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Bruxelles: sulle strade dell’Art Nouveau

Una città unica, con uno spirito raffinato e vivace allo stesso tempo. Bruxelles è ricca di storia, arte ma anche di divertimento. Più piccola rispetto alle grandi capitali europee, la città belga non ha nulla da invidiare in termini di bellezza e cultura. Come Barcellona è segnata dall’impronta del maestro Gaudì, così Bruxelles è porta il segno Victor Horta e dell’inconfondibile gusto Art Nouveau. Basta una passeggiata per le vie per trovarsi sui passi di un itinerario a tema.

L’itinerario Art Nouveau

Se amate l’Art Nouveau e l’architettura, allora dovete assolutamente ripercorrere i passi di Victor Horta. Forse non lo sapete ma le dimore cittadine dell’architetto sono uno dei patrimoni dell’UNESCO situati in Belgio. Tre dei quattro edifici progettati di Horta si trovano proprio a Bruxelles e sono l’itinerario perfetto per scoprire le grandi abilità dell’artista.

Victor Horta, infatti, ha rivoluzionato il modo di concepire gli edifici di abitazione. Allargando il compito dell’architetto dalla progettazione degli spazi, interni ed esterni, a una concezione olistica che comprendeva anche lo studio e la realizzazione delle luci, degli arredi, della decorazione delle pareti, perfino dell’oggettistica.

Questi palazzi rappresentano a pieno lo stile della città, sono la sintesi perfetta del gusto belga e gli esempi lampanti dell’architettura che ha ispirato lo sviluppo dell’Art Nouveau nella capitale.

Prima tappa: l’Hôtel Tassel

L’Hôtel Tassel è considerato il primo esempio di Art Nouveau, grazie al progetto molto innovativo e ai materiali scelti per la costruzione e decorazione. Si tratta di una costruzione divisa in tre parti. Due edifici piuttosto convenzionali in mattoni e pietre, uno sul lato della strada ed uno sul lato dei giardini, uniti da una struttura in acciaio coperta in vetro. Horta si concentrò molto sulla decorazione degli interni, progettando ogni singolo dettaglio: maniglie, intarsi, vetrate, mosaici sui pavimenti. Il risultato è un mix di tutte le componenti, che nell’insieme si amalgamano alla perfezione.

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La dimora Tassel progettata da Horta

Prossima fermata: Hôtel Solvay

Sotto l’influenza dello stile dell’Hôtel Tassel, Horta si dedicò alla progettazione de l’Hôtel Solvay. La casa venne commissionata da Armand Solvay. Per questo facoltoso cliente Horta spese una fortuna nell’uso di materiali preziosi, progettando di persona ogni singolo dettaglio. Vennero usati marmo, onice, bronzo, legni tropicali, materie prima di altissima qualità. Per la decorazione delle scale collaborò con il pittore Théo van Rysselberghe. Un edificio fastoso e lussuoso che tutt’ora lascia a bocca aperta.

art nouveau bruxelles

Gli interni dell’Hotel Solvay

Terza tappa: Hôtel van Eetvelde

In questo caso, l’uso visibile di materiali industriali, quali acciaio e vetro, rappresentò un elemento di novità nelle tecniche edilizie usate per gli appartamenti di persone famose. Gli interni poi vennero esaltati con un sapiente uso della luce, attraverso una reception centrale coperta con una cupola in vetro. La riprova che il famoso architetto era in grado di costruire grandi cose con qualsiasi materia prima, le sue capacità superavano ogni aspettativa.

Hôtel van Eetvelde bruxelles

La bellezza de l’Hôtel van Eetvelde

Il Musée Horta

All’architetto Victor Horta venne anche dedicato un museo, per celebrarne la vita e i lavori. L’edificio, in passato, è stato adibito anche a residenza e studio dall’artista. Negli stupendi interni in stile Art Nouveau sono esposti in modo permanente mobili, arnesi, e oggetti progettati da Horta e dai suoi colleghi contemporanei, oltre a documenti riguardanti la sua vita. Il museo però non si trova a Bruxelles ma a Saint-Gilles.

In un viaggio a Bruxelles è d’obbligo fare tappa in questi luoghi e ammirare lo stile Art Nouveau che caratterizza l’architettura dell’intera città. Il fascino della capitale belga si riflette anche sulle facciate dei suoi bellissimi palazzi.

