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Scoperta una strana testa di argilla (e non solo) di 7500 anni fa

Bahra 1 è un sito archeologico che si sviluppa nella regione di Subiya (Kuwait) associato alla cultura Ubaid, che rappresenta un passaggio fondamentale verso le cosiddette “grandi organizzazioni” che egemonizzarono la Bassa Mesopotamia. Si tratta di uno dei primi insediamenti di questa cultura nella regione del Golfo Persico, dove nel corso degli anni sono state fatte importantissime scoperte archeologiche. Recentemente, infatti, è tornata alla luce una strana testa di argilla, insieme ad altri artefatti particolarmente interessanti.

Le nuove scoperte a Bahra 1

Dal 2009, una missione archeologica kuwaitiana-polacca nata dalla collaborazione tra il Consiglio nazionale della cultura, delle arti e delle lettere del Kuwait (NCCAL) e il centro polacco di archeologia mediterranea, Università di Varsavia (PCMA UW), conduce scavi archeologici presso il sito di Bahra 1.

Gli scavi effettuati nel corso degli anni hanno confermato che questo angolo del Kuwait può rivelare moltissime informazioni sugli scambi culturali tra le società neolitiche arabe e la cultura Ubaid.

In particolare, recenti ricerche hanno contribuito a fornire ulteriori informazioni grazie a una serie di scoperte davvero eccezionali: dal terreno è emersa una curiosa e bizzarra testa di argilla finemente lavorata, la prima del suo genere nella regione del Golfo, insieme a particolari ceramiche e un vaso di argilla non cotta, resti che hanno rivelato dati sorprendenti.

L’importanza (e i misteri) di questa scoperta

La particolarissima testa di argilla rivenuta in Kuwait si presenta con un cranio allungato, occhi obliqui e un naso piatto, caratteristiche piuttosto simili a quelle riscontrabili negli artefatti prodotti delle popolazioni della cultura Ubaid. Non a caso, opere di questo tipo sono state trovate sia in contesti funerari che domestici in Mesopotamia, ma per la prima volta anche presso il sito archeologico di Bahra 1.

A tal proposito il Professor Piotr Bieliński, responsabile per la Polonia della spedizione, ha dichiarato: “La sua presenza solleva domande intriganti sul suo scopo e sul valore simbolico, o forse rituale, che aveva per le persone di questa antica comunità”.

Non è di certo meno rilevante la scoperta delle ceramiche. Fin dall’inizio, infatti, gli scavi nel sito hanno portato alla luce due tipologie e lavorazioni di questo materiale: Ubaid, notoriamente importate dalla Mesopotamia, e Coarse Red Ware (CRW), riconducibili ai siti della penisola arabica.

Ceramiche Coarse Red Ware

Fonte: @Adam Oleksiak/ PCMA UW

Le meravigliose ceramiche Coarse Red Ware

Quest’ultimo tipo di ceramiche è stato a lungo descritto come prodotto localmente, nella regione del Golfo, ma i luoghi effettivi della sua produzione sono rimasti finora sconosciuti. Prove conclusive sono infine arrivate dal vaso di argilla non cotta che, dopo essere stato sottoposto ad analisi condotte sotto la direzione della Professoressa Anna Smogorzewska, ha confermato Bahra 1 come il più antico sito di produzione di ceramica conosciuto nel Golfo.

Ma non è tutto, perché la produzione locale di ceramiche ha anche aperto una finestra sulla storia ambientale della regione che può essere indagata attraverso analisi archeobotaniche, poiché i resti degli artefatti presentavano dei piccoli frammenti di piante che venivano spesso aggiunti all’argilla durante il processo di fabbricazione dei vasi: secondo il Dottor Roman Hovsepyan e la Professoressa Aldona Mueller-Bieniek, specialisti in archeobotanica, queste tracce potrebbero aiutare a identificare la flora locale della metà del VI millennio a.C.

I due team di ricerca impegnati a Bahra 1 si rimetteranno presto al lavoro per produrre ulteriori scoperte e approfondimenti sull’intersezione delle culture neolitiche arabe e mesopotamiche Ubaid.

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Scoperta in Egitto la porta di un antico tempio dedicato al dio della fertilità maschile

Dal 2012 sono in corso gli scavi per riportare alla luce un distretto templare dell’antico Egitto, costruito tra il 144 a.C. e il 138 d.C. Ora gli archeologi hanno trovato un ingresso segreto in un tempio egizio risalente a circa 2.100 anni fa. Il portale, sul lato occidentale dello storico sito di Athribis vicino a Sohag, Egitto, originariamente era alto fino a 18 metri e rappresenta uno straordinario esempio di “pilone” egizio, in cui due torri fiancheggiano un ingresso principale.

L’ingresso conduce a una camera precedentemente sconosciuta, probabilmente un deposito per utensili e anfore, grandi contenitori ovali con due manici. Inoltre, iscrizioni geroglifiche e intricate incisioni adornano la facciata esterna e le pareti interne della camera. I ricercatori sono certi che la camera conduca a un tempio, anche se saranno necessari ulteriori scavi per dimostrarlo. “Questa scoperta è particolarmente significativa in quanto segna il primo passo nella scoperta degli elementi rimanenti del tempio” ha affermato il Ministero egiziano del turismo e delle antichità in un post su Facebook.

Tempio antico Egitto

Fonte: Ufficio stampa Ministry of Tourism and Antiquities

Antico tempio in Egitto

Il tempio di Athribis torna alla luce

Gli esperti pensano che la struttura sia stata costruita ad Athribis, un tempo una fiorente città egiziana, durante il II secolo a.C. All’epoca l’Egitto era governato dalla dinastia tolemaica, una casa reale che controllò l’Antico Egitto fino alla sua incorporazione nella Repubblica Romana nel 30 a.C. L’ingresso e la camera sono stati scoperti dai ricercatori dell’Università di Tubinga, supportati dal Ministero egiziano del turismo e delle antichità. Il dott. Mohamed Ismail Khaled, segretario generale del Consiglio supremo delle antichità, ha descritto la scoperta come “il primo nucleo per svelare il resto degli elementi del nuovo tempio nel sito“, secondo Asharq Al-Awsat.

La camera, lunga circa 6 metri e larga 3, ha un ingresso decorato con rilievi e iscrizioni geroglifiche appena scoperti. Le iscrizioni raffigurano il dio egizio della fertilità Min e sua moglie Repit, comunemente raffigurata come una leonessa, e il loro figlio, il dio bambino Kolanthes. In un’iscrizione, queste divinità egizie stanno ricevendo sacrifici da un re, che i ricercatori affermano essere Tolomeo VIII del II secolo a.C. I ricercatori quindi pensano che il tempio di Athribis sia stato costruito durante il regno di Tolomeo VIII (morto nel 116 a.C.) come centro di culto per la venerata famiglia. Le figure sono anche circondate da strutture di simboli astronomici che agiscono come “stelle celesti” per misurare le ore della notte.

