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Qui puoi scattare la foto più romantica dell’estate

E se quest’estate andassimo in cerca di un luogo davvero speciale, così romantico da lasciare a bocca aperta? Non è una missione impossibile: per i cacciatori d’emozioni il posto perfetto è la Baia delle Zagare. Soltanto descriverla evoca immagini sentimentali: acque cristalline, talmente tanto limpide da vedersi riflessi, sabbia bianca mista a ghiaia altrettanto candida e lo spettacolo naturale di due faraglioni che sembrano guardarsi a vicenda con amore, pur non toccandosi.

Chiamata anche Baia dei Mergoli, questo luogo incantevole attira ogni anno migliaia di turisti, ma attenzione: è molto meno affollato di quanto si possa pensare, specialmente se si raggiungono le insenature più nascoste e suggestive.

La Baia delle Zagare e la sua storia

Dove si trova la Baia delle Zagare? Nello sperone d’Italia, ovvero il Gargano. Si può dunque dire che è incorniciata in un luogo già estremamente particolare per via dell’ambiente naturale incontaminato. La parte settentrionale della Puglia, bagnata dal Mar Adriatico, è infatti un tesoro che si distingue per le sue suggestive scogliere, per le calette, per le tante grotte marine e per la vegetazione. La Baia delle Zagare prende il nome proprio dagli omonimi fiori d’agrumi, che rendono l’aria profumatissima.

Una foto di Baia delle Zagare, luogo suggestivo dove scattare foto romantiche

Si tratta di una baia antichissima, che si apre di fronte a una falesia di roccia calcarea e che vede protagonisti i già citati faraglioni, i quali prendono il nome di Arco di Diomede e Le Forbici. Il nome del primo faraglione sarebbe da attribuirsi al mitologico eroe greco, che qui trovò riposo dopo molte imprese.

Si dice che proprio mentre nuotava sotto questo arco roccioso, Diomede espresse il desiderio di diventare immortale e che venne in seguito accontentato dalla dea Atena. Per questo, ancora oggi, si ritiene che fare il bagno sotto l’arco porti fortuna e i visitatori sono incoraggiati a esprimere un desiderio.

Il romanticismo della Baia delle Zagare

E, precisiamolo, spesso i desideri espressi sono romantici. È diventato estremamente comune, infatti, vedere coppie che, prendendosi per mano, si bagnano nelle acque di questa meraviglia del Gargano e iniziano a nuotare verso l’arco, per poi fermarsi, scambiarsi un tenero bacio e tornare indietro, felici e soddisfatte.

La bellezza di Baia delle Zagare, romantica e magica

Proprio per questa ragione la Baia delle Zagare è perfetta per gli scatti romantici: dopo aver espresso il proprio desiderio gli innamorati tornano a riva e immortalano il momento ritraendosi all’interno di una cornice suggestiva che diventa ancor più bella al tramonto.

Come arrivare alla Baia delle Zagare

Ma come si arriva in questo posto incantevole? Ci sono tre modi. Il primo è alloggiare in uno degli hotel che regolano l’accesso a questo tratto di mare e che consentono di utilizzare anche lettini e ombrelloni. Il secondo, più suggestivo, è raggiungere la Baia via mare, in canoa o con delle piccole imbarcazioni, partendo dal molo di Mattinata.

Vista di Baia delle Zagare, uno dei posti più belli e romantici d'Italia

In ultimo, è possibile raggiungere la Baia a piedi, seguendo l’apposito sentiero guidato che si snoda all’interno del Parco Nazionale del Gargano. Qualsiasi sia il modo scelto per arrivare, lo spettacolo finale è imperdibile. E il suggerimento è quello di restare fino alla sera, per osservare come le diverse ore del giorno trasformino i colori di questo scorcio, facendolo somigliare a un dipinto.

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Quarto Vuoto: la magia del deserto più grande e inesplorato del mondo

L’impressione di perdersi, la sensualità dell’Oriente, il sole che si alza sulle dune: il Rub’al Khali, ovvero il Deserto del Quarto Vuoto è uno dei luoghi più magici, avventurosi e selvaggi che esistano al mondo. Tra le sue sabbie hanno camminato (e si sono perse) centinaia di persone e il suo fascino è quasi letale.

Non esiste un altro deserto così inesplorato: lungo circa 1.000 chilometri e largo almeno 500, ricopre in tutto un’area di oltre 650.000 chilometri, la maggior parte dei quali è ancora completamente avvolta nel mistero.

Il nome e la storia del Quarto Vuoto

Il deserto del Quarto Vuoto è affascinante in tutto e per tutto. Il suo nome Rub’al Khali, è da intendersi così: il quarto (dopo cielo, terra e mare) spazio, cui è stato attribuito l’aggettivo vuoto proprio per l’assenza di presenza umana e per la sua inospitalità. Le sue dune e le sue sabbie ricoprono la parte più a Sud della Penisola Araba e persino i beduini non riescono ad avventurarsi oltre a un certo punto, cercando, nonostante la loro sapienza ed esperienza, di restare ai margini.