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La città simbolo della lirica in Italia (candidata Unesco)

Se la musica lirica è appena stata candidata a entrare nella lista dei Patrimoni culturali immateriali dell’Unesco, Verona ne è la città simbolo. “L’arte del canto lirico italiano”, questa la definizione presentata a Parigi dove ha sede l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura che deciderà se inserirla o meno, è l’espressione culturale più autentica che rappresenti l’Italia nel mondo e, nella città veneta, sede della celebre Arena, culla della lirica riconosciuta a livello internazionale, lo sanno molto bene.

E Verona, proprio con il progetto “67 colonne per l’Arena”, è una delle dieci città italiane i cui progetti sono arrivati in finale nel contest social per l’assegnazione dell’Art Bonus dell’anno, che consiste in una consistente somma di denaro che servirà per la valorizzazione del patrimonio culturale del nostro Paese. Ogni anno vengono estratti dal portale Artbonus i progetti candidati che chiunque può votare con un “mi piace” su Facebook o un “cuore” su Instagram. Al momento Verona è al primo posto, c’è tempo fino al 1° aprile per votare.

Verona e la musica lirica sono un binomio indissolubile. Proprio l’anno prossimo cadrà il centenario del festival lirico, l’Arena Opera Festival, che si tiene tutte le estati tra giugno e settembre all’Arena. Il festival lirico, tra i più importanti al mondo, ha visto l’inizio della sua storia nel lontano 1913, quando, in occasione del centenario della nascita di Giuseppe Verdi, è stata messa in scena l’Aida che ancora oggi viene rappresentata.

Ma il legame della città con la grande musica è di ben più ampio respiro e di lunga data.

I luoghi della musica a Verona

Nel ‘700, ha ospitato nientemeno che Wolfgang Amadeus Mozart. Il genio della musica giunse a Verona nel 1769, non ancora quattordicenne, durante il suo primo viaggio in Italia, e si esibì nella Sala Maffeiana del Teatro Filarmonico – l’unica rimasta intatta dell’originario edificio settecentesco – a due passi dall’Arena e nella Chiesa di San Tomaso Cantuariense, sull’altra sponda dell’Adige, dove ancora oggi si può ammirare l’organo che ha avuto l’onore di essere accarezzato dalle geniali dita del più grande musicista di tutti i tempi.

Il Teatro Filarmonico è il principale teatro dell’opera di Verona e ospita le opere e gli spettacoli della stagione lirica invernale. Vale la pena anche solo visitarlo se non assistere a uno spettacolo.

Con i grandi concerti, negli anni tutti, Maestri, soprano, tenori sono passati di qui. Placido Domingo, Luciano Pavarotti (che esordì proprio all’Arena di Verona nel 1972 con “Un ballo in maschera” di Verdi), Josè Carreras: i tre tenori erano di casa, così come il grande Maestro Franco Zeffirelli, spesso e volentieri regista e scenografo di molte rappresentazioni operistiche. E che dire del soprano più celebre della storia, la grande Maria Callas? La “divina” agli inizi della carriera sposò proprio un veronese, l’industriale Giovanni Battista Meneghini, nella sagrestia della Chiesa dei Padri Filippini, nel centro storico sulle sponde del fiume, riconoscibile per la facciata palladiana.

Più recentemente, tra gli Anni ‘70 e ‘80, la scena musicale veronese ha visto nascere anche I gatti di Vicolo Miracoli, il gruppo musicale e cabarettistico formato da Gianandrea Gazzola, Spray Mallaby, Umberto Smaila, Nini Salerno, Franco Oppini e, successivamente, Jerry Calà. Nato tra le aule del liceo classico statale Scipione Maffei di Verona, è diventato un pezzo di storia della televisione italiana. E proprio alla città hanno dedicato la canzone “Verona Beat”.

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L’Arena di Verona, tempio della musica lirica, candidata Unesco

 

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In Inghilterra c’è un bosco incantato che sembra uscita da un libro di fiabe

A guardarlo bene sembra quasi di conoscerlo il bosco di Micheldever perché probabilmente questo assomiglia proprio a quello che ha fatto da sfondo alle vicende dei protagonisti delle nostre favole preferite. Che sia davvero questo, non possiamo saperlo, quello che è certo però è che questo angolo di natura lussureggiante sembra davvero essere uscito da un libro di fiabe.

C’è chi a guardare le foto lo scambia per un dipinto impressionista e chi ancora per un abile disegno ad acquerello, quello che è certo è che questo bosco, probabilmente, è uno dei più suggestivi e magici di tutto il mondo.

