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Nasce il Sentiero dell’Unicorno, meraviglia d’Italia

L’immenso patrimonio naturalistico italiano si fonde con quello artistico e architettonico, dando vita al Sentiero dell’Unicorno: questa splendida – seppur breve – escursione ci porta alla scoperta di paesaggi incredibili, ma anche di opere d’arte di grande pregio e di incantevoli edifici dal fascino un po’ magico e misterioso. Il tutto condito da una compilation musicale appositamente creata, per un viaggio veramente multisensoriale.

Il Sentiero dell’Unicorno, magia allo stato puro

Sono tanti i cammini che stanno nascendo negli ultimi anni, andando ad arricchire sempre più l’enorme rete escursionistica italiana: dal mare alle montagne, passando per rigogliose colline e deliziosi borghi antichi, questi itinerari ci conducono nel cuore più puro e incontaminato del nostro Paese, regalandoci un’esperienza outdoor che – soprattutto nella stagione calda – sempre più turisti iniziano a ricercare. In questo contesto, prende vita il Sentiero dell’Unicorno. Per una volta, non ci troviamo di fronte ad un lungo percorso di trekking tale da richiedere uno sforzo troppo impegnativo.

Diviso in 8 brevi tappe, il cammino affronta i verdi paesaggi della Valle del Tevere snodandosi attorno ad un piccolo borgo umbro e alle sue tante bellezze: stiamo parlando di Alviano, paesino di origini medievali dove il tempo sembra essersi fermato. Qui, l’artista messicano Gabriel Pacheco ha dato vita al Sentiero dell’Unicorno, intendendolo come un vero e proprio percorso pittorico permanente che si dipana tra arte, mito e natura. Inaugurato lo scorso 4 giugno, questo affascinante itinerario parte dai nuovissimi Giardini del Sole, cui lo stesso artista ha dato i natali.

Il parco urbano si affaccia sui caratteristici calanchi di Alviano, regalando una vista mozzafiato. Così prende il via un bel viaggio che si inoltra all’interno dei vicoli del borgo, per poi affrontare i paesaggi naturali che lo circondano e giungere infine al Castello di Alviano, una vera meraviglia architettonica. Ciascuna tappa del sentiero raffigura uno degli 8 stati dell’amore che Pacheco ha voluto rappresentare, traendo ispirazione da Frammenti di un discorso amoroso di Roland Barthes. Speciali panchine disseminate lungo il cammino permettono di ammirare il panorama e concedersi una breve pausa, durante la quale è possibile approfittare di musiche create ad hoc da ascoltare sul proprio smartphone.

Il borgo di Alviano e le sue bellezze

Protagonista del Sentiero dell’Unicorno non può che essere il borgo di Alviano: dedalo di strette viuzze su cui si affacciano deliziose casette in pietra, abbarbicate su uno sperone argilloso da cui si gode di un panorama meraviglioso. Particolarmente suggestiva è la fortezza a pianta trapezoidale, circondata da quattro splendide torri circolari, attorno alla quale sono nate storie e leggende che parlano di un antico condottiero. Al suo interno è ospitato un percorso museale che ci riporta indietro nel tempo, con esposizioni permanenti di strumenti d’epoca utilizzati da contadini alvianesi e di testimonianze suggestive sulla vita del condottiero Bartolomeo d’Alviano.

È invece a poca distanza dal paese che si snoda l’Oasi naturalistica lago di Alviano, un’area protetta del WWF che racchiude il graziosissimo bacino nato artificialmente negli anni ’60, dopo lo sbarramento del fiume Tevere per sfruttare le sue acque per scopi energetici. Qui si possono ammirare tantissime specie di uccelli che, durante il periodo della migrazione, fanno tappa nelle zone paludose regalandoci uno spettacolo incredibile.

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La Passione di Sordevolo, come e quando scoprire lo spettacolo di teatro popolare più grande di sempre

Un paese, centinaia di attori, uno spettacolo straordinario: si tratta della Passione di Sordevolo, un evento unico che, ogni cinque anni, accende i riflettori su un delizioso paese di montagna.

Sordevolo, nella Valle Elvo, in provincia di Biella, è il teatro di una manifestazione famosa in tutto il mondo a cui partecipano tutti i 1300 abitanti del paese, fra comparse, allestimenti, costumi, attori e servizi dietro le quinte. Un gigantesco lavoro di preparazione che dura mesi, per portare in scena la meraviglia e regalare uno show che è una vera e propria immersione nella antica Gerusalemme dell’anno 33.

La Passione di Sordevolo, fra storia e tradizione

Una rappresentazione corale, uno spettacolo senza precedenti e una tradizione lunga secoli: la Passione di Sordevolo racchiude in sé qualcosa di straordinario. Ogni cinque anni questo borgo montano si anima, i riflettori si accendono e accade un evento irripetibile. I numeri di Sordevolo sono a dir poco stupefacenti: più di 400 attori con un’età compresa fra 5 e 80 anni, centinaia di persone che operano dietro le quinte, 34 repliche in soli 100 giorni, di cui 2 recitate dai bambini, oltre 2 ore di recitazione, un allestimento frutto di 80mila ore di lavoro, un anfiteatro di 4mila metri quadri e 2400 posti a sedere coperti.