Tramonto nello sconfinato Deserto del Quarzo Vuto

D’altronde, leggenda vuole che il Quarto Vuoto abbia sconfitto re e valorosi condottieri arabi, che si sarebbero avventurati alla ricerca del suo cuore per svelarne gli antichi misteri. Sì, perché questo deserto arido si sarebbe formato migliaia di anni fa, ma prima, stando anche a diversi studi, era una regione fiorente, che nonostante il clima caldo conservava delle aree lacustri e dei tratti dove si poteva vivere in tutta serenità.

Il Quarto vuoto tra dune, oasi e laghi

Il fatto che queste aree siano esistite è stato dimostrato più e più volte. Studiosi e ricercatori sono arrivati in zone remote dove sono stati rinvenuti resti di laghi e pozze d’acqua dolce ormai fossilizzati, dove un tempo andavano ad abbeverarsi ippopotami (sono stati addirittura ritrovati resti dei loro denti), bovini, bufali, asini selvatici, capre, pecore e gazzelle. In più, nei dintorni sono stati ritrovati attrezzi e strumenti usurati e scheggiati, cosa che dimostra gli insediamenti umani.

Oggi, il deserto del Quarto Vuoto si distingue per le sue dune giganti che si elevano fino a 250 metri, per le poche ma bellissime oasi nel deserto e per la sua aridità: qui piove ancor meno che nella Death Valley e tutte le visite e i tour devono essere rigorosamente organizzati e contare su grandi scorte d’acqua per poter fare in modo che tutto vada per il verso giusto. Le traversate in solitaria, a meno che non si sia provetti esploratori seguiti da un intero team da remoto, non sono da considerarsi un’opzione.

 Le notti del Quarto Vuoto e la Atlantis of Sand

Tuttavia, è possibile visitare il Deserto del Quarto Vuoto con tour, visite guidate e permanenze perfettamente gestite dalle agenzie dell’Oman. L’esperienza più suggestiva è sicuramente il campeggio: un pernottamento tra le dune con gli occhi rivolti alle stelle. Il Quarto Vuoto, infatti, è totalmente privo di inquinamento luminoso e da qui si può vedere uno dei cieli stellati più belli del mondo, con una grandissima luna a svettare tra i monti sabbiosi.

Notte nel Deserto del Quarzo vuoto

L’atmosfera notturna è anche la migliore per raccontare una delle più suggestive leggende sul Quarto vuoto: quella dell’Atlantis of Sand, ovvero l’Atlantide di Sabbia. Si narra, infatti, che alcuni (pochissimi) coraggiosi siano riusciti a trovare il centro del deserto e abbiano trovato, ben celata, una civiltà nascosta che ricorderebbe la mitica Atlantide. Nessuno può davvero sapere se esiste un fondo di verità, ma perché non crederci?

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Suzhou: la romantica città sull’acqua che sembra un sogno

L’acqua lucente che riflette gli edifici e le bellezze naturali, giardini con alberi che sembrano quasi abbracciarsi. E ancora, ponti e canali, edifici antichi e tramonti fiabeschi: dove siamo? A Suzhou, una delle città più romantiche d’Oriente.

Nota in Cina come Paradiso in Terra, Suzhou è una meta che più che lasciare senza fiato, commuove. Ogni angolo sembra raccontare storie d’amore e sussurrare parole intrise d’emozione, rassicurando i cuori di chi la visita e spingendo a guardare il lato più bello delle cose.

Suzhou, l’equilibrio tra uomo e natura

E come potrebbe essere diversamente, d’altronde? La stessa Suzhou è l’emblema di un amore che molti danno per scontato o di cui non ricordano l’importanza: quello fra l’uomo e la natura. Sì, perché questa incantevole città sull’acqua è stata costruita e continua a crescere in completa armonia con alberi, giardini e fiumi. Ha una storia antica, anzi, antichissima: viene infatti considerata la culla della cultura Wu.

Suzhou, Cina: una delle città più romantiche del mondo

E questa storia, risalente a 2.500 anni fa, ha sempre visto un enorme rispetto nei confronti dell’ambiente. Si narra che nel realizzare, mano a mano, i singoli edifici, venissero di volta in volta consultati filosofi e sapienti, oltre che astrologi e botanici, per fare in modo che ogni intervento fosse meno invasivo possibile nei confronti degli elementi naturali. Se ciò sia vero o meno non è davvero verificabile. Ma il risultato, diciamolo, è un vero incanto.

A Suzhou, fra ritmi lenti e giardini

Camminando (e navigando) tra i vicoli e i canali di questa città è possibile respirare la più antica atmosfera cinese. Contrariamente a quanto avviene nelle grandi metropoli, a Suzhou si prediligono il ritmo lento e la tranquillità, nonostante, bisogna precisarlo, si tratti di una delle principali “attrazioni turistiche” del Paese. Sì, perché Suzhou è una meta gettonatissima, specialmente nei mesi primaverili ed estivi. Come mai? Per i riverberi sull’acqua, ovviamente, ma anche per i suoi preziosissimi giardini.

