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Il palazzo inghiottito nel cuore di Instanbul è straordinario

Esistono luoghi che incantano e stupiscono per la loro bellezza, che si palesano improvvisamente davanti agli occhi di chi li guarda come per magia, e lasciano senza fiato. Sono gli stessi che ci invitano ad attraversare il mondo intero in lungo e in largo per scoprire tutte le meraviglie che gli appartengono.

Eppure non tutte le bellezze del globo sono così visibili, almeno non al primo sguardo. Ce ne sono alcune, infatti, che risiedono proprio sotto ai nostri piedi, come se fossero protette dalla terra che calpestiamo alla stregua di un tesoro prezioso.

E questo è il caso di un edificio straordinario che risiede nel cuore di Istanbul. Il suo nome è Yerebatan Sarnici, che in turco vuol dire palazzo inghiotitto, ed è uno dei monumenti più straordinari e visitati della città. Scopriamolo insieme.

Yerebatan Sarnici, il palazzo inghiottito

Il palazzo inghiottito, conosciuto con il nome di Basilica Cisterna, è un gioiello architettonico di origini antiche, un edificio tanto suggestivo quanto affascinante che attira l’attenzione e la curiosità di viaggiatori provenienti da tutto il mondo. Situato nel distretto di Fatih, all’interno del mahalle di Sultanahmet e non lontano dagli altri monumenti iconici della città, questo luogo è un’autentica meraviglia tutta da scoprire.

Si tratta di una cisterna sotterranea, la più grande di tutta la città, costruita nel IV secolo dall’imperatore Costantino e poi ampliata nel 532 per volontà di Giustiniano durante l’Impero romano d’Oriente. Con una lunghezza di 143 metri e una larghezza di 70 metri, la cisterna fu costruita per servire i grandi palazzi della zona.

Assolse il suo compito per secoli fino a essere dimenticata completamente durante il Medioevo. Fu il viaggiatore e archeologo olandese P. Gylliusun, arrivato qui in esplorazione tra le rovine di Bisanzio, a riscoprirla per caso nel 1550 e a rimanere estremamente affascinato da questo edificio, tanto da scegliere di studiarlo. Fu grazie alle sue testimonianze che la cisterna fu restaurata e portata ai suoi antichi splendori dal sultano Ahmed III.

Un secondo restauro fu condotto nei primi anni del 1900 trasformando così il palazzo Yerebatan Sarnici in una meta turistica, nonché in uno dei monumenti più iconici di tutta la città.

Yerebatan Sarnici, Istanbul

Fonte: iStock

Yerebatan Sarnici, Istanbul

Dentro la Basilica Cisterna

Una visita all’interno della Basilica Cisterna ci permette di scoprire un mondo sotterraneo davvero sorprendente, fatto di statue, colonne e meraviglie architettoniche sepolte.

Nel grande spazio dell’antica cisterna, infatti, si snodano a file alterne ben 336 colonne che svettano verso il soffitto con un altezza di 9 metri. Le fattezze dei capitelli richiamano lo stilo Ionico e Corinzio, ma non mancano colonne Doriche che si rifanno al più antico stile architettonico della Grecia.

All’interno del palazzo inghiottito è possibile trovare due gigantesche teste di Medusa che fanno da basamento alle colonne. Secondo gli esperti, queste due sculture, provengono direttamente dall’arco monumentale del foro edificato dall’imperatore Costantino I. Tesi confermata anche dal fatto che molti dei materiali impiegati per costruire la cisterna sono elementi di riuso.

I restauri della cisterna hanno mantenuto inalterato le sue origini, al punto tale che il pavimento è ricoperto da uno strato d’acqua dove vivono numerosi pesci.

Gli elementi architettonici e l’ambiente sotterraneo nel complesso restituiscono un’atmosfera estremamente suggestiva, motivo per il quale oggi il palazzo inghiottito è uno dei luoghi più frequentati dai viaggiatori che giungono a Istanbul.

E se avete come l’impressione di aver già visto questo luogo da qualche parte, forse non vi sbagliate. Yerebatan Sarnici, infatti, è apparso nel celebre videogioco Assassin’s Creed: Revelations con il nome La Cisterna di Yerebatan.

Yerebatan Sarnici, Istanbul

Fonte: iStock

Yerebatan Sarnici, Istanbul
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C’è un ecolodge immerso nella foresta: è un sogno

Chiudete gli occhi e immaginate una foresta, una di quelle rigogliose, fitte e straordinarie, come quelle che abbiamo visto nelle favole. Una in cui immergersi e perdersi per ritrovare il contatto primordiale e autentico con la natura. Provate a immaginare che proprio lì, tra le meraviglie della terra, ci sia un rifugio ecologico e solitario, un luogo disconnesso dal mondo esterno in grado di rigenerare il corpo, la mente e tutti i sensi.

Ora aprite i vostri occhi perché quel luogo esiste davvero ed è spettacolare. Ci troviamo a Mindo, un paradiso terrestre e selvaggio nascosto nel cuore della natura ecuadoriana. Un luogo che ospita l’incontro tra diverse specie di flora e fauna che vivono e convivono in un paesaggio mozzafiato fatto di fiumi, torrenti, cascate e foreste tropicali.