Uno show unico da non perdere

Assistere alla Passione di Sordevolo è un’esperienza mistica. Ci si sente parte di qualcosa di grande, fra storia, cultura, fede e tradizione popolare. L’evento, le cui origini si perdono nella Storia, è antico oltre due secoli. Nell’area dell’anfiteatro, come per magia, prende forma un pezzetto del passato. Gli spettatori vengono catapultati in Palestina, dove 400 personaggi si muovono fra il Cenacolo e il Sinedrio, la Reggia di Eroe, il Pretorio di Pilato, il Getsemani e il Calvario. Interpreti, soldati e guardie si muovono per dare vita a un dramma antichissimo.

La scenografia è così realistica e curata nei dettagli che gli spettatori dimenticano il tempo in cui si trovano, suggestionati e affascinati dalla recitazione. Il testo, giunto a Sordevolo per vie misteriose, risale alla fine del Quattrocento e in origine veniva messo in scena nel Colosseo di Roma.

Date e biglietti

La Passione di Sordevolo andrà in scena nel 2022 dal 18 giugno al 25 settembre. Le rappresentazioni sono previste per:

  • il 18-19-25 e 26 giugno (alle 21.00 il sabato e alle 16.30 la domenica);
  • 1, 2, 3, 9, 15, 16, 22, 23, 29, 30 luglio (il 3 alle ore 16.00, tutti gli altri giorni alle 21.00);
  • il 5, 6, 19, 20, 26,27, 28 agosto (alle 21.00);
  • il 2, 3, 4, 9, 10, 11, 16, 17, 18, 20, 23, 24, 25 settembre (alle 21.00, tranne domenica 4 agosto alle 20.00, domenica 11, 18 e 25 agosto alle 16.30, martedì 20 agosto alle 10.00).

I biglietti si possono acquistare online attraverso il Circuito di prevendita TicketOne. Inoltre è possibile prenotare oppure acquistare i posti telefonando ai numeri 015 2562486 – 375 6135686 oppure inviando una mail a passione@passionedisordevolo.com

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La galleria d’arte tra le nuvole di Barcellona

C’è sempre un buon motivo per tornare a Barcellona, anzi ce ne sono tantissimi. La cosmopolita capitale della Catalogna è celebre in tutto il mondo per il suo straordinario patrimonio artistico, culturale e architettonico.

Del resto quando parliamo di questa meravigliosa città nella nostra mente compaiono le immagini della straordinaria Sagrada Família e di tutti gli altri edifici progettati da Antoni Gaudí che hanno ridefinito il volto urbano di Barcellona. A questi si affiancano i musei, come quello di Picasso e la Fondazione Joan Miró, il mare, la rambla, la gastronomia e i ritmi slow che da sempre caratterizzano l’intero Paese.

Si torna sempre in questa città, perché lei sa stupire e incantare ogni volta, proprio come se fosse la prima. E oggi abbiamo un altro motivo per raggiungerla, un’attrazione strabiliante da non perdere: una galleria d’arte tra le nuvole di Barcellona.

Mirador Torre Glòries: benvenuti tra le nuvole

Una vacanza lunga o un city break? Indipendentemente dalla vostra scelta Barcellona è sempre una fantastica idea. Non a caso è una delle mete predilette di viaggiatori provenienti da ogni parte del mondo.

Le cose da fare in città sono davvero tantissime, dalle visite culturali, al relax in spiaggia passando per lo shopping e la movida. Ma come vi anticipavamo c’è una nuova e imperdibile attrazione nella capitale della Catalogna e per scoprirla ci dobbiamo recare all’ultimo piano del Mirador Torre Glòries.

Mirador Torre Glòries

Mirador Torre Glòries, Barcellona

Situata al 211 dell’Avinguda Diagonal, questa torre di osservazione non ha bisogno di presentazioni. Con i suoi 125 metri d’altezza, che culminano con una cupola che sembra sfiorare il cielo, offre visioni strabilianti su tutta la città imponendosi sullo skyline urbano.

Ma la vista panoramica non è l’unica cosa che vi emozionerà una volta arrivati in cima all’edificio perché adesso, il 30esimo piano della torre, è stato trasformato in una galleria d’arte che ha l’obiettivo di far vivere un’esperienza straordinaria tra le nuvole di Barcellona.

La galleria d’arte con vista mozzafiato

Progettata dagli architetti Jean Nouvel e Fermín Vázquez e inaugurata nel 2005, la torre di osservazione è diventato uno sei simboli contemporanei della città. Scintillante all’esterno, panoramico all’interno, il Mirador Torre Glòries offre un’esperienza senza eguali arricchita oggi da un nuovo punto panoramico che ha rivoluzionato il concetto di Belvedere.

All’ultimo piano della torre, infatti, è stato inaugurato uno spazio interattivo, culturale e artistico che porta la firma dell’artista argentino Tomás Saraceno.

Cloud Cities Barcelona, questo il nome dell’installazione permanente e multisensoriale dell’artista che catapulta gli ospiti in un’altra dimensione, trascendentale e reale. Da una parte ci sono oltre 100 moduli che compongono delle nuvole geometriche tra le quali perdersi e ritrovarsi, dall’altra una vista unica a 360 gradi sull’intera città.