Nel frattempo, una seconda porta sulla facciata del pilone conduce a una scala precedentemente sconosciuta che saliva per almeno quattro rampe fino al piano superiore, ma ora è stata distrutta. Ulteriori scavi al tempio di Athribis si concentreranno ora sulla ricerca di tracce del presunto tempio che si trova oltre la camera, probabilmente un luogo di rifugio per gli abitanti della città. “La missione completerà il suo lavoro sul sito per scoprire completamente il resto del tempio durante le prossime stagioni di cava“, ha affermato il Ministero del Turismo e delle Antichità nella sua dichiarazione.

Interno antico tempio Egitto

Fonte: Ufficio stampa Ministry of Tourism and Antiquities

Interno del tempio Athribis in Egitto

La dinastia tolemaica

Nel suo periodo di massimo splendore, si pensa che il tempio si estendesse per 51 metri di larghezza e avesse torri a piloni, ciascuna alta fino a 18 metri. Oggi, rimangono solo circa 5 metri delle torri, che caddero vittime delle cave, probabilmente nell’VIII secolo d.C. Sebbene Athribis fosse occupata durante le dinastie successive, l’antica città egizia non acquisì vero potere fino all’inizio del regno tolemaico. La dinastia tolemaica fu l’ultima dell’Egitto prima che diventasse parte della Repubblica romana, che precedette l’onnipotente Impero romano.

La dinastia fu fondata nel 305 a.C. dopo che Alessandro Magno di Macedonia conquistò l’Egitto nel 332 a.C. e uno dei suoi generali, Tolomeo, divenne Tolomeo I. La leadership fu tramandata attraverso i discendenti di Tolomeo e terminò con Cleopatra VII, una delle regine più famose della storia. Cleopatra VII, nota sia come seduttrice con una personalità accattivante, usò il suo fascino per sedurre Giulio Cesare per cementare l’alleanza dell’Egitto con Roma, sia per sedurre il suo secondo in comando, Marco Antonio, che sposò.

Con l’arrivo del futuro imperatore romano Augusto, Antonio si suicidò nel 30 a.C. con la falsa impressione che lei fosse morta. Dopo averlo seppellito, la trentanovenne Cleopatra si tolse la vita, anche se non si sa come. Si pensa che la coppia condannata sia stata sepolta insieme, anche se il luogo in cui riposano è ancora un mistero.

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La Cittadella di Amman: dove l’archeologia della Giordania diventa magia

Un luogo capace di essere una vera e propria sorpresa da visitare in inverno è la Giordania. Amman, la sua capitale, si rivela di sovente una città attiva e moderna, capace però di ricordare la propria storia e mostrarla come si fa con la migliore delle foto che si tiene in casa. Una  perla da scoprire ad Amman è la Cittadella: uno dei luoghi storici più importanti e significativi della Giordania.

Situata su una delle sette colline originarie di Amman, è conosciuta localmente come Jabal al-Qala’a. Quello che si può ammirare visitandola è un insieme affascinante di storia, archeologia e cultura testimoni di millenni di civiltà giordana. Oltre al suo essere preziosa, la Cittadella di Amman è anche un luogo chiave per ammirare dall’alto la stessa capitale e scattare foto incredibili.

La Storia della Cittadella

La Cittadella di Amman è abitata fin dal periodo neolitico. Questo dato storico la rende uno dei siti continuamente occupati più antichi del mondo. I principali resti visibili oggi risalgono alle epoche romana, bizantina e al periodo definito Omayyade, momento storico che va dal VII al VIII Secolo d.C. Oltre al fatto di trovare dei resti storici di alcuni momenti preponderanti, questo luogo potrebbe da solo raccontare tutta la storia passata della Giordania, grazie anche all’occupazione dell’area da parte di molte altre civiltà, tra cui ammoniti, assiri, babilonesi e persiani.

Durante il dominio romano, Amman (allora conosciuta come Filadelfia) era parte della Decapoli, un gruppo di dieci città-stato che prosperarono in Epoca Imperiale. La Cittadella era un simbolo di vita attiva e di luogo di incontro di genti e culture. Più tardi, sotto il dominio islamico omayyade, la Cittadella assunse anche un importante significato religioso.

La mano di Ercole nella Cittadella di Amman

Fonte: iStock

La celebre Mano di Ercole

Cosa vedere nella parte antica della Cittadella

Visitare la Cittadella durante un viaggio ad Amman è un’attività particolarmente apprezzata da parte di tutti quei viaggiatori che amano l’archeologia. Sono molte le cose sulle quali concentrarsi durante una giornata in quell’area. Se viaggi in inverno, ti sarà molto più facile goderti la vista ai resti storici della Cittadella: in questo momento dell’anno, il clima e la temperatura di Amman renderanno più affrontabile la tua visita, benché il freddo possa non mancare mai. In estate, infatti, risulta molto più difficile date le alte temperature. Su cosa concentrarsi?

  • Tempio di Ercole
    Questo imponente tempio risale al II secolo d.C. e, come è facile comprendere dal nome, è dedicato a Ercole. Di particolare interesse sono le enormi colonne corinzie ancora in piedi e i resti di una mano che, un tempo, apparteneva a una statua colossale di Ercole stesso. Data la misura di quella mano, quello che si pensa è che statua misurasse più di 12 metri d’altezza. Questo monumento è una delle testimonianze più significative del periodo romano della Giordania.
  • Palazzo Omayyade
    Risalente all’VIII secolo, questo palazzo è un esempio della raffinata architettura islamica. Il complesso comprende una sala di ricevimento, residenze e un’imponente cupola ricostruita. Gli archi e i dettagli decorativi mostrano l’influenza delle tradizioni artistiche persiane e bizantine integrate nella cultura islamica.
  • Chiesa Bizantina
    Situata accanto al Tempio di Ercole, questo antico luogo di culto risale al VI o VII secolo. Anche se oggi rimangono solo alcune colonne e basi in marmo, il sito è un esempio dell’importanza del cristianesimo in Giordania durante il periodo bizantino.
  • Museo Archeologico della Giordania
    All’interno della Cittadella, è presente un museo che raccoglie e custodisce molti dei tesori archeologici ritrovati nell’area della Cittadella stessa. Questo museo, infatti, ospita una collezione di reperti che vanno dal neolitico fino all’inizio dell’epoca islamica. Tra i tesori più celebri ci sono le famose statue di Ain Ghazal, risalenti a oltre 9.000 anni fa, che rappresentano alcune delle sculture antropomorfe più antiche del mondo.
  • Mura Fortificate
    Come ogni cittadella che si rispetti, anche quella di Amman è chiamata così perché presenta, ancora al giorno d’oggi, alcuni elementi di difesa militare come, per esempio, delle grandi mura. Esse racchiudono l’intero complesso archeologico e risalgono a diversi periodi storici, mostrando le stratificazioni culturali del sito.
  • Un panorama indimenticabile
    Oltre ai monumenti, la Cittadella è uno dei luoghi che offre la migliore vista su Amman. La città si mostra, guardandola da là, con le sue caratteristiche case bianche che si susseguono fino a occupare le colline circostanti. Questo luogo è particolarmente suggestivo al tramonto, quando la città entra in quella che potremmo definire la Golden Hour e tutto sembra dipinto d’oro.