Per scoprirlo, e attraversarlo, dobbiamo recarci nel Regno Unito e più precisamente nella contea dell’Hampshire. È qui che tra i piccoli e sognanti villaggi si estende una foresta lussureggiante e silenziosa che in primavera diventa un tripudio di colore grazie alle campanule in fiore.

Tra faggi, farfalle e sentieri incantati

La magia che conserva questo angolo di paradiso dell’Hampshire non ha nulla a che vedere con la stregoneria. Il merito dell’atmosfera idilliaca e onirica che caratterizza questo luogo, infatti, è da attribuire esclusivamente a Madre Natura che, ancora una volta, rende il mondo che abitiamo straordinario.

Il bosco di Micheldever appare davanti agli occhi degli osservatori come un’intricata e fitta rete di giochi di luce. I raggi del sole, infatti, si insinuano tra i faggi e le conifere illuminando i fiori di campo tra i quali si nascondono timidamente farfalle e uccelli di diverse specie.

Questo luogo, infatti, è diventato con gli anni l’habitat ideale di molte specie floristiche e faunistiche. Addentrandoci nel bosco e nella sua profondità, attraverso i tanti sentieri che si fanno strada tra alberi e cespugli, ecco che possiamo fare incontri ravvicinati con daini e cervi Muntjac che hanno fatto del bosco la loro casa. Questi animali, abituati alla presenza dell’uomo, si trasformano in guide straordinarie per scoprire le meraviglie naturali di questa foresta incantata.

Il bosco incantato di Micheldever

Poco battuto dai sentieri più turistici, ma meta prediletta dei cittadini del territorio, il bosco di Micheldelver è un luogo davvero straordinario che assicura un’esperienza sensoriale fatta di pace e bellezza. Ricco di bellezze naturali, questo angolo fatato che si estende per oltre 300 ettari, si trova a soli 8 chilometri dalla città di Winchester.

Rifugio perfetto per fuggire dal caos cittadino e per fare il pieno di energie in ogni stagione dell’anno, il bosco di Micheldelver è il luogo ideale per ritrovare il contatto con la natura più autentica attraverso passeggiate, bagni nella foresta o meditazione, ma anche picnic nelle aree di sosta attrezzate con tavoli e panche in compagnia di farfalle, uccelli e fiori.

Il bosco di Micheldelver è aperto gratuitamente ai visitatori 365 giorni l’anno e raggiunge il suo massimo splendore in primavera. È in questo periodo, precisamente tra aprile e maggio, che le campanule in fiore trasformano tutto il territorio circostante in un paesaggio dalle mille sfumature di lilla e dai profumi inebrianti che crea atmosfere magiche e uniche.

Foresta di Micheldever

Campanule in fiore nel bosco di Micheldever

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La città dominata da un gigantesco mausoleo

Un viaggio in Turchia regala sempre suggestioni incredibili, per la straordinaria ricchezza di paesaggi, la storia millenaria raccontata attraverso le sue caratteristiche architetture, le tradizioni, i sapori e i profumi di una terra che sa sorprendere ed emozionare i visitatori di tutto il mondo. E tante sono le gemme nascoste che vale la pena scoprire. Tra queste, l’antico villaggio di Belevi, nella provincia di Smirne, situato a pochi chilometri a nord-est di Efeso. Un luogo dal fascino particolare, non a caso scelto tra le tappe di “Pechino Express”, nella terza puntata dedicata alla “Rotta dei Sultani”. Nei suoi dintorni immediati si trovano importanti cave di marmo e un affascinante mausoleo del primo ellenismo.

Storia di un mausoleo mai portato a termine

Il mausoleo di Belevi è una tomba monumentale di epoca ellenistica che si trova nei pressi del villaggio da cui prende il nome, vicino al distretto di Selçuk. Rappresenta il secondo più grande mausoleo antico in Anatolia, leggermente più piccolo del più famoso edificio di questo tipo, ovvero il mausoleo di Alicarnasso, benché sia addirittura meglio conservato di quella che è considerata una delle sette meraviglie del mondo antico.

