pranzo o la cena. I sapori tipici del luogo sono quelli caratteristici della cucina umbra: tartufo nero (esiste un particolare Tartufo Nero di Monte Santa Maria Tiberina), funghi, norcineria.

L’edificio più significativo del paese è il grande Palazzo Bourbon del Monte, antica sede della nobile famiglia che per secoli ha retto il marchesato. Dopo il 1815 venne venduto e cadde progressivamente in uno stato di degrado, arrivando anche a subire un bombardamento durante la Seconda Guerra Mondiale.

Nel 1990 il comune di Monte Santa Maria Tiberina lo ha acquisito, restaurato e riaperto, dandogli il ruolo di museo cittadino e sede di eventi culturali e artistici. Oggi è visitabile dal martedì alla domenica nei mesi estivi (luglio-settembre), su prenotazione in quelli invernali. Il museo è costituito su tre sale che raccontano la storia del borgo, dedicandosi in particolare al marchesato Bourbon del Monte.

Fonte: ph. Cantalamessa – Opera propria, CC BY-SA 3.0

Il Palazzo Boncompagni-Lodovisi. Sulla destra la facciata del Palazzo Bourbon del Monte

Nei dintorni del Palazzo si distinguono altri edifici gentilizi, fra i quali spicca dall’altro lato dell’ampio piazzale il Palazzo Boncompagni-Ludovisi, sorto in luogo dell’antica rocca, sede del primo marchese Guido, di cui si distinguono ancora i merli.

Per chi ama unire storia, cultura e camminate (o pedalate), il comune di Monte Santa Maria Tiberina, congiuntamente con i vicini San Giustino e Lisciano Niccone, ha realizzato la rete di itinerari “Feudi, Castelli e Ville. Sentieri storici“. Un progetto volto a valorizzare le risorse locali e il patrimonio di
castelli, torri, ville gentilizie, antiche chiese che punteggiano il territorio montesco. La mappa e tutte le informazioni relative ai numerosi sentieri percorribili sono disponibili sul sito web dell’amministrazione comunale.

Monte Santa Maria Tiberina è una perfetta gita da fare in giornata, come fanno la maggior parte dei turisti che la visitano. La sua tranquillità la rende però una perfetta base di partenza per un weekend o una vacanza su più giorni, durante la quale godere della bellezza del borgo, unendola a quella dei tanti luoghi meritevoli d’interesse molto vicini, come Lippiano, Monterchi, Citerna, Città di Castello e delle campagna circostanti.

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Vino, olio, storia e arte: l’altra Montecarlo

Non tutti pensano al Principato di Monaco quando si parla di Montecarlo.

C’è un piccolo borgo in Toscana, isolato in cima a un colle ricoperto di ulivi e vigneti, che infatti porta lo stesso nome della più celebre città nota per il circuito urbano automobilistico.

Una Montecarlo dalla storia secolare, dai campanili svettanti, dagli splendidi panorami e dall’architettura medioevale, che ricopre un posto speciale nella regione grazie alla sua produzione di olio d’oliva e vino.

Per distinguerla dalle omonimie, la si chiama Montecarlo di Lucca, vista la sua posizione. Si trova in provincia di Lucca, appunto, e sta a metà tra il territorio della città e quello della Valdinievole, la pianura a sud-ovest di Pistoia.

È un piccolo scrigno di tesori che in ogni stagione dell’anno sa regalare inattese sorprese ai visitatori.

Fonte: Lorenzo Calamai

Il campanile della Chiesa di Sant’Andrea a Montecarlo

Montecarlo in Toscana

Montecarlo ha una precisa data di nascita: risale al 1333. Due anni prima Firenze aveva messo a ferro e a fuoco l’insediamento di Vivinaia, possedimento lucchese, nella pianura oggi prospiciente il paese.

Le autorità lucchesi decisero allora di rifondare la cittadina sul colle del Cerruglio, che svetta rispetto alla piana con i suoi 160 metri di altitudine. Il nuovo borgo venne chiamato Montecarlo in onore dell’allora imperatore Carlo IV di Lussemburgo, che aveva dato man forte ai lucchesi a liberarsi dal gioco di Pisa. Lo stesso Carlo soggiornò diverse volte in paese, per supervisionare la costruzione della fortezza le cui mura sono ancora oggi ben visibili intorno al borgo.

Fonte: Lorenzo Calamai

La vista da Piazza F. Carrara a Montecarlo

La Fortezza del Cerruglio, o Rocca di Montecarlo, divenne strategicamente importante per le operazioni militare dei decenni seguenti, quando Lucca, Pisa e Firenze si contesero a suon di battaglie le rispettive terre.

Nel corso del XV secolo Montecarlo passò da essere un territorio sotto l’egida lucchese a contado fiorentino, mantenendo una sua rilevanza militare grazie alla fortezza. Rilevanza che venne poi meno nel Settecento, quando il Granduca Pietro Leopoldo mise in disarmo la Rocca.

Circondata di mura, a Montecarlo si entra passando per una delle tre porte ancora esistenti: a est la Porta Fiorentina, a ovest la Porticciola che guarda verso Lucca, a sud la Porta Nuova. Il borgo ha un classico impianto geometrico di vie parallele e perpendicolari che si evolve attorno al maestoso campanile della Chiesa di Sant’Andrea.

Il campanile è il simbolo del borgo: svetta su tutti gli altri edifici circostanti e, arrivando a Montecarlo, è il primo edificio che si riconosce, quello che aiuta a localizzare il borgo da ogni posizione.

La Rocca del Cerruglio e la Chiesa di Sant’Andrea

La Rocca e la Chiesa di Sant’Andrea rappresentano le due principali attrazioni architettoniche di Montecarlo.

La prima è arroccata sul punto più alto del colle del Cerruglio, con il Mastio che è quasi un promontorio slanciato verso la pianura sottostante.

Massiccia, con il caratteristico rosso intenso dei suoi piccoli mattoni di cotto come nella migliore tradizione architettonica lucchese, domina il centro storico di Montecarlo. Venne costruita precedentemente rispetto alla fondazione del 1333: da qui il condottiero lucchese Castruccio Castracani lanciò il suo attacco nella Battaglia di Altopascio del 1325, quando i ghibellini ottennero una clamorosa vittoria contro i guelfi fiorentini e senesi pur in numero tre volte inferiore.

La parte più orientata verso l’attuale centro cittadino venne costruita solo nel Cinquecento, sotto il governo mediceo, per rinforzare le difese del borgo. Qui oggi sorge un elegante giardino all’italiana dove un tempo sorgeva una grande piazza d’armi. La Rocca, oggi proprietà privata, è visitabile nei fine settimana, dalle 15 alle 19, oppure su prenotazione. Ospita occasionali eventi culturali durante i quali è aperta al pubblico.

Fonte: Lorenzo Calamai

Torre della Chiesa di Sant’Andrea a Montecarlo

Impossibile non individuare la Chiesa di Sant’Andrea, il cui campanile svetta sulla strada principale del paese. Il bel portale e la facciata sono del Trecento, mentre il resto dell’edificio è stato ristrutturato nel corso del Settecento.

