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La magia del presepe vivente di Tarquinia

In una delle città italiane più ricche di storia, da quella etrusca alla medievale, ogni anno il passato viene raccontato in modo unico e speciale attraverso l’evento del presepe vivente. Siamo a Tarquinia, l’antica Tarchuna degli etruschi, che visse periodi d’oro sia durante la conquista di Roma che durante il Medioevo. E sono proprio le strade dei quartieri medievali di San Martino e San Giacomo, caratterizzati dalle tipiche case con pareti di tufo e travertino, da alte torri, chiese romaniche e gotiche e dagli splendidi palazzi rinascimentali a diventare un palcoscenico a cielo aperto durante le feste di Natale in grado di trasformare Tarquinia in una piccola Betlemme.

Storia del presepe vivente di Tarquinia

Organizzato da 15 anni, il presepe vivente di Tarquinia, considerato come uno dei più suggestivi d’Italia, viene allestito nelle atmosfere suggestive offerte dai due quartieri più antichi del centro storico, quelli di San Martino e San Giacomo, noto in precedenza come il Terziere del Poggio. Il presepe, curato in ogni dettaglio, ricostruisce gli ambienti e le situazioni risalenti al I secolo d.C. in Israele.

Tra le strade compaiono banchi di legno, paglia, iuta e stoffe, le quali costituiscono gli elementi fondamentali che permettono la ricostruzione delle scene tipiche di quel tempo: il mercato delle merci e del bestiame, la vendita degli schiavi, il censimento, la locanda. Inoltre, a rendere il tutto ancora più realistico c’è il grande accampamento romano, allestito in Campo Cialdi con tende, cavalli, bighe e legionari in allenamento.

Spettacoli presepe vivente Tarquinia

Fonte: Ufficio Stampa

Uno spettacolo durante l’evento del presepe vivente a Tarquinia

Date e orari del presepe vivente di Tarquinia

Il presepe vivente di Tarquinia si terrà il 26 e il 29 dicembre 2024 e il 6 gennaio 2025 a partire dalle 17:00. L’evento comincia con il tradizionale corteo dei Re Magi a dorso di cammello e prosegue con le classiche rappresentazioni della Natività e con spettacoli per le strade del centro storico.

Dove si trova e come raggiungere il presepe vivente di Tarquinia

Sono i vicoli e le piazze della parte più antica della città etrusca, i quartieri di San Martino e San Giacomo, a fare da sfondo alla nuova edizione del presepe vivente di Tarquinia. Il percorso parte da Piazza San Martino e prosegue in Via della Ripa, Vicolo del Poggio, Via degli Archi, Via dell’Archetto e si conclude tra Piazza Giuseppe Verdi e Piazza Santo Stefano.

Per raggiungere Tarquinia con l’auto da Roma potete percorrere l’autostrada A12, da Grosseto si segue la statale Aurelia fino a Tarquinia, da Viterbo la superstrada Orte-Civitavecchia, fino all’uscita Monte Romano est (località Cinelli). Da qui si prosegue sulla statale Aurelia bis, fino all’incrocio per Tarquinia. In treno, invece, la città è servita dalla linea ferroviaria Roma-Ventimiglia con corse frequenti sia in direzione Roma, verso sud, che verso Pisa/Genova, verso nord. La stazione dista circa tre chilometri dal centro abitato ed è collegata dagli autobus urbani.

Sfilata Re Magi Tarquinia presepe vivente

Fonte: Ufficio Stampa

Sfilata dei Re Magi a Tarquinia per il presepe vivente

Novità del presepe vivente di Tarquinia

La novità di quest’anno riguarda la scelta della location dove viene allestito il presepe vivente. La rappresentazione, infatti, lascia gli spazi esterni del convento di San Francesco, dove si è svolta l’edizione 2023 per celebrare gli 800 anni del primo presepe della storia realizzato dal Santo Patrono d’Italia, per approdare al quartiere di San Martino. Questo è considerato una cornice ideale per realizzare la rievocazione grazie alle strette vie con gli archi, alle torri, alla chiesa e ai palazzetti medievali presenti, perfetti per dare vita all’antica Betlemme.

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Scoperte le più antiche tracce di tiro con l’arco in Europa

Si è scritto molto sulla Cueva de los Murciélagos (la Grotta dei Pipistrelli, ad Albuñol, sulla costa della provincia di Granada). Per alcuni anni, durante il XIX secolo, è stata la principale fonte di azoto naturale della Spagna utilizzato come fertilizzante (a causa del guano dei pipistrelli che pendeva dai soffitti).

Al suo interno, in alcune vene rossastre nella roccia, i minatori pensavano di vedere la galena, un minerale ricco di piombo, e vi entravano per estrarla. Ma era soprattutto una necropoli che, in seguito, si scoprì essere molto antica. Tuttavia, rimossero quasi tutto: i 70 corpi che vi si trovavano, gli oggetti funerari e le offerte che li accompagnavano, la maggior parte dei quali finì per scivolare più in basso nella grotta, ostruendo il sentiero che portava alla cavità (o come “souvenir” nelle case degli abitanti).

Nel 1867, un avvocato e archeologo di Almería, Manuel Góngora y Martínez, professore all’Università di Granada, si recò in città e recuperò il possibile, acquistandolo dalla gente del posto o estraendolo dalla grotta stessa per portarlo al Museo archeologico nazionale.

Ma non è tutto. Oggi, un secolo e mezzo dopo, un team di archeologi ha rinvenuto le più antiche tracce di tiro con l’arco in Europa nelle discariche della miniera fallita. Secondo un articolo pubblicato su Scientific Reports, hanno trovato frecce ancora con le piume e le punte in legno d’ulivo o corde di tendine intrecciate, una tecnica che gli arcieri moderni usano ancora.

Una scoperta a dir poco sensazionale

Abbiamo trovato una delle corde tra le rocce, dove venivano lanciati la maggior parte dei corpi“, ha affermato Ingrid Bertin, ricercatrice del Dipartimento di Preistoria dell’Università autonoma di Barcellona (UAB). L’altra era una di quelle conservate al Museo archeologico.
A prima vista, sembrano composte da fibre vegetali, “erba sparto, come molti altri oggetti ritrovati”, ma dopo un’analisi più dettagliata (con tecniche sofisticate come la spettrometria di massa o la spettroscopia a infrarossi a trasformata di Fourier) i ricercatori hanno scoperto che erano di origine animale. Alcune provenivano probabilmente da un capriolo, altri dal genere capra e i terzi tendini erano di un maiale domestico oppure di un cinghiale.

