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Scoperta eccezionale: trovati i resti di due statue monumentali

Due statue monumentali in pietra calcarea, dotati di torace possente e di grandi scudi a protezione del ventre: è questa l’incredibile scoperta che ha sorpreso gli archeologi, secondo cui il rinvenimento è a dir poco eccezionale. E se anche i due giganti non sono completi – diversi frammenti sono stati trovati nei dintorni -, aprono le porte ad una nuova serie di reperti tutti da scoprire.

La scoperta incredibile a Mont’e Prama

Nelle scorse settimane hanno avuto il via i lavori presso il sito archeologico di Mont’e Prama, sede di uno dei più importanti villaggi nuragici della Sardegna. Gli scavi hanno dato ben presto i loro frutti: dalla terra sono emerse due statue monumentali scolpite nell’arenaria gessosa, formate da torsi robusti e un grande scudo curvo, assieme ad alcuni frammenti sparsi – tra cui gli arti e le teste dei giganti. Si tratta di una scoperta eccezionale, perché rivela che il sottosuolo ha ancora molto da regalarci, in questa importante regione geografica.

È qui infatti che la civiltà nuragica ha trovato il suo massimo sviluppo, e le testimonianze del loro passaggio sono tra le più suggestive mai rinvenute. Le due statue fanno parte di un vero e proprio esercito di pietra risalente all’incirca a 3mila anni fa, e rappresentano dei pugilatori. Non è la prima volta che a Mont’e Prama vengono trovati giganti del genere, anzi: è proprio per questo che il sito è diventato famoso in tutto il mondo, immerso in un’aura di mistero che ancora oggi rimane immutata. Il complesso scultoreo, già formato da 16 pugilatori, 13 modelli di nuraghe, 5 arcieri e 4 guerrieri, va così ad arricchirsi ulteriormente.

Gli archeologi hanno subito iniziato a lavorare sulle due statue, procedendo con un’accurata (e delicata) pulizia, resa complicata soprattutto dall’incredibile fragilità della pietra in cui sono state realizzate, e con un attento studio che potrebbe rivelare nuovi dettagli su questi giganti. Ma è già emerso qualcosa di interessante: le statue appena scoperte sono diverse da quelle rinvenute negli anni ’70, mentre somigliano molto a quelle portate alla luce nel 2014 a pochissima distanza dal luogo dell’attuale ritrovamento.

Scoperta a Mont'e Prama

Scoperta a Mont’e Prama

Mont’e Prama, un sito archeologico affascinante

Il sito archeologico di Mont’e Prama, situato a Cabras, è da sempre avvolto nel mistero. Le prime scoperte in questo luogo sono avvenute quasi per caso, negli anni ’70: in quel periodo vennero rinvenute alcune statue gigantesche, rappresentanti colossi di pietra di ben 2 metri e mezzo di altezza. Sulla loro funzione, non si è mai fatta chiarezza. I giganti sembrano vegliare su alcune antichissime tombe, disposte lungo una vera e propria via funeraria che, a quanto pare, sarebbe stata riservata unicamente a giovani uomini. Nel corso delle ricerche, infatti, non sono mai stati trovati anziani e bambini (e solo pochissime donne sono emerse dagli scavi).

Negli ultimi anni i lavori hanno ripreso a pieno ritmo, sulla base dell’idea che il sito archeologico fosse molto più ampio di quanto inizialmente immaginato. Il nuovo ritrovamento è la prova che gli archeologi sono sulla buona strada, sottolinea Alessandro Usai, responsabile scientifico dello scavo: “La ricerca programmata dà i suoi frutti, siamo andati a scavare a colpo sicuro in un tratto che ancora non era stato toccato”. L’obiettivo ora è quello di ampliare il raggio dei lavori, restaurando nel contempo le statue già emerse per poterle esporre al Museo di Cabras.

Scoperta a Mont'e Prama

Scoperta a Mont’e Prama

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A Milano è stata fatta un’incredibile scoperta che cambia la storia

“Non un crine di cavallo, ma tre ciocche dell’imperial chioma” è il curioso titolo dell’incontro che si terrà sabato 7 maggio alle 11 nella sala conferenze dell’Archivio di Stato di Milano per illustrare i risultati di una straordinaria scoperta: le ciocche della chioma di Napoleone Bonaparte sono conservate all’Archivio di Stato e saranno mostrate al pubblico. Non ci sono dubbi in merito all’illustre appartenenza: accurate analisi forensi e l’esame del Dna, hanno certificato l’autenticità. Come sono arrivate a Milano? Si racconta la storia di un singolare souvenir di viaggio.

Durante l’esposizione si partirà dalla ricostruzione dell’albero genealogico di Napoleone Bonaparte, l’antropologa forense che ha condotto la ricerca spiegherà come è stato possibile arrivare a questo incredibile risultato. Le tre ciocche di capelli di Napoleone furono sequestrate nel 1817 a Natale Santini, suo collaboratore giunto in Italia dall’isola di Sant’Elena con il curioso cimelio che gli venne sequestrato.

I capelli di Napoleone, cimelio esposto a Milano

Un cimelio certamente sui generis, quello scoperto negli Archivi di Stato di Milano, e che il grande pubblico potrà vedere nel capoluogo lombardo sabato 7 maggio. Tre ciocche di capelli appartenenti a Napoleone Bonaparte verranno esposte alle ore 11 nel corso di un evento esclusivo dal titolo “Non un crine di cavallo, ma tre ciocche dell’imperial chioma”. L’appuntamento (per il quale è necessario prenotarsi) si terrà nella sala conferenze dell’Archivio di Stato milanese, in occasione del finissage della mostra “Nelle sommosse e nelle guerre. Gli archivi milanesi durante l’età napoleonica”, percorso celebrativo del bicentenario della scomparsa dell’imperatore francese.