All’interno l’opera più rilevante è la pala con i Santi Lucia, Giovanni Battista, Francesco Saverio, Biagio e Gaetano opera di Antonio Franchi il Lucchese, pittore barocco di rilievo. Nella cultura paesana, però, occupa un posto speciale l’affresco racchiuso nella Cappella della Madonna del Rosario, dove la Madonna cerca di proteggere un bambino dalle insidie del demonio, facendo così riferimento a un miracolo locale: l’apparizione della Madonna sulla torre della Rocca per difendere il paese da un attacco della città di Pisa.

L’ingresso della Chiesa di Sant’Andrea dà sull’antistante Piazza Francesco Carrara, dove ci si può affacciare dalle mura e godere di un panorama vasto ed ampio che abbraccia la Lucchesia fino alla sagoma del Monte Faeta.

Ulteriore attrazione culturale del centro è il Teatro dei Rassicurati, fondato alla fine dell’Ottocento e nascosto tra le facciate di case comuni. È all’interno che il teatro dà il meglio di sé, con la sua platea ovale raccolta e intima, i palchi su due ordini e le sue decorazioni che rendono speciale assistere a uno spettacolo.

Enogastronomia a Montecarlo

Il colle sul quale sorge Montecarlo si erge in mezzo a un territorio dedicato alla coltivazione di mais e legumi (in Lucchesia) e di fiori (in Valdinievole), ma le pendici del Cerruglio sono invece ricoperte di ulivi e di viti, dando vita ai prodotti tipici del borgo.

Una attività antichissima, come testimonia un documento rinvenuto nella frazione di San Piero in Campo che parla della produzione di vino e risale all’846 d.C.

L’antico insediamento precedente Montecarlo, Vivinaia, deve il suo nome proprio alla coltivazione della vita e alla produzione vinaria. Fu il vino più pregiato di Toscana fra Quattrocento e Cinquecento, quello col prezzo più alto nei mercati fiorentini. Erano il Trebbiano e il Sangiovese i vitigni predominanti della zona, ma alla fine dell’Ottocento, al fine di migliorare la produzione in termini qualitativi e tecnologici, alcune aziende montecarlesi studiarono le tecniche e i vitigni francesi, portando sulle colline toscane il Cabernet Sauvignon, il Cabernet Franc, il Merlot, il Syrah, il Pinot bianco e il Pinot grigio.

Fonte: Lorenzo Calamai

Facciate di un tempo in quel di Montecarlo

Oggi Montecarlo vanta due Denominazioni d’Origine Controllata prodotte nel territorio racchiuso tra il borgo, Porcari, Altopascio e Capannori. Il Montecarlo Bianco è un Trebbiano a cui viene aggiunta una importante percentuale di uve che possono essere Semillon, Pinot grigio e bianco, Vermentino, Sauvignon o Roussanne. Il Montecarlo Rosso è composto da una prevalenza di Sangiovese, una parte di Canaiolo e una selezione di Ciliegiolo, Colorino, Malvasia Nera, Syrah, Cabemet Franc, Cabemet Sauvignon, Merlot. Oltre i due anni d’invecchiamento acquisisce la denominazione di Montecarlo Riserva.

Sono vini rotondi e pieni, ma che rispetto ad altri colleghi toscani sanno mantenere una maggiore freschezza e morbidezza. Il perfetto accompagnamento per la cucina locale, contraddistinta dai primi piatti con ragù di carne, dai salumi e dalle zuppe di legumi. I tanti piccoli locali del centro storico sono la scelta perfetta per immergersi nella cultura enogastronomica montecarlese, che si inquadra perfettamente nella tradizione toscana e lucchese, mantenendo però un accento singolare, locale.

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Peccioli, il borgo medievale diventato un museo a cielo aperto

Immerso in un territorio prevalentemente rurale, Peccioli vanta una posizione strategica che lo rende facilmente raggiungibile dalle maggiori città toscane, uno dei motivi per cui questo grazioso borgo collinare è così amato dai visitatori italiani e stranieri. Ma non è di certo l’unico. Basi pensare che questo centro a forte vocazione agricola e turistica ha conquistato la Bandiera Arancione del Touring Club Italiano per la valorizzazione del patrimonio culturale, la conservazione del paesaggio e l’ospitalità.

Ciò che lo rende irresistibile e assolutamente meritevole di una visita è, soprattutto, il particolare connubio tra il fascino della Toscana medievale e la concettualità dell’arte contemporanea. Un tramonto infinito e unico nel suo genere attraversa, infatti, questa splendida località, costellata di installazioni imperdibili.

Peccioli, il borgo sulle dolci colline della Valdera

Domina la Valdera dall’alto della sua collina, Peccioli (si pronuncia Pèccioli), lungo la direttrice che da Volterra conduce a Pisa. Il territorio risulta abitato fin dal Neolitico, ma è soprattutto dal primo millennio a.C. che si registra una fisionomia più definita, con manifestazioni di popolamento etrusche. I ritrovamenti testimoniano che le pendici di queste colline erano luoghi di sepoltura, fatta eccezione per il sito di Ortaglia, che ha restituito anche informazioni di tipo insediativo, attestando la dipendenza di Peccioli da Volterra fino all’età tardoantica.

Le radici di Peccioli affondano profonde in un passato agricolo, ancora oggi visibile in questi luoghi, grazie alla presenza di aziende vinicole e frantoi, fattorie e agriturismi. Negli splendidi paesaggi collinari che rapiscono lo sguardo, sono disseminati monumenti artistici e piccoli borghi antichi e splendidi, come Cedri, Fabbrica, Ghizzano, Montecchio, Libbiano e Legoli.

Cosa a vedere a Peccioli

La prima architettura che rende immediatamente riconoscibile Peccioli è l’eclettica Torre Campanaria realizzata nel 1885 dall’ingegnere e architetto pontederese Luigi Bellincioni, il quale progettò altri sette campanili distribuiti nel territorio della Valdera e della Val di Cecina. Dal campanile, alto 42 metri, si gode una magnifica vista sulla valle. La struttura si trova dietro l’abside della Pieve di San Verano, che occupa una posizione anomala per una pieve medievale, solitamente erette fuori le mura dei paesi. San Verano, invece, se ne sta fiera nel cuore del borgo, come a voler rendere esplicito il proprio potere religioso, affacciandosi fiera sulla campagna.

Edificata tra la fine dell’XI e l’inizio del XII secolo, è dedicata a Verano di Cavaillon, vescovo provenzale del VI secolo e patrono del paese. Si dice che il santo vescovo, passando da Peccioli nel suo viaggio verso Roma, liberò il borgo dalla peste. È contraddistinta da un prospetto a cinque arcate cieche, una facciata in stile romanico-pisana, e all’interno della Cappella dell’Assunta, costruita a partire dal 1580, ospita il Museo d’Arte Sacra, con le opere più significative del territorio. Sotto la facciata della chiesa, si può invece ammirare l’arte contemporanea di Vittorio Corsini: centinaia di sguardi pecciolesi, fotografati e riprodotti su pannelli rettangolari di varie dimensioni.

Sempre nel centro storico i visitatori possono usufruire di un intero polo museale, composto da quattro diverse aree espositive. Oltre al Museo d’Arte Sacra, si possono visiatre il Museo di Icone Russe “F. Bigazzi”, il Museo Collezione Incisioni e Litografie – Donazione Vito Merlini, nel medievale Palazzo Pretorio, e il Museo Archeologico, che ha sede  nel Palazzo Fondi Rustici.

