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Kyushu, l’isola dove scoprire la cultura onsen giapponese

Nel settore del wellness, grande importanza rivestono le mete turistiche caratterizzate da stabilimenti termali e sorgenti d’acqua curativa: anche in Giappone ci sono molte destinazioni dove immergersi nella cultura “onsen”, termine con il quale viene designata proprio la stazione termale, che sia essa all’aperto o al coperto, pubblica o gestita privatamente. In questi luoghi ci si può rilassare completamente, sfruttando i benefici delle acque calde e della stessa atmosfera intima. Per vivere questa esperienza, l’ideale è dirigersi verso l’isola di Kyushu. Andiamo alla scoperta di questo posto meraviglioso.

L’isola di Kyushu, tra terme e paesaggi lussureggianti

Caratterizzata da un clima subtropicale, l’isola di Kyushu vanta panorami davvero incantevoli: è la terza per grandezza tra quelle che formano l’arcipelago giapponese, situata a sud-ovest rispetto all’isola principale di Honsu. Il suo paesaggio è prevalentemente montuoso, ed è qui che sorge il vulcano attivo più alto del Paese. Si tratta del Monte Aso, responsabile dei movimenti tettonici che danno vita alle numerose sorgenti termali di cui Kyushu è così ricca. Ma non solo: le eruzioni e le colate laviche hanno anche modellato le sue coste frastagliate, lungo le quali spuntano tantissimi isolotti rocciosi, e creato un microclima dove gli agrumeti hanno trovato il loro habitat.

Ma torniamo alle terme e alla cultura onsen. Uno dei centri principali del Paese è la città di Yufuin, situata nella prefettura di Oita. Qui si trovano le sorgenti più calde del Giappone intero, cosa che ha reso la meta un’attrazione molto popolare per i turisti alla ricerca di un’esperienza wellness. Il centro abitato si trova lungo il bacino di un fiume, circondato dalle montagne e da vaste campagne, dove a prevalere sono le risaie. Ecco perché le mattine invernali sono caratterizzate da una leggera nebbiolina che sembra sgorgare dalla terra, offrendo un panorama quasi magico.

Diversi ryokan tradizionali, ovvero locande tipiche del periodo Edo (tra il ‘600 e l’800) che sono rimaste ancora immutate nel tempo, si alternano ad hotel ben più moderni e lussuosi, per soddisfare davvero ogni esigenza. Ma le vere protagoniste sono le acque termali, che sembrano avere importanti proprietà curative. Sono da sempre impiegate per combattere nevralgie, artriti e dolori muscolari, ma anche problemi gastrointestinali e disturbi della pelle. Alcune sorgenti offrono anche acqua da bere, per trattare patologie come il diabete, l’obesità e il rallentamento del transito intestinale.

Cosa vedere sull’isola di Kyushu

Oltre a Yufuin, c’è un’altra località turistica molto conosciuta per i suoi bagni termali. Si tratta di Beppu, il cui territorio è costellato di sorgenti d’acqua calda che, in alcuni casi, vengono persino ritenute sacre. In totale, si stima che qui scorrano più di 70mila metri cubi d’acqua al giorno: non sorprende che i turisti vi si rechino per trarne beneficio. Ma lasciamo da parte gli onsen e immergiamoci nelle altre bellezze di questa regione. Per chi ama la natura incontaminata, uno dei luoghi più suggestivi è la Gola di Takachiho: uno stretto passaggio tra rocce vertiginose e ricoperte di muschi, scavato dal fiume e da splendide cascate.

È invece nella città di Usuki che si può ammirare una bellissima collezione di Buddha in pietra vulcanica, probabilmente scolpiti nel XII secolo (per ragioni che rappresentano ancora un mistero). Alcuni di essi sono considerati tesoro nazionale del Giappone. Sempre ad Usuki, ci si può tuffare nell’atmosfera dei samurai lungo la Nioza Historical Road, dove si trovano numerosi templi antichi e due residenze nobiliari da visitare. Infine, un’ultima tappa non può che essere Nagasaki, che fu teatro del secondo bombardamento atomico, un evento che ha lasciato segni drammatici sul territorio.

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Questo palazzo sospeso sull’acqua è un gioiello da scoprire

Venezia rappresenta il mix perfetto tra tante culture, una fusione che si riflette soprattutto nella sua intrigante varietà architettonica. È proprio questa particolarità che la rende unica nel suo genere, in quello che oggi è un continuo viavai di persone. Ma questo stesso viavai c’era anche in passato, come testimoniato perfettamente dai fondachi.

Ce n’è uno che attira subito l’attenzione: è sospeso sull’acqua, quasi una magia dei costruttori del passato, un vero e proprio gioiello da scoprire nel dettaglio. Il Fondaco dei Tedeschi può “raccontare” l’evoluzione del commercio veneziano (ma anche globale) dal ‘500 ai giorni nostri, ecco perché può essere considerato uno dei simboli principali della località lagunare.

Mezzo millennio di storia

Il Fondaco o Fontego dei Tedeschi che possiamo ammirare oggi non è in realtà l’edificio costruito originariamente. L’attuale Fondaco ha infatti visto la luce nel 1508, subito dopo l’incendio che distrusse per sempre un altro palazzo simile che era stato voluto con forza da Venezia tre anni prima.

La nuova scelta architettonica fu innovativa, ma geniale. A differenza di altri palazzi del Canal Grande, non vennero usate decorazioni in marmo, ma si puntò sull’estro di Giorgione e Tiziano per affrescare il Fondaco. In poco tempo diventò il punto d’approdo principale delle merci dei mercanti tedeschi (da qui il nome). Sempre in questo edificio, chi parlava in tedesco poteva definire accordi e scambiare altra merce.

Fondaco dei Tedeschi illuminato

Fonte: iStock/Massimo Brucci

La suggestiva facciata di Fondaco dei Tedeschi illuminata

Fu persino la residenza di una delle più importanti famiglie di banchieri teutonici, i Fugger. Oggi invece è stato riconvertito in centro commerciale di lusso con annesso polo culturale: dal 2016 il successo del Fondaco dei Tedeschi in questa nuova “veste” è stato crescente, tanto è vero che ogni anno milioni di persone si recano in questo luogo.