Come raggiungere la Cittadella di Amman

La Cittadella è facilmente raggiungibile dal centro di Amman, con mezzi di trasporto differenti, a seconda di come preferisci spostarti.

Amman è una città in cui i taxi non mancano e i prezzi vanno concordati col guidatore, a seconda della destinazione. Solitamente il viaggio dura circa un quarto d’ora e si possono usare anche i taxi prenotabili tramite le più diffuse app che coprono questo servizio. Ti potrebbero essere molto utile durante la tua vacanza in Giordania, perché semplificano le comunicazioni con gli autisti.

Non c’è una linea di autobus diretta verso la Cittadella di Amman ma, in città, sono disponibili dei minibus il cui itinerario va sempre concordato. Il viaggio può durare di più di quello di un taxi e potrebbe risultare più scomodo per la presenza di altri viaggiatori e la necessità di altre fermate.

Se ami camminare, sappi che è possibile seguire un itinerario da fare a piedi che, dal Teatro Romano di Amman, porta dritto alla Cittadella. Il percorso si copre in circa una mezz’ora, a seconda del tuo allenamento. Tieni conto che gran parte della strada sarà in salita: indossa scarpe e abbigliamento adeguati.

Organizzare la visita alla Cittadella di Amman

Fonte: iStock

Le rovine della Cittadella

Orari e costi per visitare la Cittadella di Amman

Questo sito archeologico giordano è aperto tutti i giorni e può essere visitato con orari leggermente diversi tra estate e inverno:

  • Inverno (ottobre-marzo): dalle 8 alle 17
  • Estate (aprile-settembre): dalle 8 alle 19

L’ora del tramonto è sempre molto gettonata ma anche il mattino presto ha il suo perché. Informati bene su eventuali chiusure anticipate, nel caso la tua visita si svolgesse di venerdì, ovvero nel giorno preposto per la preghiera dei musulmani. Lo stesso vale per le festività islamiche: controlla bene il calendario.

Per quanto riguarda i costi, infine, l’ingresso alla Cittadella di Amman costa circa 4€ per i viaggiatori che non risiedono in Giordania. Questa attrazione culturale è inclusa nel Jordan Pass, una tessera turistica che include le più importanti attrazioni di tutta la Giordania come, per esempio, il Wadi Rhum.

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America Centrale Belize itinerari culturali maya mete storiche Notizie siti archeologici Viaggi

Scoperta in Belize, canali per la pesca utilizzati dai predecessori dei Maya

Una sorprendente scoperta archeologica ha fatto luce su una rete di canali di terra risalenti a 4.000 anni fa, trovata nella regione del Belize, che testimonia l’ingegno dei predecessori dei Maya. Grazie all’utilizzo di tecnologie moderne come i droni e le immagini di Google Earth, gli archeologi sono riusciti a rilevare una struttura che rivela un aspetto fondamentale della vita quotidiana di queste antiche popolazioni: la pesca.

I canali, utilizzati per la cattura di pesci d’acqua dolce, offrono uno spunto interessante non solo per comprendere le abitudini alimentari di quei popoli, ma anche per tracciare una continuità culturale che si estende fino ai Maya. Vediamo nel dettaglio quali nuovi legami fa emergere la scoperta tra la civiltà Maya e i popoli predecessori.

Una rete di canali antichi in Belize

La scoperta è avvenuta nella zona umida del Belize, all’interno del santuario naturale di Crooked Tree, dove gli archeologi hanno identificato una rete di canali di terra antichi, progettati per raccogliere e canalizzare l’acqua dolce. I canali, che si estendono per chilometri attraverso le zone umide, sono stati costruiti dai popoli semi-nomadi che abitavano la pianura costiera dello Yucatán circa 4.000 anni fa, un’epoca ben precedente all’ascesa della civiltà Maya.

L’importanza della scoperta risiede nel fatto che questi canali sono stati utilizzati per raccogliere e trattenere pesci, in particolare specie come il pesce gatto, grazie a una serie di vasche di contenimento. La rete idrica non solo serviva per la pesca, ma rappresentava anche una soluzione ingegnosa per diversificare la dieta e supportare una popolazione in crescita.

Le immagini aeree, ottenute tramite l’uso di droni e tecnologie avanzate, sono state determinanti per la localizzazione e lo studio di questi canali. Come sottolineato dalla coautrice dello studio, Eleanor Harrison-Buck, dell’Università del New Hampshire, le immagini aeree hanno permesso di identificare un “pattern distintivo” di canali a zig-zag che si estendevano attraverso la vegetazione, testimoniando un intervento umano sofisticato nel paesaggio naturale.

Scavi, Belize, Maya

Fonte: Eleanor Harrison-Buck et al.

Mappa che mostra i canali lineari, le vasche e i siti archeologici della scoperta

Questa rete di canali è significativa non solo per la sua funzione pratica, ma anche per il suo impatto sulla storia culturale dei Maya. Secondo gli studiosi, questi canali potrebbero aver avuto un ruolo fondamentale nel preparare il terreno per la nascita della civiltà Maya, che emerse nella stessa regione secoli dopo. Durante il periodo formativo, quando i Maya cominciarono a stabilirsi in villaggi agricoli e a sviluppare una cultura distintiva, la gestione delle risorse naturali, come l’acqua e la pesca, divenne cruciale. La scoperta dei canali, quindi, suggerisce una continuità culturale che si estende dal periodo pre-Maya fino alla costruzione delle piramidi e degli altri monumenti imponenti che caratterizzano la civiltà Maya.

