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Anche in Italia ci sono le piramidi: viaggio nel mistero

Quando si parla di piramidi, il pensiero vola subito all’Egitto: è qui, nella splendida Valle del Nilo, che si trovano alcuni dei più grandi (e magici) capolavori dell’umanità. Eppure, per vivere questa magia non c’è bisogno di andare molto lontano. Sebbene in molti non lo sappiano, anche l’Italia ha le sue piramidi. Scopriamo quali sono, in un viaggio all’insegna del mistero.

Piramidi d’Italia, dove si trovano

Le tre celebri Piramidi di Giza hanno sempre rappresentato un grande mistero su cui sono state fatte decine di ipotesi. Ma sono ancora tra le più suggestive meraviglie in grado di incantare milioni di persone provenienti da ogni angolo del mondo. E se vi dicessimo che tre piramidi del genere sono esistite (e in alcuni casi ancora esistono) anche in Italia? Sono quelle di Montevecchia, individuate solamente nel 2001 nel cuore del Parco del Curone, durante una ricognizione aerea. Insomma, a pochi chilometri da Milano possiamo ammirare uno spettacolo unico – o quasi – al mondo.

Si tratta di tre colline piramidali, rimaste per secoli nascoste da una fitta vegetazione, ma ora riemerse in tutta la loro bellezza. Costruite a gradoni, sono state modellate nella roccia calcarea, così caratteristica della zona. Sulla loro natura aleggia ancora il mistero: è possibile che siano nate per motivi astronomici e sacrali. E, sebbene nelle dimensioni siano diverse dalle Piramidi di Giza, ne mantengono la disposizione e l’orientamento astronomico: proprio come le “sorelle” più famose, sono perfettamente allineate con le tre stelle della cintura di Orione.

Ma le piramidi di Montevecchia non sono le uniche rinvenute nel nostro Paese. Una abbastanza conosciuta è quella situata a Roma, tra le Mura Aureliane e Porta San Paolo: secondo quanto emerso da un’iscrizione, sarebbe stata costruita come mausoleo per un prestigioso membro di un antico collegio religioso. E anche in questo caso vi sarebbero state due piramidi vicine, che sarebbero però andate distrutte nel corso dei secoli. Altre tre colline a forma piramidale sono state rinvenute a Cividale del Friuli – e sì, anche queste sono allineate con la cintura di Orione.

Il mistero delle piramidi italiane

Tante, e sparse in tutta Italia, sono le piramidi che possiamo ammirare senza dover lasciare il nostro Paese. Ad esempio, alle pendici dell’Etna sono state trovate tante piccole costruzioni a gradoni, lavorate con pietra lavica e poggianti su base quadrata o rettangolare. Impossibile carpire il loro significato, almeno per il momento. E che dire di quelle emerse in Sardegna? Presso Monte d’Accodi gli studiosi ne hanno individuata una simile a quelle mesopotamiche, risalente probabilmente a circa 4000 anni fa. Mentre nel Sinis c’è persino una statua che ricorderebbe la Sfinge della piana di Giza.

Nel Mugello, sono invece state trovate le piramidi di Pontassieve: anche in questo caso sono tre costruzioni simili a quelle egiziane. Mentre in Emilia Romagna è emersa la piramide di Vessallo, di circa 40 metri d’altezza: nei suoi pressi vi sono anche diversi fossili. Da Nord a Sud, tutta la nostra penisola è disseminata di splendide piramidi. E su di loro aleggia il mistero più assoluto. Per questo motivo continuano ad essere studiate, nella speranza di poterne carpire i segreti.

Piramide Roma

La piramide di Roma

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I misteri di Torino, città della magia nera (e bianca)

L’antica Capitale d’Italia nasconde ancora molti segreti. A Torino, infatti, ci sono diversi luoghi che l’hanno resa, a dir di molti, una “città magica”. Molte tradizioni e spazi del Capoluogo piemontese risultano ancora oggi essere legati alla superstizione, all’alchimia, alla massoneria e persino all’occultismo.

La sua fama risale ai tempi dei romani. Fondata nel 28 a.C. per volere di Augusto, Augusta Taurinorum, fu eretta a presidio del confine dell’Impero. All’epoca la città era divisa in una zona Est, quella dove sorge il Sole e che indicava il lato benigno del territorio, e una zona Ovest, quella dove tramonta il Sole e nascono le tenebre e dove venivano sepolti i morti e crocifissi i condannati.

Ancora oggi, piazze, portoni e palazzi riportano evidenti simboli esoterici, mentre antiche leggende parlano di misteriose gallerie sotterranee, di potenti reliquie, come la Santa Sindone custodita nella Cattedrale e il Sacro Graal. Inoltre, la città sarebbe al centro di due triangoli: uno di magia nera, legato alla sfortuna, e uno di magia bianca ovvero con luoghi portafortuna.

I luoghi della magia nera a Torino

Piazza Statuto è un luogo considerato negativo, in quanto coincide con il vertice del triangolo di magia nera di cui la città farebbe parte, insieme a San Francisco e a Londra. Pare che gli antichi romani avessero collocato in questa zona della città la necropoli e la vallis occisorum ovvero il patibolo dove venivano giustiziati i criminali. Ad aggiungere caratteristiche negative a questo luogo ci pensa poi lo snodo centrale delle fognature posto al centro della piazza che, nell’antichità, venivano chiamate “cloache” ossia “bocche dell’inferno”. Il monumento più famoso di questa piazza, la Fontana del Traforo del Frejus, pare sia suscettibile di un’interpretazione diversa dalla versione tradizionale, che vuole che questo monumento sia un omaggio ai minatori caduti duranti i lavori del traforo: per gli illuminati il Genio alato rappresentato in cima è la personificazione di Lucifero, che guida le forze dell’oscurità, guardando con aria di sfida le forze benigne, ossia l’oriente, simbolo di luce e nascita. Inoltre, in precedenza sulla sua testa era collocata una stella a cinque punte che poi fu rimossa: forse un terzo occhio? Infine, nella piazza si trova anche l’obelisco geodetico, che sta a indicare il passaggio del 45° parallelo che, per gli esperti di magia, indica il centro delle potenze maligne della città.