I 9mila metri quadri di esposizione e i 5 piani del palazzo sospeso sull’acqua rappresentano un punto di riferimento per lo shopping veneziano. Non solo moda e accessori, qui si trova praticamente di tutto, dai vini pregiati ai prodotti di bellezza, passando per profumi, orologi e cibo raffinato.

Una tappa che non ci si può lasciare sfuggire è senza dubbio la terrazza panoramica, l’ideale per ammirare lo skyline di Venezia da un punto privilegiato, una vista incredibile che domina il Ponte di Rialto e che fa innamorare perdutamente della città. Shopping, ma anche tanta cultura: il Fondaco dei Tedeschi conservava opere di valore inestimabile, tra cui capolavori del Veronese e del Tintoretto. Se n’è persa traccia, ma quello che è rimasto rende la visita al palazzo ugualmente speciale

Arte e cultura: il Fondaco dei Tedeschi oggi

La storia dell’edificio può essere apprezzata negli antichi caminetti che impreziosiscono gli interni e nelle arcate dall’eleganza innegabile, ma anche nei piccoli dettagli. Una piacevole sorpresa si può scovare sotto i davanzali delle finestre centrali in cui il doppio giglio e il pentacolo con due mazze rappresentano probabilmente gli stemmi dei banchieri Fugger.

L'edificio storico Fondaco dei Tedeschi

Fonte: iStock

Lo storico edificio Fondaco dei Tedeschi a Venezia

Il Fondaco dei Tedeschi è aperto tutti giorni, dalle 9:30 alle 19:30 da ottobre a marzo e dalle 9:30 alle 21:30 da aprile a settembre. Per salire sul tetto bisogna armarsi di pazienza, visto che non possono accedere più di 80 persone alla volta. Le mostre, infine, sono in continua evoluzione e accontentano qualsiasi esigenza: sono dedicate agli antichi aspetti della vita commerciale di Venezia, ma anche all’arte contemporanea e a quella fotografica. Una volta entrati, la visita alla città lagunare non sarà più la stessa.

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Piobbico, gioiello incastonato in una vallata tra i monti delle Marche

Sorge in una vallata, stretta tra i verdeggianti versanti dei monti Nerone e Montiego, l’affascinante borgo di Piobbico, in provincia di Pesaro Urbino. La sua storia è ammaliante quanto il superbo contesto naturalistico in cui è inserito, e trasporta i visitatori in quel lontanissimo passato medievale che lo vide fiorire, ancora impresso nelle sue architetture civili e religiose, su cui domina tronfio il Castello Brancaleoni. C’è anche una curiosità che contraddistingue questo gioiello delle Marche: Piobbico è conosciuto come ‘il paese dei brutti’.

Piobbico: un po’ di storia

Per l’origine del nome ‘Piobbico’ bisogna risalire all’epoca romana. In seguito alla guerra sociale, tutti i territori che non si erano ribellati a Roma avrebbero dovuto ottenere il ‘diritto di cittadinanza’, tuttavia la parte a ridosso del monte Nerone rimase esclusa dalle suddette assegnazioni, rimanendo ager publicus. Negli anni ‘publicus’ evolse in ‘plobicus’, ‘plobici’ fino all’attuale Piobbico.

I fiumi e le cavità naturali che caratterizzano il territorio hanno favorito l’insediamento fin dalla preistoria, per poi proseguire con Etruschi e Romani. La vera storia del paese ha, però, inizio con la famiglia feudataria Brancaleoni, che si stabilì in queste terre prima dell’anno Mille, dominandole per quasi cinque secoli. Sono gli anni in cui sorsero il castello, il borgo, le chiese e le varie ville e villaggi attorno. Piobbico divenne comune autonomo solo nel 21 dicembre 1827, per decreto di Leone XII.

Visita al borgo di Piobbico

Simbolo di Piobbico è il Castello Brancaleoni, eretto nel XIII secolo, probabilmente sui resti di preesistenti costruzioni, e trasformato nel Cinquecento in una splendida dimora rinascimentale, che risentì dell’influenza della vicina Urbino. Si presenta come un complesso di costruzioni aggiuntesi al nucleo primitivo che si allungano sul crinale del roccione dominante il centro del bacino dove poggia il borgo marchigiano. Una delle sale di maggior pregio del Castello è la “sala del Leon d’Oro”, riccamente decorata, alla cui sinistra si trova la cosiddetta “Camera Romana”, per le scene di vita romana in stucco e dipinte nella volta, mentre a destra è la “Camera Greca”, del conte Antonio II, affrescata con episodi tratti dalla mitologia greca. Restaurato di recente, il Castello ospita oggi il Museo Civico Brancaleoni, e i suoi spazi vengono spesso utilizzati per manifestazioni ed eventi culturali, come concerti, convegni e mostre d’ arte.

Il borgo medievale, detto popolarmente il Borghetto, costituisce insieme al Palazzo Brancaleoni la vera anima antica di Piobbico. Si compone di un paio di viuzze e di alcuni vicoli chiusi, attorno ai quali sorgono le piccole case unite tra loro, per scopo difensivo. Punto di incontro di questo tracciato ad anello è la Chiesa di S. Pietro con la piazzetta antistante, collocata a metà della rampa di accesso al Castello, che si presenta con un elegante portale cinquecentesco, unico elemento decorativo della sobria facciata, e al cui interno custodisce una pala d’altare raffigurante il santo attribuita a Giorgio Picchi.

Il più antico edificio di culto del territorio piobbichese è, invece, il santuario di Santa Maria in Val d’Abisso, risalente almeno all’XI secolo, sorto proprio ai piedi del monte Nerone, nel luogo in cui, secondo la tradizione, sarebbe stata rinvenuta l’immagine della Madonna, oggi conservata al suo interno. Altrettanto affascinanti, la Chiesa di Sant’Antonio, nella piazzetta omonima, e la Chiesa di Santo Stefano, in stile barocco, riedificata dai Brancaleoni nel 1784 dopo il terremoto, che custodisce la pala “Riposo della Sacra Famiglia durante la fuga in Egitto” di Federico Barocci.

Passeggiando lungo le stradine ripide e acciottolate del Borghetto, si possono notare i caratteristici edifici costruiti o con la pietra rossa del Montiego, o con corniola bianco-latte, che conservano gli antichi elementi architettonici, come stipiti e architravi, in travertino bianco ricavato dal monte Nerone.