Il Dna ha certificato la chioma di Bonaparte

La provenienza delle tre ciocche di capelli è assolutamente certa. Cosa meglio di un esame del Dna può certificarlo? Le analisi sono state condotte da Elena Pilli, docente di Antropologia forense del dipartimento di Biologia dell’Università di Firenze, che sarà tra i relatori della conferenza insieme al direttore dell’Archivio di Stato di Milano Benedetto Luigi Compagnoni e alla vicedirettrice Carmela Santoro, curatrice dell’esposizione. Durante la visita in mostra speciale di sabato 7 maggio saranno illustrati tutti gli aspetti storici e di ricerca, effettuati per arrivare all’ esposizione, Non solo, verranno esposti anche i risultati dell’accurata indagine scientifica fatta sulle ciocche di capelli appartenute a Napoleone Bonaparte

Come si è arrivati ad avere la certezza della chioma dell’imperatore? Confrontando il Dna delle ciocche di capelli con quello dei discendenti di Napoleone, mappandone le tracce e confermando evidenze e corrispondenze scientifiche. Un lavoro di ricerca meticoloso, iniziato con l’albero genealogico dei Bonaparte: sono stati rintracciati discendenti dell’imperatore francese ancora in vita, ai quali è stato prelevato un campione biologico da confrontare con il materiale pilifero in possesso degli studiosi coordinati dalla dottoressa Elena Pilli,  ossia le ciocche di capelli conservate all’Archivio di Stato di Milano.

Tutto è partito dal Dna mitocondriale, che, come insegna la scienza, si trasmette ai figli dalle donne. Ad iniziare la catena del tracciamento sull’albero genealogico dei Bonaparte, è stata dunque Carolina Bonaparte, la sorella di Napoleone (aveva quindi il suo stesso Dna), per arrivare alle successive sette generazioni. Sino ai giorni nostri, quando sono stati contattati cinque discendenti diretti dell’imperatore, ai quali è stato prelevato il Dna.

Una volta ottenuti cinque materiali biologici dai discendenti di Bonaparte, sono state eseguiti i campionamenti e le analisi sulle formazioni pilifere e successivamente sui campioni stessi, per scongiurare qualsiasi rischio di contaminazione. Infine c’è stata la prova del nove: è stato effettuato un test comparativo che ha evidenziato senza alcuna possibilità di errore la precisa sovrapponibilità dei mitocondri. Nessun dubbio, quindi, sulla provenienza dell’illustre chioma: i capelli sono effettivamente di Napoleone.

Si tratta di un punto di partenza per futuri studi di carattere storico scientifico. Queste analisi condotte dal Dipartimento di Biologia dell’Università di Firenze, sono solo l’avvio di un ampio progetto di ricerca che ha come obiettivo finale quello di ricostruire l’intero genoma di Napoleone.

La storia delle ciocche di Napoleone e il loro arrivo a Milano

Un cimelio curioso, le tre ciocche di Napoleone Bonaparte, che furono pensate come bislacco souvenir da portare in Italia, poi sequestrato dalla polizia. Ma a chi venne l’idea? La storia ci consegna questa versione, raccontata anche in Archivio di Stato a Milano: i capelli dell’imperatore francese sarebbero arrivati a Milano a seguito dell’interrogatorio di Natale Santini, storico collaboratore di Napoleone Bonaparte, che venne sentito dagli investigatori dalla Polizia austriaca.

Nel 1817 Santini arrivò in Italia dall’isola di Sant’Elena con questo particolare e singolare souvenir, che non gli venne poi restituito al termine dell’indagine, a sequestrato. Napoleone, come è ben noto, era ancora in vita, perché morì in esilio sull’isola il 5 maggio del 1821. I capelli entrarono così a far parte del fascicolo archivistico relativo al suo caso, giungendo fino a noi racchiusi in involucri di carta dell’epoca.

La mostra a Milano

All’Archivio di Stato di Milano ( Sala mappe e sala affrescata,  Palazzo del Senato), a 200 anni dalla morte di Napoleone, l’Archivio di Stato di Milano ha proposta una grande mostra in cui è stato ripercorso un quarto di secolo ( dal 1796 al 1821) vissuto negli archivi di stato, durante l’ impetuosa avanzata dell’imperatore francese. Nel percorso si inserirà anche l’esposizione delle ciocche di Bonaparte.

La mostra che si concluderà sabato 7 maggio, e presenta una serie di documenti, carte e pergamene dall’alto valore simbolico, oltre a intestazioni finemente decorate, sigilli, progetti di monumenti, stampe e un ampio tesoro composto da altri pezzi rari conservati all’Archivio di Stato di Milano. Al termine della conferenza si terrà una visita guidata, per cui è obbligatoria la prenotazione (all’indirizzo https://bit.ly/PrenotazioneMostraAsmi). – Accesso libero e gratuito fino a esaurimento posti (con obbligo di mascherina Ffp2), con dirette sul canale Youtube e sulla pagina Facebook dell’Archivio di Stato.

Quattro passi nella Milano napoleonica

Dopo aver visitato la mostra, restando all’ombra della Madonnina, è possibile fare una passeggiata per Milano a caccia dei luoghi napoleonici della città. Diversi sono i punti sulla mappa legati in qualche modo all’imperatore francese. Si inizia dalla bucolica zona all’interno del Parco Sempione, dall’Arco della Pace – ispirato all’Arc de Triomphe di Parigi da cui sarebbero dovuti partire gli Champs Elysees meneghini alla Loggia Reale della Palazzina Appiani, per spostarsi infine al complesso di Brera.