La romantica città di Suzhou in Cina

La città custodisce, infatti, oltre 65 giardini antichissimi e nove di questi fanno parte di un percorso creato dall’Unesco, che li ha inseriti nella Lista del Patrimonio dell’Umanità. Precisamente si tratta dei giardini dell’Umile Maestro, del Lingering, del Maestro delle Reti, Ouyuam, della Villa di Montagna, della Coltivazione, della Foresta dei Leoni, del Ritiro e della Riflessione e del Padiglione dell’Onda Blu.

Tutti questi giardini sono stati realizzati secondo gli insegnamenti dei filosofi Laozi e Zhuāngzǐ, creando un connubio tra elementi naturali (acqua, pietre, piante) e colline e corsi d’acqua artificiali, mettendo per altro a dimora arbusti e piante da fiore, il tutto per incoraggiare lo studio della filosofia, la riflessione, la lettura, la scrittura o l’apprendimento di antichi strumenti.

La bellezza de “La Venezia d’Oriente”

Naturale e bellissima, dunque: non a caso, Suzhou è stata ribattezzata “La Venezia d’Oriente”, dato che gran parte della sua superficie si trova sotto l’acqua (si parla di quasi il 42%) e che in città ci si muove, proprio come a Venezia, grazie alle specifiche imbarcazioni che restano a disposizione tutto il giorno e che, per altro, possono permettere di partecipare a tour guidati molto particolari per andare alla scoperta di scorci inediti.

Suzhou, Cina: una delle città più romantiche del mondo

Gli addicted della movida, però, non devono pensare che Suzhou sia “solo” storia: diversi locali d’intrattenimento sono sorti a ridosso delle acque, sempre nel rispetto dell’ambiente, e il turbinare di colori che si rifrange una volta scesa la sera è davvero spettacolare e può essere goduto a pieno mangiando le specialità locali e sorseggiando gli altrettanto locali liquori realizzati con fiori ed erbe del luogo.

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Il palazzo sommerso, uno dei luoghi più suggestivi al mondo

“Yerebatan Sarnıcı” letteralmente, in turco, significa “palazzo sommerso”, ma noi lo conosciamo più con il nome di cisterna sotterranea, ed è quella che si trova nel sottosuolo di Istanbul.

È uno di quei luoghi che tutti quanti vanno a vedere quando decidono di visitare la città turca più turistica.

La cisterna sotterranea di Istanbul

La cisterna fu costruita nel 532 dall’Imperatore Giustiniano I durante il periodo fpiù prospero dell’Impero Romano d’Oriente. In precedenza, vi era già una struttura che risaliva all’epoca dell’imperatore Costantino, che però venne ampliata e cambiata completamente. Oggi misura circa 10mila metri quadrati.

Ai tempi, la cisterna poteva contenere fino ad 80 milioni di litri d’acqua. Serviva per irrigare le ville più belle e persino il giardino Topkapi, quello della residenza del sultano in persona. A un certo punto del periodo medievale, però, non venne più usata, in quanto i turchi preferivano acqua corrente a quella di una cisterna.

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Fonte: @Studioillumina

Il fondale illuminato della Cisterna

Fu scoperta per puro caso solo cinquecento anni dopo, durate alcuni scavi archeologici sulle rovine di Bisanzio, compiute dall’olandese P. Gyllius e fu proprio grazie a lui che la cisterna venne sistemata fino a diventare un’attrazione turistica imperdibile, fino ai giorni nostri.

Per secoli, quindi, è rimasta quella meraviglia che molti di noi hanno avuto la fortuna di vedere. È una gigantesca stanza sotterranea piena d’acqua. Misura circa 140 metri per 70 ed è sorretta da ben 336 colonne alte 9 metri ciascuna, disposte in 12 file a poco meno di 5 m. l’una dall’altra. I capitelli delle colonne sono di diversi stili, Dorico, Corinzio ecc. in quanto provenienti da altre strutture e riutilizzate. Ne sono la prova due splendide teste di Medusa rovesciate che sorreggono altrettante colonne.

Alle teste di Medusa è legata una terribile leggenda: pare infatti che Medusa fosse una delle tre Gorgoni, la femmina di un mostro ultraterreno della mitologia greca con serpenti al posto dei capelli ed era in grado di pietrificare chiunque avess eincrociato il suo sguardo.

Di primo acchito, sembra di entrare in una sorta di cattedrale sotterranea, insomma. Ecco perché viene sempre più spesso chiamata “Cisterna basilica“.

Questo luogo è talmente particolare da essere stato usato come set di alcuni celebri film, da “Agente 007, dalla Russia con amore” con Sean Connery a “Inferno”, tratto dal romanzo giallo di Dan Brown.

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Fonte: 123rf

La colonna di Medusa nella Cisterna romana

Oggi è ancor più suggestiva

Oggi, grazie a un progetto rivoluzionario, nel quale c’è anche lo zampino italiano, la cisterna di Istanbul è divenuta un luogo ancor più suggestivo.

All’imponenza del suo infinito colonnato è stata aggiunta una particolare illuminazione con ben 750 punti luminosi che rendono la cisterna di Istanbul un luogo assolutamente pazzesco, non soltanto dal punto di vista dell’impatto visivo, ma anche dell’esperienza.