Durante i lavori di restauro di una casa nel centro storico di Piobbico, è venuta alla luce una fornace di età romana che presenta tre camere di cottura distinte e un complesso sistema per il convogliamento dell’aria calda. Si tratta di una vera e propria officina situata sotto il Palazzo Brancaleoni, collegato al nucleo principale del paese medievale, che sta sull’altra sponda del Candigliano, mediante un ponte.

Perché Piobbico è ‘il paese dei brutti’

Oltre che per le sue bellezze paesaggistiche, storiche e architettoniche, Piobbico è noto anche per essere ‘il paese dei brutti’. Ma da dove arriva questo appellativo? Il Club dei brutti (o World Association of the Ugly People) è un’associazione internazionale fondata nel 1879 nel borgo in provincia di Pesaro Urbino, che oggi ha lo scopo di sensibilizzare sul tema dell’apparenza nella società moderna. La sua istituzione è stata motivata dall’esigenza di “maritare le zitelle del paese”, in quanto non sposarsi a causa del proprio aspetto causava problemi anche economici per le famiglie. In pratica, svolse funzioni simili a quelle di un’agenzia matrimoniale.

L’associazione è stata poi rilanciata intorno al 1960 con il nome di “Associazione Nazionale dei Brutti”, che nel 2008 dichiarava come suo scopo la “sensibilizzazione ad una corretta cultura dell’apparenza e la lotta al culto della bellezza della moderna società della comunicazione” e “combattere il culto esagerato della bellezza”. Nello stesso anno ha inaugurato un monumento ai brutti nel paese di Piobbico. Nella prima domenica di settembre, si svolge ogni anno nel borgo il Festival dei Brutti, in concomitanza con la rinomata Sagra della Polenta alla Carbonara.

Il sentiero dei folletti e altre meraviglie nei dintorni

I fiumi, le valli, i monti che circondano Piobbico offrono un’infinità di percorsi, tra cui il fiabesco Sentiero dei Folletti, da dove poter ammirare lo splendore del Monte Nerone e il borgo antico del Castello. Un breve itinerario adatto a tutti, percorribile in circa mezz’ora tra andata e ritorno, che regala un panorama unico del paese marchigiano.

Sulle alture del borgo sono presenti altre rocche e castelli parzialmente ridotti in ruderi, che fungevano da posti di guardia, eremi, o vecchie abitazioni dei Brancaleoni. Tra questi spicca l’eremo di Morimondo, la cui esistenza è già attestata all’inizio del secolo XIII, sede di una comunità ascetica che praticava la regola di san Pier Damiani.

Su un picco appartenente al massiccio del monte Nerone, a strapiombo sul borgo di Piobbico, ci si imbatte nella primitiva dimora dei Brancaleoni, il Castello di Mondellacasa (nome con il quale vennero designati i signori del paese), di cui oggi restano solo pochi ruderi, i Muracci. Nel corso del XIII e XIV secolo, abbandonarono questo antico maniero per trasferirsi più a valle nel castrum di Piobbico.

Domina, invece, il lato sinistro del corso superiore del fiume Candigliano il Castello dei Pecorari, eretto alla fine del XII secolo, che nel 1446 passò dalle mani dei Brancaleoni a quelle dei loro rivali Ubaldini, per volontà di Federico da Montefeltro, signore di Urbino. Del maniero si può ammirare ancora intatta la struttura dell’imponente mastio.

Ogni periodo storico ha lasciato tracce a Piobbico, basti pensare che in una grotta nei dintorni sono state ritrovate ossa di Ursus spelaeus risalenti a migliaia di anni fa, il cui scheletro ricostruito è esposto nel Museo Civico. Insomma, chi viene in visita in questi luoghi torna a casa con un bagaglio di sorprese e di emozioni davvero infinite.

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In Provenza, sulle tracce di Pablo Picasso

Pittori e scrittori hanno da sempre celebrato la Provenza. Un nome su tutti: Pablo Picasso. Il grande artista di nazionalità spagnola scelse questa regione del Sud della Francia per creare le sue opere d’arte, amare e… morire. Tanto che i suoi dipinti, le sue donne e le sue amicizie hanno segnato queste terre a tal punto da identificarsi con l’artista stesso.

Disegni, pitture e ceramiche, ma anche la volta di una cappella portano il suo nome e si possono scoprire ad Arles, Aix-En-Provence, Avignone, Vallauris e Antibes.

A cinquant’anni dalla morte di Picasso, avvenuta l’8 aprile del 1973 a Mougins, ripercorriamo un itinerario che segue i suoi passi. Il più grande pittore del XX secolo ha trascorso la maggior parte della vita nella regione della Provenza-Alpi-Costa Azzurra e il tour sulle orme di Picasso nel Sud della Francia comprende alcune tappe che hanno ispirato la sua vita e la sua creatività.

Picasso ad Antibes

Negli anni di soggiorno di Picasso sulla Costa Azzurra, la città di Antibes propose all’artista di sfruttare parte dell’allora Castello Grimaldi come atelier. Al termine del soggiorno durato solo due mesi nel 1946, il pittore lasciò alla città 23 dipinti e 44 disegni. Nel ’48 Picasso arricchì la collezione donando 78 ceramiche realizzate nell’atelier Madoura di Vallauris. Nel 1966, per rendere omaggio a Pablo Picasso, il Castello Grimaldi divenne ufficialmente il Museo Picasso, il primo museo dedicato all’artista. Nel 1991, infine, il lascito di Jacqueline Picasso, la sua ultima compagna di vita, permise di arricchire ulteriormente la collezione.

Picasso a Vallauris

Picasso scoprì nel 1936 la “città dei cento vasai ” e ci andò a vivere tra il ‘48 e il ‘55 cimentandosi nel modellare la terra. Le ceramiche prodotte in questi anni sono una dimostrazione ulteriore del suo genio. Nel ‘59, dipinse “La Guerra e la Pace” nella cappella sconsacrata del castello trasformando l’antico santuario abbandonato in una sorta di Tempio della Pace. Il castello è diventato il Museo Nazionale Pablo Picasso. Ma a Vallauris l’artista lasciò anche una delle sue più celebri sculture, per ringraziare la popolazione della calorosa accoglienza: “L’uomo con la pecora” che si può ammirare nella piazza del mercato nel centro cittadino.