La decorazione dell’edificio, con il fregio ricurvo e i capitelli corinzi, rinvia al periodo di passaggio tra IV e III sec. a.C., e molto probabilmente il mausoleo fu in origine progettato per Lisimaco, il nuovo fondatore di Efeso. Tuttavia, dopo la sconfitta di Curopedio del 281 a.C., Seleuco I divenne re della regione e la costruzione restò incompiuta. Il secondo periodo andrebbe ricondotto al sovrano seleucide Antioco II, morto a Efeso nel 246 a.C. Durante la reggenza della moglie Laodice, che forse lo aveva fatto avvelenare, sarebbe stato realizzato il coperchio del sarcofago dove il re venne inumato. Tuttavia, non ci fu tempo sufficiente per completare la costruzione, perché il territorio di Efeso (perfetto per una gita archeologica) ben presto passò sotto i Tolemei. La costruzione del mausoleo di Belevi non fu, quindi, mai terminata.

Visita al mausoleo di Belevi

Il mausoleo di Belevi è stato conosciuto solo a partire dagli anni ’30, quando divenne oggetto di ricerche da parte dell’Istituto Archeologico Austriaco. I materiali utilizzati per la sua costruzione provenivano, con molta probabilità, dalle cave di marmo situate nei pressi del villaggio, con cui è stata eretta gran parte degli edifici antichi di Efeso.

Il tumulo è posto proprio a sud delle cave, sul lato opposto della valle, i tre vani sono accessibili da nord tramite un corridoio (dromos). I resti di ceramica, ritrovati insieme a ossa di animali, sembrano andare dal V sec. a.C. al IV d.C., e costituiscono le offerte per un arco di circa 800-900 anni. Ciò avvalorerebbe l’ipotesi secondo la quale Pixodaros sarebbe il probabile destinatario della costruzione funeraria.

Questa era alta originariamente 24 metri e si innalzava su una superficie quadrata, al di sopra della sporgenza di una rupe ricavata artificialmente. La parte inferiore era costituita dalla stessa sporgenza di roccia e ricoperta di conci in pietra. Dall’esterno, la roccia che oscurava il mausoleo era coperta da lastre di marmo. C’era, poi, un secondo livello, circondato da 28 colonne: probabilmente avrebbe avuto la forma di una piramide, e l’intera struttura avrebbe raggiunto i 35 metri di altezza.

Il soffitto mostra rilievi figurati, come nel mausoleo di Alicarnasso, rappresentazioni di giochi funerari con una cerimonia di vittoria al centro e lotte di centauri. Anche le sculture sul tetto ricordano i leoni disposti in maniera analoga nel più famoso mausoleo. La camera funeraria con volta a botte, nascosta nel podio e accessibile tramite un piccolo atrio, conteneva il sarcofago del committente, la cui cassa è simile a un sarcofago macedone, con un fregio di sirene musicanti e un poggiapiedi. Sul coperchio appare il defunto disteso su un materasso e su cuscini, con una coppa nella mano, al modo delle figure principali sui rilievi con banchetto.

Nel sarcofago sono stati trovati due denti che dovevano appartenere a un uomo di 40-45 anni. Inoltre, nella stanza si trovava una statua raffigurante un individuo vestito come i servitori rappresentati nell’arte persiana e greco-persiana, che accompagnano un personaggio di rango elevato. Le sculture e il sarcofago fanno ora parte delle collezioni del Museo archeologico di Efeso a Selçuk, mentre altri elementi decorativi sono esposti nel Museo Archeologico di Izmir, altra meta perfetta per una vacanza tra spiagge e rovine. Il mausoleo resta una delle attrazioni principali del villaggio di Belevi, un luogo ricco di fascino tutto da scoprire.

Città dominata gigantesco mausoleo

Il mausoleo di Belevi, in Turchia

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In Italia è avvenuta una scoperta “sacra”

L’Italia vanta millenni di storia. Così tanti che sono ancora molti i segreti che nasconde. Negli ultimi giorni, per esempio, è avvenuta una scoperta davvero importante e che può persino essere definita “sacra”: un tratto del nostro Paese che si riteneva fosse un porto militare, in realtà è tutta un’altra cosa.

Mozia, l’isola con una delle più grandi piscine sacre del Mediterraneo

Siamo in Sicilia e più precisamente a Mozia, un’isola situata nella laguna delle saline dello Stagnone di Marsala (TP), che è un’antica colonia fenicia. Proprio da queste parti diversi studi archeologici hanno fatto affiorare nel corso del tempo numerosi tesori, tanto da diventare una delle attrazioni più suggestive dell’intera regione.