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La Fontana del Traforo del Frejus a Torino

In via Lascaris in passato c’era una Loggia Massonica. Alla base del palazzo, oggi sede di una banca, si trovano delle strane fessure a forma di occhi, che dovevano essere dei punti di sfiato o di illuminazione per i locali nel sottosuolo. Negli anni, a causa della loro strana forma, si è diffusa la credenza che si tratti degli occhi del diavolo.

Palazzo Trucchi di Levaldigi, in via XX Settembre, presenta un batacchio centrale che raffigura il demone con due serpenti mentre scruta chiunque bussi alla porta. Per questo è meglio conosciuto come il Portone del Diavolo, un luogo che sarebbe carico di energia negativa e attorno al quale si narrano tante leggende. Quella più inquietante è sicuramente la storia dell’origine del portone: molti raccontano che questo sia comparso improvvisamente in una notte, durante la quale un apprendista stregone invocò inutilmente Satana, che lo imprigionò per sempre dietro la porta.  Ad avvalorare l’ipotesi, misteriosi omicidi e sparizioni. Una su tutte, la storia del Maggiore Melchiorre Du Perril scomparso al suo interno nel 1817 e ritrovato vent’anni dopo, murato tra due pareti.

Tra corso Regina Margherita e corso Valdocco, vicino all’antica prigione in via Corte d’Appello, si trovava il patibolo dove venivano uccisi i condannati a morte fino al 1863. Si tratta di un luogo che è da sempre stato legato alla morte e alle tenebre e quindi entrato di diritto nella lista dei luoghi della magia nera di Torino.

I luoghi della magia bianca a Torino

Tra i monumenti più famosi di Torino c’è la Mole Antonelliana. Vero simbolo della città, è l’opera più conosciuta dell’architetto Antonelli. La Mole è uno dei simboli esoterici di magia bianca del Capoluogo piemontese. Secondo gli esperti di esoterismo, sarebbe un’enorme antenna che irradia l’energia positiva presa dal sottosuolo di tipo maschile (quella femminile è invece collegata alla Gran Madre) in grado di fare da equilibratore. Una leggenda che riguarda la Mole vuole che custodisca il Sacro Graal, in quanto la statua della Fede davanti alla Gran Madre avrebbe lo sguardo rivolto proprio verso l’edificio. Inoltre, la Mole rappresenta uno dei tanti simboli massonici italici, infatti Alessandro Antonelli, l’architetto che ne iniziò la costruzione nel 1863, era un massone.

Torino misteriosa

La Mole., simbolo di Torino

La Gran Madre è una delle chiese più belle della città ed è considerata come un forte punto di magia bianca. Si dice che anche qui sia sepolto il Sacro Graal. A sostegno di questa teoria contribuiscono le due statue poste davanti alla chiesa: una di queste rappresenta la religione, l’altra invece incarna la fede, in quanto regge una coppa (che simboleggia appunto il Sacro Graal). Si dice che lo sguardo della prima indichi il percorso da seguire per trovarlo (forse alla Mole Antonelliana, ma potrebbero anche essere il Palazzo di Città o Moncalieri, nel Medioevo frequentata dai Templari). Infine, c’è da considerare il nome inusuale per un luogo di culto cristiano, in quanto evoca una pagana Grande Madre, intesa come madre di tutti i viventi, alla base di tutti i culti misterici dell’antichità.

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La Chiesa Gran Madre a Torino

Piazza Castello sarebbe un altro dei luoghi legati alla magia bianca torinese e, nello specifico, il punto in cui sorge la Fontana dei Tritoni del Palazzo Reale, l’epicentro dell’energia positiva della città. Là dove sorge il palazzo, infatti, segna il confine tra la città bianca e quella nera. In particolare, il cancello del palazzo, con le due statue dei Dioscuri, indicherebbe proprio il confine che separa la zona Est da quella Ovest.

Nella Fontana Angelica di piazza Solferino sono raffigurate due figure femminili che rappresentano allegoricamente la Primavera e l’Estate e due figure maschili, l’Autunno e l’Inverno. L’Inverno volge lo sguardo verso Est, dove sorge il Sole, simbolo di energia positiva. L’acqua che viene versata dagli otri (che rappresentano i segni zodiacali dell’Acquario e dell’Ariete) rappresenta la conoscenza data agli uomini, una simbologia fortemente positivista.

Qui la magia bianca incontra la magia nera

Il Museo Egizio, secondo per importanza dopo quello del Cairo, ha una grande importanza per gli esperti di magia bianca e nera. Sembra proprio che il museo custodisca numerosi oggetti dotati di cariche sia positive sia negative, divenendo così un enorme campo energetico di forze della luce e delle tenebre. Tra gli oggetti a cui sono attribuite le cariche negative ci sono sicuramente quelli del Faraone Tutankamon (di cui è esposto un solo reperto, mentre gli altri sono conservati nei sotterranei) e la piccola testa mummificata del malefico Seth, fratello e assassino di Osiride, dio dei morti e dell’oltretomba.

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Sigiriya: la leggenda dell’antica fortezza costruita sulla roccia

In un posto tanto lontano, quanto meraviglioso e suggestivo, esiste una fortezza costruita su una roccia, e in essa incastonata, che è considerata l’ottava meraviglia del mondo. Stiamo parlando dell’enigmatica e straordinaria Sigiriya, la reggia dello Sri Lanka, sospesa tra terra e cielo e tra realtà e leggende.