Milano

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Pesaro: un museo a cielo aperto che omaggia la musica, l’arte e la natura

C’è sempre un buon motivo per scoprire e riscoprire le bellezze che caratterizzano il nostro meraviglioso Paese. Attrazioni naturali, architetture monumentali, città straordinarie e borghi suggestivi che raccontano e conservano tradizioni, culture e storie che ci rappresentano, e che si trovano a pochi passi da noi.

Luoghi da esplorare anche più volte, per essere compresi nella loro essenza, che ci mettono in contatto con la grande bellezza italiana, come fa Pesaro, la città marchigiana che si è conquistata il titolo di Capitale Italiana della Cultura per il 2024.

I motivi che hanno reso possibile la proclamazione del capoluogo marchigiano sono noti a tutti. Del resto la città, da sempre, conserva e valorizza in maniera esemplare il prezioso patrimonio paesaggistico, naturale, storico e artistico che appartiene al territorio.

Pesaro, la città dell’arte e della musica

Musei iconici, anfiteatri tecnologici e luoghi intrisi di cultura e arte: questa è la bellissima Pesaro, quella che riesce a trasformare anche una semplice passeggiata a piedi o in bicicletta in un’esperienza unica che lascia senza fiato.

E sembra quasi di poter immaginare di camminare sulle note create dal più importante compositore italiano della prima metà del XIX secolo, Gioacchino Rossi, che proprio a Pesaro è legato indissolubilmente. La terra che gli ha dato i natali, infatti, è conosciuta anche come città della musica ed è sempre qui che è possibile andare alla scoperta del maestoso Museo Nazionale Rossini e della casa natale del compositore.

Non solo musei, dicevamo. La storia d’amore tra l’arte e la città è percettibile in ogni suo angolo, in ogni strada e passeggiata, a partire dal centro storico fino al lungomare. Attraverso un itinerario urbano, infatti, è possibile scoprire come questo legame sia stato perpetuato nel tempo e valorizzato da opere firmate da artisti contemporanei che hanno ridefinito il paesaggio della città.

La città che sembra un museo a cielo aperto

Ci piace immaginare Pesaro come un museo a cielo aperto, perché in effetti lo è davvero. Senza addentrarci all’interno di musei e altri luoghi di cultura, che comunque meritano una visita, i nostri occhi potranno ammirare la grande bellezza custodita tra le strade cittadine.

Piazza del Popolo, crocevia di incontri quotidiani, è il fulcro e l’anima della città, quella dalla quale si snodano una serie di strade e via che conducono tra palazzi settecenteschi contraddistinti da architetture straordinarie come quello Olivieri che ospita la Fondazione Rossini.

Impattante e meravigliosa è anche la Rocca Costanza che domina l’intera scena urbana, a questa si aggiunge il Teatro dedicato a Rossini e le cattedrale. Le opere d’arte, però, non sono solo quelle conservate nelle chiese e nei musei e ne è dimostrazione la splendida Sfera Grande di Arnaldo Pomodoro.

Situata al centro del Piazzale della Libertà e adagiata sull’acqua di una fontana, la gigantesca sfera in bronzo è diventata il simbolo della città sin dalla sua istallazione. Ma non è l’unica opera che meraviglia durante le passeggiate a Pesaro e sul suo lungo mare.

Sul Molo di Levante, infatti, troviamo lo splendido e suggestivo Riflesso dell’Ordine Cosmico dell’artista Eliseo Mattiacci. Un altro simbolo del legame indissolubile di questo territorio con il mare, con l’arte e con la terra. A questa si aggiunge la copia della Porta a Mare di Lorenzo Sguanci, l’arco di Pesaro e la Scultura della Memoria di Giuliano Vangi. Ma tenete gli occhi aperti perché tra il centro storico e il lungomare potreste trovare altre sculture straordinarie.

Arnaldo Pomodoro la Sfera Grande

Arnaldo Pomodoro la Sfera Grande

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L’Appia Antica, la regina delle strade, è candidata all’Unesco

Il ministero della Cultura ha lanciato la candidatura della via Appia Antica affinché possa essere inserita tra i Patrimoni mondiali dell’umanità dall’Unesco. “La Regina Viarum unisce territori ricchi di uno straordinario patrimonio culturale, archeologico e paesaggistico”, ha spiegato il ministro Dario Franceschini su Repubblica “e ha le caratteristiche per divenire uno dei più grandi cammini europei”.

L’antica strada romana, che collegava Roma con Brindisi – e quindi con gli sbocchi verso l’Oriente allora conosciuto -, era considerata dai Romani la “Regina Viarum”, la regina delle strade.

Un po’ di storia

Quando, verso la fine del IV secolo a.C., fu tracciata, la via Appia era una delle più grandi opere di ingegneria civile al mondo, con un enorme impatto economico, militare ma anche culturale. Questa strada fece da esempio per tutte le successive in quanto era larga più di quattro metri consentendo di essere percorsa in entrambi i sensi, oltre era fiancheggiata da larghi marciapiedi così da poter andare anche a piedi e raggiungere facilmente i villaggi che s’incrociavano.

Lungo l’intero tracciato s’incontrano luoghi che costituiscono un patrimonio culturale importantissimo. L’Appia fu anche la prima delle grandi strade romane a prendere il nome non dal luogo verso cui era diretta, ma dal magistrato – Appio Claudio Cieco – che l’aveva costruita.