È proprio qui che esiste un ecolodge di incantevole meraviglia. Un rifugio semplice ma suggestivo che si affaccia sul fiume Mindo e che permette di toccare con mano la biodiversità che appartiene a questo territorio. Un luogo che ci ci insegna a vivere il vero lusso, quello di stare a contatto con la natura.

L’ecolodge nella natura: il paradiso all’improvviso

Sono le esperienze che viviamo durante le nostre avventure a rendere magici e indelebili i ricordi di viaggio, e queste passano inevitabilmente anche per gli alloggi. Negli ultimi anni, infatti, questi sono diventati parte integrante delle nostre scelte, spingendoci anche ai confini del mondo.

In questo caso, abbiamo scovato uno dei luoghi più straordinari del mondo dove dormire che, grazie alla sua posizione, ci permette di immergerci in uno dei paesaggi più incredibili di sempre. La valle del Mindo, infatti, è una delle località più amate dell’Ecuador, sopratutto per la natura incontaminata che domina in tutto il territorio.

Ogni anno migliaia di turisti giungono in questo luogo per praticare trekking e birdwatching, rafting e canyoning e, in generale, per scoprire un ecosistema meraviglioso e variegato protetto da un panorama che lascia senza fiato.

Ed è proprio qui, in mezzo a tutta questa bellezza, che troviamo lui, l’El Monte Sustainable Lodge. Un ecolodge composto da sei cabine in legno che si snodano lungo Rìo Mindo, che attraversano la foresta nebulosa e da questa sono protetti. Un rifugio naturale che è il perfetto punto di partenza per escursioni ed esplorazioni, ma che è anche un luogo dove ritrovare se stessi.

El Monte Sustainable Lodge zoni comuni

Fonte: Getty images

El Monte Sustainable Lodge zoni comuni

Il rifugio perfetto

El Monte Sustainable Lodge non è solo un alloggio, ma un vero e proprio rifugio di pace e serenità. Basti pensare che all’arrivo, i visitatori, sono condotti alle cabine attraverso una piccola funivia che attraversa il fiume Mindo a 20 metri d’altezza e che permette di creare distanza tra l’alloggio e il resto del mondo.

Agli ospiti che scelgono di entrare e vivere la foresta ecuadoriana sono destinate delle cabine in legno che si affacciano sulle acque limpidi del fiume Mindo. Ogni alloggio è dotato di tutti i comfort e non mancano zone di condivisione dove sono presenti ampi salotti per socializzare. C’è anche una biblioteca a disposizione dei viaggiatori.

Il complesso è molto piccolo, riservato e solitario, una scelta questa pensata dai gestori della struttura per ridurre al minimo l’impatto turistico in questo paradiso. Tutto è pensato nei minimi dettagli per garantire ai viaggiatori un’esperienza autentica nella natura, dai pasti che sono realizzati con i prodotti dell’orto biologico alle escursioni che permettono di scoprire la foresta nebulosa che circonda l’ecolodge.

Funivia per l'accesso a El Monte Sustainable Lodge

Fonte: Getty Images

Funivia per l’accesso a El Monte Sustainable Lodge
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Il castello di Mussomeli, circondato da antichissime leggende

Sicilia, una terra unica, magica, fatta di bellezze naturali che lasciano senza fiato e di meraviglie architettoniche cariche di fascino e di storia. Ma anche di straordinarie leggende e misteri, che si fondono con il reale di epoche vissute e che continuano a far vivere un passato che mai verrà dimenticato.  Come quelle che si narrano e che aleggiano intorno al Castello di Mussomeli anche noto come Castello Manfredonico, in provincia di Caltanissetta.

Un luogo dal fascino unico, realizzato su un’altura praticamente inaccessibile tra il 1364 e il 1367, e la cui ubicazione rendeva il castello un punto strategico dal punto di vista militare, proteggendo dall’alto il territorio circostante.

Castello di Mussomeli, la storia

Una roccaforte, voluta da Manfredi III di Chiaramonte, duca di Modica, e rimasta nella storia per un evento ricordato come “Sala dei Baroni”. In questa celebre sala, infatti, si riunirono Papa Bonifacio IX, Artale Alagona e Manfredi Chiaramonte, due dei vicari dell’ancora minorenne Maria di Sicilia o d’Aragona, figlia di Federico III di Aragona ed ereditiera della Corona, nel tentativo di delegittimare il matrimonio tra la giovane e Martino il Vecchio duca di Montblanc d’Aragona. Avvenuto di fatto, dopo il rapimento della giovane organizzato proprio da quest’ultimo, nel tentativo di accaparrarsi il trono. Ma anche un castello intriso di misteri e leggende.

Storie che si intrecciano tra loro e che si fondono con avvenimenti reali, caricandoli di un fascino unico e di infinite suggestioni.