La luce accompagna il visitatore all’interno delle cisterne Romane creando un racconto e un viaggio nella storia e nella cultura di questo luogo, che dona al palazzo sommerso un particolare fascino che è un mix tra Oriente e Occidente, tra cultura Romana e Ottomana, proprio come la stessa città che lo ospita.

Il viaggio di andata e quello di ritorno nella cisterna richiamano diversi stili: la rappresentazione orientale, segnata da arabesche e da miniature, prevalentemente e tipicamente in stili bidimensionali, e quella occidentale, basata sui concetti di prospettiva, profondità di campo e tridimensionalità degli oggetti.

L’ingresso nella cisterna è il momento della scoperta, in cui il visitatore si ritrova in un luogo senza tempo a lui sconosciuto, come nell’esperienza dei primi esploratori: l’abbassamento graduale dei livelli di luminosità man mano che ci si addentra nello spazio sotterraneo porta il visitatore a vivere un’esplorazione quasi archeologica e personale della cisterna.

Le teste di Medusa, in fondo al percorso di andata, rappresentano la fine del viaggio di andata e l’inizio del viaggio di ritorno. Il visitatore è costretto a soffermarsi intorno alle teste capovolte, luogo di sospensione e di riflessione.

l viaggio di ritorno svela la cisterna in chiave occidentale. Protagonista è la prospettiva e il mondo tridimensionale. Gli stessi punti luce che nel viaggio di andata erano nascosti dietro ogni colonna si riappropriano dello spazio in modo diretto: le colonne si vedono in tutta la loro bellezza permettendo una diversa percezione del lato architettonico della cisterna.

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Fonte: @Studioillumina

La Cisterna sotterranea illuminata durante il “viaggio di ritorno”

Infine, l’acqua è la costante, presente per tutto il viaggio. Sia all’andata sia al ritorno fa da specchio, sebbene le immagini riflesse siano diverse nel tour di andata rispetto a quello di ritorno.

La nuova illuminazione per il sito archeologico, fiore all’occhiello di Istanbul, che ogni anno attira milioni di visitatori da tutto il mondo, è stata ideata da Studioillumina, di Adriano Caputo, insieme alla designer Federica Cammarota e a tutto il suo team.

Il progetto della luce si affianca al progetto dei nuovi camminamenti, progettati dallo studio Atelye 70 di Istanbul e dallo studio Insula di Roma.

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In Italia esiste una spiaggia che sembra fatta di riso

Non stupisce sapere che è una delle più amate d’Italia: questa spiaggia che sembra fatta di riso è talmente bella da attirare migliaia di turisti, anno dopo anno. Dove si trova? In Sardegna, precisamente in provincia di Oristano.

Il suo nome è Is Arutas e il colpo d’occhio (anche solo guardandola in foto) lascia davvero a bocca aperta: una distesa candida, intervallata da rocce e da piccole macchie di erbe costiere, che discende dolcemente verso acque chiare e cristalline. Non vedete l’ora di saperne di più, vero?

Una spiaggia fatta di riso?

Ma la spiaggia di Is Arutas è davvero fatta di riso? Chiaramente no. Ma non è neanche fatta di sabbia bianca, come pensano, erroneamente, tantissime persone. A caratterizzare questa spiaggia sono centinaia di metri di granelli di quarzo, che vanno da dimensioni microscopiche a dimensioni pari, appunto, a quelle dei chicchi di riso. A ben guardarli, per altro, non sono neanche tutti bianchi: i “chicchi” hanno delle bellissime sfumature cangianti.

Is Arutas, la "spiaggia di Riso" in Sardegna

Se di fronte alla spiaggia lucente si trova il mare, alle sue spalle si trovano alte dune e uno stagno. Si può accedere a questo luogo speciale grazie ad appositi sentieri e passerelle che permettono di godere anche del paesaggio tipico della penisola del Sinis, a metà tra il selvaggio e l’onirico.

Le bellezze di Is Arutas

Ma cosa significa Is Arutas? Pare che in sardo il nome voglia dire le grotte e sarebbe dovuto al fatto che proprio in questo spazio di terra si trovavano alcune grotte erose con il tempo. Per raggiungerla bisogna, d’altro canto, passare per un luogo sacro della preistoria, San Salvatore di Sinis, e la spiaggia si estende fra due speroni rocciosi. Osservando la spiaggia si ha la sensazione che non esista un distacco netto tra cielo, terra e acqua: la sensazione è talmente intensa da risultare immediatamente rilassante e sopraffacente.

La spiaggia di Is Arutas in Sardegna: sembra riso

Un’altra peculiarità (e bellezza) di Is Arutas riguarda le acque: questa splendida spiaggia della Sardegna si contraddistingue per un fondale che diventa profondo a pochi metri dalla riva, pur restando chiaro e limpidissimo. Inoltre, per i venti che tirano sul luogo, è il posto perfetto per gli appassionati di wind e kite surf.