La via Appia partiva da Porta Capena, nei pressi del Circo Massimo a Roma, e proseguiva fino a destinazione – inizialmente Santa Maria Capua Vetere, in Campania, e solo in un secondo momento fino a Brindisi – seguendo una linea retta.

Buona parte dell’Appia Antica oggi è scomparsa, ma ne restano ancora ben visibili e percorribili dei tratti, specie nei dintorni di Roma, divenuti meta di turismo archeologico.

La candidatura Unesco

La candidatura avanzata dal ministero dei Beni culturali è frutto di un lavoro congiunto sostenuto da ben 74 Comuni attraversati dalla via Appia, da 15 parchi, 12 città, quattro regioni e 25 università. Lo scopo è prima di tutto quello di tutelare quest’antica strada, ma anche di valorizzare e promuovere il sito Via Appia. Regina Viarum come itinerario turistico unico al mondo.

 

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L’anima più vera di Torino da scoprire in questi musei

I musei sono da sempre in cima alle nostre to do list quando raggiungiamo una nuova destinazione, e il perché è presto detto. Ci piace pensare a questi edifici come scrigni di meraviglie, indipendentemente dalle dimensioni e dalle posizioni. Dei microcosmi che custodiscono tesori, oggetti e storie che riguardano le culture e le tradizioni di una città, di un paese, di una popolazione. Che riguardano noi.

Del resto è il nome stesso di queste istituzioni a restituirci il loro significato. Il termine museo, infatti, deriva dal greco antico mouseion che vuol dire luogo sacro alle Muse, le figlie di Zeus protettrici delle arti e delle scienze.

Ed è proprio in questo luoghi che è possibile scoprire e riscoprire molte città. Come Torino, per esempio, che racconta il suo volto più autentico proprio attraverso musei iconici.

Benvenuti a Torino

È una Torino sorprendente e a tratti inedita quella che possiamo scoprire attraverso i suoi musei, come quello del cioccolato, del caffè, del calcio e della Fiat. Sono gli stessi musei che raccontano la città, la sua storia, le sue origini e tutte quelle caratteristiche che la rendono unica.

Il capoluogo piemontese, già noto per le sue raffinate architetture, per i lussuosi edifici barocchi, per le pregiate caffetterie che popolano il centro storico e per quella Mole Antonelliana che ridefinisce tutto il paesaggio urbano, ospita alcuni dei musei più celebri del nostro stivale, come quello Egizio che ogni giorno ospita centinaia di visitatori provenienti da tutto il mondo.

A questo si aggiungono tutte quelle istituzioni che sono direttamente collegate con la storia della città, come quello delle automobili e del caffè, per citarne alcuni. Scopriamoli insieme.

Scoprire la città attraverso i suoi musei

Se parliamo di Torino non possiamo non menzionare la splendida residenza sabauda iscritta alla lista del Patrimonio Mondiale dell’Unesco dal 1997. La Reggia di Venaria, progettata dall’architetto Amedeo di Castellamonte, è un vero e proprio simbolo della città, nonché uno scrigno di storia, cultura, arte e architettura del capoluogo piemontese.

A questa si aggiunge il Centro Storico Fiat, un museo che espone automobili, treni, camion e biciclette con marchio Fiat e che funge anche da archivio aziendale, e Casa 500, uno spazio espositivo creato all’interno della Pinacoteca Agnelli che è molto più di un museo automobilistico, ma è un vero e proprio viaggio nella storia dell’Italia e del periodo di espansione industriale.

Ci spostiamo ora all’interno del Museo Lavazza del quartiere Aurora che consente ai visitatori di vivere una vera e propria esperienza multisensoriale. Una tappa imperdibile per tutti gli amanti del caffè che qui potranno scoprire la secolare relazione tra la storica azienda e la celebre bevanda, attraverso un’esperienza immersiva nella cultura del caffè e dei suoi rituali.

Gli appassionati del pallone, invece, troveranno imperdibile il Museo del Grande Torino e della Leggenda Granata che racconta la storia di una squadra che ha fatto la storia del Belpaese.

Ultimo, ma non per importanza, è Il Museo Nazionale del Risorgimento italiano, un’istituzione che racconta la storia dell’unificazione del Paese e della città sabauda in quegli anni. Inoltre, il Palazzo Carignano che ospita il museo, ha ricoperto un ruolo centrale durante il periodo risorgimentale come sede del primo Parlamento del Regno d’Italia.
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Tour dei Lose: 150 km in bicicletta alla scoperta della Brianza

Sono trascorsi esattamente due secoli da quando i coniugi Federico e Carolina Lose, entrambi affermati pittori, percorsero colline e monti della Brianza alla scoperta di un territorio unico e ricco di fascino. E oggi, per celebrare quell’importante viaggio che ha reso l’entroterra brianzolo una rinomata meta turistica lombarda, nasce il Tour dei Lose: un suggestivo percorso ciclabile tra arte e natura, una vera avventura di ben 152 km.

Il Tour dei Lose, il nuovo percorso ciclabile

Nell’aprile del 2022 è stato dunque inaugurato il Tour dei Lose, che nacque proprio due secoli fa. Le sue origini sono davvero particolari: nell’estate del 1822, i coniugi Lose (artisti di origine tedesca, da tempo residenti a Milano) decisero di scoprire i dintorni della loro città, esplorando quel territorio all’epoca quasi misterioso e decisamente poco conosciuto.

Addentrandosi tra le colline e le prime cime montuose della Brianza, i due pittori dipinsero una serie di stampe a colori – 24, per la precisione – che ottennero in breve tempo un successo strepitoso. E, soprattutto, diedero il via ad un ampio flusso turistico verso la natura incontaminata e i paesaggi suggestivi della regione brianzola, divenuta così meta prediletta per un weekend fuori porta o addirittura località dove acquistare una casa per le vacanze.