Hanno altresì notato che le due corde d’arco appartengono a epoche differenti.

La Cueva de los Murciélagos è stata utilizzata per più di 3.000 anni come luogo di sepoltura. Chi arrivava deponeva i propri morti a terra, insieme alle offerte funerarie, e li lasciava senza seppellirli.
Le corde d’arco analizzate non sono così distanti dal punto di vista cronologico, ma ha sorpreso il fatto che fossero realizzate con la stessa tecnica di torsione, nonostante l’impiego di varie specie e l’appartenenza a periodi diversi.

Raquel Piqué, autrice principale della ricerca e anche lei della UAB, ha notato: “il fatto che la tecnica di fabbricazione sia la stessa, sebbene la materia prima sia diversa, mostra una continuità nel modo di realizzare questi oggetti che, d’altra parte, sono molto simili ad altre corde che troviamo ancora oggi“. E ha aggiunto: “Questa tecnica di torsione delle fibre è la stessa che utilizziamo oggi, sebbene con altri materiali“.

Tra le punte di freccia trovate molte erano in legno, in particolare di olivo selvatico, un legno duro e denso come pochi altri. Per unire le diverse parti, i ricercatori hanno analizzato le estremità delle aste e delle punte di freccia che avevano ancora i resti nerastri di un materiale che si è rivelato essere catrame di betulla, un adesivo naturale. Secondo Bertin, lo avrebbero ottenuto cuocendo la corteccia dell’albero a fuoco lento.

I ricercatori hanno confermato che si trattava di valide frecce quando le hanno confrontate con le prestazioni di altre più recenti, come le repliche delle frecce di alcuni nativi americani, come gli Apache. “Abbiamo in sospeso il lavoro sperimentale, perché vogliamo replicarle e verificarne l’efficacia“, spiegano.

Hanno anche un altro compito che potrebbe rivelarsi rivoluzionario se avesse successo: per realizzare la colla che usavano per decorare le frecce, gli arcieri preistorici dovevano manipolare il catrame e i ricercatori sperano di trovare l’antico DNA di coloro che vi lavorarono.

Un mistero ancora da chiarire

A cosa servivano le frecce? “Non lo sappiamo“, ha ammesso Francisco Martínez Sevilla, archeologo dell’Università di Alcalá, responsabile del Progetto Murciélagos (MUTERMUR) e coautore della ricerca. Coloro che lasciarono i loro morti nella grotta erano neolitici, vivevano di agricoltura e allevamento. Sebbene cacciassero ancora, non era più quella la base della loro sussistenza. Quindi, avrebbero potuto utilizzare le frecce per la caccia, ma i ricercatori non escludono che venissero impiegate anche per la guerra. “Nel Levante, sebbene siano un po’ più antiche, vi sono pitture rupestri di violenza interpersonale“, ha affermato Piqué.

Ma la grotta serviva anche per un altro obiettivo, probabilmente simbolico. “Non vi sono tracce di sedimento, quindi coloro che arrivavano vedevano cosa avevano lasciato gli altri, e aggiungevano le loro cose, altri morti, altre offerte o altro“, ha continuato Piqué.

Purtroppo, la scoperta di una tiara d’oro da parte dei minatori ha fatto sì che avidità e povertà distruggessero la grotta. “Hanno usato ciò che si trovava all’interno della grotta, comprese le ossa, per riempire i sentieri che conducevano alla tiara“, ha ricordato Martínez Sevilla. Nonostante ciò, i ricercatori sono riusciti a recuperare altri oggetti che hanno gettato nuova luce sui primi abitanti neolitici della penisola iberica. Ma questa parte di storia della Bat Cave è ancora in fase di scrittura.

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Una scoperta sotto il Mar Baltico potrebbe riscrivere la storia

Nel cuore del Mar Baltico, al largo della Baia di Meclemburgo, vicino alla cittadina tedesca di Rerik, gli archeologi hanno portato alla luce una struttura straordinaria: un muro di pietra della lunghezza di circa 914 metri, risalente a oltre 10.000 anni fa. Battezzato “Blinkerwall”, l’antico muro sommerso giace a circa 21 metri di profondità ed è un enigma che potrebbe riscrivere la Storia delle prime comunità in Europa.

Le dimensioni e le caratteristiche della struttura

Il Blinkerwall è composto da circa 1.700 pietre, con una larghezza che raggiunge i 2 metri e un’altezza massima di quasi 1 metro. Costruito durante il Mesolitico (periodo compreso tra 10.000 e 8.500 anni fa) fu probabilmente abbandonato e sommerso quando l’innalzamento del livello del mare trasformò l’area in un fondale marino.

Le dimensioni impressionanti e la complessità del Blinkerwall sfidano le tradizionali convinzioni sugli stili di vita delle comunità preistoriche, spesso descritte come soltanto nomadi. La presenza di una struttura di così ampio respiro suggerisce, invece, una possibile organizzazione sociale più avanzata.

Un progetto per svelare i misteri del Blinkerwall

Un team di ricerca guidato dal Leibniz Institute for Baltic Sea Research di Warnemünde ha ottenuto un finanziamento di quasi un milione di euro per uno studio approfondito sul Blinkerwall. Il progetto, che si svolgerà tra il 2025 e il 2027, vede la collaborazione del Leibniz Center for Archaeology e delle università di Rostock e Kiel. Gli studiosi intendono indagare l’origine e il ruolo del muro nella vita delle società mesolitiche.

Una delle teorie più affascinanti è che il Blinkerwall fosse utilizzato come strumento per la caccia alle renne. Se confermata, l’ipotesi potrebbe rivoluzionare la comprensione del grado di stanzialità delle comunità di cacciatori-raccoglitori dell’epoca.

Un modello 3D per una visione dettagliata

Grazie alla moderna tecnologia, i ricercatori hanno già realizzato un modello 3D del Blinkerwall, che offre una visione dettagliata della struttura e permette di analizzarne nel dettaglio le peculiarità. Le analisi preliminari escludono che il muro sia il risultato di fattori naturali come correnti oceaniche o movimenti glaciali, a conferma dell’origine artificiale della costruzione.

Il modello 3D, oltre a essere uno strumento fondamentale per lo studio degli archeologi, consente di comunicare la portata della scoperta a una platea più ampia, contribuendo così a sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza della tutela del patrimonio sommerso.