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Fonte: @SiVIaggia – Ilaria Santi

La cappella affrescata da Picasso nel castello di Vallauris

Picasso e Mougins

Picasso conobbe il borgo di Mougins, nell’entroterra di Cannes, grazie a un fotografo che lo immortalò in alcuni suoi scatti intimi. Decise allora di acquistare una proprietà nel 1961, il Mas Notre-Dame-de-Vie, che lui stesso definiva “la casa dei miei sogni” e dove si spense nel ’73 all’età di 91 anni. Dalla villa poteva ammirare la baia di Cannes, le colline intorno al villaggio fino al Massiccio dell’Estérel.

Il periodo trascorso in solitudine a Mougins fu particolarmente intenso dal punto di vista artistico per Picasso. La moglie Jaqueline che gli fu accanto fino alla fine e che lui chiamava affettuosamente “la spagnola” fu la sua ultima musa. La casa venne venduta nel 2017 per 170 milioni di euro. Oggi, Mougins è conosciuto come borgo degli artisti per via dei tantissimi atelier che sono stati aperti da allora.

Mougins Francia

Fonte: Ph Aurore Kervoern – iStock

Il borgo di Mougins

Picasso a Saint-Tropez

Come Henri Matisse e Paul Signac, anche Picasso frequentò regolarmente la cittadina di Saint-Tropez. In particolare, trascorse l’estate del ‘51 con Geneviève Laporte, con cui ebbe una relazione, nella casa dello scrittore Paul Eluard. Geneviève è il soggetto di numerosi ritratti e nudi eseguiti dall’artista, tra i quali il celebre disegno “L’Odalisca”.

Picasso ad Aix-en-Provence

Ad Aix sarebbe dovuto nascere nel 2021 il più grande museo al mondo dedicato a Picasso, voluto da Catherine Hutin-Blay, figlia di Jacqueline Roque, ultima moglie di Picasso. Il museo avrebbe dovuto trovare spazio all’interno dell’ex convento dei Predicatori, ma al momento il progetto è rimasto in stand-by. Si possono però ammirare alcune opere di Picasso al Museo Granet di Aix-en-Provence.

Aix-en-Provence

Fonte: iStock

Il centro storico di Aix-en-Provence

Picasso ad Arles

La passione dell’andaluso Picasso per la Spagna e per le sue tradizioni (era nato a Malaga), prima fra tutte la corrida, e l’ispirazione che la Camargue aveva dato a un altro celeberrimo artista, Vincent Van Gogh, lo portarono spesso ad Arles. Il Museo Réattu della città ospita ben 57 disegni donati dallo stesso Picasso un paio di anni prima della morte. Tra questi, il Ritratto di Maria (la madre dell’artista), risalente al 1923, e il Ritratto di Lee Miller (una delle sue ultime muse), vestita da Arlesiana, dipinto nel 1937.

Picasso a Les Baux-De-Provence

Le vecchie cave di Les Baux-De-Provence, nelle Alpilles, un gruppo di colline in Provenza, videro Picasso partecipare come attore, nel 1959, nella cornice della “Cattedrale di immagini”, alle riprese del “Testamento d’Orfeo”, un film realizzato dal suo amico Jean Cocteau. Ancora oggi lo si può vedere nello stesso luogo, le Carrières de Lumières.

Les-Baux-De-Provence

Fonte: 123rf

Le cave di Les Baux-De-Provence

Picasso ad Avignone

Picasso scelse di trascorre l’estate del 1914 ad Avignone, vicino ai suoi amici pittori Georges Braque e André Derain e qui realizzò due grandi tele, fra cui “Il ritratto di ragazza” (sintesi di diverse tecniche: papiers collés, materiali e trompe l’oeil) e delle splendide nature morte, come “Natura morta verde”. Il Museo Angladon espone, al piano terra, in una sala dedicata ai Maestri degli anni ’20, numerose sue opere, fra cui i famosissimi “Arlecchino” e “Finestra aperta sul mare”.

Picasso a Vauvenargues

Il piccolo Comune dell’entroterra provenzale a una quindicina di chilometri da Aix-en-Provence è l’ultima tappa del viaggio sulle orme di Pablo Picasso. Il castello del XIII secolo venne venduto all’artista nel 1958 ed è qui che Picasso è sepolto, davanti alla scalinata principale del castello, insieme alla sua ultima moglie. Le finestre della residenza affacciano sulla montagna Sainte-Victoire, la stessa che Paul Cézanne aveva dipinto sotto mille luci diverse, in ogni stagione dell’anno.

Quando Picasso informò il suo mercante d’arte Daniel-Henry Kahnweiler dell’acquisto pare gli abbia detto “Ho comprato la Sainte-Victoire di Cézanne” e che l’altro gli abbia chiesto quale dei tanti, ma che la risposta di Picasso sia stata “L’originale”, riferendosi alla collina vera e propria, visto che della proprietà fa parte anche una porzione della montagna.

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Fonte: 123rf

Il castello di Vauvenargues dove si trova la tomba di Pablo Picasso

Alcune delle pareti interne del castello sono decorate con affreschi realizzati dallo stesso Picasso – tra cui quelle del bagno – e per questo motivo l’edificio è diventato un monumento storico. Il castello, arredato e decorato dall’artista, da allora è appartenuto alla figlia di Jacqueline, Catherine, erede di Picasso, ma non è visitabile, se non in circostanze speciali.

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Si chiama Eiffela, è la replica della Tour Eiffel e si trova a Parigi

Raggiungere Parigi è sempre un’ottima idea, in ogni periodo dell’anno e in tutte le stagioni. La capitale della Francia, infatti, non è solo una delle città più suggestive d’Europa, ma è anche un centro mondiale di arte, moda, cultura e gastronomia. Con un volo di circa due ore dall’Italia è possibile scoprire una delle destinazioni più affascinanti del pianeta, la stessa che da secoli incanta e ispira poeti, scrittori, artisti e viaggiatori provenienti da ogni parte del globo.

Le cose da fare e da vedere qui sono tantissime, a partire dall’architettura che caratterizza i grandi viali alberati, passando per la cattedrale di Notre Dame e la Tour Eiffel, e terminando nelle vie dello shopping, tra eleganti caffetterie e negozi di lusso.