Chicchi di riso da salvare

C’è una cosa che, però, bisogna sapere su questo incantevole luogo: per quanto incantevoli siano, i granelli di quarzo vanno lasciati esattamente dove sono. Nel corso degli anni, infatti, la spiaggia di Is Arutas è stata letteralmente saccheggiata, cosa che la mette in pericolo e ne impedisce la corretta preservazione e conservazione. Tantissime persone sono attratte dalle tonalità del quarzo: bianco, rosa, verde e persino azzurro o turchese.

La bianchissima spiaggia di Is Arutas in Sardegna

Nonostante la loro straordinaria bellezza, però, portare con sé anche solo un “chicco di riso” significa mancare di rispetto alla natura e alla bellezza del luogo, condannandolo a diventare sempre più cupo. Meglio, dunque, godersi questo spettacolo quando si è in loco, ripromettendosi al più di tornare presto per raccogliere i chicchi a piene mani e vederli brillare al sole, piuttosto che portarli via e vederli diventare sempre più opachi, sottraendo qualcosa di prezioso a un luogo davvero magico.

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Bella e possibile: viaggio sull’isola più remota del mondo

Chiudete gli occhi e immaginate di imbarcarvi e di veleggiare verso un’avventura ai confini del mondo. No, non è la trama di un nuovo e avvincentissimo libro, ma ciò che potrebbe accadere qualora partecipaste a una spedizione per scoprire l’Isola Bouvet, meglio nota come l’isola più remota al mondo.

La storia dell’Isola Bouvet

Questa isola così particolare e speciale è stata scoperta in tempi (relativamente) recenti: ad avvistarla per la prima volta, il 1 gennaio 1739, fu il comandante Jean-Baptiste Charles Bouvet de Lozie, da cui l’atollo prende il nome. Bouvet era alla ricerca di un presunto grande continente meridionale e nella ricerca si imbatte proprio nell’isola, che però, per una serie di manovre errate di navigazione, non riuscì a esplorare.

Bouvet stava navigando nel sud dell’Oceano Atlantico e pur non riuscendo a ritrovare l’Isola, la segnalò. Ci volle però quasi un secolo prima che il comandante George Norris riuscisse effettivamente a sbarcarvi. All’inizio, l’Isola Bouvet venne rivendicata dal Regno Unito. Nel corso del 1900, però, dopo una serie di spedizioni accurate, venne annessa alla Norvegia, che ancora oggi organizza viaggi e regate per raggiungerla.

Cos’è davvero l’Isola Bouvet?

L’Isola Bouvet è davvero uno dei posti più suggestivi sulla terra. Le spedizioni norvegesi hanno attestato che si tratta di un’isola vulcanica, ricoperta per il 93% di ghiacci. Il restante 7% è invece roccioso, con scorci mozzafiato che richiamano i panorami panorami islandesi con terra scura e sabbie rocciose, dal colore e dall’aspetto quasi muschioso, che scende verso il mare e si lascia infrangere dalle onde.

La temperatura dell’Isola Bouvet è rigida per quasi tutto l’anno, con piccole eccezioni tra marzo e aprile: proprio questo lasso di tempo è il migliore per le spedizioni, che sono per lo più mirate a scoprirne le meraviglie antartiche. Chiaramente non tutti possono partecipare: ci vogliono spirito d’avventura, resistenza e la giusta attrezzatura. Tuttavia, raggiungerla non è impossibile: basta tenersi informati sul sito ufficiale della riserva naturale per scoprire quando sono previste le partenze.

Cosa si trova sull’Isola Bouvet?

Una cosa essenziale da sapere è che l’Isola Bouvet è ribattezzata anche “Isola Fantasma”, perché è totalmente disabitata. È caratterizzata da moltissima vita non animale: sulla sua superficie si possono trovare particolarissimi funghi, muschi, alghe della neve, piccole aree con una flora spigolosa e irta. In alcune aree prive di neve (come l’altopiano sommitale, le scogliere, le spiagge e i promontori) si possono trovare delle aree verdi, per altro davvero incantevoli.

Riguardo agli animali, invece, l’Isola Bouvet è stata insignita del titolo di Important Bird Area dall’associazione BirdLife International: qui, infatti, proliferano uccelli marini come i pinguini maccheroni, i pinguini sottogola e i pinguini adelia. Si possono inoltre osservare diversi tipi di procellaria e albatros. Oltre agli uccelli, è possibile osservare elefanti marini e foche. Ma non solo: nelle acque intorno all’isola si possono osservare balene, megattere, orche e delfini.

Se siete amanti dell’avventura, il consiglio è quello di non perdervi questo angolo di mondo: l’esperienza è davvero totalizzante, con un senso di immersione nella natura e di pace con il globo che difficilmente si trova in qualsiasi altra area della Terra.

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Cacciatori di aurore, avete mai sentito parlare del Blue Hole di Abisko?

Se siete amanti delle aurore, dei colori freddi e brillanti delle notti artiche, abbiamo un posto che fa proprio per voi. Si tratta di Abisko, un villaggio svedese impregnato di magia. Qui, infatti, è possibile assistere al Blue Hole, un fenomeno meteorologico poco noto rende questo piccolo centro della Svezia artica uno dei posti migliori sulla Terra per vedere l’aurora boreale.