L’opera firmata dall’artista argentino ha come obiettivo quello di invitare l’osservatore a riflettere sulla città e sulla connessione degli elementi urbani che trovano spazio dentro e fuori. L’esperienza, a 125 metri d’altezza, è unica nel suo genere. Avrete come l’impressione di essere sospesi tra cielo e terra e camminare tra le nuvole.

Cloud Cities, Barcelona

Cloud Cities, l’opera all’ultimo piano del Mirador Torre Glòries di Barcellona

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Gioconda: il vero luogo che fa da sfondo al dipinto di Leonardo

Non sarebbe la zona del Montefeltro, nelle Marche, come si è sempre pensato, quella al confine tra l’Emilia-Romagna e il territorio tra Pesaro e Urbino, e neppure il famoso borgo di Bobbio, nel piacentino, a fare da sfondo alla Gioconda, il celeberrimo dipinto di Leonardo da Vinci conservato al Louvre di Parigi.

Oggi, infatti, tra gli esperti gira una nuova teoria secondo la quale il Genio avrebbe dipinto la sua enigmatica Mona Lisa in tutt’altro luogo, che ora vi vogliamo svelare.

La nuova scoperta

Leonardo non sarebbe andato molto distante da casa, in realtà. Il paesaggio che fa da sfondo alla Gioconda sarebbe infatti toscano e, per la precisione, pisano. Non è ancora ben chiaro se abbia realizzato il dipinto direttamente stando in quelle zone o se si sia semplicemente ispirato a paesaggi che aveva visitato.

Fatto sta che dietro a quella figura femminile dal sorriso più enigmatico della storia dell’arte gli esperti avrebbero riconosciuto la Torre di Caprona di Vicopisano, in provincia di Pisa, e il profilo dei monti pisani, con i paesi di Cascina e di Calci.

La nuova ipotesi è stata annunciata in occasione di una conferenza dal titolo “La Gioconda svelata dalla scienza. Una nuova scoperta mondiale” che si tenuta a Vinci, in provincia di Firenze, il Comune noto per essere stato il luogo d’origine di Leonardo da Vinci.

Gli autori della scoperta sono due studiosi francesi, l’ingegnere Pascal Cotte, direttore della Lumière Technology, che nel 2004, su richiesta del Louvre, ha digitalizzato la Gioconda, e Sylvain Thieurmel, un ricercatore specializzato nella pittura e nella biografia dell’artista-scienziato rinascimentale.

Dopo 18 anni dalla digitalizzazione di Cotte, sarebbero infatti emersi nuovi particolari grazie a una telecamera multispettrale inventata e progettata proprio dal ricercatore francese. Lo studio delle carte geografiche disegnate dallo stesso Leonardo messe a confronto con i nuovi risultati avrebbero quindi permesso di confermare la nuova scoperta.

Vinci, il paese di Leonardo

Situato sulle pendici del Montalbano, Vinci è il paese in cui nacque Leonardo, e qui sono stati aperti diversi luoghi legati al Genio di da Vinci. La Biblioteca leonardiana, un centro internazionale di studi leonardiani, il Museo leonardiano di Vinci, che comprende un’ampia collezione di modelli di invenzioni realizzata all’interno della Palazzina Uzielli e del Castello dei Conti Guidi, una bellissima fortificazione medievale. Visitato ogni anno da 130mila persone, il Museo leonardiano è uno dei musei più importanti e frequentati della Toscana.

A Vinci ha anche sede il Museo ideale Leonardo da Vinci, dedicato all’approfondimento dell’attualità della figura di Leonardo e alla complessità della sua opera di artista, scienziato, inventore.

La casa natale di Leonardo

La casa natale di Leonardo da Vinci, invece, si trova ad Anchiano, un minuscolo abitato a breve distanza da Vinci che può essere visitata. All’interno è stata allestita una narrazione audio-visiva della vita di Leonardo. Con diversi disegni che raffigurano la Valle dell’Arno, il Padule di Fucecchio, Vinci e il Montalbano, si vuole sottolineato il rapporto che l’artista ha avuto con il proprio territorio, dal quale ha preso molte ispirazioni per le sue più grandi opere. Un ologramma a grandezza naturale dà voce a un Leonardo oramai vecchio e stanco che, dalla sua ultima dimora, il Castello di Amboise, in Francia, volge lo sguardo al passato per narrare le frequentazioni, gli studi e le vicende che lo legarono a queste terre.

Una parte dell’esposizione comprende una sezione dedicata al Cenacolo vinciano che si trova nella chiesa di Santa Maria delle Grazie a Milano, di cui è esposta una riproduzione in alta definizione, con la possibilità di attivare ulteriori percorsi tematici storici, artistici e dedicati al restauro.

La Strada Verde

Da Vinci ad Anchiano si può andare anche a piedi. Il percorso che collega il borgo alla casa natale di Leonardo prende il nome di “Strada Verde”. Contrassegnata come Itinerario escursionistico n. 14, è lo stesso che nell’Ottocento era noto come via Botanica ed è lungo circa 2 chilometri.

L’itinerario è rimasto pressoché inalterato nei secoli. Passa attraverso uliveti e vigneti che si concentrano lungo la salita verso Anchiano. A metà della via, prendendo una deviazione, è possibile raggiungere la pescaia quattrocentesca utilizzata per il flusso d’acqua che alimentava il Mulino della doccia di Vinci, che Leonardo raffigurò in un disegno del 1504 circa.