E oggi è proprio Parigi che vogliamo raggiungere idealmente insieme a voi, per scoprire una novità che ha reso entusiasti gli abitanti della capitale e tutti i turisti in visita alla Ville Lumière. Da qualche giorno, infatti, in città è arrivata Eiffela, è la sorella minore della Tour Eiffel ed è già diventata la protagonista assoluta del panorama visto da Champ de Mars.

Bentornati a Parigi, la città delle due Tour Eiffel

Organizzare un viaggio a Parigi, dicevamo, è sempre una grandiosa idea. Lo è perché la capitale non smette mai di incantare. Lo fanno i suoi quartieri, quelli che conservano e preservano tradizioni, storie e usanze, e lo fanno tutti quei monumenti iconici che sono diventati il simbolo della città e del Paese intero, la cui visione non stanca mai.

La maestosità della Tour Eiffel, per esempio, è qualcosa che non smette mai di stupire. Simbolo per antonomasia di Parigi e della Francia, questa torre iconica che si staglia sullo skyline urbano attira da sempre l’attenzione di cittadini e turisti. Imponente di giorno, scintillante di notte, il monumento architettonico popola da sempre le cartoline più belle che provengono dalla capitale.

In questi giorni, però, la Tour Eiffel non è l’unica torre della città. Al suo fianco, infatti, è apparsa Eiffela, una piccola replica del monumento arrivata in città per celebrare il 134° anniversario dell’inaugurazione del simbolo di Parigi.

Si chiama Eiffela: è la replica della Tour Eiffel e si trova a Parigi

Fonte: Berzane Nasser/ABACA / IPA

Si chiama Eiffela: è la replica della Tour Eiffel e si trova a Parigi

Vi presentiamo Eiffela

All’alba del 1° aprile i viaggiatori e i turisti della capitale si sono svegliati con la presenza di una nuova arrivata in città. Il suo nome è Eiffela, ed è una piccola replica dell’iconica Tour Eiffel.

Piccoli, però, non sono i suoi numeri. Anche se Eiffela è circa un decimo dell’originale, vanta un’altezza di oltre 30 metri e un peso di 23 tonnellate. Per assemblarla ci sono voluti quasi 4000 pezzi e più di 9000 bulloni.

In realtà, la piccola torre, non è una novità in senso assoluto per i cittadini francesi. Eiffela, infatti, popola le strade del dipartimento di Maine-et-Loire dal 2016. Tuttavia, in occasione dell’anniversario dell’inaugurazione della Tour Eiffel, il monumento è stato trasportato a Champ de Mars e posto proprio al fianco della grande torre.

Creata dall’artista francese Philippe Maindron, Eiffela resterà al fianco dell’originale fino al 10 aprile. Un tempo limitato, questo, che però permetterà a cittadini e viaggiatori di scattare istantanee di immensa bellezza sulla città e di immortalare due Tour Eiffel in un’unica foto.

Due Tour Eiffel a Parigi fino al 10 aprile

Fonte: Berzane Nasser/ABACA / IPA

Due Tour Eiffel a Parigi fino al 10 aprile
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C’è un museo in Italia dedicato a Saint-Exupéry (e a “Il piccolo principe”)

Lo scrittore-pilota francese Antoine De Saint-Exupéry è famoso in tutto il mondo per aver scritto il romanzo “Il piccolo principe” (1943), il libro più letto nella storia della letteratura dopo la Bibbia e il Corano, da cui sono stati tratti anche film, cartoni animati, fumetti, canzoni e quant’altro.

Saint-Exupéry era nato a Lione, che ora gli ha intitolato l’aeroporto cittadino, e scomparve nel ’44 durante un volo di ricognizione, essendosi arruolato nell’aeronautica militare francese alla fine della Seconda guerra mondiale, al largo della costa di Marsiglia, nei pressi dell’isola disabitata di Riou, dove Alexandre Dumas ha ambientato “Il Conte di Montecristo”. Il suo aereo venne ritrovato solamente nel 2004, dando così la conferma al mondo della sua effettiva morte in quelle circostanze.

Saint-Exupéry in Sardegna

Non tutti sanno, però, che Saint-Exupéry era molto legato all’Italia. Aveva vissuto, infatti, ad Alghero, in Sardegna, dal maggio del 1944 fino al luglio dello stesso anno nella Baia di Porto Conte, in una villa su una lieve altura davanti alla Torre Nuova, edificata nel 1572.

Come pilota volava per le forze aeree alleate americane di stanza nella base militare di Fertilia, dove gli vennero affidati dei voli di ricognizione sulle coste della Francia per localizzare e fotografare gli avamposti tedeschi. In pratica, visse proprio ad Alghero gli ultimi mesi di vita, festeggiando anche il suo ultimo compleanno.

Il Museo Antoine De Saint-Exupéry di Alghero

E Alghero ha deciso di omaggiare il suo cittadino acquisito dedicandogli un museo, il Museo Antoine De Saint-Exupéry (o MASE) che è stato ricavato all’interno di una torre di guardia, Torre Nuova, uno dei punti d’informazione dell’Area Marina Protetta Capo Caccia – Isola Piana.

Il museo ripercorre tutta la vita dello scrittore francese e si sofferma sul periodo della sua permanenza ad Alghero. Qui il poeta-aviatore scrisse gran parte del romanzo “La Cittadella” e il suo ultimo lavoro intitolato “Lettera a un americano”.

Nelle sale e nelle teche si possono ammirare tutte le prime edizioni dei libri dell’autore, installazioni a tema, opere d’arte, oggetti, cimeli e documenti dell’epoca. Ad accompagnare il visitatore sono dei pannelli informativi con le foto scattate ad Alghero dal fotoreporter di “Life” John Phillips nel 1944, l’ultimo servizio fotografico fatto allo scrittore che immortalò, proprio ad Alghero, i suoi ultimi momenti di vita.

Nel 2023, in occasione dell’ottantesimo anniversario della pubblicazione del libro capolavoro “Il piccolo principe”, il MASE gli dedica una mostra con i dipinti dell’artista Andrea Cocco dal titolo “Principe della mia piccola ombra”.

Il museo è aperto tutto l’anno. Da ottobre ad aprile apre solo nei weekend dalle 10.30 alle 13 e dalle 15 alle 17.30, mentre da maggio a settembre i giorni di apertura vanno dal martedì alla domenica e la chiusura è alle 19.30.