Un passato più complesso del previsto

Il Blinkerwall getta una nuova luce sulla complessità delle civiltà europee preistoriche. La sua costruzione implica una conoscenza avanzata dell’ambiente, un’organizzazione sociale capace di pianificare grandi opere e una possibile tendenza alla stanzialità in epoche molto precedenti a quanto si pensasse.

La presenza di una struttura così grande e deliberata sfida le convinzioni tradizionali sulle società di cacciatori-raccoglitori, che si credevano completamente nomadi”, affermano i ricercatori.

Un invito a riscrivere la storia

Mentre gli studiosi si preparano a svelare i segreti del Blinkerwall, la scoperta rappresenta un invito a ripensare le attuali conoscenze sulle prime civiltà europee. La possibilità che comunità mesolitiche fossero più stanziali e complesse di quanto immaginato apre nuovi scenari sulla Preistoria e sulle capacità delle prime comunità di adattarsi e prosperare in ambienti in continua trasformazione.

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Scoperta una villa romana nel sud del Wiltshire, ecco i dettagli

Nel sud del Wiltshire, in Inghilterra, è stata scoperta una straordinaria villa romana risalente al periodo imperiale. Si tratta della prima villa romana di grandi dimensioni mai documentata nella Valle di Chalke. La scoperta è frutto di un progetto di scavo che ha visto la partecipazione di più di 60 volontari locali, coadiuvati dal Dr. David Roberts, docente senior presso l’Università di Cardiff, e da Teffont Archaeology. Il progetto è stato finanziato dal National Heritage Lottery Fund nell’ambito del Chase & Chalke Landscape Partnership Scheme.

La villa è stata trovata grazie all’intervento di metal detectoristi locali che, negli anni, avevano segnalato diversi reperti romani. Successivamente, il sito è stato oggetto di scavi archeologici, che hanno portato alla luce una serie di reperti di grande valore, tra cui mosaici, intonaci dipinti e strutture in pietra.

A seguito di questa straordinaria scoperta, il team di archeologi procederà con l’analisi dei reperti rinvenuti, che saranno conservati e studiati in dettaglio. Nel 2025, sono previste diverse conferenze pubbliche per presentare i risultati degli scavi e discutere con la comunità i dettagli delle scoperte. I volontari continueranno a essere coinvolti anche nel processo di archiviazione e conservazione dei reperti, grazie alla collaborazione con il Salisbury Museum. Ecco i dettagli.

La scoperta della villa romana in Inghilterra

La villa romana scoperta nel cuore del Regno Unito si estende per oltre 35 metri e include diverse strutture, ognuna delle quali serviva a scopi differenti. Tra le scoperte più rilevanti, vi è una grande vasca termale, tipica dei lussi romani, un fienile a più piani e una struttura con un pavimento in cemento, che potrebbe essere stata una piscina all’aperto. Questi edifici indicano che la villa non era solo una residenza, ma un vero e proprio centro di benessere e rappresentanza.

Tra i reperti più significativi, spiccano mosaici con motivi geometrici elaborati, che non solo adornavano le stanze, ma avevano anche lo scopo di mostrare la raffinatezza culturale della famiglia che abitava il sito. L’elevata qualità dei mosaici suggerisce che i proprietari della villa fossero una famiglia di alto rango sociale.

Inoltre, sono stati ritrovati dai volontari e dagli scavatori molti oggetti di alto valore, tra cui colonne in pietra, intagli in legno e vari tipi di arredi che mostrano chiaramente la ricchezza e il potere della famiglia romana che vi abitava. Il Dr. Denise Wilding, co-direttrice del progetto, ha sottolineato l’importanza di questi ritrovamenti, in quanto sono tra i pochi esempi di siti di alto status nell’area, una zona che non veniva scava da anni.

Il coinvolgimento della comunità locale

Una delle peculiarità di questo progetto è stato il coinvolgimento diretto della comunità locale. I volontari hanno avuto l’opportunità di lavorare al fianco di archeologi ed esperti, imparando le tecniche di scavo e analisi. Il manager del progetto, Rob Lloyd, ha evidenziato quanto queste attività abbiano avuto un impatto positivo sul benessere dei partecipanti, offrendo loro non solo una nuova comprensione del patrimonio storico, ma anche la possibilità di essere parte attiva nel processo di scoperta e conservazione.

Nel corso dell’estate, sono state offerte numerose opportunità di volontariato archeologico, che hanno permesso a centinaia di persone di partecipare agli scavi e di approfondire la conoscenza delle tecniche archeologiche. Questo coinvolgimento ha avuto un grande valore, contribuendo a sensibilizzare i residenti della zona sull’importanza di preservare e celebrare la storia locale.

Questa scoperta, dunque, non solo ha messo in luce un importante sito archeologico romano, ma ha anche dimostrato l’importanza della collaborazione tra professionisti e comunità locali nel preservare e valorizzare il patrimonio storico. Le attività di scavo continueranno, con l’obiettivo di garantire che questo sito straordinario venga protetto e studiato per le generazioni future.

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Asia Emirati Arabi mete storiche Notizie siti archeologici Viaggi

Scoperta una strana testa di argilla (e non solo) di 7500 anni fa

Bahra 1 è un sito archeologico che si sviluppa nella regione di Subiya (Kuwait) associato alla cultura Ubaid, che rappresenta un passaggio fondamentale verso le cosiddette “grandi organizzazioni” che egemonizzarono la Bassa Mesopotamia. Si tratta di uno dei primi insediamenti di questa cultura nella regione del Golfo Persico, dove nel corso degli anni sono state fatte importantissime scoperte archeologiche. Recentemente, infatti, è tornata alla luce una strana testa di argilla, insieme ad altri artefatti particolarmente interessanti.

Le nuove scoperte a Bahra 1

Dal 2009, una missione archeologica kuwaitiana-polacca nata dalla collaborazione tra il Consiglio nazionale della cultura, delle arti e delle lettere del Kuwait (NCCAL) e il centro polacco di archeologia mediterranea, Università di Varsavia (PCMA UW), conduce scavi archeologici presso il sito di Bahra 1.

Gli scavi effettuati nel corso degli anni hanno confermato che questo angolo del Kuwait può rivelare moltissime informazioni sugli scambi culturali tra le società neolitiche arabe e la cultura Ubaid.

In particolare, recenti ricerche hanno contribuito a fornire ulteriori informazioni grazie a una serie di scoperte davvero eccezionali: dal terreno è emersa una curiosa e bizzarra testa di argilla finemente lavorata, la prima del suo genere nella regione del Golfo, insieme a particolari ceramiche e un vaso di argilla non cotta, resti che hanno rivelato dati sorprendenti.