Situata su una collina vulcanica ad un’altezza che sfiora i 370 metri, la fortezza, completamente scolpita nella pietra, è stata riconosciuta nel 1982 come Patrimonio dell’Umanità da parte dell’Unesco. In ogni periodo dell’anno, qui, si recano migliaia di viaggiatori provenienti da tutto il mondo.

L’impatto visivo è quasi devastante: la fortezza emerge prepotentemente dalla natura incontaminata dello Sri Lanka per stagliarsi contro il cielo. Ma è solo avvicinandosi, passo dopo passo, che ci si rende conto della complessità, apparentemente inspiegabile, di una delle più incantate meraviglie del nostro Pianeta.

Sigiriya

Sigiriya

Sigiriya: tra realtà e leggende

Situata nel Distretto di Matale, nelle vicinanze di Dambullain, la fortezza costruita su una roccia vulcanica che possiamo vedere oggi è fatta risalire al V secolo d.C, tuttavia secondo gli storici e gli archeologici le sue origini affondano le radici in epoche ben più antiche. È probabile che le popolazioni antiche abitassero o utilizzassero questa altura già 10000 anni fa.

La costruzione è fatta risalire alla volontà del re Kasyapa che scelse proprio l’ammasso magmatico per costruire la sede del suo intero, una reggia naturale contraddistinta da giardini, affreschi e disegni scolpiti nella roccia. La storia vuole che per insidiarsi nel regno, il re uccise suo padre e bandì suo fratello per poi ergere il suo straordinario palazzo.

Ma la scia di sangue collegata a questo regno non era destinata a finire. Secondo la storia, infatti, a seguito di un’invasione il sovrano si suicidò e la montagna vulcanica fu restituita ai monaci buddisti che ci abitavano prima che questo si insediasse, gli stessi che l’abitarono, secondo le fonti, fino al XIV secolo.

La storia potrebbe finire qui ed esaudire così la curiosità di molti di noi, ma la verità è che questa narrazione non spiega la complessità dell’intera fortezza. Attraversando la fortezza, infatti, è impossibile non notare tutti quei dettagli all’avanguardia che sembrano inspiegabili per un epoca così lontana. E poi ci sono quelle donne, misteriose e bellissime, che appaiono negli splendidi affreschi della parte inferiore della fortezza.

Questi possono essere spiegati da un’altra versione della storia che conosciamo e che dipinge il re Kashyapa come un uomo molto bello e potente circondato da molte donne. Quelle raffigurate, quindi, sarebbero proprio le sue concubine.

Naturalmente ci sono altre storie che ruotano attorno a questo sito e che riguardano proprio la terra dello Sri Lanka. Secondo alcuni, la fortezza sarebbe stata eretta per imitare il regno di Kuvera, dio della ricchezza, e le figure sugli affreschi delle divinità.

Sigiriya

Sigiriya

Le fauci del leone

Per avere le idee ancora più chiare – o forse ancora più confuse – c’è anche un elemento imprescindibile che dobbiamo considerare, ovvero la presenza di due possenti zampe di un leone. Le troviamo proprio all’ingresso del portale che conduce sulla parte superiore della fortezza.

Il nome stesso Sigiriya, composto dai due termini sinha e giriya tradotti come leone e gola, è un chiaro riferimento all’animale. Secondo gli storici le due grandi zampe sono solo i resti della figura di un leone, forse proprio con le fauci spalancate che facevano da ingresso.

Questo ha portato a tante altre teorie e ipotesi, anche più misteriose, per giustificare in qualche modo la costruzione di un luogo così straordinario. Qualche anno fa, la ricercatrice Amelia Sparavigna, ha ipotizzato un collegamento tra il complesso archeologico di Sigiriya e lo zenit del Sole. Il suo studio ha aperto la strada a nuove ipotesi relative alla funzione astronomica del sito esistente, prima ancora delle storie e delle leggende che ora conosciamo.

Sigiriya

Sigiriya

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La magia delle cascate di ghiaccio che puoi anche scalare

C’è chi quando arriva l’inverno si rifugia nel confortevole abbraccio delle case e dei cottage, ammirando dal caldo quel panorama incantato e attendendo con ansia il sole della primavera e c’è chi, invece, non vede l’ora di vivere tutte la magia di questa stagione da brivido, organizzando viaggi ed esperienze direttamente tra i regni di Frozen.

Perché se è vero che le temperature, durante l’inverno, sono fredde e anche gelide, è vero anche che durante questo periodo la natura mette in scena alcuni dei suoi spettacoli più belli. I laghi ghiacciati e gli snow roller, i paesaggi innevati e le città avvolte dal candido manto della neve si trasformano in cartoline meravigliose da incorniciare con gli occhi.

Tra tutte queste meraviglie troviamo anche le cascate di ghiaccio. Succede infatti che, quando le temperature raggiungono le temperature minime, maestose discese d’acqua e cascatelle si gelano, dando vita a un paesaggio da fiaba.

Ice climbing: cascate di ghiaccio da osservare e da scalare

Questo fenomeno da brividi, in tutti i sensi, ha dato vita a un nuovo sport, faticoso e di nicchia, probabilmente, ma estremamente adrenalinico. Stiamo parlando dell’ice climbing e della capacità di scalare le pareti delle cascate ghiacciate.

Non è uno sport adatto a tutti, questo s’intende. È richiesta molta forza e tenacia, buona capacità di resistenza al freddo e un’ottima tecnica. Nulla che non può essere raggiunto con una rigorosa preparazione fisica. E anche se si tratta di un’attività ancora di nicchia, sono molte le persone che si mettono in viaggio per raggiungere i luoghi in ogni parte del mondo per scalare le cascate.