Lo spettacolo dell’aurora nel Blue Hole di Abisko

Per assistere allo spettacolo del Blue Hole è necessario viaggiare fino a Abisko, uno villaggi più settentrionali della Svezia, situato a 250 km a nord del Circolo Polare Artico. Proprio nel cielo che si staglia sopra questa piccola località, c’è una macchia di cielo che si estende da 10 a 20 kmq sopra il villaggio, il lago Torneträsk e il parco nazionale di Abisko. Questa porzione di infinito rimane chiara e limpida sempre, indipendentemente dal clima circostante. Questo fenomeno rende Abisko uno dei posti migliori al mondo per assistere costantemente all’Aurora Boreale.

Infatti, la regione è soggetta a tempeste di neve e altri fattori climatici che rendono impossibile ammirare l’aurora. Ma il Blue Hole rendere questo spettacolo visibile anche se tutto intorno si scaglia il maltempo.

Il Blue Hole of Abisko è circondato da montagne che ostacolano le precipitazioni, assicurando 200 giorni all’anno di cielo limpido. Da Abisko è possibile prendere una seggiovia, che, in venti minuti, porta all’Aurora Sky Station, situata a 1000 metri di altitudine sulla vetta del monte Nuolja. Qui, l’assoluta mancanza di inquinamento atmosferico trasforma le lunghe notti artiche in occasioni perfette per andare caccia di aurore. Sta a voi scegliere quale punto sfruttare per ammirare un’aurora boreale da sogno.

Aurora boreale vista da Abisko
L’aurora boreale vista da Abisko

Abisko in Svezia

Se immaginate Abisko come una meta turistica con hotel, ristoranti e comfort vari, vi state sbagliando. Il luogo che offre la più bella aurora boreale al mondo è una località remota e sperduta tra la neve e il ghiaccio della Svezia. Qui troverete una piccola stazione ferroviaria sola, nella tundra innevata. Niente lampioni, né macchine, né case, il cielo è il padrone assoluto. A pochi metri, un unico edificio, il Mountain Lodge. È tutta qui Abisko, una perla custodita nella Lapponia svedese, a un’ora di treno dall’abitato più vicino. Vi immergerete a pieno nel vostro viaggio, scordando tutto il resto.

L’aurora boreale è l’attrazione principale di Abisko durante i mesi invernali, ma il microclima offre anche altri eventi meteorologici spettacolari. Tra questi, i rarissimi “archi lunari“, noti anche come arcobaleni lunari e aloni lunari, che si verificano quando la luce della luna si riflette e si rifrange attraverso le goccioline d’acqua e cristalli di ghiaccio nell’aria che circondano il Blue Hole.

Preparatevi a temperature a -30° sotto lo zero, vestiti pesanti e diverse coincidenze aeree. La Lapponia Svedese è una regione bella quanto ostile, ma con le giuste attrezzature si può viaggiare con tranquillità.

Un luogo magico in cui le lunghe notti buie si illuminano dei colori dell’aurora e degli arcobaleni lunari. Abisko non avrà da offrire grandi attrazioni cittadine, ma ha quello che le metropoli non avranno mai: una natura spettacolare, da togliere il fiato.

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Esiste un antico villaggio vichingo in Canada, ed è bellissimo

È un luogo che sembra quasi uscito da un libro fantasy o da uno di quei racconti storici impregnati di mitologia nordica: esiste un antico villaggio vichingo tutto da scoprire, così bello da mozzare il fiato. Si tratta dell’Anse aux Meadows, collocato sull’isola di Terranova, in Canada.

L’Anse aux Meadows è inserito tra i Patrimoni dell’umanità dell’Unesco non solo perché è un luogo di interesse storico, ma anche perché può ancora rivelare moltissimo della cultura vichinga: moltissimi studiosi ritengono che sia almeno una porzione della area di Vinland, dove il popolo nordico trovò pace e riparo.

La scoperta dell’Anse aux Meadows, antico villaggio vichingo

Ma facciamo un passo indietro e guardiamo alla storia: quando è stato scoperto questo luogo così speciale in Canada? Non troppo tempo fa: correva, infatti, l’anno 1960 quando l’esploratore norvegese Helge Ingstad decise di realizzare una sorta di mappa con relativa cronostoria atta a dimostrare che i vichinghi Norvegesi e Islandesi avessero preceduto Cristoforo Colombo nell’approdo in America Settentrionale, grazie alla loro abilità nella navigazione.

Groenlandia, una delle case dell'Anse Aux Meadows

Insieme alla moglie, Anne Stine, Ingstad giunse in Canada e iniziò a ripercorrere le orme degli antichi vichinghi, partendo dal presupposto che sarebbero approdati in un preciso punto dell’Oceano Atlantico. I fatti gli diedero ragione: nel corso del 1961, dopo numerose ricerche e scavi, i due trovarono lAnse aux Meadows, in uno stato di completo abbandono e per metà sepolto, oltre che completamente colonizzato da erbe e muschi.