Qui sorge il Kothon, ossia un bacino idrico utilizzato all’interno dei porti fenici che per molto tempo si è creduto fosse un porto militare. Le ultime ricerche condotte dalla Sapienza Università di Roma e dalla Soprintendenza regionale per i beni culturali e ambientali di Trapani, hanno invece dimostrato che il bacino artificiale non è quello che si pensava, ma bensì una piscina sacra di 2500 anni fa.

Net dettaglio: gli esperti suggeriscono che sia stato usato nelle cerimonie religiose di quell’epoca, dopo essere stato aggiunto alla città insulare di Motya quando fu ricostruito nel 550 a.C a seguito di un attacco dell’antica Cartagine.

Il bacino fu rivenuto nel 1920 e, dal momento che a Cartagine c’era una struttura simile chiamata proprio Kothon, anche quello dell’isola siciliana fu identificato per la prima volta come un porto militare artificiale. Ma la verità è che il bacino di Mozia era parte di uno dei più grandi complessi religiosi dell’antico Mediterraneo. Ma non solo. Esso collegava i coloni fenici con i culti delle loro terre d’origini. Infine, sarebbe persino stato utile per studiare le posizioni delle stelle e dei pianeti.

Una scoperta davvero importantissima avvenuta grazie alla continuazione degli scavi archeologici su questo territorio e che è stata pubblicate sulla rivista Antiquity dell’Università di Cambridge, oltre a essere stata ripresa dalle più importanti testate di tutto il mondo.

Le spiegazioni degli addetti ai lavori

L’archeologo Lorenzo Nigro, dell’Università La Sapienza di Roma, ha spiegato che questa era la più grande piscina sacra conosciuta dell’antico mondo Mediterraneo. La piscina e i tre templi vicini erano allineati con le posizioni delle stelle e delle costellazioni specifiche in giorni chiave dell’anno, come i solstizi d’estate e d’inverno. Ciascuno dei corpi celesti era associato a un particolare dio fenicio.

Di notte, la superficie riflettente della piscina, che era leggermente più lunga e più larga di una piscina olimpionica, veniva usata per fare osservazioni astronomiche segnando la posizione delle stelle con dei pali.

Le scoperte del puntatore di uno strumento di navigazione in un tempio e la statua consumata di un dio egizio associato all’astronomia, trovata in un angolo della piscina, supportano questa possibilità.

Per un secolo si è pensato che il Kothon di Mozia fosse un porto, ma nuovi scavi hanno cambiato drasticamente la nostra interpretazione – ha sottolineato NigroEra una piscina sacra al centro di un enorme complesso religioso“.

Sospetti che sono sorti a seguito di alcune ricerche che avevano portato alla luce un Tempio di Ba’al sul bordo del Kothon di Mozia, anziché gli edifici portuali previsti.

Abbiamo quindi scoperto che non poteva essere utilizzato come porto: non era collegato al mare ma era alimentato da sorgenti naturali – ha aggiunto lo scienziato – Il team ha anche scoperto altri templi che fiancheggiano il Kothon, insieme a stele, altari, offerte votive e un piedistallo al centro del lago che un tempo conteneva una statua di Ba’al. Nel loro insieme, questi elementi indicano che non era un porto, ma una piscina sacra al centro di uno dei più grandi complessi culturali del Mediterraneo preclassico“.

scoperta piscina sicilia

La piscina sacra di Mozia

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Il sogno d’oriente rivive in Italia in questi edifici straordinari

L’Italia, si sa, è terra di santi, poeti e navigatori, ma anche di meraviglie che lasciano senza fiato. Opere d’arte firmate da Madre Natura, capolavori artistici e architettonici ideati dall’uomo e poi ancora sculture rinascimentali, musei, piazze e monumenti. E se da una parte, conosciamo bene tutto ciò che caratterizza in maniera univoca e riconoscibile il nostro Paese, dall’altra esistono cose che ci sembrano estranee alla nostra cultura e all’identità nazionale.

Una sensazione che abbiamo vissuto sulla nostra pelle tutte le volte che abbiamo viaggiato in quei luoghi del BelPaese che ci catapultavano, immediatamente, in altre realtà e dimensioni. E ci sono opere architettoniche, maestose e bellissime, che assolvono il medesimo compito perché sono ispirate a culture lontane.

È il caso dello stile moresco, l’arte sviluppata fine dell’XI secolo e la fine del XV nell’area del Mediterraneo occidentale, soprattutto in Spagna e in Maghreb, che esplode in tutta la sua bellezza in alcuni dei tesori che popolano il nostro stivale e che ci permettono di vivere un sogno orientale mai dimenticato.