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In Italia esiste un borgo pittoresco dove la follia è di casa

Nel cuore delle Marche, immerso nell’entroterra della regione a pochi chilometri dal mare, esiste uno dei luoghi più suggestivi, affascinanti e seducenti del nostro Paese.

Arroccato su un colle che domina il fiume Nevola, e circondato tutto intorno da vigneti e campi di girasole, Corinaldo è una delle mete turistiche d’eccellenza in Europa come testimonia il titolo di Borgo più bello d’Italia e la Bandiera Arancione conferita dal Touring Club Italiano.

È un patrimonio immenso e straordinario, quello del borgo marchigiano, che vede fondere storia, tradizione e spiritualità in un paesaggio che lascia senza fiato. Ma c’è qualcos’altro che affascina e attira viaggiatori e turisti da tutto il mondo, qualcosa che non si può spiegare ma solo scoprire e vivere: la follia che da sempre caratterizza questo luogo e i suoi abitanti.

Il paese dei matti e dei Santi

Matti e Santi hanno vissuto e convissuto in questo luogo per secoli lasciando testimonianze visibili e percettibili ancora oggi all’interno del borgo.

Perché Corinaldo è il Paese dei Santi lo sappiamo tutti. Qui, il 16 ottobre del 1980, nacque Maria Goretti, venerata come Santa e martire dalla Chiesa Cattolica. All’interno del borgo è possibile seguire un itinerario spirituale che ci porta alla scoperta dei luoghi della Santa, come la sua casa natale e il santuario che preserva le sue reliquie.

Perché il borgo in provincia di Ancona sia considerato folle, invece, non tutti lo sanno. Possiamo anticiparvi però che l’appellativo ha a che fare con gli abitanti del luogo e con le loro leggendarie storie, con curiosità e aneddoti che ancora oggi aleggiano misteriosamente tra le strade del paese.

I matti di Corinaldo

C’è un libro che spiega perfettamente perché Corinaldo è considerato il paese dei matti, o meglio, lo fanno le storie raccolte in questo testo. Ne I matti di Corinaldo di Mario Carafòli sono narrate alcune delle vicende che hanno contribuito a questo bizzarro appellativo ricavate dalle memorie del Cavalier Nicola Bolognini Bordi.

C’è la storia del signor Atavico, un cacciatore che tutte le notti svegliava le persone del paese per informarle sulle condizioni meteorologiche del giorno dopo. C’è quella del signor Gecco che, ubriaco, si gettò completamente nudo nella fontana del borgo e per questo venne arrestato. Si natta anche di un certo Pietrino Del Mosciuto che scrisse una lettera all’allora presidente del consiglio Francesco Crispi lamentandosi di non essere stato consultato prima di far entrare l’Italia in guerra.

Queste sono solo alcune delle bizzarre storie raccontante nel libro e che riguardano gli abitanti del luogo. Ma Corinaldo, tra tradizioni folcloristiche e luoghi leggendari, continua a stupire.

La casa di Scuretto, la leggenda del Pozzo e il Passaporto da Matto

Per scoprire le altre strambe storie di Corinaldo basta una passeggiata nel borgo. È attraverso questa che possiamo andare alla scoperta della casa di Scuretto, un bevitore accanito che per dimostrare al figlio di non spendere tutti i soldi nelle osterie del borgo fece costruire solo la facciata di una casa, per dimostrare ai suoi familiari che era una persona responsabile. La casa, in realtà, non fu mai costruita, ma al suo posto c’è la facciata con tanto di numero civico e finestre.

A Corinaldo celebre è anche la leggenda del Pozzo della Polenta, luogo iconico situato proprio sulla scalinata della Piaggia. La storia vuole che qui un contadino si gettò per raccogliere la polenta caduta nel pozzo senza risalire più. Le donne del paese, per sfamarlo, si recavano sul luogo ogni giorno per lanciargli salsicce e altri alimenti per sfamarlo.

E se questo ancora non vi bastasse per considerare Corinaldo un luogo folle, allora dovete raggiungere il borgo in occasione della Festa dei Folli che si tiene qui ogni anno dopo Pasqua. Una sorta di Carnevale dove colori, luci e manifestazioni sui generis si tengono tra le strade del borgo. Partecipando alla festa è possibile ottenere anche il Passaporto da Matto.

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Parte il Treno di Dante, l’itinerario è favoloso

È di nuovo tempo di tornare a bordo del magnifico Treno di Dante, un viaggio indietro nei secoli che ci riporta ad uno dei periodi più floridi del nostro passato, in un intreccio di arte e storia – ma anche di paesaggi straordinari e tante prelibatezze locali da assaporare. In un lungo itinerario che ci conduce da Firenze a Ravenna, avremo la possibilità di scoprire parte dell’immenso patrimonio culturale del nostro Paese.