Una delle attrazioni imperdibili di Peccioli è il Palazzo senza tempo, ristrutturato su disegno dell’architetto Mario Cucinella e caratterizzato da una grande terrazza panoramica che si affaccia sulla vallata. Alcuni documenti datano a metà Quattrocento la nascita della fattoria e del Palazzo di Via Carraia. In epoca recente, nel 2004, parte della tenuta è stata acquistata dal Comune di Peccioli che nel 2019 ha iniziato una importante opera di ristrutturazione e riqualificazione. Inaugurato nel 2021, ospita numerose mostre temporanee e permanenti. Al suo interno vi troverete anche una emeroteca e una caffetteria.

Il Palazzo senza tempo a Peccioli

Fonte: iStock

Il Palazzo senza tempo a Peccioli

Un museo a cielo aperto

Se Peccioli si presenta ai visitatori con una veste unica nel suo genere è soprattutto grazie alle installazioni d’arte che rendono speciale il capoluogo e le sue frazioni. È infatti proprio per l’accostamento tra la tradizione toscana e l’arte contemporanea che, con il passare degli anni, il territorio è diventato un autentico museo a cielo aperto, nel quale classico e moderno convivono in perfetta armonia. Ne sono esempi le sculture “Presenze” posizionate all’Anfiteatro di Fonte Mazzola e nell’Impianto di Trattamento e Smaltimento Rifiuti di Legoli, l’opera Via di Mezzo di Tremlett che riprende i colori delle colline circostanti o ancora la passerella che collega il borgo antico alla parte nuova del paese, elevata a opera d’arte grazie all’“Endless Sunset” di Patrick Tuttofuoco.

L’installazione, come sottolineato dallo stesso artista, è un’operazione di grande importanza e bellezza che derivano dall’elevato grado di complessità del progetto: riuscire a fondere assieme le esigenze di praticità, di funzionalità e di staticità con quelle che sono invece le leggi della forma e dell’estetica. La forma del cerchio ricorda la ciclicità, il passare del tempo, e anche il titolo “Endless Sunset” (Tramonto infinito) rappresenta il concetto di un ciclo che si ripete senza fine, permettendo di spostarsi nello spazio e nel tempo. Si è poi aggiunta l’idea di applicare a questa forma, che diventa complessa nella sua tridimensionalità, un gradiente cromatico che riprenda i 45 minuti nei quali il cielo tramonta.

Il percorso suggerito per godere delle oltre venti opere contemporanee che impreziosiscono il borgo di Peccioli si svolge interamente nel centro storico del paese, è facilmente percorribile a piedi e, per essere completato, necessita di una passeggiata di circa due ore, durante le quali ci si può fermare in uno dei bar e punti di ristoro che animano il cuore del borgo. Se arrivate in auto, il consiglio è di utilizzare il parcheggio multipiano, che con un comodo ascensore vi farà giungere direttamente nel centro storico.

I percorsi nella natura

Per gli amanti  della natura e delle passeggiate all’aria aperta negli splendidi scenari della Toscana, il territorio di Peccioli offre la possibilità di avventurarsi in percorsi che si snodano in un susseguirsi di torrenti, boschi e vaste campagne caratterizzate da una vegetazione varia e incantevole.

Tra gli itinerari imperdibili:

  • Percorso del fiume Era, con le suggestive balze di tufo che costeggiano la strada comunale Peccioli-Fabbrica
  • Percorso del Molino di Ripassaia, che offre un paesaggio variopinto in primavera, impreziosito da diverse culture, come avena e erba medica, mutando in estate, quando si arricchisce di ginestre e campi di grano
  • Percorso delle Colline per Legoli e il Percorso Anelli di Cedri, con un habitat di selvaggia bellezza
  • Percorso Variante Ortaglia, che parte dalla sommità della collina delle Serre e passa attraverso la campagna, ai piedi della boscosa collina di Fratello-Libbiano, da cui si può veder far capolino qualche capriolo
Peccioli

Fonte: iStock

Una splendida veduta di Peccioli, gioiello della Toscana
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Uno dei siti archeologici meno noti d’Italia è la scoperta del secolo

C’è chi lo ha soprannominato “l’anfiteatro che non c’era”, per il suo ritrovamento del tutto casuale e inaspettato, e chi grida già alla scoperta del secolo. Gli scavi che sono in corso a Volterra, in quello che era l’antico anfiteatro romano, sono quasi al termine.

Le ultime rivelazioni mostrano sempre più dettagli di un’antica struttura emersa già nel 2015, grazie ad alcuni lavori di bonifica per il ripristino di un canale che hanno rivelato parti di muratura che nessuno immaginava di trovare proprio in quel luogo.

L’anfiteatro che non c’era

Si tratta di una struttura ovale, di dimensioni imponenti (82 x 64 metri), che poteva ospitare dalle otto alle diecimila persone. Secondo gli archeologi, dovrebbe risalire al I secolo d.C., ma con tutta probabilità fu utilizzato anche nel Medioevo, forse come abitazione privata, visto che sono stati rinvenuti resti di pasti, focolari e persino antiche monete.

Al contrario del teatro accanto al quale è stato trovato (anch’esso datato I secolo), dell’anfiteatro non si sapeva assolutamente nulla, in quanto nessuna fonte storica ne aveva mai accennato. Si pensa, invece, che avesse una grandissima rilevanza perché proprio questo era il luogo in cui venivano ospitati i gladiatori, che si esibivano in combattimenti tra uomini, ma anche con le belve.

Gli scavi dell’anfiteatro di Volterra rientrano nei 38 Grandi progetti Beni Culturali della programmazione strategica 2021 – 2023. A fine 2023 è partita l’ultima campagna di scavi che, nel giro di 24 mesi, secondo alcuni addetti ai lavori, dovrà completare i lavori e portare così alla luce l’edificio nel suo complesso.

Attualmente, la parte estratta dalla terra sotto cui si celava da secoli corrisponde a circa un quarto dell’intero sito. Sono stati già liberati i corridoi di accesso alle gradinate da cui il pubblico poteva assistere agli spettacoli e il “cuniculo circumpodiale” che girava tutt’intorno all’anfiteatro e che serviva ai gladiatori o alle belve per entrare nell’arena. Rimane ancora interrata l’arena vera e propria. Ed è ciò che su cui si concentreranno gli scavi dei prossimi mesi.

La scoperta consente di riscrivere la storia della Volterra romana, che molto probabilmente aveva un’importanza molto più rilevante rispetto a ciò che si era sempre pensato.

Volterra, città etrusca

Infatti, la città toscana è molto più nota per le sue origini etrusche. Volterra è tra le principali città-Stato dell’antica Etruria ed è ricca di testimonianze artistiche e archeologiche di quell’epoca lontana. In città ci sono, per esempio, il Museo Etrusco Guarnacci, che ospita oltre 600 urne, e le rovine della meravigliosa Acropoli Etrusca di Piano di Castello, con un’interessante sovrapposizione di strutture di età etrusca, romana e medievale.