L’archeologo Claire Ebert dell’Università di Pittsburgh, che non ha partecipato direttamente allo studio, ha dichiarato che la scoperta di modifiche su larga scala del paesaggio in un periodo così antico “mostra che le persone stavano già costruendo cose” e modificando l’ambiente per soddisfare i propri bisogni. Sebbene i Maya siano più noti per le loro imponenti piramidi, templi e per il loro sistema avanzato di scrittura, questa nuova ricerca offre uno spunto per riconsiderare le origini della civiltà Maya, suggerendo che la loro capacità di costruire grandi strutture potrebbe avere radici nelle tecniche e nelle pratiche quotidiane adottate dalle popolazioni precedenti.

In un contesto più pratico, i canali per la pesca hanno avuto un ruolo chiave nel sostenere una popolazione in crescita. La possibilità di accumulare risorse naturali come il pesce ha permesso ai gruppi semi-nomadi di sopravvivere e prosperare, ponendo le basi per la successiva espansione delle popolazioni e per la formazione di villaggi stabili. Gli archeologi suggeriscono che questi canali siano stati utilizzati per un periodo di circa 1.000 anni, rendendo questi antichi sistemi una parte essenziale della vita quotidiana nel periodo pre-Maya.

Inoltre, un altro importante aspetto della scoperta riguarda i sistemi di pesca utilizzati. Tra gli artefatti trovati nelle vicinanze dei canali, sono state identificate punte di lancia con bordi seghettati, che probabilmente venivano legate a bastoni per catturare i pesci. Questi strumenti suggeriscono che la pesca era un’attività non solo importante, ma anche altamente specializzata, che richiedeva tecniche e attrezzi adeguati.

Un capitolo in più nella storia dei Maya

Questa scoperta contribuisce a una comprensione più completa delle civiltà che hanno preceduto i Maya e ne getta nuova luce sulle pratiche quotidiane che hanno formato le basi della cultura Maya. Sebbene i canali per la pesca siano solo una parte di una più ampia narrazione sulla civiltà pre-Maya, offrono un importante legame con la successiva evoluzione culturale e sociale. Questa rete di canali, che segna un’incredibile capacità di ingegneria e di adattamento al territorio, ha permesso a queste antiche popolazioni di prosperare in un ambiente che altrimenti sarebbe stato difficile da sfruttare.

Il legame tra queste antiche pratiche e la grandiosa civiltà Maya ci invita a riflettere su quanto siano state fondamentali le innovazioni quotidiane per lo sviluppo di una delle culture più avanzate dell’antichità. In definitiva, questa scoperta non solo arricchisce la nostra comprensione della storia precolombiana, ma ci ricorda anche che, a volte, i grandi progressi della storia hanno radici nei gesti più semplici e quotidiani.

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È stata scoperta la più antica forma di alfabeto che si conosca

La storia della scrittura potrebbe essere destinata a cambiare radicalmente grazie a una scoperta archeologica avvenuta recentemente in Siria. Durante uno scavo nell’antica città di Umm El-Marra, un team di ricercatori della Johns Hopkins University, guidato dal professor Glenn Schwartz, ha rinvenuto dei frammenti di cilindri contenenti segni che sembrano essere i più antichi esempi conosciuti di scrittura alfabetica, risalenti addirittura al 2400 a.C.

Questo ritrovamento sposta la datazione delle prime testimonianze di scrittura alfabetica di ben 500 anni indietro rispetto alle attuali evidenze, che indicano come i primi esempi di scrittura alfabetica siano risalenti al 1800 a.C. in Egitto. Vediamo nel dettaglio come è avvenuta la scoperta e quali novità porta con sé.

La scoperta nella tomba di Umm El-Marra

L’importanza di questa scoperta è tanto più significativa considerando che il sito di Umm El-Marra, situato nel nord-ovest della Siria, è noto per aver ospitato una delle civiltà più antiche della regione, risalente alla prima età del bronzo.

Durante gli scavi, i ricercatori hanno portato alla luce una tomba straordinariamente ben conservata contenente sei scheletri, oltre a gioielli in oro e argento, vasi in ceramica, e una punta di diamante, tutti databili al 2400 a.C. Ma la vera sorpresa sono stati quattro cilindri di dimensioni ridotte, simili a un dito, su cui erano incisi dei segni misteriosi che potrebbero rappresentare i primi esempi di scrittura alfabetica.

Questa scoperta invita a riconsiderare l’origine della scrittura alfabetica e il contesto in cui è nata. Se questi segni risalgono veramente al 2400 a.C., allora è possibile che l’alfabeto non sia stato un’invenzione esclusiva delle civiltà dell’Egitto o della Mesopotamia, ma che fosse già in uso in altre regioni del Medio Oriente. L’introduzione dell’alfabeto ha avuto un impatto enorme sulla cultura e società umana, cambiando il modo in cui le persone comunicavano e pensavano. Il fatto che questo sistema possa essere più antico di quanto creduto finora potrebbe rivelare nuovi dettagli sulla storia delle prime civiltà del Vicino Oriente.

Se i segni ritrovati a Umm El-Marra dovessero davvero essere confermati come scrittura alfabetica, i libri di storia dovranno essere aggiornati, e il concetto di “scrittura” dovrà essere riconsiderato alla luce di nuovi ritrovamenti. La scoperta non solo sfida le conoscenze precedenti, ma offre anche un affascinante spunto di riflessione sulle prime forme di comunicazione umana e sul loro impatto sullo sviluppo delle società antiche. L’invenzione della scrittura alfabetica, infatti, ha segnato una rivoluzione culturale che ha cambiato per sempre il corso della storia.

L’alfabeto: una rivoluzione culturale

L’alfabeto è una delle invenzioni più significative della storia umana, poiché ha permesso di comunicare in modo più semplice e veloce rispetto ad altri sistemi complessi di scrittura, come i geroglifici o i cuneiformi. Le prime forme conosciute di scrittura alfabetica risalivano fino a oggi all’Egitto centrale, intorno al 1800 a.C., e si trattava di alcuni graffiti incisi su pietra. Ma la scoperta in Siria potrebbe riscrivere questa cronologia.

I cilindri trovati a Umm El-Marra potrebbero, infatti, appartenere a una scrittura alfabetica primitiva, un sistema di simboli che potrebbe essere stato utilizzato per etichettare contenitori e vasi, come suggerisce lo stesso Schwartz. Gli archeologi ipotizzano che i fori visibili sui cilindri potrebbero essere stati usati per legarli o appenderli ai contenitori, come etichette per identificarne il contenuto.