Misteri e leggende di un luogo senza tempo

Come quelle che riguardano l’omicidio mai realmente risolto di Laura, la sfortunata baronessa di Carini, figlia di Don Cesare Lanza, Barone di Trabia e Conte di Mussomeli, che divenne proprietario del Castello di Mussomeli nel 1594. Una morte avvenuta per mano del padre stesso o forse del marito di Laura, Don Vincenzo La Grua-Talamanca, Barone di Carini. Dopo averne scoperto il tradimento con Ludovico Vernagallo. E di cui si dice che il fantasma si aggiri ancora tra le stanze del castello in cerca del padre e della sua vendetta.

O come quella delle tre sorelle del Principe Federico: Clotilde, Margherita e Costanza. Le tre, infatti, vennero segregate in un piccola stanza proprio su volontà del fratello, che dovendo partire per la guerra volle proteggerle dal mondo esterno. Rinchiudendole, con i beni necessari alla sopravvivenza, in una stanza di cui fece murare la porta.  Il viaggio del Principe Federico, però, durò molto più del previsto e al suo ritorno, aprendo la stanza, trovò le sorelle ormai morte per inedia, con il viso sfigurato dalla fame. Da questa stanza, chiamata anche  la “camera di li tri donni”, si dice arrivino dei suoni, simili a lamenti e pianti strazianti.

Ma le leggende che vivono e alimentano la storia del Castello di Mussomeli non finiscono qui. Altro insolito abitante e che si dice aleggi tra le stanze e i corridoi della fortezza, è il fantasma di Guiscardo de la Portes. Un soldato spagnolo che venne ucciso nel 1392, dagli uomini di Don Martinez, rivale in amore del giovane e che, non riuscendo a conquistare il cuore dell’amata da entrambi, la bella  Esmeralda de Loyoza, mandò i suoi uomini a eliminare il soldato per punire la donna. Portandole via per sempre il suo amore.

Storie e leggende cariche di emozioni, intrighi, amori vissuti o spezzati. Il cui ricordo rimane vivo nei racconti di chi ha camminato tra le mura del castello e di chi, per suggestione o per altro, pensa di averne visto i protagonisti. E che, al di là della sua indiscutibile bellezza dal punto di vista architettonico, rappresentano un valido motivo per visitare Mussomeli e il suo castello dagli innumerevoli segreti.

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Alla scoperta delle chiese scavate nella roccia

Ci sono molti, moltissimi modi di esprimere fede e religiosità: la spiritualità, si sa, è qualcosa di personale. Eppure, in queste chiese scavate nella roccia, le chiese rupestri di Ivanovo, si può riscontrare qualcosa di davvero forte, autentico e magnetico.

Nella loro unicità, nel loro essere state ricavate all’interno di un materiale così nudo e grezzo, si può ritrovare il senso più alto del misticismo. Ed è per questo che sono speciali, è per questo che sono tutte da scoprire: perché il loro fascino è trascendentale.

La storia delle chiese rupestri di Ivanovo

C’erano una volta delle grotte in Bulgaria, incastonate in zone montuose apparentemente nude e aspre ma circondate da fitti angoli boscosi. Correva l’anno 1200 e proprio quelle grotte divennero dapprima meta di riflessione e preghiera e poi abitazioni per alcuni monaci, che iniziarono a sostenere che la vita all’interno di quelle sistemazioni così spartane li avvicinasse a Dio. Fu per questa ragione che nel 1320 il Patriarca di Bulgaria Joachim creò un vero e proprio “complesso spirituale”.

Ivanovo, una delle bellissime chiese rupestri

Adibì, sostanzialmente, la zona più ricca di grotte e cave alla spiritualità, cercando di renderle più confortevoli per i monaci. Non passò molto tempo, però, prima che agli stessi monaci e al Patriarca venisse in mente che queste grotte così suggestive potevano diventare delle vere e proprie chiese. Anzi, alcune erano abbastanza ampie per creare dei monasteri con piccoli edifici annessi dove i monaci potevano alloggiare.

Le chiese rupestri, da complesso spirituale a Patrimonio Unesco

Intorno al 1300, dunque, l’area delle grotte era ricca di chiese, chiesette e cappelle, dove si potevano incontrare i religiosi e dove i fedeli potevano restare per pregare. In totale, l’intera area comprendeva ben 40 chiese e 300 piccoli edifici. Purtroppo, con il passare del tempo, molti vennero abbandonati o furono soggetti a erosione e danni naturali, cosa che ha reso impossibile la loro conservazione.

Alcuni resti di una chiesa rupestre antica

In totale, oggi, le chiese rupestri di Ivanovo conservate in buono stato sono cinque e compongono un sito Unesco, Patrimonio Mondiale dell’Umanità. Le cinque chiese di distinguono per periodo e per stile, ma restano un grande esempio di quanto ai tempi fosse incoraggiata la pratica ascetica per entrare in comunione con Dio e di come la Bulgaria venne fortemente influenzata dall’arte bizantina.