Anche il centro storico è di origine etrusca. Di quell’epoca restano ancora la Porta Diana, la maggior parte della cinta muraria, l’Acropoli, svariati ipogei, la Porta all’Arco e poi ci sono diversi edifici d’epoca medievale, come il Palazzo dei Priori, la Fortezza Medicea e la Cattedrale.

Turismo a Volterra, tra storia e fiction

Infatti, sono pochi i turisti che, anche quando visitano la splendida città toscana, sono a conoscenza del nuovo sito archeologico di epoca romana. Un paio di anni fa, d’estate, l’anfiteatro romano di Volterra è stato parzialmente aperto alle visite, organizzate con il patrocinio della Regione Toscana, del Comune di Volterra, della Soprintendenza di Pisa e Livorno, dei Musei di Volterra e della Fondazione Cassa di Risparmio di Volterra.

Per quattro giorni, le prenotazioni andate subito sold out, portando nella struttura qualche centinaia di visitatori. Forse bisognerebbe organizzarne più spesso, senza, naturalmente, intralciare i lavori degli archeologi.

Certo, molti visitatori, specie i giovani, sono attirati da Volterra per un’altra ragione, molto più “commerciale”: la città ha, infatti, ospitato il secondo romanzo della saga “Twilight, New Moon“. La scelta non è stata casuale: Volterra, infatti, è famosa per essere anche la città delle streghe e dei vampiri.

Una leggenda vuole che, proprio a Volterra, tanto tempo fa, ci fosse una strega chiamata Aradia che si pensava fosse figlia della Dea Diana. La donna, che praticava l’occulto e lo insegnava agli esseri umani, fu condannata a morte nel 1300, tuttavia riuscì a sfuggire all’esecuzione e il suo corpo non fu mai ritrovato.

Ma Aradia non era l’unica strega in città. La sua presenza pare avesse attirato molte altre streghe provenienti da ogni parte d’Italia che, ogni notte, si riunivano a danzare sotto la Luna appena al di fuori delle mura cittadine dove ora si trova il masso della Mandringa, una roccia con una crepa che, nei secoli, ha ispirato poeti, artisti e scrittori, tra i quali anche Gabriele D’Annunzio. I più suggestionabili giurano di sentire ancora le loro voci quando cala la notte.

Il nome di Volterra è legato anche a un’altra presenza inquietante, quella dei vampiri. Prima ancora di Aradia, pare che qui si fosse rifugiato un potentissimo clan di vampiri, lo stesso che poi ha ispirato il secondo capitolo della fortunata saga “Twilight”. È proprio grazie al film che la città è divenuta celebre in tutto il mondo e si è trasformata in una delle mete predilette del Dark Tourism.

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L’Isola d’Elba protagonista di “I delitti del BarLume 11”

Chi pensa che l’Isola d’Elba sia un posto tranquillo, dove non accade nulla se non in piena estate, dovrà ricredersi, specie dopo aver visto la serie Tv “I delitti del BarLume”, giunta alla sua undicesima stagione.

La fortunatissima commedia a tinte gialle di Sky Original comprende tre nuovi episodi: “Il pozzo dei desideri”, “La girata” e “Sopra la panca” e vede, accanto ai protagonisti, Filippo Timi nei panni di Massimo Viviani, Lucia Mascino che è il Commissario Fusco, Alessandro Benvenuti (Emo), Atos Davini (Pilade), Massimo Paganelli (Aldo), Marcello Marziali (Gino) che interpretano i “vecchini”, Enrica Guidi (la Tizi), Corrado Guzzanti (Paolo Pasquali) e Stefano Fresi (Beppe Battaglia), anche alcune incredibili guest star: Orietta Berti, Marco Messeri, Francesco Motta e Sandro Veronesi.

Dove è stata girata la serie Tv “I delitti del BarLume”

Le vicende sono ambientate sempre a Pineta, l’immaginaria cittadina del litorale toscano tra Pisa e Livorno in cui si svolgono le storie nate dalla fantasia dello scrittore Marco Malvaldi.

Nella realtà, Pineta è la località di Marciana Marina, sull’Isola d’Elba e non sulla costa toscana. Questo Comune non soltanto è il più piccolo dell’Elba ma lo è addirittura di tutta Italia. E pensare che qui si possono ammirare alcuni degli scorci più suggestivi dell’isola. Deve essersene innamorato persino Napoleone Bonaparte che, nell’estate del 1814, vi soggiornò per qualche giorno.

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Fonte: @F. Di Benedetto

Una scena della serie Tv “I delitti del BarLume 11”

L’isola toscana, dove vive Massimo, barista alle prese con i delitti compiuti nella sua cittadina, è protagonista assoluta della serie televisiva. E l’intero paese di Marciana Marina, trasformato fuori stagione in un set cinematografico, ospita, in piazza della Vittoria, il famoso bar che dà il nome a tutta la fiction.

Qui, il barista e i suoi quattro “bimbi”, come chiama amorevolmente i quattro anziani che frequentano assiduamente il locale e che non hanno altro da fare se non impicciarsi di ciò che accade a Pineta, sono impegnati costantemente nella risoluzione di qualche nuovo caso.

Il paese si sviluppa sul lungomare, costeggiato da piante di tamerici secolari. I suoi pittoreschi quartieri hanno stretti vicoli di granito e piazzette che, d’estate, si trasformano in veri e propri salotti, su cui s’affacciano le case dai colori pastello che si vedono anche in Tv. Alle spalle, il Monte Capanne con il suo fitto bosco di pini, castagni e querce. Non stupisce, quindi, che sia tra le più note località dell’Isola d’Elba. E, dopo la fiction, ancora di più.

Anzi, poiché per molti turisti oramai, dopo undici stagioni della fiction, Marciana è diventata la “Pineta” de “I delitti del BarLume”, il Comune ha deciso di cambiare persino la cartellonistica stradale.

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Fonte: 123rf

Per i turisti, marciana Marina è ormai la Pineta di “I delitti del BarLume”

Lo scorcio più pittoresco di Marciana Marina è l’antico Borgo del cotone (il nome, che deriva dal latino “Cos, Cotis”, “scogliera”),  molto probabilmente il primo nucleo abitato di Marciana Marina, costruito intorno al porticciolo naturale.

Questo romantico borgo di pescatori un tempo comprendeva  abitazioni, magazzini per la pesca e cantine adibite alla conservazione del vino che un volta si produceva in grande quantità. Oggi, con le sue case arroccate sugli scogli a strapiombo sul mare, con le facciate variopinte ed erose dal salmastro e con le barche attraccate al porto, custodisce i segni del passato.

Non è solo Marciana Marina ad apparire nella fiction, però: negli anni, infatti, le riprese sono state effettuate anche in altre zone dell’isola, comprese le sue spiagge meravigliose, come Marina di Campo, Rio Marina, Monte Capanne e Portoferraio, il villaggio dalla pittoresca forma a mezzaluna che si sviluppa lungo il porto. Si tratta di una delle città più antiche dell’isola, dal fascino tutto Rinascimentale, luogo che incontrò anche Napoleone.

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Fonte: 123rf

La baia dove si trova Mariana Marina all’Elba

Isola d’Elba, un set naturale

Il rapporto che lega la macchina da presa all’Isola d’Elba non è recente. Tante, infatti, sono le storie e i personaggi che hanno preso vita nella sua grande varietà di paesaggi. A partire da “L’Avventuriero”, pellicola del 1966 che ha visto Rita Hayworth, Anthony Quinn e Rosanna Schiaffino girare a Portoferraio.