Se non ve la sentite di arrivare in cima, però, potete sempre restare a guardare. La scenografia restituita dalle cascate di ghiaccio è surreale e favolistica, senz’altro magica. Ma dove si possono ammirare e scalare queste pareti ghiacciate?

Cascate di ghiaccio in Italia e nel mondo

Le terre sconfinate e fredde, lo sappiamo, sono il paradiso degli amanti degli sport invernali ed estremi. Nel White Desert Antarctica Wolf’s Fang, in Antartide, gli ospiti sono chiamati a provare l’ice climbing e il trekking in cordata a temperature sotto lo zero.

Anche nella Patagonia Argentina, e più precisamente al cospetto del Ghiacciaio Perito Moreno, uno dei più grandi del mondo, è possibile sperimentare l’arrampicata verticale su cascate gelate. Nella Patagonia settentrionale, invece, è possibile praticare l’ice climbing in tutte le stagioni.

In Italia, invece, è il Trentino a detenere l’onore di essere il regno dell’arrampicata sul ghiaccio. Sono circa quaranta le cascate e le cascatelle dove poter provare il brivido di salire in cima. La più famosa è sicuramente la Cascata Grande in Valpiana.

Nel Tirolo austriaco, quando l’inverno arriva e le cascate d’acqua che scendono nelle valli si ghiacciano, le opportunità diventano numerose. Incredibili e spettacolari pareti con tanto di colonne e coni ai quali aggrapparsi sono a disposizione di tutti. Un’altra meta molto popolare è la la valle Sellraintal, nei pressi di Innsbruck dove è presente anche il Seigesbackfall che, con i suoi 30 metri, è adatto anche ai principianti.

Concludiamo le mete da raggiungere con la regina dell’ice climbing: la Svizzera. È qui che ogni anno, nel Canton Vallese, di tengono i Campionati del mondo dell’arrampicata sul ghiaccio tra fine gennaio e inizio febbraio.

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La fenestella magica sul golfo di Napoli

Napoli è una di quelle destinazioni che forse è meglio non raggiungere se lì non si vuole lasciare il cuore. Perché questo accade sempre. Ogni volta che si guarda il maestoso Vesuvio che si staglia su tutto il golfo, quando si passeggia tra le vie e i vicarielli, quando si ascoltano le storie, intrise di fascino e di leggenda, quando si osservano le meraviglie antiche e moderne.

Ecco cos’è Napoli, una città le cui leggende hanno creato una realtà persino più magica, intricata e meravigliosa di tutto ciò che è universalmente tangibile. Una realtà fatta si storie fuori dall’ordinario come quella quella della piccola fenestella conosciuta in tutto il mondo dove si perpetua la magia.

La storia magica della fenestella di Marechiaro

Marechiaro, il piccolo borgo che si trova nel quartiere di Posillipo a Napoli , conserva una storia meravigliosa, quella cantata nei versi del poeta Salvatore Di Giacomo e accompagnati dalla musica di Francesco Paolo Tosti. Una storia che comincia da una piccola finestra, apparentemente anonima, che si affaccia sul golfo.

La storia vuole che qui, il poeta e scrittore napoletano, si lasciò suggestionare da quella piccola finestra che sul davanzale aveva esposto un garofano. Guardandola si lasciò ispirare per la creazione di quella che è diventata una delle più celebri canzoni napoletane in Italia e nel mondo.

Così è nato Marechiare, il brano interpretato da numerosi protagonisti della musica italiana, quello persino tradotto in altre lingue. Quello che spinge i viaggiatori del globo a raggiungere Posillipo per entrare dentro i versi di quella canzone.

Quanno spónta la luna a Marechiare,
pure li pisce nce fanno a ll’ammore

Marechiaro, il borgo di Posillipo sospeso nel tempo e nello spazio

Riscoprire le origini della celebre canzone e vivere la suggestione che ruota attorno a quelle parole è un’occasione perfetta per raggiungere Marechiaro. Il piccolo borgo di pescatori, infatti, è meraviglioso. Questo luogo non segue le più tradizionali leggi del tempo ma solo quello del rumore delle onde che scandisce i ritmi delle giornate.

L’azzurro del cielo e del mare si incontrano e si fondono all’orizzonte mentre sembrano stringere in un abbraccio il golfo di Napoli e l’imponente Vesuvio. Il nome stesso del borgo è un’invito a contemplare la bellezza dei ritmi lenti. Il nome Marechiaro non fu scelto, infatti, per le acque cristalline per come si può credere, ma per la quiete di un mare calmo, lento, dove le onde si muovono chianu chianu.

Il borgo è piccolo ma estremamente affascinante e suggestivo. È bello di giorno ma è meraviglioso di notte quando il sole lascia spazio alle tenebre e le luci, accendosi, si riflettono sull’acqua. L’atmosfera è sospesa nel tempo e nello spazio e la magia ha ufficialmente inizio.

E la fenestrella di Marechiaro? Quella si trova sempre al suo posto, perché è suo di diritto, ed è facilmente riconoscibile. Sul davanzale, infatti, è sempre esposto un garofano fresco. Sulla parete inoltre, nei pressi della finestra, uno dei versi della canzone.

fenestella di marechiaro

La fenestella di Mare Chiaro cantata nei versi di Salvatore Di Giacomo

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Il palazzo misterioso nel quale puoi attraversare l’inferno di Dante

C’è un luogo intriso di fascino, mistero, suggestione e un pizzico di magia che è da sempre in cima alla delle destinazioni da raggiungere e da esplorare. E il motivo è facilmente intuibile dato che Sintra, la località portoghese situata tra le colline della Serra de Sintra, è una vera meraviglia. Qui, sul cielo limpido, si staglia dolcemente il Palacio Nacional da Pena situato suuna sporgenza rocciosa su una delle colline più alte del territorio, un palazzo che per colori, forme e linee rimanda inevitabilmente a quell’immaginario favolistico della nostra memoria infantile.