Gli scavi e le particolarità dell’antico villaggio vichingo

Sulle prime, dunque, ciò che Helge Ingstad e Anne Stine si trovarono davanti furono una serie di tumuli rocciosi. I due, però, grazie al loro sapere, stimarono che doveva esserci molto, molto di più. Fecero partire gli scavi chiamando a raccolta archeologi dal cuore del Canada, della Norvegia e degli USA. Ciò che ne derivò fu una vera e propria campagna archeologica suddivisa in sette macro scavi, portati avanti dal 1961 al 1968 e condotti dalla stessa Stine.

Gli interni di una delle case del villaggio vichingo Anse Aux Meadows

Nel corso di questi scavi furono portate alla luce non solo le abitazioni, ma anche oggetti e reperti d’uso comune. Proprio questi reperti, datati intorno all’anno 1000, furono la prova decisiva che rende ancora oggi l’Anse aux Meadows l’unico sito comprovato di stampo vichingo in Canada e nel Nord America, lontano dalla Groenlandia, oltre che l’unica traccia di un vero e proprio contatto transoceanico e precolombiano dei vichinghi con le Americhe.

Cosa si trova nell’Anse aux Meadows?

Visitabile in ogni momento dell’anno, l’Anse aux Meadows è davvero bellissimo da vedere. Si tratta di un villaggio completo, costituito da otto case costruite con torba e legno, adibite a diversi usi. Nello specifico, sono state rinvenute tre abitazioni, quindi strutture a uso domestico al cui interno si possono trovare aree per dormire e mangiare, una fucina dove veniva fuso e lavorato il metallo e quattro officine destinate alla vendita di ferro, alla lavorazione del legno e, con buone probabilità, alla vendita di capi e beni di prima necessità.

Groenlandia, una delle case dell'Anse Aux Meadows

Non è escluso che una delle tre abitazioni fosse, in realtà, un punto d’appoggio (una sorta di locanda) dove potevano riposarsi i viaggiatori vichinghi. Di base, l’intero villaggio sembra un punto di passaggio per gli esploratori norreni, una sorta di area intermedia dove ristorarsi prima di riprendere i loro lunghi viaggi. Com’è, come non è, resta un posto imperdibile da vedere e da conoscere, una vera pietra miliare della storia dell’umanità.

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Esiste una scala che ti porta verso il nulla: è spettacolare

Immaginate di trovarvi in un luogo sospeso tra il cielo e la terra: davanti a voi l’azzurro più vivido che bacia delicatamente montagne ricche di verde, sotto di voi il vuoto che, pur facendo paura è talmente bello da farvi quasi sentire in volo. Ecco, se siete riusciti a immaginare tutto questo avrete un’idea di cosa significa trovarsi sulla scala che porta verso il nulla.

Per chi non lo sapesse si tratta della Stairway to Nothingness, uno dei luoghi turistici che più attrae appassionati di escursioni e, perché no, del brivido: la sensazione di vertigine che si prova percorrendola, infatti, è fortissima anche per coloro che sono abituati alle esperienze più adrenaliniche.

La Stairway to Nothingness: il brivido del vuoto

La Stairway to Nothingness si trova tra i monti Monti del Dachstein, in Austria. Quest’angolo di terra è uno dei più belli tra le Alpi del Salzkammergut e dell’Alta Austria: basti sapere, per intenderci, che il massiccio del Dachstein è stato inserito nell’elenco dei Patrimoni dell’umanità dell’UNESCO, insieme al comune di Hallstatt e alla regione lacustre del Salzkammergut.

Proprio per dare modo agli appassionati di ammirare uno spaccato inedito di questo luogo così incantevole, è stata realizzata, diversi anni fa, una via ferrata che permette di attraversare diverse parti dei Monti. Tuttavia, ad aumentare l’attrattiva turistica, è stata proprio la Stairway to Nothingness, inaugurata nel 2013.

Stairway to Nothingness, la scalinata sospesa nel vuoto

D’altronde, questa costruzione è stata ideata con uno scopo preciso: far sì che in ogni momento dell’anno, con il sole e con la neve, le persone arrivate tra i monti potessero godere di una vista privilegiata, un tempo riservata solo ai più provetti scalatori.

Una scala verso il vuoto per gli amanti della vertigine

Naturalmente, la Stairway to Nothingness è stata realizzata con grande attenzione e le sue opere di manutenzione sono praticamente costanti. È il prolungamento di un suggestivo Ponte Sospeso e, nel complesso, per costruire sia il ponte che la scala, sono state utilizzate 63 tonnellate di acciaio e cemento.

Sempre d’acciaio sono le funi, spesse 58 millimetri, che fungono da “pavimento” e garantiscono resistenza. In tutto, la Stairway to Nothingness pesa 5 tonnellate, escluse le lastre di vetro temperato e infrangibile che la completano e che permettono ai turisti di appoggiarsi in tutta sicurezza.

La Stairway to Nothingness in Austria

Il ponte sospeso che porta alla Stairway to Nothingness si snoda attorno alla catena montuosa del Dachstein. La scala e il ponte sono tutt’oggi il punto di osservazione più alto in Austria e rappresentano una meta imperdibile per chi vuole vivere un’esperienza davvero mozzafiato.