Serra Moresca

Serra Moresca

Roma: l’Alhambra italiana

Quando parliamo di sogno d’Oriente, è impossibile non pensare all’Alhambra di Granada, un vero e proprio capolavoro artistico che incanta gli occhi e riscalda il cuore. Eppure anche l’Italia ha la sua Alhambra, una Serra Moresca nascosta in uno dei parchi più suggestivi della città eterna.

Ci troviamo a Villa Torlonia, meta prediletta dei cittadini romani e dei vacanzieri. Voluta dal principe Alessandro Torlonia nella prima metà dell’Ottocento, questa Serra Moresca è una vera e propria meraviglia. Caratterizzata da un giardino esotico lussureggiante, una grotta artificiale e vetrate policrome che splendono al sole, questo gioiello architettonico riportato alla luce dopo il restauro, è una vera e propria perla orientale tutta da scoprire.

Castello di Sammezzano: il gioiello orientale italiano

Molto più di un castello, quello di Sammezzano è il più grande sogno orientale mai realizzato nel nostro Paese. Situato nel comune di Reggello, in provincia di Firenze, questo capolavoro di intagli, decorazioni preziose e dettagli lussuosi, è uno dei luoghi più belli e straordinari dello stivale.

Se l’architettura esterna incanta, quella interna lascia senza fiato: un caleidoscopio di colori e dettagli ispirati allo stile moresco inebriano e stordiscono i sensi. Il Castello di Sammezzano è un sogno a occhi aperti.

Castello di Sammezzano

Castello di Sammezzano

Rocchetta Mattei, un palazzo fantasy

Ci spostiamo ora tra le colline che circondano Bologna perché è qui, su un’altura del comune di Grizzana Morandi, si trova un palazzo incantato e fantastico che sembra uscito da un libro di fiabe. Rocchetta Mattei non è propriamente un edificio moresco, anche se da questo il suo creatore si è lasciato ispirare.

Dimora del conte Cesare Mattei, letterato, politico e medico autodidatta fondatore dell’elettromeopatia, la Rocchetta Mattei deve al suo creatore la bellezza senza tempo che la caratterizza. L’edificio, complesso ed elaborato, fonde lo stile moresco all’architettura medievale mitteleuropea e al gotico italiano. Il risultato è un’edificio fantasy dall’atmosfera straordinaria, un unicum in Italia e nel mondo.

Palazzo Mazzone di Catania

Ci spostiamo ora a Catania, in una delle strade più popolate della città. Lungo via Umberto, infatti, si erge un palazzo che svetta verso il cielo, si tratta di Palazzo Mazzone, uno straordinario esempio di architettura moresca. Realizzato nel 1900 dall’architetto Tommaso Malerba, l’edificio conserva tutto il fascino orientale misto a quello dello stile liberty che caratterizzava la scena catanese durante la realizzazione del palazzo.

Palazzo Mazzone

Palazzo Mazzone

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Santo Stefano Rotondo, il tempio della perfezione

È nella bellezza delle sue linee rotonde, nella sinuosità dei suoi archi e negli incantevoli affreschi che custodisce al suo interno che si nasconde la vera perfezione della Basilica di Santo Stefano Rotondo, uno dei più antichi tempi cristiani. Nel cuore di Roma sorge questa incredibile chiesa a pianta circolare, che ancora oggi suscita grande meraviglia.

Santo Stefano Rotondo, nel cuore di Roma

Arte, architettura e storia si intrecciano amabilmente, tra le ampie arcate e i portici della Basilica di Santo Stefano Rotondo: è a due passi dal Colosseo, dove le mille bellezze della Città Eterna tornano a rivivere ogni giorno, che possiamo ammirare un vero capolavoro. È, questa, una delle più antiche chiese della cristianità e luogo di grande spiritualità, che ne pervade ogni singolo mattone. Eretta nel V secolo, probabilmente per volere di Papa Leone I, sin dall’inizio è nata come tempio di perfezione. La sua pianta circolare è simbolo di totalità e armonia, richiamo della meraviglia cosmica e dell’ordine della creazione.