Oggi, per ricordare il viaggio intrapreso da Federico e Carolina, nasce il Tour dei Lose. Il loro itinerario è stato pian piano ricreato, anche sulla base dei loro splendidi quadri che ancora ci deliziano la vista. E nella guida Il Tour dei Lose, redatta da Renato Ornaghi, è possibile scoprire questo affascinante percorso all’insegna dell’arte e della natura, esplorando tappa dopo tappa e ammirando, al contempo, le incredibili opere pittoriche che i due coniugi ci hanno lasciato in eredità.

Questo percorso ciclabile ci permette di esplorare un paesaggio incantevole, che ha conservato intatto il fascino di una volta – quello stesso fascino che aveva meravigliato i coniugi Lose. Tutto in sella alla nostra bici, ovviamente: è un modo rispettoso ed intrigante per addentrarsi in questi territori così suggestivi, regalandoci un’esperienza outdoor lenta e sostenibile per l’ambiente.

Le tappe del Tour dei Lose

Questo affascinante tour ciclabile è lungo ben 152 km, ma ciò non deve spaventare i ciclisti meno esperti. Proprio per rendere l’avventura più agevole anche a chi vive la bici come un momento di relax, il percorso è stato suddiviso in 10 tappe ad anello della lunghezza di 30-45 km ciascuno, l’ideale per una gita fuori porta non troppo impegnativa.

Ogni anello ha assunto il nome di un importante personaggio celebre che è stato profondamente legato al territorio brianzolo: Teodolinda, Stendhal, Agostino, Leonardo, Cantù, Manzoni, Barbarossa, Segantini, Parini e Foscolo. E ciascun percorso è un vero scrigno di bellezze tutte da scoprire, tra paesaggi naturali mozzafiato e piccole perle architettoniche. Ma quali sono le tappe più suggestive da esplorare?

Una di esse segue il corso del fiume Lambro, affrontando una lunga pedalata tra bellezze della natura che lasciano a bocca aperta. Poi l’itinerario si addentra alla scoperta di alcune splendide ville del luogo, come Villa Trotti (situata a Verano) e la meravigliosa Villa Crivelli di Inverigo. Per gli amanti dei panorami più affascinanti, infine, non resta che pedalare verso le suggestive cascate della Vallategna, per poi scendere verso la Valle dell’Oro e il piccolo borgo di Civate, da cui si può ammirare il bellissimo lago di Annone.

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Viaggio tra i Castelli della Baviera

Monaco di Baviera è sostanzialmente conosciuta per due cose: per la birra, a cui è dedicato il celebre Oktoberfest, e per i bellissimi castelli che sorgono nei suoi dintorni, che ispirarono anche Walt Disney. Oggi ho deciso di farvi sognare ad occhi aperti e di portarvi con me nel mondo delle fiabe. Forse Monaco durante l’Oktoberfest perde un po’ la sua atmosfera fiabesca, per assumerne una più folkloristica, ma vi assicuro che in altri periodi dell’anno è la città perfetta per un weekend lungo, dove immergersi nella storia, nella cultura, nell’arte e nello sfarzo che hanno contraddistinto il regno di Baviera per molti secoli. Per organizzare il vostro tour dei castelli bavaresi, il mio consiglio è di usare Monaco come punto di partenza e base dove dormire. Monaco infatti è raggiungibile facilmente da tutta Italia con l’aereo. Chi abita nelle regioni del nord  può valutare di utilizzare la propria macchina per raggiungere la città, passando per il valico del Brennero. Un’altra alternativa è il treno ad alta velocità che collega Milano alla capitale bavarese. Una volta arrivati a Monaco sarà facile muoversi utilizzando la rete ferroviaria regionale e il trasporto pubblico.

I Castelli più belli della Baviera:

  1. Castello di Nymphenburg 

A due passi dal centro di Monaco si trova il castello di Nymphenburg, la residenza estiva della famiglia Wittelsbach, la casata reale bavarese. Il palazzo, costruito in stile barocco, fu commissionato dai principi Ferdinando Maria di Baviera ed Enrichetta Adelaide di Savoia, in occasione della nascita del loro erede Massimiliano Emanuele. Fu completato nel 1675, anche se nel corso degli anni successivi subì alcune aggiunte e trasformazioni. Il castello oggi è aperto al pubblico e ospita anche alcuni musei, come il museo delle carrozze e quello della porcellana. Se avete a disposizione almeno una mezza giornata, merita una visita anche il parco adiacente al castello, esteso su circa 200 ettari. Costruito in stile inglese nasconde al suo interno laghetti, ponticelli e piccoli gioielli da visitare, come l’Amalienburg, un casino di caccia in sfarzoso stile rococò. Il parco è diviso in due da un canale centrale, dove in estate si può fare un romantico giro in gondola. In inverno invece si trasforma in un piccolo lago ghiacciato su cui si può pattinare, giocare a hockey e praticare il curling. Una curiosità: è proprio nel castello di Nymphenburg che è nato Ludovico II, uno dei più discussi sovrani di Baviera che nel corso di soli 20 anni fece costruire tre magnifici castelli tra le valli bavaresi a quasi 1000 metri di altezza.