Proprio al generale francese, nel 2014, è stata dedicata una webserie dal titolo “Elba – L’Eredità di Napoleone”, che ha mostrato sul piccolo schermo i luoghi cardine di questo magnifico angolo di Mediterraneo.

L’esilio all’Elba di Napoleone viene raccontato in un altro film: “N” di Paolo Virzì. Tutto questo, senza dimenticare la storica pellicola drammatica “Mani sulla città”, diretta da Francesco Rosi, che racconta la storia di Villa Invernizzi a Lacona, una frazione di Capoliveri, proprietà dello storico produttore cinematografico Nello Santi.

Insomma, tante storie hanno ispirato l’isola e tante storie sono state raccontate nei suoi borghi più belli, nelle cittadine, sule spiagge, nelle ville e in mezzo alla sua natura meravigliosa, trasformandola in una vera e propria “Elbawood”.

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Fonte: 123rf

Il Borgo del cotone a Marciana Marina
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Borghi Lucignano Toscana Viaggi

Questo è il “luogo più bello del mondo” e si trova in Italia

Definito da tutti come “la perla della Valdichiana”, il raccolto borgo medievale di Lucignano è stato definito da Vittorio Sgarbi come “il luogo più bello del mondo“, la meta da lui scelta per salutare il 2023 e accogliere il 2024.

Ma non soltanto: durante la diretta dal suo profilo Facebook mentre era in visita al Museo Civico, ha speso altre parole d’elogio per il borgo toscano raccontando che “È bello perché è un paese indimenticabile, con l’urbanistica medievale che di casa in casa ti porta dentro il passato e poi è illuminato e illumina tutta la Toscana con l’Albero della vita”.

E proprio “l’Albero della Vita”, conosciuto anche come “Albero dell’Amore”, è uno dei fiori all’occhiello di Lucignano, un pregevole reliquiario alto 2 metri e 60 di scuola orafa senese del 1471, realizzato in oro e adornato con pietre preziose e coralli, fulgida testimonianza della maestria artigianale toscana del XIV-XV secolo.

Una meraviglia in provincia d’Arezzo

Bandiera Arancione del Touring Club e nel circuito dei Borghi Più Belli d’Italia, Lucignano è uno dei centri più rilevanti della Toscana e della provincia d’Arezzo, che sa affascinare con il suo impianto ellittico ad anelli concentrici, arrivato fino a noi intatto attraverso i secoli.

Una passeggiata lungo le strette stradine ombreggiate dalle antiche case in pietra e mattoni consente di respirare appieno l’atmosfera di un tempo che fu e di apprezzare le bellezze architettoniche che ne sono vanto, a partire dalle mura costruite nel Trecento e perfettamente conservate: l’accesso avviene da tre porte, le principali di San Giusto e San Giovanni, e la terza nota come “Porta Murata”.

Di sicuro interesse sono poi la Chiesa di San Francesco, che spicca nell’omonima piazza, edificata nel XIII in stile gotico, ricca di splendidi affreschi di artisti senesi del XIV e XV secolo tra cui va citato “Il Trionfo della Morte” di Bartolo di Fredi, e la Collegiata di San Michele Arcangelo, in via San Giuseppe, dalla facciata mai terminata e custode di un notevole altare in marmo e di opere di artisti del XVI e XVII secolo.

Non si può non prevedere una visita al Museo Civico, che si trova al pianterreno del Palazzo comunale, un trionfo di opere d’arte senza eguali e di numerosi oggetti sacri su cui soffermare lo sguardo: per fare qualche esempio, un cofanetto in osso con legnetti colorati, una croce lignea dipinta sui due lati del XVI secolo, un navicella in argento e un turibolo del 1628, e il già citato “Albero della Vita“, proveniente dalla Chiesa di San Francesco: esposto all’interno della Sala delle Udienze, attira l’attenzione dei turisti a livello internazionale grazie alle sue dimensioni imponenti e alla ricchezza delle decorazioni.

I dintorni non sono da meno

E se Lucignano è il “luogo più bello del mondo”, i suoi dintorni non sono da meno: il borgo toscano, infatti, sorge in una “posizione turistica privilegiata” e permette di raggiungere in breve tempo i più apprezzati centri turistici dell’Italia centrale come Arezzo, Perugia, Firenze, Cortona e Siena.

Al contempo, la natura tutt’intorno rimane incontaminata e autentica, lontana dal turismo di massa, con verdeggianti distese a perdita d’occhio e una campagna curata che si fonde in totale armonia con il paesaggio. Appena fuori dalle mura, ecco il Santuario della Madonna delle Querce, il cui progetto è attribuito al Vasari, e i resti delle fortificazioni medicee mentre, a poca distanza, nel folto dei boschi si erge il trecentesco borgo fortificato di Gargonza.

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Borghi Lazio Maremma Toscana Viaggi

Roccalbegna, piccolo tesoro di Maremma

Nel 2015 uscì in tutti i cinema Il racconto dei racconti, film di Matteo Garrone candidato poi alla Palma d’Oro al festival di Cannes. La particolarità della pellicola era quella di aver ambientato racconti fantastici in luoghi particolarmente evocativi del territorio italiano, come le Gole dell’Alcantara in Sicilia o Castel del Monte in Puglia.

Un’idea che torna spesso in mente quando, viaggiando attraverso le diverse zone della Toscana, sembra in effetti di essere capitati in mezzo a una saga fantasy.

Accade soprattutto nel sud della regione, dove i piccoli borghi medioevali, i panorami solo parzialmente modificati dall’intervento dell’uomo e alcune particolari conformazioni del territorio regalano questo sapore storico e fantastico insieme.

Un posto particolare in questo immaginario lo ricopre il piccolo borgo di Roccalbegna, appena qualche centinaio di abitanti in provincia di Grosseto, fra Arcidosso e Santa Fiora, ai margini della Maremma e alle pendici del monte Amiata.

Quando ci s’imbatte per la prima volta in Roccalbegna, arrivando da un lato o dall’altro della Strada statale 323, si rimane esterrefatti per via della sua scenografica posizione, ai piedi di una rupe scoscesa sulla cui vetta quale giacciono i resti di una rocca medioevale, diverse centinaia di metri al di sopra del borgo.

Dirimpetto, sull’altro lato del paese, si trova il Cassero senese, un’altra fortificazione trecentesca che sorge sulla sommità di una più modesta rupe, a chiudere geograficamente il borgo lungo la strada che lo attraversa. Sotto la rupe del Cassero, infatti, scorre il fiume Albegna, che qui si è scavato un letto profondo, più in basso rispetto al livello dell’abitato.

Fonte: Lorenzo Calamai

Veduta di Roccalbegna, con la Rocca e il Cassero, arrivando dal versante orientale del paese

Roccalbegna e i suoi forti

Il fortilizio che sorveglia il paese di Roccalbegna dalla cima della rupe più alta è la Rocca aldobrandesca, chiamato anche più semplicemente il Sasso dagli abitanti del luogo, forse per il modo particolare in cui l’edificio si adatta e si ingloba nel colle roccioso che lo ospita.