La difficoltà principale per gli archeologi è la decifrazione dei segni trovati. Al momento, infatti, non ci sono abbastanza strumenti o dati per tradurre con certezza i testi incisi sui cilindri. Nonostante ciò, l’importanza di questi ritrovamenti non può essere sottovalutata. Se davvero questi segni sono alfabetici, la scoperta rappresenterebbe una testimonianza di una tradizione scrittoria completamente diversa da quelle finora conosciute e aprirebbe dunque scenari nuovi sulla nascita della scrittura e sulle popolazioni che la utilizzavano.

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La grande mostra su Cleopatra ai Musei Reali di Torino

Cleopatra, l’ultima regina d’Egitto, continua a esercitare un fascino senza tempo. La sua figura complessa e magnetica ha attraversato secoli, ispirando scrittori, artisti e registi. Da William Shakespeare a Théophile Gautier, fino a Elizabeth Taylor e Monica Bellucci, Cleopatra è diventata simbolo di potere, bellezza e mistero. In occasione dei 300 anni del Museo di Antichità (1724-2024), i Musei Reali di Torino dedicano a questo straordinario personaggio la mostra dossier “Cleopatra. La donna, la regina, il mito”, ospitata dal 23 novembre al 23 marzo 2025 nello Spazio Scoperte della Galleria Sabauda.

Curata da Annamaria Bava ed Elisa Panero, l’esposizione offre un viaggio coinvolgente che ripercorre oltre duemila anni di storia e mito. Lungo il percorso, Cleopatra viene raccontata come figura storica e come icona leggendaria, attraverso opere d’arte, manufatti archeologici, documenti cinematografici e molto altro.

“Sono esposte una quarantina di opere, in parte conservate nei nostri depositi dei Musei Reali e di Palazzo Madama a Torino, ma anche provenienti da varie collezioni pubbliche e private, – spiega la curatrice Elisa Panero, – tra cui i Musei Capitolini, la Centrale Montemartini, le Gallerie Nazionali di Palazzo Barberini e Galleria Corsini di Roma, la Soprintendenza del Molise, la Pinacoteca di Brera di Milano, che delineano un viaggio a tutti gli effetti nella storia.

Ma al tempo stesso si tratta di un viaggio nel mito, quello creato da Cleopatra stessa, quando era ancora in vita, e quello generato dopo la sua morte, proprio in ragione della sua scelta di morte con il serpente, per non essere condotta come schiava a Roma, che ne ha fatto un vero e proprio simbolo.”

Cinque aree tematiche per scoprire Cleopatra

L’esposizione, articolata in cinque sezioni tematiche che svelano diversi aspetti della vita, del regno e del mito di Cleopatra, si apre con un quadro storico che inquadra Cleopatra VII (51-30 a.C.), ultima sovrana della dinastia tolemaica. L’Egitto ellenizzato del suo tempo, crocevia di civiltà e innovazioni, vive sotto il regno di Cleopatra un’epoca di sviluppo economico e culturale, consolidando la propria posizione di rilievo nel Mediterraneo.

Tra i capolavori esposti spicca la Testa di fanciulla c.d. di Cleopatra, una scultura in marmo bianco risalente al I secolo a.C., appartenente alle collezioni del Museo di Antichità. I suoi tratti raffinati e la particolare acconciatura rimandano direttamente all’iconografia della celebre regina. Accanto ad essa, sculture e reperti archeologici dialogano con dipinti, incisioni, documenti cinematografici e opere grafiche che hanno immortalato Cleopatra nel corso dei secoli.

Mostra Cleopatra ai Musei Reali Torino

Fonte: MG Casella

Mostra Cleopatra ai Musei Reali Torino

Il fascino della regina che sfidò Roma

Una sezione particolarmente suggestiva è “Cleopatra: la regina che sfidò Roma”, che esplora il ruolo politico e diplomatico della sovrana e i suoi legami con figure storiche di spicco come Giulio Cesare, Marco Antonio e Ottaviano Augusto. Tra i pezzi esposti, la Testa di Giulio Cesare da Tusculum dei Musei Reali, considerata uno dei ritratti più realistici del dittatore romano, e sculture di Marco Antonio e Ottaviano, in prestito da altre prestigiose istituzioni.

Questa sezione racconta non solo il lato politico, ma anche l’aspetto umano e visionario della regina. Cleopatra emerge non solo come una donna di potere, ma anche come un’abile stratega capace di promuovere riforme, tra cui una significativa revisione del sistema monetario che contribuì alla prosperità dell’Egitto.

L’origine del mito di Cleopatra

La mostra analizza come il mito di Cleopatra abbia iniziato a prendere forma già durante la sua vita, intrecciandosi con l’immagine della dea Iside, un accostamento che ne amplificò l’aura divina e la rese oggetto di culto. Questo legame divino si riflette nelle opere rinascimentali e barocche, che ritraggono la regina come una figura tragica e seducente.

Nel Rinascimento, la sua immagine iniziò a prendere piede nell’arte occidentale, come dimostra una raffinata incisione di Marcantonio Raimondi, nata dalla collaborazione con Raffaello. Mentre tra Seicento e Settecento Cleopatra viene spesso raffigurata nel momento della sua morte con il serpente, simbolo di sacrificio e potere.

Come testimoniano i dipinti di Giovanni Giacomo Sementi (1625-1626) della Galleria Sabauda o di Giovanni Lanfranco (1630) delle Gallerie Nazionali di Roma. Particolarmente intrigante è il dipinto di Elisabetta Sirani, che raffigura Cleopatra mentre dissolve un prezioso orecchino in una coppa di aceto, un gesto emblematico della sua opulenza e astuzia politica, che esalta la sua capacità di sorprendere e affascinare.

Dall’esoterismo a icona pop

Nell’Ottocento, Cleopatra divenne musa per composizioni di gusto orientaleggiante, come il dipinto dall’atmosfera misteriosa di Anatolio Scifoni (1869), che ritrae l’incontro tra la regina e una maga e accompagna verso il termine del percorso espositivo. Che si conclude con un omaggio alla Cleopatra pop, esplorando la sua fortuna nel cinema, nella musica e nella cultura di massa con dischi, fumetti, giochi da tavolo.

Da locandine cinematografiche a spezzoni di film, si ripercorre l’evoluzione dell’immagine della regina, dall’epoca del muto alla celebre interpretazione di Elizabeth Taylor nel colossal di Joseph Mankiewicz (1963) fino alla versione ironica di Monica Bellucci in Asterix & Obelix – Missione Cleopatra (2002), passando per pellicole comiche italiane come Due notti con Cleopatra (1954) con Sofia Loren e Alberto Sordi, e il divertente Totò e Cleopatra (1963). Film che testimoniano come la regina d’Egitto continui tuttora a influenzare l’immaginario collettivo.