L’importanza (e i misteri) di questa scoperta

La particolarissima testa di argilla rivenuta in Kuwait si presenta con un cranio allungato, occhi obliqui e un naso piatto, caratteristiche piuttosto simili a quelle riscontrabili negli artefatti prodotti delle popolazioni della cultura Ubaid. Non a caso, opere di questo tipo sono state trovate sia in contesti funerari che domestici in Mesopotamia, ma per la prima volta anche presso il sito archeologico di Bahra 1.

A tal proposito il Professor Piotr Bieliński, responsabile per la Polonia della spedizione, ha dichiarato: “La sua presenza solleva domande intriganti sul suo scopo e sul valore simbolico, o forse rituale, che aveva per le persone di questa antica comunità”.

Non è di certo meno rilevante la scoperta delle ceramiche. Fin dall’inizio, infatti, gli scavi nel sito hanno portato alla luce due tipologie e lavorazioni di questo materiale: Ubaid, notoriamente importate dalla Mesopotamia, e Coarse Red Ware (CRW), riconducibili ai siti della penisola arabica.

Ceramiche Coarse Red Ware

Fonte: @Adam Oleksiak/ PCMA UW

Le meravigliose ceramiche Coarse Red Ware

Quest’ultimo tipo di ceramiche è stato a lungo descritto come prodotto localmente, nella regione del Golfo, ma i luoghi effettivi della sua produzione sono rimasti finora sconosciuti. Prove conclusive sono infine arrivate dal vaso di argilla non cotta che, dopo essere stato sottoposto ad analisi condotte sotto la direzione della Professoressa Anna Smogorzewska, ha confermato Bahra 1 come il più antico sito di produzione di ceramica conosciuto nel Golfo.

Ma non è tutto, perché la produzione locale di ceramiche ha anche aperto una finestra sulla storia ambientale della regione che può essere indagata attraverso analisi archeobotaniche, poiché i resti degli artefatti presentavano dei piccoli frammenti di piante che venivano spesso aggiunti all’argilla durante il processo di fabbricazione dei vasi: secondo il Dottor Roman Hovsepyan e la Professoressa Aldona Mueller-Bieniek, specialisti in archeobotanica, queste tracce potrebbero aiutare a identificare la flora locale della metà del VI millennio a.C.

I due team di ricerca impegnati a Bahra 1 si rimetteranno presto al lavoro per produrre ulteriori scoperte e approfondimenti sull’intersezione delle culture neolitiche arabe e mesopotamiche Ubaid.

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Africa Egitto itinerari culturali mete storiche Notizie siti archeologici Viaggi

Scoperta in Egitto la porta di un antico tempio dedicato al dio della fertilità maschile

Dal 2012 sono in corso gli scavi per riportare alla luce un distretto templare dell’antico Egitto, costruito tra il 144 a.C. e il 138 d.C. Ora gli archeologi hanno trovato un ingresso segreto in un tempio egizio risalente a circa 2.100 anni fa. Il portale, sul lato occidentale dello storico sito di Athribis vicino a Sohag, Egitto, originariamente era alto fino a 18 metri e rappresenta uno straordinario esempio di “pilone” egizio, in cui due torri fiancheggiano un ingresso principale.

L’ingresso conduce a una camera precedentemente sconosciuta, probabilmente un deposito per utensili e anfore, grandi contenitori ovali con due manici. Inoltre, iscrizioni geroglifiche e intricate incisioni adornano la facciata esterna e le pareti interne della camera. I ricercatori sono certi che la camera conduca a un tempio, anche se saranno necessari ulteriori scavi per dimostrarlo. “Questa scoperta è particolarmente significativa in quanto segna il primo passo nella scoperta degli elementi rimanenti del tempio” ha affermato il Ministero egiziano del turismo e delle antichità in un post su Facebook.

Tempio antico Egitto

Fonte: Ufficio stampa Ministry of Tourism and Antiquities

Antico tempio in Egitto

Il tempio di Athribis torna alla luce

Gli esperti pensano che la struttura sia stata costruita ad Athribis, un tempo una fiorente città egiziana, durante il II secolo a.C. All’epoca l’Egitto era governato dalla dinastia tolemaica, una casa reale che controllò l’Antico Egitto fino alla sua incorporazione nella Repubblica Romana nel 30 a.C. L’ingresso e la camera sono stati scoperti dai ricercatori dell’Università di Tubinga, supportati dal Ministero egiziano del turismo e delle antichità. Il dott. Mohamed Ismail Khaled, segretario generale del Consiglio supremo delle antichità, ha descritto la scoperta come “il primo nucleo per svelare il resto degli elementi del nuovo tempio nel sito“, secondo Asharq Al-Awsat.

La camera, lunga circa 6 metri e larga 3, ha un ingresso decorato con rilievi e iscrizioni geroglifiche appena scoperti. Le iscrizioni raffigurano il dio egizio della fertilità Min e sua moglie Repit, comunemente raffigurata come una leonessa, e il loro figlio, il dio bambino Kolanthes. In un’iscrizione, queste divinità egizie stanno ricevendo sacrifici da un re, che i ricercatori affermano essere Tolomeo VIII del II secolo a.C. I ricercatori quindi pensano che il tempio di Athribis sia stato costruito durante il regno di Tolomeo VIII (morto nel 116 a.C.) come centro di culto per la venerata famiglia. Le figure sono anche circondate da strutture di simboli astronomici che agiscono come “stelle celesti” per misurare le ore della notte.

Nel frattempo, una seconda porta sulla facciata del pilone conduce a una scala precedentemente sconosciuta che saliva per almeno quattro rampe fino al piano superiore, ma ora è stata distrutta. Ulteriori scavi al tempio di Athribis si concentreranno ora sulla ricerca di tracce del presunto tempio che si trova oltre la camera, probabilmente un luogo di rifugio per gli abitanti della città. “La missione completerà il suo lavoro sul sito per scoprire completamente il resto del tempio durante le prossime stagioni di cava“, ha affermato il Ministero del Turismo e delle Antichità nella sua dichiarazione.

Interno antico tempio Egitto

Fonte: Ufficio stampa Ministry of Tourism and Antiquities

Interno del tempio Athribis in Egitto

La dinastia tolemaica

Nel suo periodo di massimo splendore, si pensa che il tempio si estendesse per 51 metri di larghezza e avesse torri a piloni, ciascuna alta fino a 18 metri. Oggi, rimangono solo circa 5 metri delle torri, che caddero vittime delle cave, probabilmente nell’VIII secolo d.C. Sebbene Athribis fosse occupata durante le dinastie successive, l’antica città egizia non acquisì vero potere fino all’inizio del regno tolemaico. La dinastia tolemaica fu l’ultima dell’Egitto prima che diventasse parte della Repubblica romana, che precedette l’onnipotente Impero romano.