Il Treno di Dante, un viaggio straordinario

In un periodo in cui il turismo lento è tornato a spiccare tra le tendenze di viaggio, il treno sta diventando il mezzo di trasporto per eccellenza, soprattutto per scoprire le bellezze del nostro territorio. E adesso ne riparte uno davvero speciale: stiamo parlando del Treno di Dante, che per l’estate 2022 ha un programma ricco di appuntamenti. Dal 4 giugno al 10 luglio e dal 27 agosto al 30 ottobre (escluso il 10 settembre), tutti i sabati e le domeniche è prevista una partenza da Firenze a bordo di vagoni storici che ci permettono di fare un tuffo indietro nel tempo.

L’itinerario è lungo appena 136 km, ma è ricco di sorprese. A partire proprio dal treno: il Centoporte – uno dei pochi esemplari ancora presenti con la sua motrice storica – viaggia sulla linea ferroviaria Faentina, che fu la prima ad attraversare gli Appennini. A bordo sono disponibili 230 posti, suddivisi in tre classi: la prima e la seconda presenta divanetti imbottiti e ambientazioni in stile liberty semplicemente fantastici. Mentre la terza classe vanta ancora i caratteristici interni in legno, incluse anche le sedute – un po’ più scomode, ma sicuramente molto più suggestive.

Treno di Dante

Il Treno di Dante

Il Treno di Dante, l’itinerario favoloso

Il Treno di Dante è un viaggio attraverso l’Appennino Tosco-Romagnolo, sulle orme di Dante Alighieri durante il suo lungo cammino da Firenze a Ravenna. Paesaggi naturali incredibili, città d’arte famose in tutto il mondo e piccoli borghi medievali dove il tempo sembra essersi fermato: le sorprese, in questo splendido itinerario, sono tantissime. Si parte naturalmente dal luogo in cui nacque il celebre poeta, approfittandone per esplorare alcune delle sue bellezze – come la Casa di Dante e la Chiesa di Santa Margherita, dove avvenne l’incontro con Beatrice.

Una volta a bordo del treno storico, il paesaggio cambia in fretta. Addentrandosi tra colline ricoperte di vigneti e paesini suggestivi, si giunge a Borgo San Lorenzo: qui l’arte incontra la natura, con bellissimi sentieri perfetti per gli amanti del trekking. La seconda tappa è Marradi, nei pressi del quale si trova l’Eremo di Gamogna. Per raggiungerlo, c’è un antico cammino panoramico tutto da scoprire. Poi si riparte alla volta di Brisighella, inserito a pieno titolo tra i Borghi più belli d’Italia: la sua rocca è il punto d’osservazione ideale per ammirare i dintorni.

La fermata successiva è Faenza, storica cittadina neoclassica divenuta famosa in tutto il mondo per la sua produzione di raffinate maioliche, di cui si trovano testimonianze nelle numerosissime botteghe artigiane che arricchiscono il centro e nel Museo d’Arte Ceramica. Infine, si arriva a Ravenna: qui Dante completò la sua Commedia e riposò sino al suo ultimo respiro. La tomba del Sommo Poeta è un vero mausoleo in onore di uno dei più importanti letterati del nostro Paese. Prima di ripartire per fare rientro a Firenze, c’è tempo per ammirare alcune delle più suggestive architetture della città, come la Basilica di San Vitale che rappresenta uno degli esempi meglio conservati di arte bizantina.

Treno di Dante

Il Treno di Dante

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In Italia esiste un tempio incastonato nella roccia: è bellissimo

L’Italia è un paese che non smette mai di stupire perché infinite sono le sue meraviglie. Alcune portano la firma di Madre Natura, altre dell’uomo. Altre ancora rappresentano la perfezione visibile e tangibile dell’incontro tra i due.

Ed è proprio nel Belpaese che troviamo una delle più alte e suggestive rappresentazioni della bellezza che esplode quando uomo e natura si incontrano.

Si tratta di un tempio incastonato nella roccia costruito proprio nel ventre dei massicci che dominano il territorio di Genga, nelle Marche, dall’architetto Giuseppe Valadier. Un capolavoro architettonico unico in Italia che lascia senza fiato.

Il Tempio del Valadier

Nel cuore più aspro e autentico delle Marche, esiste un territorio dominato da alte rocce che si incolonnano, una dopo l’altra, e che svettano verso il cielo fino a sfiorarlo, mentre tutto intorno spicca il verde di una vegetazione fitta e impenetrabile.

Ci troviamo dentro il Parco Naturale della Gola della Rossa di Frassassi, un luogo suggestivo e straordinario che crea un’atmosfera unica al mondo. Qui la natura, il tempo e gli agenti atmosferici hanno creano numerose grotte scavate nella roccia, ed è proprio in una di queste che si nasconde un tesoro prezioso.

Un piccolo tempio dalla forma esagonale voluto da Papa Leone XII, oltre due secoli fa, e progettato dall’architetto Giuseppe Valadier da cui l’edificio oggi prende il nome, che si configura come uno dei luoghi più suggestivi delle Marche e dell’intera Italia.

L’idea di Papa Leone XII, originario di Genga, era quello di realizzare un rifugio per tutti i fedeli che avrebbero potuto chiedere e ottenere il perdono, motivo per il quale l’interno della grotta è chiamato anche rifugio dei peccatori.

Il Tempio del Valadier divenne davvero un rifugio, e non solo per i fedeli, ma anche per gli abitanti della zona che qui si nascosero durante le invasioni ungheresi del X secolo.