Restare sospesi tra cielo e terra sulla Stairway to Nothingness

Andando alle descrizioni più “pratiche”, Stairway to Nothingness è formata da una piattaforma ottagonale e da una scalinata composta da 14 gradini. Può ospitare, contemporaneamente, non più di quattro persone ed è sospesa a un’altezza di 400 metri.

Una scalinata verso il nulla: la Stairway to Nothingness in Austria

Non esiste un momento ideale per visitarla, anche se il maggior numero di visite si attesta tra maggio e settembre: da ottobre in poi, infatti, le condizioni meteorologiche potrebbero essere avverse e potrebbe esserci della nebbia che annullerebbe la bellezza del panorama.

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È la patria mondiale del golf, ma è anche una città sorprendente

Sì, è vero, molti la conoscono come patria mondiale del golf. E d’altronde, non si può parlare di St. Andrews in Scozia senza pensare a questo sport: proprio qui è stato, infatti, fondato il Royal and Ancient Golf Club uno dei più antichi e prestigiosi golf club del mondo, nato nel 1754 e poi ribattezzato “Casa del Golf” per il suo essere divenuto un punto di riferimento globale per gli appassionati.

Sempre a St. Andrews, ogni due anni, si tiene il famoso British Open in uno dei sette campi della città. Insomma, il connubio è davvero inscindibile. Ma se vi dicessimo che c’è molto più di questo e che la città è anche un luogo sorprendente, magico, oltre che una delle destinazioni turistiche più amate in Scozia?

St. Andrews, tra storia e cultura

Non tutti lo sanno, ma St. Andrews è una città davvero antichissima. Pare che i primi abitanti si insediarono nei pressi della città scozzese tra il 10.000 e i 5.000 a.C. Stando agli studi e alle ricerche degli archeologici, il primo nome che ebbe fu quello di Muckross, poi cambianto in Cennrigmonaid e poi, ancora, in St. Andrews.

Di fatto, la storia di St. Andrews si è distinta per un’evoluzione in senso religioso: nel 906 d.C. divenne sede del vescovo di Alba e presto si trasformò nella capitale ecclesiastica della Scozia. Questo le diede una spinta in senso culturale, con diversi studiosi che si raccoglievano in preghiera e portavano avanti la vita intellettuale della città.

L'isola di St Andrews in Scozia: un luogo sorprendente

Con il passare del tempo, purtroppo, St. Andrews ha conosciuto diversi momenti di declino. Ciononostante, però, non ha perso il suo fascino. Merito, anche, delle costruzioni peculiari che la rendono un piccolo capolavoro affacciato sull’Atlantico.

Le rovine, il ponte e il fascino mistico di St. Andrews

Da non perdere sono, per esempio, le rovine della Cattedrale. L’edificio fu costruito nel 1158 ed era una chiesa cattolica, ma è poi caduta in disuso. Come mai? Perché proprio la religione cattolica fu messa al bando. Non solo, perché in ben due occasioni subì dei danni ingenti.

Prima una tempesta e poi un incendio hanno lasciato dei grossi segni. L’incuria e l’incedere del tempo hanno poi fatto il resto, fino a quando il sito divenne un’area protetta: oggi è sotto la tutela della Historic Environment Scotland. Accanto alla cattedrale si trova anche un cimitero, che contribuisce a dare al tutto un fascino particolare. Un altro luogo da non perdere è lo Swilcan Bridge, che si trova nel centro della città (precisamente nell’Old Course).

Isola di St Andrews in Scozia: patria del golf, ma non solo

Si tratta di un ponte di pietra, molto suggestivo e anche molto piccolo: è lungo 9 metri, largo 2 metri e alto 1 metro e mezzo. Fu costruito per aiutare i pastori a condurre il bestiame oltre lo Swilcan Burn, ma oggi si dice che attraversarlo e fotografarlo porti fortuna.

C’è da dire che il panorama aiuta: dal ponte, infatti, si può vedere il Royal and Ancient Golf Club, l’Hamilton Grand e le colline che si affacciano sul Mare del Nord. Davvero una cornice mozzafiato!

Parchi, natura e giardini

Ma non è tutto qui, perché St. Andrews è anche una città universitaria e un luogo dove la natura è tenuta in grande considerazione. Un altro luogo da vedere, davvero incantevole, per esempio, è il Giardino Botanico dell’Università, situato a sud della città.

Il Giardino Botanico è una riserva che tutela numerose specie di piante: nello specifico, c’è una collezione di circa 8.000 diverse specie di piante esotiche e autoctone. Al suo interno, inoltre, si può trovare una deliziosa sala da tè e una casa delle farfalle.

L'isola di St Andrews in Scozia: un luogo sorprendente

Infine, da non perdere è il Castello. Come la Cattedrale è in rovina e la sua storia è lunghissima: nacque come palazzo vescovile, ma poi divenne una dimora nobiliare e subì moltissimi assedi. A un certo punto fu persino convertito in prigione, per via della sua imponenza e sicurezza.