La mostra è un’occasione per immergersi nella storia e nella leggenda di una delle figure più enigmatiche e influenti di tutti i tempi. Un evento che attraverso un dialogo tra archeologia, arte e cultura pop, induce a riflettere sul fascino eterno esercitato dal suo mito nel corso dei secoli, che dopo duemila anni continua a far parlare di sè.

Info utili

“Cleopatra. La donna, la regina, il mito” è visitabile nello Spazio Scoperte della Galleria Sabauda di Torino (ingresso da piazzetta Reale 1) fino al 23 marzo 2025, orario 9-19.

Ingresso compreso nel biglietto dei Musei Reali, intero € 15, ridotto € 2 (ragazzi dai 18 ai 25 anni), gratuito per minori di 18 anni.
La mostra sarà accompagnata da un ciclo di incontri, da dicembre 2024 a marzo 2025, per approfondire le tematiche legate alle opere in esposizione e conoscere meglio la donna e il mito che hanno fatto la storia.

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Scoperti due cerchi di pietra a Dartmoor (e i misteri si infittiscono)

Dartmoor è un affascinante altopiano (e un parco nazionale) situato nella contea inglese del Devon che, grazie alla sua vegetazione rada e paludosa, è considerato una delle zone più selvagge del Paese. Un’area che per tantissimi anni è stata praticamente abbandonata, al punto che la vegetazione è arrivata a coprire circa 80 cerchi e file di pietre molto simili a quelli di Stonehenge (180 km a est), scoperti poi nel 2007 per puro caso.

Secondo gli studiosi, questi stessi cromlech potrebbero essere opera del “popolo” che costruì quelli di Stonehenge, ma recentemente sono stati riportati alla luce due ulteriori cerchi di pietre neolitiche che, a loro volta, hanno portato alla ribalta un’altra teoria già precedentemente indagata: pare che nel cuore di questo selvaggio altopiano in passato ci fosse un “arco sacro” di monumenti.

La nuova scoperta avvenuta a Dartmoor

Come riporta The Guardian, la scoperta dei due cerchi di pietra è il risultato del lavoro di una vita di Alan Endacott, lo stesso archeologo che, nel 2007, riportò alla luce l’anello di pietre più alto nel sud dell’Inghilterra, il Sittaford Stone Circle, scoperta che già all’epoca rafforzò la teoria della passata esistenza di un arco sacro.

Nel corso del tempo l’archeologo ha continuato con passione e dedizione il suo lavoro, tanto da essere stato ricompensato con questi due recenti ritrovamenti.

Uno dei cerchi da poco rinvenuto sembra avere caratteristiche simili a Stonehenge, mentre il secondo si trova leggermente all’esterno dell’arco e potrebbe essere servito come passaggio dai pellegrini in viaggio in questa zona.

Endacott ha chiamato uno dei monumenti “Il ​​Circolo di Metheral”, per omaggiare la collina sotto cui si trova. Esso è composto da 20 pietre, in gran parte cadute, e misura circa 40 x 33 metri. Il secondo cerchio, invece, si trova leggermente più a nord e, secondo lo studioso, è proprio l’arco sacro.

L’archeologo, aiutato da un gruppo di volontari, ha anche individuato alcuni segni di una sponda esterna che circonda il cerchio di forma simile alle Stripple Stones sul Bodmin Moor, in Cornovaglia, all’Anello di Brodgar nelle Orcadi e persino alla fase precedente di Stonehenge.

È stato trovato anche un dolmen crollato, che Endacott ha denominato “Il Fratello Dolmen Caduto” in omaggio alle persone delle comunità di Dartmoor che morirono nelle guerre mondiali.

Altopiano di Dartmoor

Fonte: iStock

Una parte dell’altopiano Dartmoor

La teoria dell’arco sacro

Sul quotidiano britannico si può leggere che, secondo Endacott, qui probabilmente sorgeva un arco sacro di monumenti destinato a circondare le alture al centro della brughiera. Il motivo, stando al suo pensiero, è che in passato Dartmoor poteva vantare una maggiore copertura forestale, quindi forse questi monumenti fungevano da segni per riconoscere il terreno più elevato, che a sua volta doveva essere racchiuso in un cerchio per ragioni che non sono ancora note.

L’archeologo ha infatti dichiarato: “Questi scavi hanno superato le mie aspettative e hanno portato alla luce nuove prove che aiuteranno la nostra comprensione, ma inevitabilmente hanno anche sollevato ulteriori domande sul perché siano stati costruiti. Ci sono sicuramente altri siti che voglio approfondire. Non ci fermeremo tanto presto”.

Le prove raccolte fino a questo momento suggeriscono che le pietre fossero originariamente in posizione verticale, sebbene ciò non sia stato dimostrato in modo definitivo. A rimanere ancora sconosciuti sono il metodo con cui tutto questo è stato ottenuto e la data di costruzione dei cerchi di pietre, anche se si suppone che cada intorno alla metà del III millennio a.C.

Quel che possiamo affermare con certezza, è che questo luogo è un potenziale tesoro di informazioni (e che nasconde ancora tantissimi gioielli da scoprire) riguardanti le origini, i significati, l’uso e l’abbandono dei cerchi di pietre, non solo a Dartmoor ma in tutto il Regno Unito.

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Santo Sepolcro a Gerusalemme: ecco le nuove scoperte

Il 7 novembre 2024, l’Università di Roma La Sapienza ha fornito un aggiornamento sulle indagini archeologiche in corso presso il complesso del Santo Sepolcro a Gerusalemme, uno dei luoghi più significativi del cristianesimo.

I risultati preliminari degli scavi, presentati dalla professoressa Francesca Romana Stasolla, offrono nuovi dettagli sulla storia e l’evoluzione del sito, che ha visto una serie di trasformazioni significative nel corso dei secoli.

Vediamo nel dettaglio di che si tratta e quali sono le nuove scoperte del Santo Sepolcro a Gerusalemme.

Un sito dalle radici antiche

Le indagini hanno rivelato che l’intera area del Santo Sepolcro, nel cuore di Gerusalemme, si sviluppa su un piano roccioso che, nel tempo, ha subito numerose modifiche a causa delle attività estrattive. Queste operazioni, risalenti a periodi molto lontani, sono state effettuate in modo diverso nelle varie aree, con tagli più evidenti nella navata nord e in quelle meridionali, utilizzando metodi che variano da un’estrazione industriale a una più rudimentale. Alcuni degli scavi hanno inoltre svelato tracce di coltivazioni di ulivo e vite, suggerendo che l’area fosse riutilizzata anche a scopi agricoli già durante l’età del Ferro, quando le cave dismesse venivano spesso trasformate in terreni coltivati.