Le rocche aldobrandesche sono un vero e proprio genere in questa fetta di territorio toscano. La famiglia nobile degli Aldobrandeschi, infatti, ebbe vasti possedimenti territoriali nella regione tra il nono e il quindicesimo secolo. Caratteristicamente, i forti che punteggiano principalmente l’odierna provincia di Grosseto, ma anche la Val d’Orcia e il nord del Lazio, si distinguono per la loro posizione sommitale rispetto all’abitato, con un copro principale affiancato da una torre d’avvistamento.

Quella di Roccalbegna è finita ormai da tempo in rovina, ma era probabilmente dotata di due livelli nel corpo principale. In disuso fin dal diciassettesimo secolo, la Rocca aldobrandesca rappresenta oggi un luogo panoramico che merita una visita.

Fonte: Lorenzo Calamai

La Rocca aldobrandesca di Roccalbegna

Per raggiungerla armatevi di buone scarpe e affrontate l’impervio sentiero, dotato di gradini in pietra, che dal Bar La Rocca, all’ingresso orientale del paese, sale fino al forte. Tra i ruderi, con dovuta prudenza, potrete affacciarvi dalla cinta muraria e godere del panorama che si apre ai vostri occhi: il reticolo di vicoli e viuzze ortogonali di Roccalbegna, progettato da architetti senesi nel corso del Duecento, il campanile della Chiesa dei Santi Pietro e Paolo, il Cassero, le sinuose curve dove si intuisce abbia scavato il proprio corso il fiume Albegna, le morbide colline coperte di boschi, le ulivete e i pascoli. Un vero e proprio tuffo in questo angolo poco frequentato di Toscana.

Fonte: Wikimedia Commons – ph. Saliko – CC BY 2.5

Vista su Roccalbegna dalla Rocca aldobrandesca

Anche il Cassero senese, sulla rupe meno alta dall’altra parte del borgo, fu probabilmente costruito dagli Aldobrandeschi. Caduto anch’esso in disuso precocemente, fu parzialmente salvato dalla decisione della famiglia Bichi di Siena, nuovi amministratori di Roccalbegna a metà Seicento, di renderlo loro residenza. Raggiungibile percorrendo qualche scalino dopo essersi districati tra i vicoli del centro, il Cassero è un altro luogo panoramico, dal quale si può ammirare il suggestivo incombere del Sasso sul borgo di Roccalbegna da un lato e la campagna maremmana dall’altro.

La chiesa dei Santi Pietro e Paolo

Malgrado le dimensioni assai contenute del borgo di Roccalbegna, non mancano i luoghi d’interesse da visitare durante la propria permanenza.

Oltre ai due forti, alla cinta muraria che ancora si intravvede nella Porta di Maremma dalla quale si esce dal borgo verso ovest e nelle tre torri senesi disseminate agli angoli dell’abitato, al Palazzo Bichi-Ruspoli, un ruolo di rilevanza è assunto dalla principale delle chiese del borgo, quella intitolata ai Santi Pietro e Paolo, nella piazzetta quadrangolare che ospita il municipio, al termine di via Garibaldi.

Fonte: Lorenzo Calamai

La Chiesa dei Santi Pietro e Paolo a Roccalbegna

La sua costruzione risale al XIII secolo, con gli stilemi classici del romano-gotico, come il grande rosone che ne caratterizza la facciata.

All’interno, caratterizzato da un’unica aula rettangolare e da un piccolo abside, l’attrazione principale è rappresentata dalle tre tavole realizzate da Ambrogio Lorenzetti intorno alla metà del Trecento. All’altare maggiore campeggia infatti una notevole Madonna col Bambino, affiancata dalle rappresentazioni di San Pietro e San Paolo, nella tipica raffigurazione iconografica che vede l’uno con in mano la chiave e l’altro intento a scrivere le proprie lettere mentre tiene nell’altra mano una spada, simbolo del suo martirio per decapitazione.

Fonte: Wikimedia Commons – ph. Saliko – CC BY 2.5

Particolare della Madonna col Bambino di Ambrogio Lorenzetti

La chiesa possiede altre opere d’arte minori come il crocifisso ligneo trecentesco, gli affreschi cinquecenteschi che decorano una delle nicchie, una Madonna con i Santi Cristoforo e Giacomo del locale pittore barocco Francesco Nasini e una pregevole acquasantiera rinascimentale all’ingresso. Degno d’interesse anche lo stendardo del movimento Viva Maria del 1799, l’insurrezione antinapoleonica che aveva nel grido mariano il proprio motto e che arrivo a riuscire a liberare tutto il Granducato di Toscana dall’occupazione militare francese per un breve periodo.

Per chiudere la vostra visita delle piccole magie di questo borgo caratteristico, una buona idea è quella di uscire dal borgo presso la Porta di Maremma, ammirando sulla destra la perfezione povera della Chiesa della Madonna del Soccorso, la piccola chiesa che si trova sull’incrocio delle vie. Prendete a sinistra e seguite il corso della strada che scende verso il basso.

Vi lascerete alle spalle il paese e arriverete fino sulle rive del fiume Albegna, l’ultima delle caratteristiche geomorfologiche fondamentali di Roccalbegna. Qui i ruderi di un antico mulino, con le macine ancora visibili, e l’impetuoso scorrere del fiume tra diverse cascatelle finiranno di completare il quadro di questo borgo dalle dimensioni ridotte, ma che nasconde un’infinita quantità di fascino lontano dagli occhi del turismo di massa.

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Toscana d’autunno: la Cascata del Ghiaccione e la Valdera

Nello scacchiere amministrativo del territorio toscano la Provincia di Pisa ha uno spazio geografico particolare. Non comprende infatti solo la zona del litorale tirrenico a nord di Livorno e l’area pianeggiante intorno al capoluogo, ma anche una vasta zona che si spinge verso sud, comprendendo la Valdera, la Val di Cecina e le Colline Metallifere. Aree dal più classico dei panorami rurali toscani: dolci colline rivestite di boschi, vecchi borghi medioevali e panorami incantevoli.

Proprio in Valdera si nascondono alcune piccole gemme poco frequentate, visto che il turismo preferisce concentrarsi nei circuiti più mainstream. Fra queste merita un posto speciale la Cascata del Ghiaccione, o più semplicemente Il Ghiaccione tout court, una scenografica cascata che assume un tocco di fascino speciale durante le stagioni autunnale e invernale, grazie al foliage del bosco che la contorna, alla maggior portata d’acqua e al suo aspetto silvano, incantato, come uscita da una favola nordica.

Una destinazione perfetta per una domenica che possa abbinare l’avventura selvaggia della breve escursione alla cascata con la visita ad uno dei tanti bei borghi che punteggiano questo spicchio di Toscana stretto tra Volterra e il mare.

Fonte: Lorenzo Calamai

La Cascata del Ghiaccione in autunno

L’escursione alla Cascata del Ghiaccione

Il Ghiaccione, che prende il nome ovviamente dalla temperatura delle acque che vi scorrono, altro non è che il torrente Carbonaia, un piccolo corso d’acqua della Valdera che scorre nei boschi tra Chianni e Castellina Marittima, due piccoli borghi contornati da maestosi panorami tipicamente toscani.