La prossima volta che andate in vacanza lungo la Riviera del corallo in Sardegna o che desiderate scoprire perché questa città è chiamata la “Barcellona sarda”, non perdetevi questo museo da fiaba.

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Riapre la passeggiata più romantica d’Italia, un museo a cielo aperto

Chiuso da dieci anni a causa di una frana, sta per riaprire uno degli itinerari più romantici che esistano in Italia: la Via dell’Amore, con la “A” maiuscola. Questa strada a picco sul mare che si percorre a piedi attraversa il Parco Nazionale delle Cinque Terre.

Il percorso non è lungo, supera di poco il chilometro e collega due dei borghi pastello più pittoreschi del Levante ligure, Riomaggiore e Manarola, cuore delle Cinque Terre.

Riapre la Via dell’Amore

La Via dell’Amore riapre al pubblico a maggio, come previsto, almeno in parte. L’intero tratto sarà percorribile solo nel 2024, ma nel frattempo si prevedono grandi flussi di turisti tanto da dover essere controllati (il Parco, per tutelarla, ha introdotto già da qualche anno un ticket d’ingresso).

Famosa in tutto il mondo per la sua bellezza e gli scorci mozzafiato che regala curva dopo curva, la Via dell’Amore è una delle più importanti attrazioni turistiche della zona ed è parte integrante del Parco nazionale delle Cinque Terre e dell’area dichiarata dall’Unesco Patrimonio dell’umanità.

Com’è nata la Via dell’Amore

Tra i sentieri più belli d’Italia, la Via dell’Amore – che ufficialmente si chiama sentiero 592-1 (SVA2) – è sempre stata la destinazione turistica per eccellenza delle Cinque Terre. Il percorso è spettacolare, tra il verde della macchia mediterranea e il mare.

Nata tra gli Anni Venti e Trenta, fu tracciata tra le arenarie dai minatori che lavoravano al raddoppio della linea ferroviaria che collega Genova a La Spezia per ricavare dei depositi sicuri per gli esplosivi. Terminati i lavori e smantellate le polveriere, gli abitanti di Riomaggiore e di Manarola iniziarono a scavare la parete per collegare i primi due tratti: fu poi merito della suggestiva bellezza di questi 850 metri di terra sospesi tra il mare e il verde dei cespugli di finocchio marino, ruta ed euforbia se qualcuno decise di chiamarla “Viaeu de l’Amùu”, con tanto di targa improvvisata.

Le panchine dedicate alle divinità e agli eroi della mitologia greca e romana che s’incontrano lungo il sentiero sono state aggiunte nel corso degli anni, seguite da lavori per la messa in sicurezza, una ringhiera, un sistema di pavimentazione uniforme e di illuminazione a energia solare (discreto ma che funziona anche con la nebbia marina), fino agli ascensori che la collegano direttamente con la stazione ferroviaria di Riomaggiore.

La strada degli innamorati

Il famoso sentiero degli innamorati si sviluppa a strapiombo sul mare ed è letteralmente scavato nella scogliera, permette di godere di un panorama unico, che il mondo ci invidia, e di immergersi in un ecosistema molto vario: le arenarie zonate di Riomaggiore, la vegetazione esotica, la macchia mediterranea, i vigneti terrazzati, un percorso originale e interessante soprattutto dal punto paesaggistico.

Abbandonate le colline terrazzate del pittoresco borgo di Riomaggiore e i suoi ripidi vicoli – le case sono disposte su due file principali, che riprendono il percorso del torrente da cui prende il nome e che oggi è coperto – e imboccata la Via dell’Amore ci vuole circa mezz’ora per tuffarsi nei colori delle case di Manarola che si susseguono lungo la via di Mezzo e nel suo piccolo porto. Con alle spalle i vitigni da cui nasce lo Sciachetrà e gli uliveti, dalla piazzetta panoramica dedicata a Eugenio Montale non si può che volgere lo sguardo all’orizzonte. Una targa ricorda i suoi versi: “Riviere, bastano pochi stocchi d’erbaspada penduli da un ciglione sul delirio del mare”.

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Kranj, la città con un canyon in centro

Considerata la capitale delle Alpi slovene, la splendida città di Kranj ha un fascino tutto particolare: non è solamente un luogo ricco di storia, arte e cultura, ma anche un’oasi dove la natura non ha mai veramente ceduto il passo all’uomo. Divisa in due dai fiumi Sava e Kokra, quest’ultimo ha lasciato sul territorio un’impronta ben precisa. Nel corso dei millenni, ha infatti scavato un profondo canyon che oggi spicca al centro della città, un capolavoro naturale come non si trova (quasi) in nessun altro posto al mondo.

Kranj, il canyon in centro città

Sembra incredibile che un paesaggio così suggestivo si trovi a due passi da noi: Kranj è una delle più belle città della Slovenia, terza per grandezza dopo Lubiana e Maribor. Incastonata ai piedi del Monte Triglav, la cima più alta delle Alpi slovene, è davvero bellissima. Il centro storico è stato modellato sulla base dei due fiumi che lo attraversano, regalando un vero e proprio spettacolo. In particolare, è il Kokra a dare vita ad un’opera naturale meravigliosa: si tratta di una gola rocciosa che divide in due l’abitato storico, il secondo canyon urbano più profondo presente in tutta Europa.

Lungo le rive del fiume vive un habitat molto speciale, fatto di boschi selvaggi e alberi da frutto che crescono spontaneamente – da cui la popolazione ha imparato a ricavare alcune vere prelibatezze. Ad un certo punto, il paesaggio cambia completamente: il verde rigoglioso lascia spazio al bianco della roccia che sprofonda per decine di metri a picco sull’acqua spumeggiante. È un canyon mozzafiato, disegnato da secoli di erosione. Lo si può percorrere grazie ad un bellissimo sentiero che si addentra nella gola, o affrontando una passerella sospesa da cui si gode di una vista incredibile.