La dinastia fu fondata nel 305 a.C. dopo che Alessandro Magno di Macedonia conquistò l’Egitto nel 332 a.C. e uno dei suoi generali, Tolomeo, divenne Tolomeo I. La leadership fu tramandata attraverso i discendenti di Tolomeo e terminò con Cleopatra VII, una delle regine più famose della storia. Cleopatra VII, nota sia come seduttrice con una personalità accattivante, usò il suo fascino per sedurre Giulio Cesare per cementare l’alleanza dell’Egitto con Roma, sia per sedurre il suo secondo in comando, Marco Antonio, che sposò.

Con l’arrivo del futuro imperatore romano Augusto, Antonio si suicidò nel 30 a.C. con la falsa impressione che lei fosse morta. Dopo averlo seppellito, la trentanovenne Cleopatra si tolse la vita, anche se non si sa come. Si pensa che la coppia condannata sia stata sepolta insieme, anche se il luogo in cui riposano è ancora un mistero.

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La Cittadella di Amman: dove l’archeologia della Giordania diventa magia

Un luogo capace di essere una vera e propria sorpresa da visitare in inverno è la Giordania. Amman, la sua capitale, si rivela di sovente una città attiva e moderna, capace però di ricordare la propria storia e mostrarla come si fa con la migliore delle foto che si tiene in casa. Una  perla da scoprire ad Amman è la Cittadella: uno dei luoghi storici più importanti e significativi della Giordania.

Situata su una delle sette colline originarie di Amman, è conosciuta localmente come Jabal al-Qala’a. Quello che si può ammirare visitandola è un insieme affascinante di storia, archeologia e cultura testimoni di millenni di civiltà giordana. Oltre al suo essere preziosa, la Cittadella di Amman è anche un luogo chiave per ammirare dall’alto la stessa capitale e scattare foto incredibili.

La Storia della Cittadella

La Cittadella di Amman è abitata fin dal periodo neolitico. Questo dato storico la rende uno dei siti continuamente occupati più antichi del mondo. I principali resti visibili oggi risalgono alle epoche romana, bizantina e al periodo definito Omayyade, momento storico che va dal VII al VIII Secolo d.C. Oltre al fatto di trovare dei resti storici di alcuni momenti preponderanti, questo luogo potrebbe da solo raccontare tutta la storia passata della Giordania, grazie anche all’occupazione dell’area da parte di molte altre civiltà, tra cui ammoniti, assiri, babilonesi e persiani.

Durante il dominio romano, Amman (allora conosciuta come Filadelfia) era parte della Decapoli, un gruppo di dieci città-stato che prosperarono in Epoca Imperiale. La Cittadella era un simbolo di vita attiva e di luogo di incontro di genti e culture. Più tardi, sotto il dominio islamico omayyade, la Cittadella assunse anche un importante significato religioso.

La mano di Ercole nella Cittadella di Amman

Fonte: iStock

La celebre Mano di Ercole

Cosa vedere nella parte antica della Cittadella

Visitare la Cittadella durante un viaggio ad Amman è un’attività particolarmente apprezzata da parte di tutti quei viaggiatori che amano l’archeologia. Sono molte le cose sulle quali concentrarsi durante una giornata in quell’area. Se viaggi in inverno, ti sarà molto più facile goderti la vista ai resti storici della Cittadella: in questo momento dell’anno, il clima e la temperatura di Amman renderanno più affrontabile la tua visita, benché il freddo possa non mancare mai. In estate, infatti, risulta molto più difficile date le alte temperature. Su cosa concentrarsi?

  • Tempio di Ercole
    Questo imponente tempio risale al II secolo d.C. e, come è facile comprendere dal nome, è dedicato a Ercole. Di particolare interesse sono le enormi colonne corinzie ancora in piedi e i resti di una mano che, un tempo, apparteneva a una statua colossale di Ercole stesso. Data la misura di quella mano, quello che si pensa è che statua misurasse più di 12 metri d’altezza. Questo monumento è una delle testimonianze più significative del periodo romano della Giordania.
  • Palazzo Omayyade
    Risalente all’VIII secolo, questo palazzo è un esempio della raffinata architettura islamica. Il complesso comprende una sala di ricevimento, residenze e un’imponente cupola ricostruita. Gli archi e i dettagli decorativi mostrano l’influenza delle tradizioni artistiche persiane e bizantine integrate nella cultura islamica.
  • Chiesa Bizantina
    Situata accanto al Tempio di Ercole, questo antico luogo di culto risale al VI o VII secolo. Anche se oggi rimangono solo alcune colonne e basi in marmo, il sito è un esempio dell’importanza del cristianesimo in Giordania durante il periodo bizantino.
  • Museo Archeologico della Giordania
    All’interno della Cittadella, è presente un museo che raccoglie e custodisce molti dei tesori archeologici ritrovati nell’area della Cittadella stessa. Questo museo, infatti, ospita una collezione di reperti che vanno dal neolitico fino all’inizio dell’epoca islamica. Tra i tesori più celebri ci sono le famose statue di Ain Ghazal, risalenti a oltre 9.000 anni fa, che rappresentano alcune delle sculture antropomorfe più antiche del mondo.
  • Mura Fortificate
    Come ogni cittadella che si rispetti, anche quella di Amman è chiamata così perché presenta, ancora al giorno d’oggi, alcuni elementi di difesa militare come, per esempio, delle grandi mura. Esse racchiudono l’intero complesso archeologico e risalgono a diversi periodi storici, mostrando le stratificazioni culturali del sito.
  • Un panorama indimenticabile
    Oltre ai monumenti, la Cittadella è uno dei luoghi che offre la migliore vista su Amman. La città si mostra, guardandola da là, con le sue caratteristiche case bianche che si susseguono fino a occupare le colline circostanti. Questo luogo è particolarmente suggestivo al tramonto, quando la città entra in quella che potremmo definire la Golden Hour e tutto sembra dipinto d’oro.

Come raggiungere la Cittadella di Amman

La Cittadella è facilmente raggiungibile dal centro di Amman, con mezzi di trasporto differenti, a seconda di come preferisci spostarti.