 

  • Castello di Linderhof

A circa 1 ora da Monaco sorge uno dei più famosi tra i castelli di Ludovico II, il castello di Linderhof, l’unico che sia riuscito a portare a compimento ed eletto a sua dimora prediletta, dove si rifugiava per dedicarsi alle sue passioni: la lettura, l’arte e la musica. Un castello da sogno che si trova proprio dove non te lo aspetti: nel bel mezzo dell’altopiano bavarese, immerso nel bosco e circondato da montagne e vallate. Il castello di Linderhof fu terminato nel 1879 ed è un vero e proprio omaggio di Ludovico II al Re Sole, Luigi XIV di Francia, che il sovrano bavarese ammirava particolarmente. La bianca facciata è in stile barocco e crea un bellissimo contrasto con i colori della natura circostante. Per segnalare la presenza del re venivano posti due pavoni in ceramica a grandezza naturale ai lati dell’ingresso principale. Gli interni del palazzo sono in stile rococò, riccamente decorati in oro a 22 o 24 carati e illuminati da lampadari di cristallo di Boemia. Nella sala da pranzo si trova ancora il tavolo magico, un tavolo a scomparsa che veniva calato al piano inferiore tramite un sistema di carrucole e tornava nelle stanze reali già imbandito di ogni prelibatezza. La sala più bella di tutto il castello è però lo studio del re, con le pareti ricoperte interamente di specchi che creano un gioco di riflessi e l’effetto di un corridoio infinito. Immaginatela illuminata dalla luce delle candele del lampadario in avorio indiano, che sormonta lo scrittoio, e vi sembrerà di essere entrati davvero nel mondo delle fiabe. Una volta usciti dal palazzo non perdetevi una passeggiata nel  meraviglioso giardino che fa da contorno al castello. Qui si trovano fontane, statue e due padiglioni in stile orientale acquistati dal sovrano all’Esposizione Universale di Parigi e di Vienna. Merita una visita il Chiosco Moresco che ospita un trono sormontato da tre pavoni in ceramica, dove il re si rifugiava per dedicarsi alla lettura e sorseggiare il tè. Tra le meraviglie del parco risalta la grotta di Venere, purtroppo chiusa al pubblico per lavori di restauro. È una grotta artificiale con stalattiti e stalagmiti scavata all’interno della montagna e dotata di un sistema di illuminazione elettrica, all’avanguardia per quel periodo storico, che crea differenti tonalità cromatiche.

  • Castello di Neuschwanstein

Dista un paio di ore da Monaco, ma è sicuramente il castello simbolo della Baviera, che ha ispirato Walt Disney per l’ambientazione de “La bella addormentata nel bosco” ed è stato eletto tra i 21 finalisti durante la selezione delle sette meraviglie del mondo moderno. Il castello di Neuschwanstein sorge nei pressi di Füssen, a sud di Monaco, e, come Linderhof, è immerso nella natura a più di 900 metri di altezza. Ludovico II scelse proprio questo luogo perché durante la sua infanzia trascorse lunghi periodi presso il vicino castello di Hohenschwangau, residenza estiva dei suoi genitori, Massimiliano II di Baviera e Maria di Prussia. Se decidete di visitare Neuschwanstein, potete dedicare un po’ del vostro tempo anche a Hohenschwangau, dato che i due castelli si trovano nella stessa località. Visitando gli interni di quest’ultimo provate a immaginare Ludovico II mentre osservava con il grande cannocchiale i lavori di costruzione del castello di Neuschwanstein! Purtroppo Ludovico morì in circostanze misteriose nel 1886 e non riuscì a vedere completato il castello che tanto aveva desiderato. Il castello di Neuschwanstein è raggiungibile con una piacevole passeggiata di circa 30 minuti, ma è presente anche un servizio navetta e il trasporto in carrozza trainata dai cavalli (che personalmente sconsiglio perché non lo trovo sostenibile per gli animali). Se gli esterni in stile gotico colpiscono per la loro atmosfera fiabesca, gli interni lasciano davvero a bocca aperta. Le decorazioni presenti sono infatti un omaggio alle opere del famoso compositore Wagner per cui Ludovico II nutriva una grande ammirazione. Tra le stanze più belle spicca sicuramente la sala del trono, ispirata alla Basilica di Santa Sofia di Istanbul. Nell’abside dorata è raffigurata la figura di Cristo con Maria, mentre ai lati si trovano le figure dei dodici apostoli. Nel progetto iniziale era prevista la costruzione di un trono a baldacchino, che però non fu mai realizzato per la precoce morte del re. Passeggiando per i saloni reali la vostra attenzione verrà catturata dai colori intensi delle decorazioni, dalla sfarzosità dell’arredamento e dai ricchi particolari che fanno di Neuschwanstein un castello unico al mondo. Ma per immergervi completamente nell’atmosfera fiabesca del luogo non dimenticatevi di guardare fuori dalle finestre e lasciatevi cullare dai dolci panorami sul lago e sulle montagne circostanti: solo così vi sembrerà di far parte davvero di una fiaba!

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Ritrovata una statua ‘sacra’ di 4500 anni fa

A volte, è proprio dove meno ce lo aspettiamo che accade qualcosa di unico: è ciò che può ben dire il contadino che, mentre era impegnato a lavorare la sua terra, ha trovato nientemeno che una statua sacra risalente a più di 4500 anni fa. La scoperta è incredibile, perché quello che è emerso dal fango è risultato essere un reperto archeologico di grandissimo interesse. Ecco dove è avvenuto il ritrovamento, e perché è così importante.