Dall’alto, l’edificio, domina su tutto il territorio rendendo superlativo, ma non è certo l’unica tappa di un itinerario fatto di fascino e magia, di simboli apparentemente indecifrabili, di una suggestione ai limiti tra la realtà e la fantasia.

Alla scoperta della Quinta da Regaleira

Non lontano dai punti d’interesse più conosciuti e frequentati di Sintra, troviamo anche la Quinta da Regaleira, un palazzo dai lineamenti maestosi circondato da 4 ettari di lussureggianti giardini, all’interno dei quali si snodano laghetti, fontane, sculture e grotte. Conosciuto anche con il nome Palácio da Regaleira, l’edificio è stato costruito i primi anni del 1900 per volontà del collezionista ed entomologo Antonio Augusto Carvalho Monteiro, e porta la firma dell’architetto italiano Luigi Manini.

Quinta da Regaleira

Quinta da Regaleira

La bellezza rara e fuori dall’ordinario dell’intera tenuta ha fatto meritare alla Quinta da Regaleira un posto d’onore all’interno della lista del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO nel 1995. Ma non è solo quell’affascinante architettura che fonde gli stili tardo gotico e rinascimentale, e neanche quei simboli apparentemente indecifrabili che affondano le origini nel mondo esoterico e alchemico, ma è l’intero complesso a rappresentare una sorta di viaggio iniziatico per la rinascita.

La meravigliosa Cappella della Santissima Trinità, la Loggia e la Fontana dell’Ibis e quella dell’Abbondanza, le grotte e poi ancora la torre circolare sulla quale salire per poter contemplare la tenuta nel suo insieme e tutta Sintra: Quinta da Regaleira è meravigliosa in ogni suo angolo.

Eppure c’è qualcosa che attira qui cittadini e viaggiatori da tutto il mondo, ed è la presenza di due pozzi, in corrispondenza delle torri, nelle quali scendere per affrontare il percorso di rinascita, per attraversare i 9 gironi dell’inferno dantesco.

Quinta da Regaleira

Quinta da Regaleira

L’inferno di Dante a Sintra

Sono due i pozzi all’interno della Quinta da Regaleira, quello iniziatico e quello incompleto. Il primo, nello specifico, è caratterizzato da una spirale che conduce i visitatori verso il fondo, a una profondità di 30 metri, attraversando 9 piani. Un numero che non è di certo un caso perché fa riferimento alla Divina Commedia. Il collegamento con i 9 gironi dell’inferno dantesco è inevitabile, così come lo è quello ai 9 cieli concetrici dell’opera del sommo poeta.

Scendere in questa torre invertita che squarcia il terreno, fino alle sue viscere per poi risalire, è un’esperienza che simboleggia la morte e poi la rinascita. Ad avvallare la metafora che si nasconde dietro al pozzo, c’è anche un mosaico posto sul fondo che rappresenta la bussola e la croce templare.

Ne emerge quindi un complesso che, nella sua totalità, era finalizzato a dei riti di iniziazione che si concludevano proprio in quel pozzo, in quella spirale che conduceva le persone verso il fondo e poi verso la risalita.

Il significato allegorico dei due pozzi, e soprattutto di quello iniziatico, sembra il pezzo di puzzle mancante per una comprensione totale di tutto il complesso che ancora oggi conserva misteri mai risolti e un fascino straordinario che attira qui ogni giorno migliaia di viaggiatori provenienti da tutto il mondo.

Pozzo iniziatico, Quinta da Regaleira

Pozzo iniziatico, Quinta da Regaleira

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Il tesoro più bello di Venezia è un bovolo nascosto nella città

Non esistono strade qui, ma solo canali fiancheggiati da edifici architettonici rinascimentali e gotici di incantata bellezza, gli stessi che conducono nel cuore pulsante della città, quello dove nella piazza centrale si erge la grande basilica che conserva i mosaici bizantini, dove c’è il campanile la cui cima offre una fantastica visione sui tetti rossi che puntellano la laguna. Questa è Venezia, una città straordinaria intrisa di fascino e bellezza, di misteri e leggende, di angoli nascosti e tesori preziosi tutti da scoprire.

Ci sono i musei e le gallerie, i ponti e i giardini segreti e poi c’è un palazzo, situato nei pressi delle strade più battute dai turisti, che conserva un autentico gioiello. Un bovolo, per dirlo in dialetto, una scala a chiocciola che incanta e stupisce a ogni gradino percorso.

Scala Contarini Del Bovolo

Nei pressi di Campo Manin, dove campeggia il monumento dedicato all’omonimo patriota, una stretta strada laterale ci conduce al cospetto di un palazzo appartenuto a una delle famiglie più importanti e potenti della Serenissima: i Contarini. Fu proprio Pietro, discendente della famiglia, che verso la fine del 1400 fece realizzare una straordinaria e leggiadra scala a chiocciola, da qui il nome di bovolo, nel suo palazzo.

Scala Contarini del Bovolo

Scala Contarini del Bovolo

L’incredibile costruzione, attribuita all’architetto veneto Giovanni Candi, si snoda in altezza per 26 metri ed è incastonata perfettamente all’interno di un cilindro murario. Sono 80, in tutto, i gradini monolitici che compongono in senso antiorario questa vorticosa salita verso il cielo di Venezia. Tutto intorno ci sono i mattoni e la pietra d’Istria, gli archi che affacciano sulla città di Venezia. C’è lo stile gotico, quello rinascimentale e quello bizantino che si uniscono e si fondono e si confondono creando un capolavoro d’arte e architettura da attraversare e contemplare.