Amman è una città in cui i taxi non mancano e i prezzi vanno concordati col guidatore, a seconda della destinazione. Solitamente il viaggio dura circa un quarto d’ora e si possono usare anche i taxi prenotabili tramite le più diffuse app che coprono questo servizio. Ti potrebbero essere molto utile durante la tua vacanza in Giordania, perché semplificano le comunicazioni con gli autisti.

Non c’è una linea di autobus diretta verso la Cittadella di Amman ma, in città, sono disponibili dei minibus il cui itinerario va sempre concordato. Il viaggio può durare di più di quello di un taxi e potrebbe risultare più scomodo per la presenza di altri viaggiatori e la necessità di altre fermate.

Se ami camminare, sappi che è possibile seguire un itinerario da fare a piedi che, dal Teatro Romano di Amman, porta dritto alla Cittadella. Il percorso si copre in circa una mezz’ora, a seconda del tuo allenamento. Tieni conto che gran parte della strada sarà in salita: indossa scarpe e abbigliamento adeguati.

Organizzare la visita alla Cittadella di Amman

Fonte: iStock

Le rovine della Cittadella

Orari e costi per visitare la Cittadella di Amman

Questo sito archeologico giordano è aperto tutti i giorni e può essere visitato con orari leggermente diversi tra estate e inverno:

  • Inverno (ottobre-marzo): dalle 8 alle 17
  • Estate (aprile-settembre): dalle 8 alle 19

L’ora del tramonto è sempre molto gettonata ma anche il mattino presto ha il suo perché. Informati bene su eventuali chiusure anticipate, nel caso la tua visita si svolgesse di venerdì, ovvero nel giorno preposto per la preghiera dei musulmani. Lo stesso vale per le festività islamiche: controlla bene il calendario.

Per quanto riguarda i costi, infine, l’ingresso alla Cittadella di Amman costa circa 4€ per i viaggiatori che non risiedono in Giordania. Questa attrazione culturale è inclusa nel Jordan Pass, una tessera turistica che include le più importanti attrazioni di tutta la Giordania come, per esempio, il Wadi Rhum.

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Scoperta in Belize, canali per la pesca utilizzati dai predecessori dei Maya

Una sorprendente scoperta archeologica ha fatto luce su una rete di canali di terra risalenti a 4.000 anni fa, trovata nella regione del Belize, che testimonia l’ingegno dei predecessori dei Maya. Grazie all’utilizzo di tecnologie moderne come i droni e le immagini di Google Earth, gli archeologi sono riusciti a rilevare una struttura che rivela un aspetto fondamentale della vita quotidiana di queste antiche popolazioni: la pesca.

I canali, utilizzati per la cattura di pesci d’acqua dolce, offrono uno spunto interessante non solo per comprendere le abitudini alimentari di quei popoli, ma anche per tracciare una continuità culturale che si estende fino ai Maya. Vediamo nel dettaglio quali nuovi legami fa emergere la scoperta tra la civiltà Maya e i popoli predecessori.

Una rete di canali antichi in Belize

La scoperta è avvenuta nella zona umida del Belize, all’interno del santuario naturale di Crooked Tree, dove gli archeologi hanno identificato una rete di canali di terra antichi, progettati per raccogliere e canalizzare l’acqua dolce. I canali, che si estendono per chilometri attraverso le zone umide, sono stati costruiti dai popoli semi-nomadi che abitavano la pianura costiera dello Yucatán circa 4.000 anni fa, un’epoca ben precedente all’ascesa della civiltà Maya.

L’importanza della scoperta risiede nel fatto che questi canali sono stati utilizzati per raccogliere e trattenere pesci, in particolare specie come il pesce gatto, grazie a una serie di vasche di contenimento. La rete idrica non solo serviva per la pesca, ma rappresentava anche una soluzione ingegnosa per diversificare la dieta e supportare una popolazione in crescita.

Le immagini aeree, ottenute tramite l’uso di droni e tecnologie avanzate, sono state determinanti per la localizzazione e lo studio di questi canali. Come sottolineato dalla coautrice dello studio, Eleanor Harrison-Buck, dell’Università del New Hampshire, le immagini aeree hanno permesso di identificare un “pattern distintivo” di canali a zig-zag che si estendevano attraverso la vegetazione, testimoniando un intervento umano sofisticato nel paesaggio naturale.

Scavi, Belize, Maya

Fonte: Eleanor Harrison-Buck et al.

Mappa che mostra i canali lineari, le vasche e i siti archeologici della scoperta

Questa rete di canali è significativa non solo per la sua funzione pratica, ma anche per il suo impatto sulla storia culturale dei Maya. Secondo gli studiosi, questi canali potrebbero aver avuto un ruolo fondamentale nel preparare il terreno per la nascita della civiltà Maya, che emerse nella stessa regione secoli dopo. Durante il periodo formativo, quando i Maya cominciarono a stabilirsi in villaggi agricoli e a sviluppare una cultura distintiva, la gestione delle risorse naturali, come l’acqua e la pesca, divenne cruciale. La scoperta dei canali, quindi, suggerisce una continuità culturale che si estende dal periodo pre-Maya fino alla costruzione delle piramidi e degli altri monumenti imponenti che caratterizzano la civiltà Maya.

L’archeologo Claire Ebert dell’Università di Pittsburgh, che non ha partecipato direttamente allo studio, ha dichiarato che la scoperta di modifiche su larga scala del paesaggio in un periodo così antico “mostra che le persone stavano già costruendo cose” e modificando l’ambiente per soddisfare i propri bisogni. Sebbene i Maya siano più noti per le loro imponenti piramidi, templi e per il loro sistema avanzato di scrittura, questa nuova ricerca offre uno spunto per riconsiderare le origini della civiltà Maya, suggerendo che la loro capacità di costruire grandi strutture potrebbe avere radici nelle tecniche e nelle pratiche quotidiane adottate dalle popolazioni precedenti.

In un contesto più pratico, i canali per la pesca hanno avuto un ruolo chiave nel sostenere una popolazione in crescita. La possibilità di accumulare risorse naturali come il pesce ha permesso ai gruppi semi-nomadi di sopravvivere e prosperare, ponendo le basi per la successiva espansione delle popolazioni e per la formazione di villaggi stabili. Gli archeologi suggeriscono che questi canali siano stati utilizzati per un periodo di circa 1.000 anni, rendendo questi antichi sistemi una parte essenziale della vita quotidiana nel periodo pre-Maya.