Una parte fondamentale degli scavi ha riguardato il periodo della rifondazione di Gerusalemme sotto l’imperatore Adriano nel II secolo d.C. L’area, che prima si trovava al di fuori delle mura cittadine, venne inclusa nel perimetro urbano, richiedendo un intervento di livellamento per adattarla alla viabilità cittadina. Questo processo ha reso necessaria la modifica dei dislivelli naturali, con riempimenti e adattamenti strutturali, tra cui l’innalzamento di circa 5 metri rispetto al costone roccioso dove si trovava la tomba.

La trasformazione costantiniana e il primo santuario

Nel IV secolo, sotto l’imperatore Costantino, il sito subì una trasformazione radicale. L’intera collina venne spianata, e fu risparmiata una camera funeraria che divenne il cuore del nuovo santuario. La tomba venne così preservata e trasformata in un luogo di venerazione. Al di sopra di essa, fu costruito un piccolo tempio circolare, circondato da colonne e dotato di un’anticamera con gradini. Questo primo santuario, probabilmente all’aperto, serviva come punto di raccolta per i pellegrini in attesa che fossero completati i lavori della Rotonda, la struttura che avrebbe caratterizzato il sito.

La Rotonda, il cui completamento risale alla fine del IV secolo, divenne il fulcro del complesso santuariale, e venne collegata alla basilica cristiana attraverso un triportico. Questo nuovo complesso offriva un percorso di visita che permetteva ai pellegrini di circolare attorno ai luoghi sacri, seguendo le tradizioni già presenti nei santuari precristiani. La basilica e la Rotonda furono progettate per accogliere i fedeli in cerimonie liturgiche differenziate, mentre i portici fornivano riparo durante le visite.

Oltre agli aspetti architettonici, gli scavi hanno anche portato alla luce alcuni resti che confermano l’esistenza di una rete di passaggi e ambienti adiacenti, che aiutano a ricostruire l’intera disposizione del sito. L’indagine continua anche sulla documentazione dei materiali e delle strutture, il cui studio contribuirà a una comprensione più profonda della storia della città di Gerusalemme.

Nonostante il grande progresso fatto negli ultimi due anni, gli scavi al Santo Sepolcro a Israele sono ancora lontani dal concludersi. Le ricerche continuano, in particolare nella navata nord della basilica, e mirano a ottenere ulteriori conferme su alcune delle scoperte fatte finora. È probabile che nei prossimi anni emergeranno ulteriori dettagli che arricchiranno la comprensione di questo luogo iconico, che continua a essere un punto di riferimento fondamentale per la fede cristiana e un laboratorio privilegiato per gli studiosi di archeologia religiosa.

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Terme di San Casciano dei Bagni, relax tra le colline toscane

Incastonato nella splendida Valdichiana Senese, San Casciano dei Bagni è uno dei borghi termali più affascinanti d’Italia. Con oltre quaranta sorgenti di acque sulfuree che sgorgano naturalmente, questo luogo richiama da secoli visitatori da tutta Europa, attratti dalle proprietà curative delle sue acque e dal fascino unico del suo paesaggio.

Le origini delle terme risalgono a tempi antichissimi. Gli Etruschi furono i primi a scoprire e sfruttare queste preziose sorgenti, seguiti dai Romani, veri e propri pionieri nella cultura termale, che costruirono vasche e strutture per permettere a chiunque di godere dei benefici delle acque. Le numerose rovine romane, ancora visibili oggi, testimoniano il valore che attribuivano a questo luogo.

Nel corso dei secoli, il borgo di San Casciano è diventato un punto di riferimento per il benessere e la cura della salute che attrae viaggiatori alla ricerca di sollievo da disturbi muscolari, respiratori, dermatologici e nervosi.

Le acque ipertermali, che sgorgano a una temperatura naturale di circa 42°C, presentano una composizione ricca di minerali come zolfo, calcio, fluoro e magnesio, che le rende ideali per trattamenti curativi e rilassanti, con proprietà antinfiammatorie, analgesiche, e benefiche per il metabolismo.

Circondato da un vasto parco con viste panoramiche sulle colline della Valdichiana, il centro termale Fonteverde Spa offre piscine termali con getti d’acqua e piscine esterne, ed è accessibile anche con formula day spa per chi desidera vivere una giornata di puro relax.

San Casciano dei Bagni è famoso anche per le sue terme libere, che permettono di godere delle acque termali gratuitamente. Ai piedi del borgo si trovano le vasche del Bagno Grande e del Bagno Bossolo, di origine romana, dove l’acqua mantiene una temperatura piacevolmente calda, attorno ai 39°C, perfetta per una sosta rigenerante anche in pieno inverno.

Come Arrivare alle terme di San Casciano dei Bagni

In auto San Casciano dei Bagni è facilmente raggiungibile sia dal nord che dal sud dell’Italia tramite l’autostrada A1, con uscite a Chiusi-Chianciano Terme o Fabro.

La stazione ferroviaria più vicina è Chiusi-Chianciano Terme, da cui è possibile prendere un taxi o un autobus per raggiungere il borgo e le terme.

Per raggiungere i bagni liberi, dall’ingresso di San Casciano prendere la stradina in pendenza fino al lavatoio coperto alla base del colle. Proseguire quindi per circa duecento metri fino alle vasche in pietra dei bagni liberi. Questa zona è accessibile solo a piedi.

Giorni d’apertura e orari terme San Casciano dei Bagni

Fonteverde Spa è aperto tutti i giorni dalle 10 alle 19, con chiusura anticipata alle 15 il martedì.

Prezzi terme San Casciano dei Bagni

Ingresso alla piscina termale terapeutica incluso utilizzo accappatoio Fonteverde:
Giornaliero: euro 30
Pomeridiano: euro 25
Weekend (sabato, domenica, festivo e prefestivo) solo giornaliero: euro 37

Trattamenti e Servizi del centro termale Fonteverde di San Casciano dei Bagni

L’ingresso giornaliero alla Day Spa di Fonteverde permette di accedere alle piscine termali con getti d’acqua, alla cascata idromassaggio, al percorso Bioaquam®, un trattamento multisensoriale unico, e al percorso etrusco, un mix di sauna, stufa e bagno turco, che rivisita in chiave moderna l’antica tradizione termale. Il centro termale Fonteverde Spa di San Casciano dei Bagni offre inoltre un’ampia gamma di massaggi e trattamenti per viso e corpo, dai più tradizionali alle tecniche di medicina estetica più innovative; sono inoltre disponibili vari percorsi di benessere, fisioterapia, dietologia e fitness.