Il viaggio all’interno di questo tesoro veneziano si conclude lì, sulla terrazza che offre una delle più splendide visioni della meravigliosa e romantica laguna.

Come visitare il tesoro nascosto di Venezia

I tesori sono fatti per essere protetti, ma anche per essere scovati. La Scala del Bovolo si trova a pochi minuti da Piazza San Marco, tuttavia bisogna prestare molta attenzione alla calle che si apre proprio a metà su Campo Manin. Alzate gli occhi perché la strada è indicata da una targa dove campeggia la scritta Scala Contarini del Bovolo. Una volta imboccata la via vi troverete al cospetto di questo monumentale gioiello veneziano.

Scala Contarini del Bovolo

Scala Contarini del Bovolo

I biglietti per visitare il bovolo sono disponibili in loco o acquistabili online. Una volta dentro al palazzo Contarini resterete inebrianti dai colori e dai motivi floreali, dai dettagli ricchissimi e da quel tripudio di stili. Doverosa è una sosta al secondo piano dove è possibile accedere alla sala del Tintoretto che conserva alcune delle più importanti opere d’arte di Venezia realizzate tra il 1500 e il 1700.

Proseguendo verso l’alto, invece, si arriva alla terrazza panoramica, un belvedere segreto che offre una delle più belle visioni della laguna a ogni ora del giorno.

Curiosità

Secondo una leggenda popolare, Pietro Contarini fece costruire un’altra scala a chiocciola all’interno dell’edificio per raggiungere la sua camera da letto a cavallo.

Sulla terrazza del bovolo, invece, nel 1859, l’astronomo tedesco Ernst Wilhelm Tempel ha scoperto la cometa C/1859 e la nebulosa di Merope, una stella nella costellazione del Toro.

Scala Contarini del Bovolo

Scala Contarini del Bovolo, terrazza

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La Valle dei Cavalieri, tra borghi medievali e antiche strade

Ci sono luoghi a volte quasi sconosciuti, che celano una magia tutta da scoprire: è il caso della Valle dei Cavalieri, un piccolo angolo di paradiso dove sorgono graziosissimi borghi fortificati. Qui la natura è quasi incontaminata, e le colline si fanno via via più ripide per lasciare spazio alle prime vette appenniniche. Scopriamo un paesaggio che ci regala un vero e proprio tuffo indietro nel tempo.

La Valle dei Cavalieri e il suo antico sentiero

La Valle dei Cavalieri si snoda nel cuore dell’Appennino Tosco-Emiliano, e si colloca nel territorio delle province di Parma e Reggio Emilia. Questo luogo vanta un passato antichissimo, come testimoniano i suoi piccoli borghi medievali e, soprattutto, la celebre Strada delle cento miglia. Se questo itinerario sia esistito davvero (o meglio, se il suo percorso sia veramente quello storicamente descritto) non è ancora chiaro. E forse proprio qui risiede il suo fascino incredibile: a parlare di questa strada è l’Itinerario Antonini, un registro risalente nientemeno che al III secolo.

Secondo questa imponente opera scritta, il percorso fungerebbe da collegamento tra le città di Parma e di Lucca (che in effetti distano proprio cento miglia). Sarebbe nato per permettere alle province parmensi di avere un rapido sbocco verso il mare in caso di necessità. Una prima strada avrebbe probabilmente avuto origine nel periodo romano, tuttavia pare che quella di cui ci è giunta notizia sia stata creata dai Longobardi. A prescindere dalle disconnesse testimonianze storiche sull’esistenza di questo sentiero, è innegabile che la Valle dei Cavalieri vanti un’atmosfera a dir poco magica.

I borghi antichi della Valle dei Cavalieri

Incastonato tra l’Alta Val d’Enza e la Val Cedra, questo territorio ospita numerose casetorri, ovvero piccole fortificazioni militari molto diffuse nel periodo medievale. Un esempio è quello del castello di Castione, conosciuto anche come Torri dei Castiglioni per via delle sue tre strutture principali. Edificato probabilmente nel XV secolo, trascorse vicissitudini alterne passando di mano in mano, sin quando non venne abbandonato e cadde in rovina, sul finire del ‘600. Due secoli dopo venne sottoposto ad un’imponente opera di ristrutturazione, a cui tuttavia fece seguito un nuovo declino. Del complesso non rimangono per l’appunto che i ruderi di tre torri circolari, realizzate in blocchi squadrati di pietra grigia.

Il castello di Castione, seppur ormai completamente in rovina, è forse l’attrazione più suggestiva di Palanzano, uno dei piccoli borghi della Valle dei Cavalieri. Sorto alle pendici del Monte Faggeto, le sue casette sono sparse tra le colline in numerose frazioni (alcune delle quali ormai quasi disabitate). Anche il villaggio di Succiso è stato abbandonato dalla popolazione, in questo caso a seguito di una frana che spinse i residenti a spostarsi verso un nuovo nucleo abitato.

Particolarmente affascinante è invece il centro storico di Montedello, un coacervo di viuzze lastricate dove si affacciano deliziose case costruite con pietra di fiume. Il suo territorio si trova all’interno della riserva naturale del Parco dei Cento Laghi, così chiamata per via di alcuni piccoli bacini d’acqua dolce. Per una full immersion nella natura, non c’è niente di meglio: qui il paesaggio è davvero meraviglioso, ricco di vegetazione rigogliosa e di panorami da mozzare il fiato.

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I misteri dietro Tomar, la città dei Cavalieri Templari

Tomar, in Portogallo, è uno dei luoghi storici più affascinanti del mondo, dove la leggenda dei Templari è ancora viva.