Per raggiungere la cascata si deve percorrere un breve sentiero. La percorrenza è di circa 30 minuti e non ci sono particolari difficoltà, ma si devono attraversare tratti di bosco che lontano dall’estate saranno certamente fangosi e guadare più volte il torrente. Sarà utile pertanto avere calzature adeguate.

A seconda della vostra provenienza, raggiungete Chianni o Castellina Marittima e percorrete la Strada provinciale 48. All’incirca a metà strada tra i due paesi si trova un ponticello stradale sul torrente Carbonaia, contrassegnato dal classico cartello stradale blu (coordinate GPS: 43.459820, 10.629130). Sarà il segnale per posteggiare l’auto a bordo strada, fuori dalla carreggiata.

Sul versante in direzione Chianni del ponticello, un sentiero si addentra nella boscaglia: è quello da seguire per arrivare alla Cascata del Ghiaccione. Fate attenzione, perché nel bosco ci sono diversi sentieri, realizzati per diversi scopi, senza particolari indicazioni. Per non perdervi tendete sempre a mantenere la sinistra in modo da non allontanarvi dal torrente.

Fonte: Lorenzo Calamai

La prima cascata che si incontra lungo il sentiero

Non sarà comunque difficile costeggiare il Carbonaia fino a raggiungere una prima cascata ben irregimentata. Il sentiero la supera mantenendo la sinistra orografica, ma poco più a monte la traccia del percorso si abbassa occasionalmente a livello del corso d’acqua. Risalendo per ancora 400 metri circa, arriverete alla radura dove si può ammirare la Cascata del Ghiaccione.

Nascosta dal bosco, questa piccola perla selvaggia è affascinante in ogni momento dell’anno, tingendosi di nuovi colori: in estate le sue fresche acque possono dare ristoro dalla calura; in primavera la natura rigogliosa si mostra in tutto il suo potere; in autunno le foglie degli alberi cadono danzando nell’aria nella polla sottostante, mosse dall’impetuoso cadere del torrente oltre il salto; in inverno si può addirittura cogliere la polla ghiacciata in alcune sue parti.

Fonte: Lorenzo Calamai

Durante la primavera la cascata è posta in costante ombra delle fronde del bosco

Chianni, Lajatico e Peccioli: i borghi della Valdera

Dopo aver visitato le magie della natura con l’escursione alla Cascata del Ghiaccione è il momento di scoprire i piccoli, caratteristici borghi che punteggiano i dintorni. Specie in un periodo freddo come quello del tardo autunno e dell’inizio dell’inverno, percorrere i vicoli di queste cittadine sarà un modo di ritrovare calore dopo l’escursione lungo il torrente.

Il borgo più vicino è quello di Chianni, arrampicato su una collina con uno splendido balcone naturale che domina il territorio sottostante e regala panorami unici in ogni stagione. Sebbene non abbia particolari attrattive dal punto di vista culturale, il paese ha un’atmosfera tranquilla e posata, con le sue case dalle facciate in pietra e la Chiesa di San Donato che domina il borgo contornata dai rami degli ulivi.

Fonte: ph. annurca – CC BY 2.0

La luce del tramonto illumina le campagne intorno a Chianni

Tra i colli che si possono ammirare da Chianni in direzione est c’è anche quello sulla cui sommità sorge Lajatico, uno degli altri borghi della zona di cui si consiglia la visita, a poco più di 10 chilometri di distanza.

Paese natale di Andrea Bocelli, Lajatico ha un centro storico recentemente ristrutturato che combina classiche vestigia medievali a opere d’arte contemporanea disseminata in diversi angoli del paese. Una passeggiata per il paese offre il passaggio dalla terrazza panoramica sui territori circostanti, sempre affascinante, alla visita della Chiesa di San Leonardo, fino alla centrale Piazza Vittorio Veneto.

Nei pressi del centro cittadino sorge il Teatro del Silenzio, un anfiteatro costruito nel 2006 sul fianco di una vicina collina, nato per ospitare un solo grande spettacolo all’anno intorno a una scenografia minimalista, incentrata su una diversa opera d’arte ogni anno. Igor Mitoraj, Arnaldo Pomodoro e Mario Ceroli sono stati tra gli scultori contemporanei che hanno allestito la scenografia del Teatro del Silenzio nei primi anni Duemila. Un luogo suggestivo da visitare anche lontano dagli spettacoli.

Fonte: Lorenzo Calamai

Lo scenografico paesaggio dove sorge il Teatro del Silenzio a Lajatico

Salendo verso nord per una decina di chilometri ancora si incontra Peccioli, borgo bandiera arancione per il turismo dall’impianto, anche in questo caso, tipicamente medievale. Chiese romaniche dalle facciate eleganti, palazzi signorili, stretti vicoli e alternanza di spazi compressi e più aperti animano l’architettura del paese. Tuttavia il paese e le sue frazioni hanno saputo distinguersi nel corso degli anni recenti per una particolare attenzione all’arte contemporanea, ivi compresi diversi interventi di land art, che rende viva e frizzante la visita tra i vicoli e le piazze di Peccioli e dintorni.

Fonte: LigaDue – CC BY 4.0

Peccioli domina la Valdera dalla cima del proprio colle

Un ideale complemento ad una visita che coniuga l’elemento naturale a quello umano, artistico e storico e che risulta in un’ottima opzione per una gita giornaliera in tutte le stagioni.

 

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Sotto questa città puoi attraversare le antiche vie dell’acqua

Ogni angolo della nostra Italia, ogni strada, ogni piazza racconta una storia, un pezzo del nostro ricco patrimonio culturale e storico. Dalle maestose montagne ai litorali turchesi dei nostri mari, dai pittoreschi villaggi medievali ai capolavori architettonici, il nostro Paese non smette mai di sorprendere e affascinare i turisti di tutto il mondo.

Ma la vera magia risiede nei tesori nascosti che si trovano dietro gli angoli più inaspettati. Ed è in uno di questi luoghi che inizia il nostro viaggio, in quella che è senza dubbio una delle regioni più affascinanti e romantiche italiane: la Toscana, più precisamente a Siena. Famosa per il suo Palio e per la sua straordinaria Piazza del Campo, Siena è un incanto per gli occhi e per l’anima. Ma c’è un aspetto meno noto, ma altrettanto suggestivo, di questa città.

Stiamo parlando delle fonti medievali, 25 chilometri di gallerie sotterranee, vere e proprie opere d’arte architettonica rimaste incredibilmente intatte fino a oggi. Seguiremo il corso dell’acqua, il flusso della vita che ha alimentato Siena per secoli, in un viaggio attraverso il tempo e la storia.

Alla scoperta delle vie dell’acqua sotterranea a Siena

Fontebranda

Fonte: iStock

Fontebranda, Siena, Toscana

Le fonti medievali di Siena, veri e propri gioielli architettonici, sono un emblema tangibile della ricca storia della città. Queste opere maestose, risalenti al periodo medievale, hanno resistito alla prova del tempo, mantenendo intatta la loro bellezza originaria. Una passeggiata nel centro storico o nelle aree verdi adiacenti l’ultima cerchia muraria rivela queste straordinarie testimonianze del passato. Le fonti, incastonate nel tessuto urbano o celate tra il verde, non sono solo strutture funzionali, ma monumenti alla ingegnosità e all’estetica dell’epoca da cui provengono.