Il centro propone anche trattamenti termali terapeutici, tra cui fangoterapia e cure inalatorie, accessibili in convenzione con il Sistema Sanitario Nazionale. Questo consente agli ospiti di beneficiare delle proprietà curative delle acque termali con un ciclo di trattamenti mirati, ideali per patologie vascolari e respiratorie. Per usufruire della convenzione, è sufficiente presentare una richiesta del medico di base con indicazione della patologia e del tipo di trattamento necessario; il pagamento del ticket avviene direttamente presso il centro termale.

Info utili terme San Casciano dei Bagni

Centro Termale Fonteverde, Località Terme 1, San Casciano dei Bagni (Siena)
Ricevimento spa: tel. 0578/572405
I trattamenti si possono prenotare online sul sito della struttura.

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Pompei contro l’overtourism: scatta il limite di ingressi a 20mila al giorno

L’antica città di Pompei è uno dei luoghi più suggestivi e, come direbbero alcuni, più inquietanti d’Italia. D’altronde stiamo parlando dei resti di quello che avvenne nel 79 d.C., quando l’eruzione del Vesuvio, che tuttora incombe minaccioso all’orizzonte, decimò la popolazione seppellendo la città sotto uno strato di detriti vulcanici. Raggiungibile facilmente da Napoli, e considerata la sua storia e drammatica bellezza, non stupisce che chiunque organizzi un viaggio in Campania desideri vedere il sito dal vivo.

E infatti, i dati degli ultimi anni dimostrano proprio questo, obbligando la gestione del parco a prendere dei provvedimenti che si traducono in un limite d’ingresso pari a 20.000 persone al giorno. Il direttore del Parco Archeologico di Pompei ha dichiarato che l’obiettivo è quello di puntare a “un turismo sostenibile, gradevole e non di massa”.

Limite d’ingresso a Pompei dopo un’estate da record

Sulla scia dei tanti provvedimenti presi quest’anno in diverse parti d’Italia per provare a contrastare il fenomeno dell’overtourism, dalla Fontana di Trevi a Roma al traffico alternato sulla Costiera Amalfitana, l’ultima notizia vede come protagonista Pompei. Il parco archeologico ha assistito a un’estate da record con oltre 4 milioni di visitatori in generale e oltre 36.000 visitatori in occasione di una delle prime domeniche del mese a ingresso gratuito.

Il direttore del parco archeologico, Gabriel Zuchtriegel, ha dichiarato che i visitatori del sito ora superano in media i 15.000-20.000 ogni giorno, e il nuovo tetto giornaliero impedirà che il numero aumenti ulteriormente. Al riguardo ha inoltre affermato: “Stiamo lavorando su una serie di progetti per alleviare la pressione umana sul sito, che potrebbe comportare rischi sia per i visitatori che per il patrimonio, così unico e fragile”.

Secondo i dati riportati dal Ministero della Cultura, le visite al parco archeologico hanno visto una crescita del 33,6% rispetto all’anno precedente, con una media giornaliera di circa 11.200 persone.

Biglietti nominativi e limite d’accesso giornaliero

Quest’estate Pompei è stata particolarmente affollata, oltre che protagonista di atteggiamenti scorretti da parte dei turisti, come il visitatore britannico sorpreso a incidere le iniziali sue e della sua famiglia su una delle case millenarie della città. Considerate la situazione, la gestione del parco archeologico si è vista costretta a prendere dei provvedimenti: dal 15 novembre i biglietti per il parco saranno nominativi e ogni giorno ne verranno rilasciati al massimo 20.000, con specifici slot temporali durante l’estate.

Tra gli obiettivi dei gestori del parco, oltre preservare il sito, c’è quello di incoraggiare i turisti a visitare altri siti archeologici legati a Pompei, come Stabia, Oplontis e Boscoreale, offrendo un servizio gratuito di navetta nell’ambito del progetto “Grande Pompei”. Al riguardo, il direttore del parco ha dichiarato: “Le misure di gestione dei flussi, di sicurezza e la personalizzazione delle visite fanno parte di questa strategia. Puntiamo a un turismo lento, sostenibile, piacevole e non di massa, e soprattutto diffuso sul territorio intorno al sito Unesco, ricco di gioielli culturali da scoprire.”

Il provvedimento viene applicato anche e soprattutto le prime domeniche di ogni mese, quando l’ingresso al parco è gratuito. In queste giornate, in caso di forte afflusso di visitatori nella mattinata, le casse saranno chiuse per un’ora al raggiungimento di 15.000 visitatori entro le ore 12.00, al fine di impedire una eccessiva presenza simultanea di turisti, che potrebbe mettere a repentaglio la sicurezza e la salvaguardia del sito e favorire il deflusso in uscita.

Parco Pompei

Fonte: iStock

Parco Archeologico di Pompei dall’alto

Come accedere al parco: ingressi, costi e orari

Il provvedimento che limita l’accesso a Pompei a 20.000 visitatori al giorno non ha influito sui costi e sulle modalità d’ingresso a uno dei parchi archeologici più belli d’Italia.

Per accedere avete a disposizione tre ingressi: Porta Marina è quello principale, situato direttamente di fronte alla stazione ferroviaria di Pompei Scavi, oltre che il più popolare tra i turisti, soprattutto per via di tutte le strutture disponibili come chiosco informativo, negozi di souvenir e noleggio audioguide; il secondo è Piazza Anfiteatro, situato a 15 minuti a piedi da Porta Marina, considerato l’ingresso ideale per visitare il sito perché sarete condotti direttamente all’anfiteatro, al foro e ad altri luoghi importanti di Pompei; infine c’è Piazza Esedra, l’ingresso meno affollato utilizzato soprattutto per le visite di gruppo.

Il Parco Archeologico di Pompei è aperto dal 1 aprile al 31 ottobre, dalle 9:00 alle 19:00 con ultimo ingresso alle 17:30, dal 1 novembre al 31 marzo dalle 9:00 alle 15:30. Il sito resta chiuso il 25 dicembre, il 1 gennaio e il 1 maggio.

Per acquistare i biglietti vi consigliamo di farlo online e con largo anticipo, soprattutto considerando il nuovo provvedimento di cui vi abbiamo parlato in questo articolo. Avete diverse opzioni: il biglietto salta fila con visita guidata al costo di 36,75 euro, il biglietto d’ingresso classico a 23,90 euro, con audioguida a 31,90 euro e combinato con Ercolano a 37,90 euro.

Infine, vi consigliamo di visitare Pompei all’inizio della giornata, poco dopo l’apertura, perché il sito sarà meno affollato, oltre che in un giorno feriale e in bassa stagione.