È una graziosa cittadina dell’antico Ribatejo, sulle rive del rio Nabão, con un bel centro storico dominato da un castello-fortezza, quello dei Templari, appunto, un luogo estremamente affascinante, caratterizzato dai tanti stili architettonici e da angoli ancora ricchi di mistero.

Il convento dei Cavalieri Templari

La principale attrazione della città è il Convento de Cristo, una delle più importanti opere rinascimentali del Portogallo. La Charola, l’originaria rotonda romanica con il deambulatorio, è la parte più antica. L’antico oratorio templare, costruito nel XII secolo, così come il castello che, ispirato alle fortificazioni della Terra Santa, era all’epoca la più moderna e avanzata struttura militare del regno, venne trasformato in cappella maggiore quando D. Manuel I ne ordinò la ristrutturazione nel XVI secolo, e fu allora che il monumento acquisì lo splendore architettonico che ancora oggi conserva e che gli è valso un posto nella lista dei Patrimoni dell’Umanità Unesco.

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La chiesa templare del convento dell’ordine di Cristo a Tomar, in Portogallo

All’interno, la chiesa, a pianta circolare, permetteva che i Cavalieri seguissero la Messa senza scendere da cavallo. Tra le tante curiosità, spicca la Finestra Manuelina, decorata come se fosse stata ideata da Dio in persona.

Bisogna visitare il convento con molta attenzione, per scoprire alcuni particolari notevoli, come le raffigurazioni del portale rinascimentale, la singolare simbologia della finestra della sala del capitolo, appunto, l’architettura del chiostro principale e le sale legate ai riti dei Templari.

Per capire meglio la storia del convento, bisogna sapere che l’Ordine dei Cavalieri del Tempio si trasformò in Ordine di Cristo, salvaguardando il potere, le conoscenze e le ricchezze che possedeva in Portogallo. Il famoso Infante D. Henrique, la guida dell’epopea delle scoperte, fu uno dei governatori e protettori più importanti dell’ordine.

Visitare la città di Tomar

Dal convento si può scendere a piedi fino al centro storico, in un un reticolo di strade strette, le rive del fiume e il colle coronato dalle mura del convento-fortezza, attraversando il parco della Mata dos Sete Montes. Prendendo la strada, invece, a metà percorso si vede la Ermida de Nossa Senhora da Conceição, una cappella che è un piccolo gioiello rinascimentale, opera del portoghese João de Castilho che lavorò anche nel convento.

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Il Castello dei Cavalieri Templari a Tomar

Il luogo più antico di Tomar ha la forma di una croce, orientata secondo i punti cardinali e a ogni estremità si trova un convento. A Sud, il Convento de São Francisco, con il curioso Museu dos Fósforos (Museo dei fiammiferi), a Nord, l’antico Convento da Anunciada, a Est, nel Museu da Levada, si osservano le macine e i mulini che funzionavano con la corrente del fiume Nabão che attraversa la città. Su una delle sponde del fiume è ubicato il Convento de Santa Iria e, un po’ più lontana, l’Igreja de Santa Maria do Olival, la chiesa che ospita le tombe dei Templari, fra le quali, quella di Gualdim Pais, il primo grande maestro, morto nel 1195. La Praça da República, la piazza con l’Igreja de São João Baptista, la chiesa madre, ne costituisce il centro.

Un luogo si svago e relax

Una volta conclusa la visita culturale di Tomar, si può fare una pausa rilassante nel Parque do Mouchão, un parco dove si trova la Roda do Mouchão, una ruota idraulica fatta di legno. È uno degli emblemi della città e rievoca i tempi in cui i mulini, i frantoi e i campi coltivati lungo il fiume contribuivano alla prosperità di questa importante città portoghese.

Nelle vie centrali si trovano diversi negozi e il caffè più antico, che serve le specialità della pasticceria locale, le “queijadas de amêndoa” (dolci di mandorla) e “queijadas de chila” (dolci di zucca siamese) e le tradizionali “Fatias de Tomar”, tuorli d’uova cotti a bagnomaria con una pentola speciale, inventata da uno stagnaio del posto a metà del secolo scorso.

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Il centro storico di Tomar sul fiume Nabão

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Monastero di Torba, tra arte e un pizzico di mistero

A Gornate Olona, località Torba in provincia di Varese, svetta una struttura ricca di arte, ma anche caratterizzata da un pizzico di mistero: il Monastero di Torba. Si tratta di un complesso monumentale longobardo, oggi parte di un parco archeologico dichiarato Patrimonio Mondiale dell’UNESCO, immerso nella natura e raccolto attorno a un’imponente torre con interni affrescati.

La storia del Monastero di Torba

Il primo nucleo di questo tesoro antico dal grande fascino fu costruito dai Romani nel III secolo d. C. Non possedeva alcuna caratteristica religiosa, poiché rappresentava solo un luogo strategicamente perfetto grazie alla presenza del fiume Olona.

In seguito venne usato dai Goti, Bizantini e Longobardi fino all’arrivo delle monache benedettine che arricchirono la costruzione della chiesa e del monastero, nell’XI secolo, facendolo diventare di fatto un centro religioso.

Una storia, quella del Monastero di Torba, che si rivela particolarmente articolata soprattutto nel periodo rinascimentale. Nel corso degli anni divenne, infatti, terreno di scontro fra alcune delle più potenti famiglie milanesi, in particolare tra i Della Torre e i Visconti nel XIII secolo. Il tutto fino al 1482, periodo in cui le suore dovettero abbandonarlo dando vita al cosiddetto “periodo agricolo” del complesso.