Inoltre, un altro importante aspetto della scoperta riguarda i sistemi di pesca utilizzati. Tra gli artefatti trovati nelle vicinanze dei canali, sono state identificate punte di lancia con bordi seghettati, che probabilmente venivano legate a bastoni per catturare i pesci. Questi strumenti suggeriscono che la pesca era un’attività non solo importante, ma anche altamente specializzata, che richiedeva tecniche e attrezzi adeguati.

Un capitolo in più nella storia dei Maya

Questa scoperta contribuisce a una comprensione più completa delle civiltà che hanno preceduto i Maya e ne getta nuova luce sulle pratiche quotidiane che hanno formato le basi della cultura Maya. Sebbene i canali per la pesca siano solo una parte di una più ampia narrazione sulla civiltà pre-Maya, offrono un importante legame con la successiva evoluzione culturale e sociale. Questa rete di canali, che segna un’incredibile capacità di ingegneria e di adattamento al territorio, ha permesso a queste antiche popolazioni di prosperare in un ambiente che altrimenti sarebbe stato difficile da sfruttare.

Il legame tra queste antiche pratiche e la grandiosa civiltà Maya ci invita a riflettere su quanto siano state fondamentali le innovazioni quotidiane per lo sviluppo di una delle culture più avanzate dell’antichità. In definitiva, questa scoperta non solo arricchisce la nostra comprensione della storia precolombiana, ma ci ricorda anche che, a volte, i grandi progressi della storia hanno radici nei gesti più semplici e quotidiani.

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È stata scoperta la più antica forma di alfabeto che si conosca

La storia della scrittura potrebbe essere destinata a cambiare radicalmente grazie a una scoperta archeologica avvenuta recentemente in Siria. Durante uno scavo nell’antica città di Umm El-Marra, un team di ricercatori della Johns Hopkins University, guidato dal professor Glenn Schwartz, ha rinvenuto dei frammenti di cilindri contenenti segni che sembrano essere i più antichi esempi conosciuti di scrittura alfabetica, risalenti addirittura al 2400 a.C.

Questo ritrovamento sposta la datazione delle prime testimonianze di scrittura alfabetica di ben 500 anni indietro rispetto alle attuali evidenze, che indicano come i primi esempi di scrittura alfabetica siano risalenti al 1800 a.C. in Egitto. Vediamo nel dettaglio come è avvenuta la scoperta e quali novità porta con sé.

La scoperta nella tomba di Umm El-Marra

L’importanza di questa scoperta è tanto più significativa considerando che il sito di Umm El-Marra, situato nel nord-ovest della Siria, è noto per aver ospitato una delle civiltà più antiche della regione, risalente alla prima età del bronzo.

Durante gli scavi, i ricercatori hanno portato alla luce una tomba straordinariamente ben conservata contenente sei scheletri, oltre a gioielli in oro e argento, vasi in ceramica, e una punta di diamante, tutti databili al 2400 a.C. Ma la vera sorpresa sono stati quattro cilindri di dimensioni ridotte, simili a un dito, su cui erano incisi dei segni misteriosi che potrebbero rappresentare i primi esempi di scrittura alfabetica.

Questa scoperta invita a riconsiderare l’origine della scrittura alfabetica e il contesto in cui è nata. Se questi segni risalgono veramente al 2400 a.C., allora è possibile che l’alfabeto non sia stato un’invenzione esclusiva delle civiltà dell’Egitto o della Mesopotamia, ma che fosse già in uso in altre regioni del Medio Oriente. L’introduzione dell’alfabeto ha avuto un impatto enorme sulla cultura e società umana, cambiando il modo in cui le persone comunicavano e pensavano. Il fatto che questo sistema possa essere più antico di quanto creduto finora potrebbe rivelare nuovi dettagli sulla storia delle prime civiltà del Vicino Oriente.

Se i segni ritrovati a Umm El-Marra dovessero davvero essere confermati come scrittura alfabetica, i libri di storia dovranno essere aggiornati, e il concetto di “scrittura” dovrà essere riconsiderato alla luce di nuovi ritrovamenti. La scoperta non solo sfida le conoscenze precedenti, ma offre anche un affascinante spunto di riflessione sulle prime forme di comunicazione umana e sul loro impatto sullo sviluppo delle società antiche. L’invenzione della scrittura alfabetica, infatti, ha segnato una rivoluzione culturale che ha cambiato per sempre il corso della storia.

L’alfabeto: una rivoluzione culturale

L’alfabeto è una delle invenzioni più significative della storia umana, poiché ha permesso di comunicare in modo più semplice e veloce rispetto ad altri sistemi complessi di scrittura, come i geroglifici o i cuneiformi. Le prime forme conosciute di scrittura alfabetica risalivano fino a oggi all’Egitto centrale, intorno al 1800 a.C., e si trattava di alcuni graffiti incisi su pietra. Ma la scoperta in Siria potrebbe riscrivere questa cronologia.

I cilindri trovati a Umm El-Marra potrebbero, infatti, appartenere a una scrittura alfabetica primitiva, un sistema di simboli che potrebbe essere stato utilizzato per etichettare contenitori e vasi, come suggerisce lo stesso Schwartz. Gli archeologi ipotizzano che i fori visibili sui cilindri potrebbero essere stati usati per legarli o appenderli ai contenitori, come etichette per identificarne il contenuto.

La difficoltà principale per gli archeologi è la decifrazione dei segni trovati. Al momento, infatti, non ci sono abbastanza strumenti o dati per tradurre con certezza i testi incisi sui cilindri. Nonostante ciò, l’importanza di questi ritrovamenti non può essere sottovalutata. Se davvero questi segni sono alfabetici, la scoperta rappresenterebbe una testimonianza di una tradizione scrittoria completamente diversa da quelle finora conosciute e aprirebbe dunque scenari nuovi sulla nascita della scrittura e sulle popolazioni che la utilizzavano.

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La grande mostra su Cleopatra ai Musei Reali di Torino

Cleopatra, l’ultima regina d’Egitto, continua a esercitare un fascino senza tempo. La sua figura complessa e magnetica ha attraversato secoli, ispirando scrittori, artisti e registi. Da William Shakespeare a Théophile Gautier, fino a Elizabeth Taylor e Monica Bellucci, Cleopatra è diventata simbolo di potere, bellezza e mistero. In occasione dei 300 anni del Museo di Antichità (1724-2024), i Musei Reali di Torino dedicano a questo straordinario personaggio la mostra dossier “Cleopatra. La donna, la regina, il mito”, ospitata dal 23 novembre al 23 marzo 2025 nello Spazio Scoperte della Galleria Sabauda.