Il tempio nella roccia

Oggi, il Tempio del Valadier, è diventata una meta imprescindibile per tutte le persone che arrivano nel Parco Naturale della Gola della Rossa e di Frasassi.

Tutto il fascino e la suggestione dell’edificio splendono ancora oggi, esattamente come ieri. Il tempio a pianta ottagonale e in stile neoclassico, è sormontato da una cupola ricoperta di lastre di piombo che sfiora la parte alta della grotta e con la roccia sembra fondersi, mentre il marmo dell’edificio sembra quasi illuminare l’oscurità della cavità.

A guardare il panorama nell’insieme è impossibile non emozionarsi. Sia da lontano che da vicino, l’armonia dell’incontro tra uomo e natura mette in scena uno spettacolo immutato ed eterno.

La costruzione in stile neoclassico è davvero una meraviglia, così come lo è anche il sentiero che conduce al tempio. Una strada immersa nel silenzio e nella natura dove è possibile rigenerare i sensi.

Si parte dall’ingresso delle Grotte di Frasassi per poi intraprendere un percorso in salita di facile difficoltà che conduce direttamente al tempio incastonato nella roccia. All’interno dell’edificio è possibile ammirare la riproduzione della statua Madonna col bambino di Canova.

Uno dei periodi più belli per visitare il Tempio del Valadier è dicembre, perché è qui che a Natale, dal 1981, si tiene uno dei più grandi e suggestivi presepi viventi del mondo.

Tempio del Valadier

Tempio del Valadier

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Il borgo italiano che racconta storie attraverso i muri

C’è un luogo nel cuore del Mediterraneo che da sempre incanta viaggiatori provenienti da ogni parte del mondo. E non lo fa solo per quelle spiagge bianche e dorate e per quelle acque turchesi e cristalline, anche se queste da sole meritano il viaggio. Lo fa sopratutto con i suoi colori, con i sapori, con la sua storia e con le sue contraddizioni, presenti e passate. Questo luogo si chiama Sardegna.

Ma quella che vi raccontiamo oggi è una Sardegna diversa da quella che in molti conoscono, lontana da quelle distese di azzurro che si perdono all’orizzonte, dal lusso e dai luoghi che d’estate vengono invasi dai turisti.

È la Sardegna della Barbagia di Ollolai, in provincia di Nuoro. Quella del borgo di Orgosolo, quella dove le storie del passato, del presente e del futuro sono raccontate attraverso i muri, attraverso oltre 200 murales.

I murales di Orgosolo

I murales di Orgosolo

Orgosolo, il borgo dei murales

Quella tra la Sardegna e l’arte dei murales è una storia d’amore antica e indissolubile tracciata in tutta la regione. Ma è Orgosolo che sembra detenere il primato di capitale dei dipinti murali con le sue 200 opere d’arte, e anche di più, che si snodano tra le case e gli edifici del borgo, le stesse opere che ogni anno attirano migliaia di turisti italiani e stranieri.

Perché Orgosolo è così speciale è presto detto. La presenza dei murales non è legata ai colori e alle forme, e neanche a un valore estetico, seppur questo è indiscutibile. Ciò che rende speciale il borgo barbaricino in cui vivono circa 4000 persone, è il fatto che le opere murali sono parlanti e tutte raccontano una storia.

Storie di chi qui è vissuto e di chi è andato via, vicende che appartengono alle memorie del borgo e dell’Italia intera. Narrazioni nei quali i cittadini possono identificarsi e riconoscersi, oppure semplicemente osservare per non dimenticare.

Ci sono uomini e donne, ci sono personaggi storici e persone identificabili. C’è la resilienza, il coraggio, il presente e il futuro. C’è tutto in quei murales che brillano al sole e che illuminano le pareti delle abitazioni, degli edifici e pure le rocce del borgo.

I murales di Orgosolo

I murales di Orgosolo

Tutte le storie di Orgosolo

Se dovessimo paragonare il borgo di Orgosolo a qualcosa di tangibile, questo sarebbe senz’altro un libro, e i suoi muri le pagine da sfogliare. Storie da osservare, da leggere a da interpretare. Perché i murales di questa terra sarda non rappresentano solo una forma d’arte da contemplare, non celebrano solo la bellezza, ma si trasformano in nuovi e inediti strumenti di comunicazione per il borgo e i suoi abitanti.

Del resto è così che è nato quel primo murale nel 1969, un dipinto firmato da un collettivo di anarchici, seguito poi dal progetto promosso da un insegnante della scuola media del borgo che, in occasione del trentennale della Liberazione dal nazifascismo, ha realizzato con i suoi studenti una serie di opere lungo Corso della Repubblica. A questi se ne sono aggiunti tanti altri grazie al contributo di artisti locali.

I murales presenti oggi a Orgosolo non si contano, ma sappiamo che sono più di 200. Raccontano la storia dei costumi locali, della cultura e delle persone che popolano questo territorio. Raccontano eventi impressi nella memoria collettiva, ma anche fenomeni storici come quelli del banditismo. Raccontano la guerra e la pace, la libertà e la bellezza.

Alcune opere d’arte, le più significative, vengono rinnovate anno dopo anno e al fianco di queste ne vengono aggiunte di nuove. Altre sono consumate dal tempo e dagli agenti atmosferici eppure sono ancora lì, impresse nei muri e nella memoria di chi le ha viste sbiadire, di chi le può raccontare alle future generazioni.