L’arte delle chiese rupestri di Ivanovo

Come abbiamo già detto, le bellezze di questi luoghi sacri bulgari sono diverse tra loro. Questo perché tre chiese sono risalenti alla prima metà del 1200, quando a regnare era lo zar Ivan Asen II, che riabbracciò il cristianesimo ortodosso. Questa scelta religiosa si riflette nelle decorazioni delle tre chiese rupestri che svettano sugli alti argini rocciosi del fiume Rusenski Lom, caratterizzate da affreschi vivaci, visi ovali, labbra carnose, di forme quasi grezze e mancanza quasi totale di sfondi.

L'interno di una chiesa rupestre in Bulgaria

Le altre due chiese che hanno resistito al tempo, invece, sono nate sotto lo zar Ivan Alessandro, che ebbe relazioni molto più intense con l’impero bizantino. Dunque, gli interni di queste chiese, che si trovano più in basso rispetto al fiume, sono maggiormente dettagliate: anche se i colori sono più tenui, le figure sono molto più accurate, meno abbozzate, sono eleganti e armoniose e si stagliano su sfondi curatissimi. Ogni chiesa è, comunque, un mondo a sé, da scoprire: un viaggio da fare se si vuole respirare la spiritualità più viva e vera.

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Sospeso tra cielo e mare: il promontorio che sembra un sogno

C’è un posto nel mondo che sembra davvero sospeso tra cielo e mare: si tratta di Cap Dramont, incantevole promontorio che sembra essere stato adagiato sulle acque in attesa che qualcuno lo scoprisse e lo vivesse, rispettandone le bellezze naturali.

Cap Dramont è un piccolo angolo di paradiso che, una riserva che è possibile visitare tenendo conto della sua importanza storica e rispettandone ogni scorcio. Per la sua conformazione è un luogo davvero particolare e chi lo visita può davvero fare una full immersion nel relax e nella pace.

L’unicità di Cap Dramont

Cap Dramont si trova in Francia, precisamente nella superba regione della Provenza-Alpi-Costa Azzurra, a soli 10 chilometri dall’Italia. È compreso nel comune francese di Saint-Raphaël (assolutamente da visitare) e per la sua bellezza, la sua unicità e per la ricchezza di biodiversità, è un luogo  protetto dall’Ufficio Forestale Nazionale. Ciò significa che si può tranquillamente passeggiare tra le sue aree verdi, ma facendo assoluta attenzione a non alterare in alcun modo l’ambiente.

Scatto che immortala Cap Dramont dalla costa

La storia di questo promontorio è davvero antica. La roccia rossa che lo caratterizza (la riolite) è di origine vulcanica e risale al Permiano (ultimo dei sei periodi in cui è divisa l’era geologica del Paleozoico), ma non è tutto qui, perché a Cap Dramont sono presenti anche delle rocce blu, molto più rare (esterellite) che risalgono all’era terziaria e si trovano solo in questo luogo.

Proprio queste rocce, ora così rare, un tempo erano talmente tanto diffuse che l’intero promontorio veniva usato come giacimento: molti pavimenti di grandi dimore parigine di lusso sono stati realizzati proprio con l’esterellite. Per quanto il consumo dell’esterellite sia stato un gran peccato da una parte, visto che ora ce n’è davvero pochissima, dall’altra parte le cave ricavate dall’uomo per l’estrazione hanno dato vita a dei laghi estremamente suggestivi, oggi tutelati e aperti agli sportivi.

La spiaggia di Cap Dramont

Se vi chiedete se ci si può bagnare nelle acque cristalline di questo scorcio della Provenza-Alpi-Costa Azzurra, la risposta è sì. Ovviamente occorre fare sempre la dovuta attenzione e ricordarsi che non si può, per nessuna ragione, inquinare, in alcun modo: dunque attenzione anche alla protezione solare. La spiaggia, inoltre, è un piccolo angolo di pace, ma non è facile da praticare: ci vogliono delle scarpette adatte.

Cap Dramont visto all'alba

Essendo una spiaggia fatta di ghiaia e ciottoli ed essendo l’accesso al mare piuttosto complicato vista la presenza di rocce/scogli che discendono verso l’acqua, bisogna essere particolarmente pratici. Ciononostante, una volta giunti a destinazione è possibile trovare delle zone d’ombra molto comode e scoprire delle aree straordinarie, con la roccia che talvolta si apre per mostrare piccoli scorci verdi ricchi di trifogli gialli, asfodeli, fiori di giglio e ginestre.

Cap Dramont e l’Île d’Or

È inutile negarlo: un’altra ragione per cui Cap Dramont è così affascinante è la sua vista sull’Île d’Or, l’Isola d’Oro. Questa isoletta rossa è un piccolo atollo fatto di porfido, roccia che gli permette di avere questo colore così caratteristico e che, in determinate ore del giorno, sembra brillare. L’accesso è vietato perché è, ancora oggi, in possesso della famiglia dell’ufficiale della Marina francese François Bureau, che la acquistò nel 1961.