Gaza, ritrovata una statua sacra

Nelle scorse settimane, il contadino Nidal Abu Eid ha fatto un’eccezionale scoperta: stava tranquillamente lavorando la sua terra, nei pressi di Khan Younis (una città situata nel sud della Striscia di Gaza), quando si è imbattuto in un antico reperto sepolto da millenni. Non poteva immaginare fosse un oggetto preziosissimo, sia per il suo valore archeologico che per quello politico. Si tratta infatti di una piccola statua realizzata in pietra calcarea, alta appena 22 centimetri e rappresentante la testa della divinità cananea Anat, che indossa una corona di serpente.

Gli archeologi palestinesi che hanno avuto modo di studiarla hanno affermato che la scultura sacra risale addirittura ad oltre 4500 anni fa, ovvero alla tarda età del bronzo. Ed è una scoperta straordinaria, perché conferma l’ipotesi degli storici secondo i quali la Striscia di Gaza fosse, all’epoca, un importante insediamento cananeo – oltre che una rotta commerciale fondamentale per l’intera regione. Il Ministro del Turismo e delle Antichità Jamal Abu Rida ha spiegato che questo ritrovamento ha un ruolo significativo dal punto di vista politico: “Dimostra che la Palestina ha una civiltà e uno storia, e nessuno può negarlo o falsificarlo. Questo è il popolo palestinese e questa è la sua antica civiltà cananea”.

La statua di Anat è apparsa dove nessuno avrebbe mai immaginato. Il contadino che l’ha rinvenuta non credeva ai suoi occhi: “Era immersa nel fango. Ho capito subito che si trattava di una cosa preziosa, ma non sapevo che potesse avere un valore archeologico così straordinario. Ringrazio Dio e sono orgoglioso che sia rimasta nella nostra terra, fin dai tempi dei Cananei” – ha dichiarato alla BBC. E sembra quasi beffardo che la dea della bellezza, dell’amore e della guerra ricompaia proprio oggi in un luogo devastato dai conflitti, in particolar modo negli ultimi anni.

Le importanti scoperte archeologiche a Gaza

Il territorio della Striscia di Gaza, d’altronde, è stato luogo di diverse scoperte archeologiche molto importanti. La statua di Anat, che oggi è custodita all’interno del Qasr al-Basha, un museo della città antica di Gaza, è solo l’ultima di una lunga serie di ritrovamenti. Qualche mese fa, ad esempio, una squadra di costruttori al lavoro per creare un nuovo complesso abitativo ha rinvenuto i resti di un antico cimitero romano: è stata, secondo il Ministro Jamal Abu Rida, della scoperta più rilevante degli ultimi 10 anni.

In altre occasioni, tuttavia, i reperti archeologici non hanno avuto la stessa fortuna. È stato il caso delle rovine di una grande città fortificata cananea, che sarebbe stata distrutta per fare spazio a basi militari a sud di Gaza. Mentre non si sono più avute notizie della statua del dio greco Apollo, un bellissimo bronzo di dimensioni reali, che era stata scoperta da un pescatore nel 2013. Scomparsa misteriosamente, sembra essere andata ormai perduta: un accadimento molto grave, pensando al valore di un tale ritrovamento.

Statua di Anat

La Statua di Anat

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Il Cammino Celeste, dove s’incrociano i confini di tre Paesi

Escursioni mozzafiato tra terra e cielo, che ti offrono l’opportunità imperdibile di abbracciare con lo sguardo scorci di una bellezza quasi mistica. Il Cammino Celeste è un itinerario religioso internazionale che coinvolge tre diversi Paesi – Italia, Austria e Slovenia – fino a convergere al Monte Lussari, dove sorge il santuario mariano detto, per l’appunto, dei “tre popoli”. Un percorso davvero mozzafiato, caratterizzato da un’estrema varietà paesaggistica e monumenti di grande fascino. Tutto da scoprire.

Cammino Celeste, l’itinerario italiano

Il percorso italiano del Cammino Celeste si contraddistingue per la ricchezza paesaggistica senza eguali e la varietà di esperienze offerte lungo il tragitto a pellegrini e turisti. Ci si può imbattere, ad esempio, in piccole chiese di campagna e santuari famosi, visitare città ricche di storia e arte o perdersi nel silenzio delle foreste e dei parchi naturali. Il tutto per una lunghezza di circa 200 km, suddivisi in 10 tappe da percorrere orientativamente in dieci giorni, passando su strade sterrate, viottoli di campagna e bellissimi sentieri di montagna

Il principale punto di partenza del tragitto italiano è la Basilica patriarcale di Santa Maria Assunta ad Aquileia, importante città dell’Impero romano e principale centro per la diffusione del Cristianesimo nell’Europa del nord e dell’est. C’è però anche la possibilità di iniziare il percorso un po’ prima, dal Santuario di Barbana, immerso in un paesaggio mistico, uno tra i più antichi santuari mariani del mondo, raggiungibile in traghetto, e da qui poi proseguire alla volta di Aquileia, da cui si sviluppa la prima tappa ufficiale del cammino, destinazione Aiello.

La seconda tappa conduce da Cormons a Castelmonte, dopodiché si prosegue per Masarolis passando per Cividale del Friuli, borgo ricco di leggende. Si sale ancora, fino a Montemaggiore, raggiungendo il rifugio A.N.A. e giungendo a Prato di Resia, da dove, scarpinando per altri 13,4 km si arriva a Dogna, per poi spostarsi in Val Saisera fino a Valbruna/Camporosso. L’ultima tappa dell’itineraio italiano è la salita del Monte Lussari, all’estremo nordest dell’Italia, con il suo santuario che può a ragione definirsi europeo, poiché meta di pellegrinaggi di tre Paesi.