Ed è questa la meraviglia di Orgosolo, un borgo fatto di storie dipinte sui muri da leggere e da scoprire.

I murales di Orgosolo

I murales di Orgosolo

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La CNN racconta il Lago Trasimeno e il suo particolare cibo

Un lago di quasi 50 miglia quadrate incastonato come una gemma tra campagne e colline, in Umbria, polmone verde d’Italia, e unica regione dello Stivale a non aver alcuno sbocco sul mare. Il Lago Trasimeno, per gli abitanti e i turisti che decidono di visitare l’immenso patrimonio umbro, rappresenta la spiaggia, il divertimento all’insegna del relax, e tanto buon cibo. La Cnn ha dedicato un intero reportage alle bellezze lacustri, alla sua gente e alla cultura gastronomica del territorio, e a un modo di vivere la vacanza in modo sostenibile e lento.

Qui si trova una cucina ricca e povera allo stesso tempo, ma quasi esclusivamente a chilometro zero. La valorizzazione passa dal piatto ed è iper locale. La carne proviene direttamente dalle colline boscose, così come  i famosi tartufi. Poi ci sono ortaggi, legumi, insaccati e zafferano pregiato.

Ma è anche dal lago che arriva il cibo tradizionale. Chiaramente pesce d’acqua dolce. Parliamo di pesce persico, luccio, carpa e anguilla. Spesso cucinati in modo gustoso e sempre diverso. Ad esempio, la Cnn elogia una ricetta secolare che vede come protagonista la carpa ma cucinata in porchetta, quindi come se fosse maiale arrosto alle erbe: un classico all’italiana ma decisamente rivisitato in chiave lacustre. Il cibo del Lago Trasimeno, che a prima vista potrebbe sembrare difficile per i turisti stranieri che associano il nostro Paese a pizza, pasta (in ogni modo e maniera) e carne, è in realtà cibo a “chilometro zero”.

La pesca sul Trasimeno

La Cnn racconta l’economia del Lago Trasimeno, divisa storicamente tra pesca e agricoltura. I pescatori riuniti in una cooperativa oggi tornano dalle battute di pesca e poi si trasformano in chef (hanno avviato un ristorante gestito da loro stessi) cucinando piatti classici del lago, mantenendo in vita le tradizioni culinarie del Trasimeno e puntando sulla valorizzazione e lo sviluppo economico sostenibile. Cosa si mangia dai pescatori del Trasimeno? Un menù ovviamente super locale che include portate come l’insalata di luccio, la carpa tartufata e gli gnocchi fatti in casa con la tinca affumicata.

Una cucina locale che conquista i palati

Piatti semplici, gusti riconoscibili e puliti senza aggiunta di troppi condimenti o salse. Questo per gli americani rappresenta il vero gusto umbro. Gli ingredienti vengono valorizzati e spesso la gente prende direttamente dai propri orti ciò che poi cucina e consuma, come finocchi selvatici e asparagi selvatici sulla collina, melograni, limoni, ciliegie ed erbe aromatiche. E poi, ovviamente, la pesca, con i prodotti tipici e le ricette autentiche di una volta ancora cucinate nella loro versione più tradizionale o anche rivisitate.

Uno dei piatti più apprezzati, come racconta la Cnn, è il tegamaccio, uno stufato di pesce che un tempo era preparato con il pesce rimasto invenduto, e che quindi i pescatori avrebbero dovuto buttare, che veniva invece recuperato dalle mogli e cotto in una pentola di coccio. Gli ingredienti che solitamente non mancano mai sono pesce persico e anguilla marinata nel limone. Un piatto apprezzato anche dai turisti stranieri che, essendo al lago, di certo non cercano pesce di mare come tonno e branzini semplicemente perché sono in Italia.

Tra gli altri prodotti locali dell’Umbria apprezzati dai turisti amanti della buona tavola, oltre che dei borghi e delle bellezze naturali, si trovano la fagiolina del Trasimeno, oggi un legume pregiato, un piccolo fagiolo coltivato dagli Etruschi in epoca preromana, presidio Slow Food, che un tempo non veniva considerato un granché ed era utilizzato, come testimoniato anche dalla gente del posto, per sfamare i conigli. E che dire anche del profumatissimo zafferano di Città della Pieve, che dista circa 15 minuti a sud del lago. Tutti prodotti che hanno trovato una nuova contemplazione e parecchio apprezzamento.

Meta lontana dal turismo di massa

Il lago Trasimeno, non è solo luogo apprezzato per la buona cucina, ma anche una meta vacanziera. In Umbria, terra ricca di borghi e bellezze artistiche, non ha sbocchi sul mare ed il turismo balneare lo si fa proprio qui, in un luogo tranquillo che tuttavia nel secondo dopoguerra era stato preso d’assalto. Qui, come spiega il reportage, si voleva creare una sorta di “Rimini alla umbra”, infatti c’erano pedalò, cabine, lidi attrezzati e chioschi sulla spiaggia proprio come sulla riviera romagnola. E, ovviamente, si mangiava pesce di mare e non di lago. Oggi tutto è tornato local: il  cambiamento nel modello turistico ha salvato il patrimonio alimentare unico del lago.