Cap Dramont visto dall'alto, circondato dal mare

Nonostante questo, è comunque bellissima da osservare a distanza anche per la sua particolare torre d’avvistamento in stile saraceno, realizzata con gli stessi colori dell’isola (e con l’utilizzo del porfido) per non creare discontinuità. Un vero incanto!

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L’Arco di roccia naturale più grande d’Europa è un incanto

No, non è un caso che proprio qui siano state girate alcune scene de Le Cronache di Narnia: la Porta di Pravčická è un vero spettacolo, una di quelle formazioni naturali che lasciano davvero a bocca aperta. Si tratta dell’arco naturale più grande d’Europa frutto di milioni di anni di alterazioni, corrosioni ed erosioni delle sue parti meno resistenti.

La sua fama è dovuta anche al paesaggio circostante, che riesce a essere spettacolare in ogni momento dell’anno: dal verde acceso della primavera alle tonalità calde dell’autunno, tutto intorno a questo arco sembra essere magico.

La storia della Porta di Pravčická

Come abbiamo già accennato, la Porta di Pravčická ha milioni di anni. Si trova nella Svizzera Boema, in Repubblica Ceca, precisamente vicino al suggestivo villaggio di Hřensko noto per essere tanto bello da sembrare uscito da una fiaba. Ufficialmente, questo arco naturale ha iniziato ad avere un vero e proprio rilievo turistico all’inizio del 1800, quando venne considerato un’attrazione da parte degli abitanti della zona.

Pravcicka Gate: l'arco di roccia naturale più grande d'Europa

Proprio nel 1826, per la sua forte attrattiva, ai piedi dell’arco fu costruita una locanda: i proprietari avevano intuito che avrebbero fatto una fortuna e così è stato, perché venendo a conoscenza della straordinaria formazione rocciosa e della possibilità di pernottarvi accanto, i turisti iniziarono ad arrivare da ogni parte d’Europa. Tra questi c’erano anche diversi artisti e letterati. Noto è il soggiorno di uno degli scrittori più famosi al mondo, Hans Christian Andersen.

L’hotel ai piedi della Porta di Pravčická

Nel 1880 la locanda venne acquistata dal duca Edmund Clary-Aldringen, che decise di realizzare al suo posto il suo castello per le vacanze in Repubblica Ceca. Il duca chiamò il castello Sokolí hnízdo, ovvero Nido del Falco, e lo realizzò in meno di un anno. Tuttavia, anche l’aristocratico dovette cedere alle potenzialità turistiche della Porta di Pravčická, che continuava a richiamare migliaia di visitatori. La prima cosa che fece fu realizzare un ristorante all’interno del castello. Poi, decise di convertirlo in un hotel con 50 letti.

Pravcicka Gate, l'arco di roccia naturale più grande d'Europa

Ancora oggi si può soggiornare in questo hotel per avere una visione privilegiata dell’arco naturale e, in più, si organizzano anche dei piccoli tour per andare alla scoperta di un’altra preziosa area naturale, le Edmund Gorge (proprio dal nome del duca) tre gole che si aprono all’interno del canyon a ridosso del fiume Kamenice, con suggestive cascate e ampie aree gorgolianti d’acqua cristallina.

Cosa fare e cosa non fare alla Porta di Pravčická

Anche se questo splendido arco di roccia può apparire molto solido e duraturo, in realtà è estremamente fragile. Anzi, è tanto fragile che sono molti gli scienziati e i geologi che si chiedono come sia possibile che questo ponte di roccia, alto 16 metri, largo otto e spesso 26 metri, non sia crollato per via della costante erosione. Sul punto più vicino all’acqua del fiume, infatti, si sono creati dei buchi e degli sbriciolamenti di non poco conto. Per questa ragione, non è possibile accedervi.

Una foto del Pravcicka Gate, l'arco di roccia naturale più grande d'Europa

Ciononostante, sono accessibili diversi punti panoramici dotati di ringhiera: uno si trova proprio sotto l’arco, mentre un’altro si trova leggermente più in alto, alle spalle dell’hotel, e vi si arriva grazie all’apposita scala di ferro. Infine, è praticabile un sentiero escursionistico che permette di fare il giro completo attorno all’arco e di inoltrarsi tra le aree boschive, respirando aria pulita e fresca.

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Migliaia di lucciole accendono queste grotte: è magia

La Nuova Zelanda è un paese che sa sempre come stupire il visitatore, ma anche chi ci abita, con le meraviglie della sua natura. Una delle attrazioni principali e che meritano di essere ammirate dal vivo almeno una volta nella vita è quella delle Waitomo Caves o Glowworm Caves. Si tratta dei due nomi con cui sono note delle grotte calcaree che si trovano nella parte settentrionale dell’isola e in cui alcuni insetti luminosi danno spettacolo. Il fenomeno è a dir poco straordinario e a renderlo speciale ci pensano degli animali che sono in tutto e per tutto simili alle lucciole. In questa zona, infatti, il buio viene “squarciato” da una miriade di piccoli bagliori di vario colore.