Basilica Santa Maria Assunta Aquileia

La Basilica di Santa Maria Assunta ad Aquileia

Cosa vedere assolutamente lungo il tragitto italiano

Tra i luoghi più imperdibili del Cammino Celeste, c’è senza dubbio Aquileia, sito UNESCO dal 1998 per l’importanza della sua area archeologica e la bellezza dei mosaici pavimentali che custodisce, una gemma del Friuli-Venezia Giulia che è uno scrigno di tesori unici.

Dalla sua basilica, sede dell’antico patriarcato, si passa ad altri luoghi di culto affascinanti, come il santuario della Rosa Mistica di Cormons o quello della Beata Vergine a Castelmonte, fino al santuario della Madonna del Monte Lussari, raggiungibile attraverso il suggestivo Sentiero del Pellegrino che si snoda tra i boschi dell’incantevole foresta di Tarvisio.

I percorsi alternativi del Cammino Celeste

Il Cammino Celeste è composto da tre itinerari, ciascuno dei quali ha inizio in località ricche di storia e di fede. Oltre al tragitto italiano, si può quindi scegliere di intraprenderlo anche seguendo il ramo austriaco o quello sloveno. L’itinerario austriaco del Cammino Celeste è lungo 80 chilometri e parte dalla chiesa di Maria Saal, passando per quelle di Sankt Egyden, Sankt Leonhard, Camporosso, fino ad arrivare al Santuario di Monte Lussari.

Di 80 chilometri è anche la lunghezza del percorso sloveno, che parte dalla chiesa di Brezje, elevata al rango di basilica nel 1988 da Giovanni Paolo II, e raggiunge anch’esso il Monte Lussari, punto di incontro e pellegrinaggio di tre popoli, ciascuno con la sua affascinante storia.

Cammino Celeste dove incrociano confini tre Paesi

Il Monte Lussari, punto di arrivo del Cammino Celeste

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In Europa esiste un palazzo di cristallo che sembra uscito da una fiaba

Cenerentola aveva la sua scarpetta di cristallo, Madrid ha un intero palazzo, un edificio all’interno del quale si snodano flora, fauna, storia e bellezza proprio lì, nel cuore della capitale al centro della Spagna, nella vivace ed elegante città dei grandi viali, dei giardini e dei parchi lussureggianti.

Ed è proprio in uno di questi parchi che ci rechiamo oggi, nonché in uno dei più celebri, caratteristici e iconici della città. Perché è qui, in riva a un lago artificiale situato all’interno del parco del Buen Retiro, che troviamo uno dei monumenti architettonici più belli e suggestivi di tutta Madrid: il Palazzo di Cristallo.

La struttura, realizzata interamente in metallo e vetro nel XIX secolo, è uno splendido esempio di stile vittoriano. La sua funzione originaria era quella di ospitare una delle più importanti mostre floristiche del mondo. Oggi, invece, l’edificio celebra la bellezza che ci circonda attraverso esposizioni e installazioni artistiche che incantano.

Palazzo di Cristallo, Madrid

Palazzo di Cristallo, Madrid

C’era una volta il Palazzo di Cristallo

Era il 1887 quando veniva inaugurato il Palazzo di Cristallo di Madrid, oggi uno dei monumenti più fotografati della città,  progettato dall’architetto Ricardo Velázquez Bosco per diventare la serra di una specie vegetale esotica e pregiata importata dalle Filippine.

Ispirato al celebre Crystal Palace di Londra, realizzato in occasione della Grande Esposizione anni prima, l’architettura spagnola fu costruita proprio con l’obiettivo di ospitare la grande mostra floristica e poi per essere smontata e spostata altrove.

E invece il Palacio de Cristal, come lo chiamano i madrileni, è rimasto sempre lì, ieri e oggi, per permetterci di godere della grande bellezza, fuori e dentro. La straordinaria serra trasparente, realizzata in vetro ed acciaio, si trova all’interno del Parco del Buen Retiro, proprio sulla riva di un lago artificiale che fa sfondo perfetto di un’esperienza romantica e fiabesca.

Perché è un’atmosfera idilliaca, quella che si vive in prima persona dentro e fuori. Con le pareti e i soffitti interamente di vetro, tutto il verde lussureggiante del parco sembra entrare direttamente nella struttura, diventando la cornice perfetta e inedita delle mostre e delle esposizioni che si tengono periodicamente all’interno del palazzo.

Palazzo di Cristallo, Madrid

Palazzo di Cristallo, Madrid

Cosa fare e cosa vedere nel Palazzo di Cristallo

Il Palazzo di Cristallo di Madrid oggi è diventato un luogo dove flora, fauna e arte convivono e stupiscono. Entrare all’interno della struttura, indipendentemente dalle mostre o le esposizioni allestite, è un’esperienza che lascia senza fiato.

Quando il sole splende alto nel cielo, infatti, i suoi raggi fanno brillare gli interni creando giochi di luci, riflessi e colori che incantano e stupiscono. A questi si aggiungono gli alberi e gli arbusti che circondano la struttura e che creano un paesaggio fiabesco. Questo gioiello architettonico, infatti, è circondato da oltre 100 ettari di verde dove si snodano ippocastani che svettano verso il cielo e si riflettono sulle ladre di vetro decorate da fregi e ceramica.

Restaurato nel 1975, e riportato ai suoi antichi splendori, il Palazzo di Cristallo oggi è bello come ieri. Ogni tanto, il suo pavimento, viene coperto da un sottile strato d’acqua: i visitatori sono invitati a camminare al suo interno senza scarpe e ad ammirare i riflessi della struttura che si stagliano proprio sotto ai loro piedi. L’esperienza magica ha inizio.

Palazzo di Cristallo, Madrid

Palazzo di Cristallo, Madrid