Turismo sostenibile e di qualità

La missione sul Lago Trasimeno è non cedere al turismo di massa. Una filosofia che sta avendo come risultato degli ultimi venti anni, una forma di turismo di qualità e non basato su numeri immensi. Ci sono borghi del Trasimeno che sono perle tutte da scoprire: Passignano sul Trasimeno, sulla costa settentrionale, e Castiglione del Lago, a ovest, inseriti tra i Borghi piu’ belli d’Italia. Ma anche spostandosi un po’ più in là dalle rive si incontrano le meraviglie intime e raccolte di altri paesini dove il tempo sembra essersi fermato, come Corciano, Mugnano, Castel Rigone, Paciano e Panicale.

Turismo lento e sostenibile che piace al turista che apprezza le vacanze da insider, in mezzo alla gente del posto, che scopre tradizioni, cibo locale e non cerca lo stereotipo delle vacanze italiane in qualsiasi luogo del Paese. Sia per quanto riguarda l’entroterra che le località balneari: l’Umbria non è la Toscana e non è il Lazio, come non deve essere accomunata ad altre zone ma mantenere chiara la propria identità, come fatto negli anni.

Il viaggiatore ideale a scoprire l’Umbria è colui che è in grado ed è desideroso di apprezzare l’essenza di questi luoghi così ricchi di storia e di patrimonio naturale che meritano di essere vissuti a fondo, trascorrendo giornate all’insegna del relax e della tranquillità, e dimenticando la parola frenesia dal vocabolario. Non il mordi e fuggi, o il turismo vocato al mero consumo di ciò che una zona può offrire. Un tipo di turismo che, a differenza dalla maggior parte delle mete balneari affacciate sul mare, può essere destagionalizzato e apprezzato, ad esempio, anche in autunno.

lago Trasimeno

Vista di Passignano sul Trasimeno

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C’è un vitigno all’ombra del Colosseo ed è spettacolare

I motivi per organizzare un viaggio nella capitale d’Italia, in ogni momento dell’anno, sono così tanti che non si possono elencare. Del resto tra i 7 colli si snodano tutta una serie di meraviglie antiche e moderne che raccontano la storia di Roma e dell’Italia intera.

Antiche rovine, capolavori rinascimentali, arte classica e moderna, e poi ancora paesaggi urbani che lasciano senza fiato e scorci meravigliosi che hanno incantato e ispirato registi, musicisti e artisti provenienti da ogni parte del mondo.

Eppure, come se tutto questo non bastasse, c’è un altro motivo per raggiungere Roma adesso, si tratta di un piccolo vigneto che è nato nel cuore della città eterna, proprio lì, all’ombra del Colosseo.

Il vitigno sul Colle Palatino

Ci troviamo nel cuore della Roma Imperiale, quella dominata dal Colosseo e attraversata dalla magica e suggestiva via dei Fori Imperiali. In quella scenografia da cartolina che rappresenta la capitale d’Italia nel mondo, la stessa che attira milioni di viaggiatori provenienti da ogni dove.

È questo il primo luogo che si desidera raggiungere quando si mette piede a Roma, è questo il posto dove si lascia il cuore. Tutto intorno, invece, si snoda il Colle Palatino, quel luogo che, secondo la leggenda, ha visto la nascita della città eterna. Lo stesso luogo che racconta di Remo e di Romolo, del primo re della città e della sua storia.

Ed è qui, tra i resti delle dimore patrizie e dei palazzi reali, tra le chiese straordinarie e quei muri che sembrano custodire storie antiche e mai dimenticate, che è stato realizzato un piccolo vigneto per continuare quel dialogo tra antichità e modernità, tra passato e futuro, tra storia e agricoltura.

C’era una volta l’uva pantastica

La storia d’amore tra la vite e Roma è tanto antica quanto indissolubile. Già Plinio il Vecchio aveva parlato di uva pantastica per far riferimento ai prodotti del vitigno in epoca romana, gli stessi che adesso vengono coltivati nell’area del Parco Archeologico del Colosseo e in molte altre zone di Roma.

Conosciuta anche come uva pane, perché consumata dai contadini in abbinamento con il pane, questa uva è considerata la materia prima per fare quello che è considerato il vero vino romano, oggi come ieri.

Grazie alla collaborazione tra il Parco e l’azienda vitivinicola Cincinnato, e alla conseguente nascita del vitigno al Palatino, sarà possibile valorizzare, preservare e portare avanti quel legame culturale tra la tradizione agricola che affonda le radici nella storia dell’antica civiltà romana e il territorio stesso. Così passato, presente e futuro si fondono nel cuore di Roma dando vita a quella che potrebbe diventare una delle esperienze di eno-archeologia più belle del nostro Paese.

Le barbatelle della varietà Bellone, che Plinio il Vecchio chiamava uva pantastica sono state già piantante in un piccolo appezzamento di terra della Vigna Barberini, appartenuta all’omonima famiglia e situata nell’angolo orientale del Colle Palatino, nel prato verdeggiante della terrazza capitolina che offre uno dei panorami più belli e suggestivi dell’intera città. E ora, proprio lì, un pezzo di storia dell’antica Roma tornerà a vivere.

Vigneto Vigna Barberini

Vigneto Vigna Barberini