Le grotte neozelandesi hanno un’origine antichissima visto che si sono formate 30 milioni di anni fa grazie all’azione dell’erosione carsica. Le larve che popolano le Waitomo Caves sono note con un nome piuttosto singolare, Glow-Worm, appartenenti alla famiglia dell’Arachnocampa luminosa. Se ne trovano a milioni ed è inevitabile che la loro luce vada a irradiare le caverne, dando vita a una sorta di “cielo” stellato. Come già sottolineato, poi, a rendere unico il fenomeno ci pensa la varietà dei colori: si va dal verde al blu, oltre alle loro diverse tonalità.

La prima esplorazione delle grotte

Non esiste niente di simile in nessun’altra parte del mondo, dunque bisogna recarsi soltanto in Nuova Zelanda per trovarsi di fronte questo spettacolo luminoso, una vera e propria manna dal cielo per i visitatori più romantici. La scoperta delle grotte neozelandesi risale addirittura al XIX secolo. Nel 1887, infatti, un capo Maori del posto, tale Tane Tinorau, esplorò le caverne per la prima volta in assoluto insieme a Fred Mace, un geometra di nazionalità britannica. In realtà gli stessi Maori sapevano perfettamente della presenza delle lucciole, anche se non si erano mai spinti in profondità per verificare di persona.

Migliaia di lucciole alle Waitomo Caves

Fonte: 123RF

I bagliori di luce presso le Waitomo Caves

I turisti attirati dal fenomeno luminoso

La prima esplorazione della storia della Waitomo Caves non fu comunque un’impresa semplice. Anche a causa degli scarsi mezzi dell’epoca, Tinorau e Mace si avventurarono su una zattera di fortuna per navigare nel torrente interno alle grotte. I viaggi successivi hanno poi permesso di scoprire anche le splendide formazioni calcaree e altri accessi delle caverne. Come è facile immaginare, al giorno d’oggi un’attrazione del genere fa approdare in Nuova Zelanda un numero impressionante di turisti. Si tratta di ben mezzo milione di visitatori ogni anno che non vedono l’ora di essere illuminati dalle lucciole presenti in un luogo tanto magico.

Tra l’altro, la vegetazione è molto folta e riesce a creare dei filtri di luce e ombre intriganti che poi si proiettano sulle pareti di roccia. Il momento ideale per assistere al fenomeno luminoso è la mattina presto, con la nebbia di questo momento della giornata che contribuisce a rendere il tutto più misterioso. Impossibile calcolare il numero esatto di larve che brillano in cielo, forse centinaia di migliaia, ma l’importante è che siano affamate: sì, perché più questi insetti sono alla ricerca di prede e maggiore sarà il loro bagliore per una luminosità che sarà difficile dimenticare per tutta la vita.

Luci e magia nelle Waitomo Caves

Fonte: 123RF

Le magiche luci delle Waitomo Caves
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In Norvegia esiste una chiesa di legno è Patrimonio dell’Umanità

Il mondo è pieno di luoghi incantevoli di cui non conosciamo l’esistenza, lo sappiamo. Eppure ciò non ci vieta di stupirci quando, davanti ai nostri occhi, ritroviamo dei capolavori che sembrano quasi inventati o che accendono le nostre fantasie più fanciullesche. Un esempio lampante è la chiesa di Urnes, in Norvegia: un vero capolavoro fatto di solo legno, che resiste nei secoli.

Vista da fuori, la chiesa di Urnes sembra un po’ un edificio fiabesco: una di quelle casette, per intenderci, dove vivrebbero i classici anti-eroi che solo nel corso della storia rivelano di avere un cuore d’oro. Invece, la sua storia è fatta di devozione, sentimento e tanto, tantissimo impegno.

La storia della chiesa di Urnes

La chiesa di Urnes sorge nella contea di Vestland, abbracciata da un panorama naturale mozzafiato. Di fatto si trova sul Lustrafjorden, il fiordo più lungo e profondo della Norvegia, in una posizione privilegiata che permetteva di abbracciare con lo sguardo una vista eccezionale su quelli che erano i doni che Dio ha fatto all’umanità. Peraltro, il luogo dove è stata eretta era già stato “casa” di due chiese precedenti, che però vennero abbattute per far posto a questo maestoso edificio.

Foto all'esterno della chiesa di Urnes Stave, in Norvegia

Si eleva su due livelli, adibiti al consueto uso delle funzioni religiose ed è costruita su pianta basilicale, com’era in uso nel Medioevo. Per farne ogni parte, però, sono state utilizzate delle resistenti doghe in legno, con pannelli, fasce ed elementi della tradizione scandinava finemente intagliati. Ogni piccola parte di questa chiesa è stata realizzata a mano e con gli strumenti del tempo, cosa che lascia immaginare quanta passione la permea.

Gli interni della chiesa di Urnes

D’altronde non è un caso che questa chiesa faccia parte del Patrimonio dell’Umanità Unesco: è bellissima e unica nel suo genere. In base alle molteplici ricerche svolte in Norvegia e su territorio scandinavo è la più antica delle chiese in legno del territorio (se ne contano in tutto 1.300) ed è la sola ad avere degli interni così curati. Entrando, infatti, è possibile ammirare una serie di capitelli figurativi scolpiti con estrema cura.