Forte dell’emozionante spettacolo di cui il canyon è protagonista, Kranj è diventata una meta turistica molto apprezzata. Sono tanti i visitatori che la scelgono proprio per poter passeggiare nella natura incontaminata, ammirando il panorama della gola urbana. Per i meno esperti, è possibile persino fare una visita guidata alla scoperta della fauna e della flora che caratterizzano questo angolo di paradiso. E in estate, turisti e cittadini trovano refrigerio dall’afa proprio tra le pareti rocciose, sempre nel massimo rispetto dell’habitat naturale.

Cosa vedere a Kranj

Quali sono le altre bellezze di questa città della Slovenia, oltre al canyon urbano? Il centro storico è una vera sorpresa: tra piccole chiesette e tanti edifici storici, spicca il Castello Kieselstein. Costruito attorno alla metà del XVI secolo per volere dei conti di Ortenburg, ha subito numerosi restauri sino ad ottenere il suo aspetto attuale. Maestoso e bellissimo, oggi ospita l’esposizione permanente del museo regionale della Gorenjska, per fare un tuffo indietro nella storia di Kranj. I meravigliosi giardini sono invece la location ideale per concerti e altre manifestazioni.

A due passi dalla città, a portata di bici, c’è poi un luogo magico: si tratta dell’Udin Boršt (la foresta di Odino), un rigoglioso bosco da esplorare grazie ai tantissimi sentieri per il trekking. È il posto ideale per trascorrere qualche ora al fresco, durante le caldissime giornate estive. Infine, un’ultima tappa ci conduce nientemeno che sottoterra, tra le gallerie costruite in tempo di guerra per proteggere la popolazione dai bombardamenti. È come fare un viaggio nel tempo, con numerose testimonianze di come la vita quotidiana durante la Seconda Guerra Mondiale fosse difficile.

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Acqua sport e cultura, il Ponte del Diavolo a Lanzo Torinese

Ecco un itinerario che incarna perfettamente un trio magico, acqua, sport e cultura: vi portiamo alla scoperta del meraviglioso Ponte del Diavolo, in un’oasi naturale nelle vicinanze di Lanzo Torinese, a 30-40 minuti da Torino

Lasciata l’auto alle porte del paese (vedi più avanti Info Pratiche), prendete il sentiero facile che costeggia un torrente laterale dello Stura e in 5 minuti vi porta intuitivamente fino al Ponte del Diavolo: noi siamo stati accolti da questo simpatico roditore 😉

Un piccolo amico ci accoglie
Un piccolo amico ci accoglie

Il sentiero è comodo e, anche se vi sono alcuni scalini da fare, alcuni arrivano in spiaggia con le bici. Gradualmente ci avviciniamo al maestoso ponte, che si lascia scoprire da varie prospettive.

Il Ponte, le Marmitte e le sue leggende

Il Ponte del Diavolo, con un’altezza di 16 m e una lunghezza di 65, è uno splendido esempio di struttura medievale a schiena d’asino. Fu eretto nel 1378 per collegare Lanzo e le sue valli con Torino e finanziato, si racconta, imponendo una tassa sul vino per dieci anni.

Notate la porta eretta sull’arcata del ponte verso la falesia: fu fatta costruire nel 1564 per evitare che i forestieri portassero a Lanzo la peste diffusasi nella zona di Avigliana. O forse per tenere lontano il diavolo

Il Ponte del Diavolo e la porta eretta nel 1564
Il Ponte del Diavolo e la porta eretta nel 1564

La leggenda vuole infatti che la comunità locale, preoccupata dal crollo di due precedenti strutture, avesse stretto un patto col diavolo in persona perché fosse lui stesso a costruire un ponte indistruttibile, e che, nello stesso tempo, lo tenesse lontano dalle anime di Lanzo. In cambio, tuttavia, della prima anima che avesse attraversato il ponte, che sarebbe stata data al demonio. Così fu, il ponte fu eretto solido ma i Lanzesi giocarono d’astuzia e fecero transitare un cane per primo. Il diavolo, adirato, avrebbe raggiunto Lanzo con un solo passo aggirando il ponte. Un passo di tale violenza da lasciare delle profonde orme nella roccia rossastra in sponda sinistra, le caratteristiche “Marmitte dei Giganti”.

Le Marmitte dei Giganti, che la fantasia popolare ha denominato “ramine” o pentole, favoleggiando che servissero ai giganti o al diavolo per cuocervi la minestra, sono in realtà fenomeni geomorfologici risalenti all’era quaternaria: il Monte Basso e il Monte Buriasco, infatti, erano uniti e, alle loro spalle, nella conca di Germagnano, si estendeva un ampio lago in cui confluivano le acque dai monti. Esse riuscirono lentamente ad aprirsi un varco nel baluardo di roccia e terra: i segni di tale erosione sono evidenti nella piscina naturale che si crea subito a monte del ponte, ma ve ne sono varie più piccole dietro la Cappella di San Rocco (se ne contano 21 dislocate a quote diverse su 18 m dal livello della Stura).

Con i colori del primo mattino questo posto esprime il suo meglio: percorrete il ponte con un occhio all’alta falesia su cui poggia, di un caldo colore rossastro. Qui gruppi di appassionati arrampicano. Il verde cristallino del fiume sottostante e la rigogliosa vegetazione completano l’ampio spettro di colori.

La falesia rossastra che domina un lato del ponte
La falesia rossastra che domina un lato del ponte

La Riserva Naturale

Subito a monte del ponte, in destra orografica, una grande spiaggia di ciottoli e sabbia, con ampie zone di ombra naturale, si estende per 100 m fino ad una fragorosa serie di rapide. 

Il fiume, infatti, si divide più a monte per ricongiungersi, in un tripudio di rapide, spettacolari alla vista e all’udito. Questo rende il posto ventilato e ideale per le giornate afose.

Dove il fiume scorre rapido usate cautela: evitate i bagni, soprattutto dei bambini non accompagnati e senza aver completamente digerito. In prossimità di entrambe le sponde, proprio sotto al ponte, si creano due punti più riparati dove la corrente è più docile: una è proprio la marmitta dei giganti dove i ragazzi si tuffano dalla roccia rossastra.

La Riserva Naturale del Ponte del Diavolo
La Riserva Naturale del Ponte del Diavolo

Questo posto è di tutti, godetevelo e rispettatelo come fareste con una bella donna: concedetevi qui un picnic da re, ma ripulite con cura tutto prima di andarvene.