Sono alimentate da un sistema altamente efficiente, un vero e proprio capolavoro dell’ingegneria idraulica medievale. Questa rete si estende per 25 chilometri, e si snoda attraverso numerose gallerie scavate nel terreno circostante, raccogliendo le infiltrazioni d’acqua che convogliano, così, fino alla città. Nonostante l’assenza di un fiume, nel tempo questo sistema ha garantito a Siena una fornitura costante e abbondante di acqua, un fattore chiave che ha permesso alla città di prosperare e diventare una delle più ricche e importanti dell’epoca. Ancora oggi, la rete continua a funzionare, testimoniando la lungimiranza dei suoi antichi costruttori.

Tra le fonti presenti, la Fonte Gaia e la Fonte d’Ovile si distinguono in modo particolare. Ognuna di esse racconta una storia unica, riflesso dei cambiamenti sociali, economici e tecnologici che hanno plasmato la città nel corso dei secoli. Questi non erano solo punti di approvvigionamento di acqua, ma anche centri vitali per la socializzazione e lo scambio.

Ma la più antica, famosa e imponente, che occupa un posto significativo nel patrimonio culturale della città, è senza dubbio Fontebranda. Costruita nel 1193, mantiene ancora oggi l’essenza della sua architettura originale, nonostante le modifiche e le aggiunte effettuate nel corso del tempo.

Oltre ad avere anche un legame letterario e religioso significativo per essere menzionata nel XXX canto dell’Inferno di Dante Alighieri, è strettamente associata a Santa Caterina da Siena, la venerata santa che qui è nata e cresciuta, motivo per cui viene spesso chiamata la “Santa di Fontebranda“.

Oggi, è la cornice di importanti manifestazioni culturali e festività locali, tra cui le celebrazioni della Contrada dell’Oca, sottolineando il ruolo centrale che ha ancora oggi nella vita sociale e culturale di Siena.

I segreti degli antichi Bottini: il labirinto sotterraneo dell’acquedotto di Siena

Sotto i ciottoli delle strade e l’effervescenza delle piazze di Siena, si cela un patrimonio storico di grande rilevanza: i Bottini, strutture sotterranee che, ancora oggi, alimentano le fontane della città.

Al fine di proteggere e promuovere la consapevolezza di questa straordinaria rete di acquedotti, sono state organizzate visite guidate per permettere ai visitatori di immergersi nella storia, esplorando i temi legati all’uso delle risorse idriche, all’ingegneria e alla sopravvivenza, scoprendo così un aspetto di Siena spesso sconosciuto, ma di fondamentale importanza.

Due sono i rami principali di questo impressionante sistema. Il primo è il Bottino Maestro di Fontebranda, il più antico e profondo, che parte da Fontebecci e termina alla Fonte di Fontebranda. Poi c’è il Bottino Maestro di Fonte Gaia, un capolavoro di ingegneria idraulica realizzato intorno al 1300. Questo ramo alimenta la celebre Fonte Gaia in Piazza del Campo, simbolo di bellezza e abbondanza. Ma non solo. Con un ingegnoso sistema di trabocchi, l’acqua si riversa anche in altre fonti minori, diffondendo l’oro blu in tutta la città.

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Fontebranda, Siena, Toscana
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Michelangelo, apre la stanza segreta: nascosta sotto una botola per anni

Dal prossimo 15 novembre sarà di nuovo accessibile al pubblico la stanza segreta di Michelangelo. Un piccolo ambiente contenente una serie di disegni attribuiti al celebre pittore e scultore del Rinascimento, custodito all’interno del Museo delle Cappelle Medicee a Firenze, che si potrà finalmente ammirare dopo quasi 50 anni dal suo ritrovamento, avvenuto nel 1975.

La storia della stanza segreta di Michelangelo

La piccola stanza segreta, di 10 metri di lunghezza per 3 di larghezza, alta al culmine della volta 2 metri e 50, venne utilizzata come deposito di carbonella fino al 1955 e poi rimasta inutilizzata, chiusa e dimenticata per decenni, sotto una botola completamente coperta da armadi, mobili e suppellettili accatastati.

Nel novembre 1975, Paolo Dal Poggetto, allora direttore del Museo delle Cappelle Medicee, incaricò il restauratore Sabino Giovannoni di fare dei saggi di pulitura in uno stretto corridoio sottostante l’abside della Sagrestia Nuova, in occasione di un sopralluogo preliminare alla ricerca di uno spazio adeguato alla realizzazione di una nuova uscita del museo.

Fu allora che il restauratore si imbatté in una serie di disegni murali, nascosti sotto due strati di intonaco, tracciati con bastoncini di legno carbonizzato e sanguigna, di dimensioni varie, in molti casi sovrapposti, che Dal Poggetto ha attribuito per la maggior parte a Michelangelo.

L’ipotesi dell’ex direttore del museo è che l’artista si fosse rifugiato in questo piccolo ambiente nel 1530, quando il Priore di San Lorenzo, Giovan Battista Figiovanni, lo nascose dalla vendetta di Papa Clemente VII – appartenente alla famiglia fiorentina dei Medici – infuriato perché il Buonarroti aveva aveva seguito le fortificazioni per conto del governo repubblicano (1527-1530), nel periodo in cui i Medici furono cacciati dalla città.

Ottenuto il perdono della famiglia, dopo circa due mesi – che secondo la ricostruzione dovrebbero collocarsi tra la fine di giugno e la fine di ottobre 1530 – Michelangelo tornò finalmente libero e riprese nuovamente i suoi incarichi fiorentini, fino a quando nel 1534 abbandonò definitivamente la città alla volta di Roma.

I disegni, ancora oggetto di studio da parte della critica, secondo la tesi di Dal Poggetto furono realizzati durante il periodo di “auto-reclusione” dell’artista che avrebbe utilizzato i muri della piccola stanza per “abbozzare” alcuni suoi progetti, tra cui opere della Sagrestia Nuova, come le gambe di Giuliano de’ Medici duca di Nemours, disegni ispirati a opere d’arte preesistenti, come la testa del Laocoonte, e progetti riferibili ad altre sculture e dipinti.

Visita alla stanza segreta di Michelangelo: info utili

L’attesa apertura al pubblico della stanza segreta di Michelangelo, al Museo delle Cappelle Medicee di Firenze, mai stata accessibile in maniera regolamentata fino a oggi, è resa possibile anche grazie al monitoraggio che verrà condotto nei prossimi mesi, d’intesa con l’Opificio delle Pietre Dure. La stanza sarà aperta per le visite dal 15 novembre 2023 al 30 marzo 2024, solo su prenotazione.

Potranno accedervi gruppi contingentati di massimo 4 persone alla volta, in modo da proteggere i disegni e mantenere adeguate condizioni conservative, indispensabili a salvaguardare i preziosi manufatti. La permanenza massima all’interno della stanza sarà di 15 minuti, accompagnati dal personale di vigilanza del Museo. Il numero limitato di presenze per fasce orarie è, infatti, dovuto alla necessità di intervallare il periodo di esposizione alla luce a led a periodi prolungati di buio. Dal momento che per accedere all’ambiente è necessario scendere una stretta e angusta scala, la stanza non è accessibile ai disabili e – per ragioni di sicurezza- ai minori di 10 anni.