Proprio questi capitelli, con le loro incisioni, rappresentano non solo dei manufatti artistici di enorme valore, ma hanno un ruolo ancor più importante: sono la testimonianza dell’unione e della fusione tra la cultura nordica precristiana, il credo e gli usi vichinghi e il cristianesimo che si diffuse in età Medievale.

La chiesa di legno Urnes Stave in Norvegia

In particolare è possibile ammirare delle immagini che hanno come protagonisti due animali: una creatura a quattro zampe, fiera e coraggiosa, che sembra un leone, e un serpente, che viene morso e attaccato. A un primo sguardo la presenza del serpente potrebbe sembrare legata alla tradizione cristiana, dove l’essere strisciante rappresenta Satana mentre il leone stilizzato dovrebbe rappresentare Cristo, che appunto combatte il diavolo.

Invece, si tratta di uno splendido connubio tra i due credo, perché la lotta tra il serpente e il leone potrebbe anche rappresentare l’inizio del Ragnarǫk, una delle battaglie più importanti della mitologia norrena. Il Ragnarǫk rappresenta infatti la lotta tra il bene, la luce e l’armonia e il male, le tenebre e il caso, e vedeva impegnate moltissime divinità venerate nei paesi scandinavi.

Alla scoperta della chiesa di Urnes

Di certo vorrete sapere se la chiesa di Urnes è attualmente visitabile: la risposta è sì. È aperta ogni giorno dalle 9.00 alle 16.00 e si può entrare dietro pagamento di un ticket che comprende una visita guidata. Ci si può arrivare con un lungo on the road di sei ore partendo Oslo o, in alternativa, soggiornando a Solvorn e raggiungerla approfittando del traghetto che va alla scoperta del Lustrafjorden.

Urnes Stave, una chiesa di legno suggestiva: i suoi interni

Non si svolgono funzioni religiose perché ha da tempo perso il suo uso parrocchiale, ma essendo ancora fortemente simbolica, è usata su richiesta per battesimi e matrimoni. Un consiglio? Visitare anche il cimitero medievale che la circonda, piuttosto spartano ma molto suggestivo ed estremamente spirituale.

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Sembra una spiaggia come un’altra. In realtà è formata da milioni di stelle

Volete fare un tuffo non solo dove l’acqua è più blu, ma anche dove imita, letteralmente, il cielo? Allora questo è il luogo perfetto per voi: esiste una spiaggia, nel mondo, all’apparenza normale (seppur bellissima), ma che ha una particolarità straordinaria: la sua “sabbia” è formata da milioni di stelle.

E no, non stiamo esagerando: letteralmente ciò che compone la spiaggia sono minuscole stelline, suggestive, con colori che vanno dal bianco al rosa, virando talvolta per il giallo e per l’ocra. Se ve lo state chiedendo, non si tratta di un posto che si trova in un pianeta lontano: è proprio qui, sul pianeta Terra.

La spiaggia formata da milioni di stelle

Come si chiama questa incantevole spiaggia e dove si trova, dunque? Il suo nome è Hoshizuna-no-Hama, che significa letteralmente sabbia a forma di stella. Si trova a Irimote, seconda isola più grande dell’arcipelago di Okinawa. Ora, nel caso non lo sappiate, già questo splendido arcipelago del Giappone attira migliaia di turisti ogni anno, desiderosi di scoprire le spiagge delle sue isole.

Una vista di Hoshizuna-no-Hama e della sua sabbia stellare

Tuttavia, non tutti si spostano verso Irimote, che è per altro un luogo davvero incantevole di per sé, e non hanno idea dell’esistenza di Hoshizuna-no-Hama che, invece, dovrebbe davvero diventare una tappa obbligata. Qui, sulla punta settentrionale dell’arcipelago, si può assistere a tramonti spettacolari e fare il bagno in acque chiarissime, scoprendo peraltro degli scorci poco turistici e ancora incontaminati. E poi ci sono le stelle, ovviamente.

Cosa sono le stelle della spiaggia di Hoshizuna-no-Hama?

Siamo sicuri che vorrete sapere di cosa si tratta per l’esattezza. Ecco, le stelle della spiaggia di Hoshizuna-no-Hama sono ciò che ricopre l’intera spiaggia. A dar loro notorietà sono stati, in particolare, i social network: gli avventori arrivati su questo prezioso scorcio di Okinawa si sono accorti, raccogliendo la “sabbia” di questi granelli a forma di stella e hanno notato che, peraltro, erano in netta maggioranza rispetto alla sabbia normale.

A dare una risposta al tam-tam social sono stati tantissimi esperti e biologi marini, che hanno spiegato che in realtà queste minuscole stelle altro non sono che esoscheletri di protisti, ovvero di organismi non classificabili né come animali né come vegetali, chiamati Baclogypsina Sphaerulat.