Curata da Annamaria Bava ed Elisa Panero, l’esposizione offre un viaggio coinvolgente che ripercorre oltre duemila anni di storia e mito. Lungo il percorso, Cleopatra viene raccontata come figura storica e come icona leggendaria, attraverso opere d’arte, manufatti archeologici, documenti cinematografici e molto altro.

“Sono esposte una quarantina di opere, in parte conservate nei nostri depositi dei Musei Reali e di Palazzo Madama a Torino, ma anche provenienti da varie collezioni pubbliche e private, – spiega la curatrice Elisa Panero, – tra cui i Musei Capitolini, la Centrale Montemartini, le Gallerie Nazionali di Palazzo Barberini e Galleria Corsini di Roma, la Soprintendenza del Molise, la Pinacoteca di Brera di Milano, che delineano un viaggio a tutti gli effetti nella storia.

Ma al tempo stesso si tratta di un viaggio nel mito, quello creato da Cleopatra stessa, quando era ancora in vita, e quello generato dopo la sua morte, proprio in ragione della sua scelta di morte con il serpente, per non essere condotta come schiava a Roma, che ne ha fatto un vero e proprio simbolo.”

Cinque aree tematiche per scoprire Cleopatra

L’esposizione, articolata in cinque sezioni tematiche che svelano diversi aspetti della vita, del regno e del mito di Cleopatra, si apre con un quadro storico che inquadra Cleopatra VII (51-30 a.C.), ultima sovrana della dinastia tolemaica. L’Egitto ellenizzato del suo tempo, crocevia di civiltà e innovazioni, vive sotto il regno di Cleopatra un’epoca di sviluppo economico e culturale, consolidando la propria posizione di rilievo nel Mediterraneo.

Tra i capolavori esposti spicca la Testa di fanciulla c.d. di Cleopatra, una scultura in marmo bianco risalente al I secolo a.C., appartenente alle collezioni del Museo di Antichità. I suoi tratti raffinati e la particolare acconciatura rimandano direttamente all’iconografia della celebre regina. Accanto ad essa, sculture e reperti archeologici dialogano con dipinti, incisioni, documenti cinematografici e opere grafiche che hanno immortalato Cleopatra nel corso dei secoli.

Mostra Cleopatra ai Musei Reali Torino

Fonte: MG Casella

Mostra Cleopatra ai Musei Reali Torino

Il fascino della regina che sfidò Roma

Una sezione particolarmente suggestiva è “Cleopatra: la regina che sfidò Roma”, che esplora il ruolo politico e diplomatico della sovrana e i suoi legami con figure storiche di spicco come Giulio Cesare, Marco Antonio e Ottaviano Augusto. Tra i pezzi esposti, la Testa di Giulio Cesare da Tusculum dei Musei Reali, considerata uno dei ritratti più realistici del dittatore romano, e sculture di Marco Antonio e Ottaviano, in prestito da altre prestigiose istituzioni.

Questa sezione racconta non solo il lato politico, ma anche l’aspetto umano e visionario della regina. Cleopatra emerge non solo come una donna di potere, ma anche come un’abile stratega capace di promuovere riforme, tra cui una significativa revisione del sistema monetario che contribuì alla prosperità dell’Egitto.

L’origine del mito di Cleopatra

La mostra analizza come il mito di Cleopatra abbia iniziato a prendere forma già durante la sua vita, intrecciandosi con l’immagine della dea Iside, un accostamento che ne amplificò l’aura divina e la rese oggetto di culto. Questo legame divino si riflette nelle opere rinascimentali e barocche, che ritraggono la regina come una figura tragica e seducente.

Nel Rinascimento, la sua immagine iniziò a prendere piede nell’arte occidentale, come dimostra una raffinata incisione di Marcantonio Raimondi, nata dalla collaborazione con Raffaello. Mentre tra Seicento e Settecento Cleopatra viene spesso raffigurata nel momento della sua morte con il serpente, simbolo di sacrificio e potere.

Come testimoniano i dipinti di Giovanni Giacomo Sementi (1625-1626) della Galleria Sabauda o di Giovanni Lanfranco (1630) delle Gallerie Nazionali di Roma. Particolarmente intrigante è il dipinto di Elisabetta Sirani, che raffigura Cleopatra mentre dissolve un prezioso orecchino in una coppa di aceto, un gesto emblematico della sua opulenza e astuzia politica, che esalta la sua capacità di sorprendere e affascinare.

Dall’esoterismo a icona pop

Nell’Ottocento, Cleopatra divenne musa per composizioni di gusto orientaleggiante, come il dipinto dall’atmosfera misteriosa di Anatolio Scifoni (1869), che ritrae l’incontro tra la regina e una maga e accompagna verso il termine del percorso espositivo. Che si conclude con un omaggio alla Cleopatra pop, esplorando la sua fortuna nel cinema, nella musica e nella cultura di massa con dischi, fumetti, giochi da tavolo.

Da locandine cinematografiche a spezzoni di film, si ripercorre l’evoluzione dell’immagine della regina, dall’epoca del muto alla celebre interpretazione di Elizabeth Taylor nel colossal di Joseph Mankiewicz (1963) fino alla versione ironica di Monica Bellucci in Asterix & Obelix – Missione Cleopatra (2002), passando per pellicole comiche italiane come Due notti con Cleopatra (1954) con Sofia Loren e Alberto Sordi, e il divertente Totò e Cleopatra (1963). Film che testimoniano come la regina d’Egitto continui tuttora a influenzare l’immaginario collettivo.

La mostra è un’occasione per immergersi nella storia e nella leggenda di una delle figure più enigmatiche e influenti di tutti i tempi. Un evento che attraverso un dialogo tra archeologia, arte e cultura pop, induce a riflettere sul fascino eterno esercitato dal suo mito nel corso dei secoli, che dopo duemila anni continua a far parlare di sè.

Info utili

“Cleopatra. La donna, la regina, il mito” è visitabile nello Spazio Scoperte della Galleria Sabauda di Torino (ingresso da piazzetta Reale 1) fino al 23 marzo 2025, orario 9-19.

Ingresso compreso nel biglietto dei Musei Reali, intero € 15, ridotto € 2 (ragazzi dai 18 ai 25 anni), gratuito per minori di 18 anni.
La mostra sarà accompagnata da un ciclo di incontri, da dicembre 2024 a marzo 2025, per approfondire le tematiche legate alle opere in esposizione e conoscere meglio la donna e il mito che hanno fatto la storia.