In epoca napoleonica, nel 1799, a causa delle soppressioni degli ordini religiosi, Torba perse definitivamente lo status di monastero. Una situazione che portò a murare il portico, ampliare l’entrata della chiesa trasformandola in magazzino per carri e attrezzi, e a coprire con un nuovo intonaco tutti i preziosi affreschi presenti al suo interno.

I secoli successivi furono invece contrassegnati da numerosi passaggi di proprietà, fino al 1971, anno in cui l’ultima famiglia di contadini abbandonò il sito. Il maestoso complesso venne poi acquistato nel 1977 da Giulia Maria Mozzoni Crespi che lo donò al Fondo Ambiente Italiano (FAI), il quale ha provveduto a ristrutturarlo. Nel 1986 si conclusero i lunghi lavori di restauro che consentirono di aprire la proprietà al pubblico.

Cosa visitare al Monastero di Torba

Dichiarato Patrimonio dell’Umanità UNESCO dal 2011 in quanto parte del sito archeologico, il Monastero di Torba è un luogo che profuma di antico e di natura: è immerso in ampio parco circondato dai boschi e dal silenzio.

Al suoi interno, salendo nei piani superiori, è possibile ammirare  la Torre di Torba, uno strumento di avvistamento creato dai romani e riadattato in seguito per le esigenze monastiche. Al primo piano vi era il sepolcreto delle badesse della comunità, con degli affreschi che riportano il nome (longobardo) di Aliberga. Al secondo, è ancora presente l’oratorio delle monache, con raffigurazioni a carattere religioso e uno spazio in cui un tempo svettava un altare. Non mancano di certo i filmati e le audioguide che ne raccontano la storia.

affreschi torre monastero di torba

Gli affreschi all’interno della Torre di Torba

All’esterno è invece possibile visitare la Chiesa di Santa Maria costruita in diverse fasi tra il VIII e il XIII secolo. Per l’edificazione furono utilizzate pietre di origine fluviale. Ha pianta unica con parte absidale rialzata e un cripta al di sotto della stessa. All’interno di essa sono state rinvenute alcune tombe e una cripta ad ambulacro, riferibile all’VIII secolo, cui si accede da due scale di pietra poste sulle pareti laterali.

Le raffigurazioni pittoriche a calce, a causa del loro stato di conservazione, si presentano frammentarie e non permettono l’esatta identificazione dei soggetti. Due sono le fasi individuate: una più antica, del IX-X secolo, e una successiva, dell’XI-XIII.

Grazie ai restauri del FAI, è oggi possibile osservare i grandi archi del portico del corpo del monastero, ora sede del ristoro, impostato sulla spina romana della muratura di Castelseprio, ancora visibile all’interno del refettorio. I portici sono testimoni dell’ospitalità dell’ordine monastico per pellegrini e viaggiatori, che potevano riposare al coperto e usufruire del forno attorno al quale è posizionata la scala che sale al piano superiore della torre.

Il parco archeologico di Castelseprio

L’affascinante Monastero di Torba è circondato dal parco archeologico di Castelseprio, riscoperto solo negli anni ’50. Costituito dai ruderi dell’omonimo insediamento fortificato e del suo borgo, nonché dalla poco distante chiesa di Santa Maria foris portas, è Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO dal 26 giugno 2011.

Diversi sono i monumenti visitabili. Ne sono un esempio le costruzioni a carattere militare (ponte e torrione d’ingresso, mura di cinta, torri difensive, strutture civili (case di abitazione, pozzi, cisterne) e religiose. C’è il complesso basilicale di S. Giovanni Evangelista, dove al suo interno si conservano due vasche battesimali, e la chiesa di S. Paolo, probabilmente di età romanica.

Visitabile anche il borgo di cui rimangono una serie di resti parzialmente affioranti e ricoperti dalla boscaglia. Le fonti ricordano fossati, porte, una piazza e qualche edificio tra cui, quasi sicuramente, una chiesa dedicata a S. Lorenzo.

parco archeologico di Castelseprio cosa visitare

La chiesa nel parco archeologico di Castelseprio

Perché il Monastero di Torba è misterioso

Come detto in precedenza, il Monastero di Torba rivela una forte carica di mistero. Vi aleggia, infatti, una leggenda che narra che i volti mancanti delle tre monache, rappresentate in un affresco situato al secondo piano della torre, non siano mai stati disegnati a causa della loro fuga dal monastero e che, oggi, ormai divenute spiriti, vaghino nelle vallate di Torba cercando di rientrare nel dipinto per ritrovare la pace.

Ma non solo, c’è anche la storia della tempesta che, abbattendosi sul monastero, sradicò un grande albero dalle cui radici emerse la sepoltura marmorea del re longobardo Galdano da Torba. A tal proposito si dice che un brigante insediatosi a Torba iniziò a saccheggiare i paesi circostanti, mentre una giovane donna di nome Raffa si fece trovare dal brigante a fare il bagno nelle acque del fiume Olona e, quando questi la portò nel suo covo, lo accecò con del sale e prese a picchiarlo con un randello.

L’uomo resistette ai colpi e inseguì la fanciulla fino in cima alla torre: fu qui che lei lo avvinghiò e che caddero insieme nel vuoto. Il brigante perse la vita, mentre Raffa si salvò miracolosamente. Per questo motivo decise di costruire presso la torre stessa una piccola cappella dedicata all’arcangelo Raffaele, ritenuto il proprio salvatore. Storie, quindi, che rendono il monastero ancora più carico di suggestioni.

Non resta che organizzare un viaggio verso il meraviglioso Monastero di Torba per scoprirne le numerose ricchezze e gli altrettanti misteri. Attenzione però! Attualmente la struttura risulta chiusa e la sua apertura è prevista per il 25 febbraio.

Monastero di Torba cosa vedere

L’esterno del Monastero di Torba