La particolarissima "sabbia" di Hoshizuna-no-Hama

Questi particolari organismi, grandi appena un 1 millimetro, hanno un esoscheletro, appunto, una sorta di corazza esterna con cinque piccole punte che richiamano la forma di una stella che permette di assecondare il movimento delle correnti e spostarsi. Generalmente vivono sui fondali della spiaggia, nascosti tra le alghe, ma devono comunque “muoversi” per proliferare. Quando muoiono, il loro esoscheletro rimane vuoto e si sposta ancor più facilmente, andando a depositarsi verso le spiagge.

Hoshizuna-no-Hama: una storia di stelle e tifoni

Ma non è solo lo spostamento dovuto alle correnti a riempire la spiaggia di Hoshizuna-no-Hama di piccole e bellissime stelle. A fare la maggior parte del lavoro è la stagione dei tifoni. L’arcipelago di Okinawa, infatti, è interessato da questi fenomeni naturali e meteorologici da giugno a novembre, con picchi tra agosto e ottobre.

Uno scorcio della spiaggia di Hoshizuna-no-Hama a Okinawa, con la sua sabbia stellare

Anche se non è esattamente il momento migliore per andare in spiaggia, è proprio dopo i tifoni che Hoshizuna-no-Hama diventa ancor più ricca di stelle e stelline. Se doveste mai recarvi a Hoshizuna-no-Hama non dimenticate di fotografare le sue stelle, ma occhio a lasciarle lì: mai saccheggiare un ambiente naturale!

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La piscina naturale più suggestiva del mondo si trova in Italia

L’estate porta con sé la voglia di esplorare, scoprire nuovi posti e ammirare tramonti incredibili, circondati dalla bellezza. Proprio questi sentimenti ispira la fantastica piscina naturale italiana, che tutto il mondo ci invidia. Stiamo parlando del Laghetto delle Ondine, un luogo magico che sorge ai piedi del vecchio Faro di Punta Spadillo, subito dopo Cala 5 Denti, sull’isola di Pantelleria.

Il Laghetto delle Ondine di Pantelleria

La natura regala gli scorci e i luoghi più belli in assoluto. La prova è questa piscina naturale di acqua salata, un laghetto incantevole formato da una piccola conca scavata dalla continua azione erosiva delle onde del mare. Circondata da insenature che le conferiscono un aspetto affascinante e selvaggio, si colloca tra scure rocce.

Il bagno all’interno del Laghetto delle Ondine è un’esperienza unica e molto emozionante. Si entra lentamente, in punta di piedi e gradualmente ci si immerge. Esistono solo pochi punti più profondi, che raggiungono appena i due metri. Il resto del fondale di questa piscina naturale ha diverse profondità. Il bello è che in alcuni punti ci si può sedere lasciando le gambe muoversi leggere nell’acqua fresca, ammirando il mare che si staglia all’orizzonte.

Un’emozione unica

Il Laghetto delle Ondine è il luogo perfetto per i momenti di relax. Una delle tradizioni tipiche di questa perla della natura, è quella di fare il bagno al suo interno quando soffia forte il vento di Maestrale. Data la vicinanza del laghetto al mare aperto, con il vento, la cresta delle onde entra al suo interno, ricoprendo di spruzzi freschi i bagnanti.

Questa piscina naturale è anche perfetta per ammirare un tramonto stupendo e insolito. Le luci e l’atmosfera giungono fino a Punta Spadillo, illuminando il Faro, ed il laghetto inizia a spegnere i suoi colori vivaci ed accessi, per lasciare spazio ad un alone di calma, riposo e quiete.

Per arrivare sino al Laghetto delle Ondine, si possono percorrere diverse strade, sia via mare, sia via terra. Attenzione perché il mare davanti al laghetto ha fondali molto profondi e correnti da moderate a forti, non lasciatevi ingannare.

L'isola di Pantelleria

Fonte: iStock

Il mare dell’isola di Pantelleria

L’isola di Pantelleria

L’isola di Pantelleria si trova tra la Sicilia e le coste della Tunisia, un gioiello incastonato nelle acque del Mar Mediterraneo. È un’isola meravigliosa con atmosfere suggestive ed arabeggianti.

Conosciuta anche come la Perla Nera del Mediterraneo per le colate laviche che caratterizzano il paesaggio, l’isola ha origine vulcanica. Anche se, al giorno d’oggi, i fenomeni vulcanici sono ridotti ad acque calde e soffioni di vapore. Per respirare la cultura locale dovete recarvi nei dammusi, le tipiche abitazioni dell’isola costruite in epoca araba nel rispetto dell’ambiente circostante. Esse, infatti, sono progettate non per imporsi sul territorio, ma per adattarsi e fondersi con esso, in modo sostenibile.

Non solo mare, spiaggia e laghetti. Qui, potrete avventurarvi alla scoperta dei siti archeologici e potrete ammirare la stupefacente acropoli romana.

La Sicilia non smette mai di incantare, stupire, affascinare. Il Laghetto delle Ondine è solo uno dei milioni di motivi per questa regione merita di essere visitata.