Una deviazione alla Sacra di San Michele

Ancora cultura? Visitate la Sacra di San Michele (45.096468, 7.342230): è a un’oretta dal Ponte del Diavolo ma offre una vista mozzafiato che arriva fino alla città di Torino. Complesso religioso del X secolo con edifici gotico-romanici arrampicati sul Monte Pirchiriano e collocata a 960 m slm, sul confine fra le Alpi Cozie e la Pianura Padana, è una delle più eminenti architetture religiose di questo territorio, nonché importante tappa della via Francigena. Dal XII al XV secolo visse il periodo del suo massimo splendore, divenendo uno dei principali centri della spiritualità benedettina in Italia. 

Nel 2015 è stata uno dei vincitori del concorso fotografico internazionale Wiki Loves Monuments, ed è risaputo che ha ispirato Umberto Eco nell’ambientazione de Il nome della rosa. 

La Sacra di San Michele
La Sacra di San Michele

Sulla strada che porta alla Sacra potete dormire, anzi rigenerarvi, alla  Certosa 1515 (45.074158, 7.358543), un convento francescano del 1515 immerso nel bosco, per secoli luogo di riflessione, silenzio e preghiera.

Noi, una famiglia di 5 persone, abbiamo speso 100 euro per una notte in Bed & Breakfast. C’è anche un ristorante con bella vista sui laghi di Avigliana.

La Certosa 1515
La Certosa 1515

Ponte del Diavolo – Info pratiche

Uscita Borgaro (TO) della A55/E64, si segue per Venaria prendendo la SP501 che diventa poi la SP1 che si segue in direzione Lanzo fino ad attraversare il torrente Stura di Lanzo. Si segue poi per Valli del Lanzo e, quindi, per Parco Ponte del Diavolo e si parcheggia in uno degli appositi spazi (45.270819, 7.481818), ci sono 20 posti ed altri 10 sulla strada principale. 

Prendete il sentiero facile che costeggia un torrente laterale dello Stura, e, una volta raggiunto quest’ultimo, procedete verso monte e attraversate il ponte moderno. Seguite quindi intuitivamente verso il Ponte del diavolo, dal parcheggio ci vogliono 5 min.

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Namur, la città belga di cui innamorarsi

A una sessantina di chilometri da Bruxelles, ecco Namur, la capitale della Vallonia, ricca di fascino e di storia alla confluenza dei fiumi Sambre e Mosa.

È difficile non innamorarsi della “Città delle French Fries” (le patatine fritte, piatto nazionale), vegliata dall’imponente fortezza di oltre 3000 anni e contraddistinta da un fiabesco centro storico con le stradine acciottolate, musei per tutti i gusti e vere e proprie perle architettoniche.

Romantica per eccellenza, Namur è ideale da visitare durante una piacevole gita in giornata nella zona sud del Belgio.

Le tappe salienti a Namur

Passeggiare nel centro storico di Namur è davvero gradevole (la maggior parte delle vie sono pedonali) e consente di ammirare le principali attrazioni che si trovano tutte in un’area piuttosto limitata.

La prima tappa da non perdere è, senza dubbio, la Cittadella, una delle fortezze europee più grandi, che svetta sulla collina ed è un punto di riferimento costante, sia di giorno sia di notte quando, illuminata, si mostra ancora più scenografica.
Raggiungibile con la funivia oppure a piedi (con una camminata potrete scorgere panoramici unici sulla città e anche la scultura “Searching for Utopia” di Jan Fabre che raffigura una tartaruga gigante), nacque come fortezza difensiva, divenne residenza dei Conti di Namur durante il Medioevo e, successivamente, dimora estiva del re Leopoldo II.
Oggi, è una magnifica location per eventi, punto panoramico privilegiato e meta per rigeneranti passeggiate. In più, un trenino turistico ne percorre la zona offrendo l’occasione di ascoltare curiosità e aneddoti e sono disponibili coinvolgenti tour dei sotterranei della Cittadella con cui esplorare 500 metri del reticolo di cunicoli e tunnel con effetti sonori, animazioni 3D, proiezioni e luci.

Per conoscere a fondo la storia militare e urbana della Cittadella, non può mancare una sosta al modernissimo museo “Terra Nova“, centro visitatori dotato di un’esposizione multimediale all’avanguardia.

La visita prosegue con il cuore storico di Namur, i vecchi quartieri, una sorta di “città nella città” chiusa al traffico dove lasciarsi pervadere da un’atmosfera di sicuro fascino e suggestione.
Lungo le strette vie lastricate, tra boutique, birrerie, ristorantini e negozi di antiquariato, catturano lo sguardo i tipici edifici in mattoni rossi e autentici capolavori architettonici quali il Beffroi, la torre civica del XIV secolo Patrimonio UNESCO, la Chiesa di St-Loup, una “sinistra e coraggiosa meraviglia” secondo le parole del poeta Charles Baudelaire, e la Cattedrale di Sant’Albano in stile barocco.

Altrettanto interessante è un tour alla scoperta della street art rappresentata da realistici e giganteschi murales e una gita in barca sul fiume per ammirare la città da una prospettiva inedita.

Namur, la città dei musei

Sono davvero numerosi, come accennato, i musei che si concentrano in città, dedicati ai temi più vari.
Si va dal Computer Museum Nam-Ip incentrato sulla tecnologia informatica dagli albori a oggi, al Museo della Fragola dove sapere di più sulla produzione, vendita e gastronomia del dolce frutto, al museo sull’artista locale Félicien Rops, fino al Museo Africano, unico nel suo genere da queste parti, che narra la presenza belga in particolare in Congo.

Ma non è tutto: altri musei degni di nota sono il Museo del Genio Militare, il Museo Diocesano e Tesoro della Cattedrale, il Museo di Archeologia, il Museo Provinciale di Arti Antiche, il Museo Marie Mutien e il Museo Sorelle di Notre Dame di Namur.

Come arrivare in città

Raggiungere la capitale della Vallonia è davvero facile poiché dista appunto 60 chilometri da Bruxelles, città servita da molti voli low cost.

Atterrati all’aeroporto di Bruxelles, si arriva a Namur in un’ora e un quarto con un treno diretto alla stazione dell’aeroporto.

Soggiornando già in Belgio, è sufficiente servirsi dei mezzi pubblici: Namur, infatti, è ben collegata con tutte le località principali del Paese.