Dal punto di vista architettonico, Santo Stefano Rotondo rientra nel periodo di massimo fulgore dello stile paleocristiano romano, che si rifà, proprio nelle linee rotonde, alla splendida Basilica del Santo Sepolcro di Gerusalemme. Il progetto originale era sicuramente molto ambizioso: i tre cerchi concentrici che costituivano la sua pianta erano divisi da imponenti colonne architravate, e al loro interno avevano volte a botte e numerosi spazi riccamente decorati. Lastre di marmo rivestivano pavimenti e, in alcuni casi, persino le pareti, mentre il tetto era sorretto da travi in legno.

Santo Stefano Rotondo

Santo Stefano Rotondo, la pianta circolare

La storia della Basilica di Santo Stefano Rotondo

Nei secoli successivi, la Basilica ha subito numerosi interventi che l’hanno portata al suo splendore attuale. Pregiati mosaici e affreschi stupendi hanno trovato pian piano luogo tra le mura di Santo Stefano Rotondo. E tra i suoi arredi più celebri spicca la “Sedia di Gregorio Magno”, un antico sedile in marmo di epoca romana, che secondo tradizione veniva impiegato dal pontefice per pronunciare le sue omelie. Ma il periodo più buio era dietro l’angolo, e si è manifestato con ripetuti saccheggi che hanno spogliato la chiesa delle sue ricchezze – e della sua bellezza incredibile.

Privata di tutto ciò che aveva più pregio e lasciata nell’incuria più totale, la Basilica ha vissuto un primo ritorno di gloria attorno al 1100, quando Papa Innocenzo II ha ordinato la creazione del suggestivo porticato d’ingresso a cinque arcate che ancora oggi possiamo ammirare prima di entrare nella chiesa. E ancora qualche secolo più avanti ha avuto inizio un’importante opera di restauro affidata alle mani esperte dell’architetto fiorentino Bernardo Rossellino. Negli ultimi decenni, Santo Stefano Rotondo è diventato luogo di importanti scavi archeologici che hanno riportato alla luce splendidi manufatti. E i restauri non hanno ancora avuto fine: riportare la Basilica alla sua antica bellezza è l’obiettivo ultimo, preservandone al contempo la storia.

Santo Stefano Rotondo

Il portico di Santo Stefano Rotondo

Santo Stefano Rotondo, tra simbologia e misteri

Se la forma rotonda di questa splendida chiesa di Roma richiama un’antica simbologia che sembra permeare l’intero edificio, Santo Stefano Rotondo è anche luogo di misteri incredibili. Sulle sue pareti vi sono affreschi che suscitano soggezione e un pizzico di orrore, rappresentando con crudeltà tutti i modi in cui un uomo può essere martirizzato. Si tratta del ciclo del Pomarancio, che include ben 34 scene di martirio con terrificanti punizioni in grado di generare più di un brivido freddo. Lo scopo? Mettere in guardia dai pericoli che si possono incontrare lungo il cammino, un monito a dir poco terrorizzante.

Santo Stefano Rotondo

Santo Stefano Rotondo, gli affreschi

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Giornata Mondiale della Poesia, gli eventi imperdibili

Il giorno 21 marzo, in concomitanza con l’arrivo della primavera, si celebra la Giornata Mondiale della Poesia istituita dalla XXX Sessione della Conferenza generale dell’Unesco nel 1999 e celebrata per la prima volta il 21 marzo dell’anno successivo. La ricorrenza ha l’obiettivo di riconoscere alla poesia un ruolo privilegiato nella promozione della comunicazione e della comprensione interculturale, della diversità linguistica, della comunicazione e della pace.

Giornata Mondiale della Poesia e delle Foreste 2022

Ma in realtà, in data 21 marzo, non si celebra solo la Giornata Mondiale della Poesia. Questa è anche la Giornata Internazionale delle Foreste, un evento che mira a ripristinare queste meraviglie della natura per contribuire a creare un mondo più sano.

Per questa occasione i Parchi Letterari italiani riuniscono i temi del viaggio, della letteratura e dell’ambiente per celebrare insieme il paesaggio in un lungo percorso naturale e poetico.

Quest’anno, sfortunatamente, sarà una ricorrenza  un po’ particolare: l’emergenza pandemica e le immagini che arrivano ogni giorno dai luoghi di guerra non lasciano grandi spazi per i festeggiamenti. Nonostante questo, con letture, incontri, percorsi naturalistici e letterari, case museo, mostre e articoli, la rete dei Parchi Letterari proverà a ritrovare insieme i motivi di ispirazione di alcune tra le più belle pagine della letteratura.

Quali sono i parchi Letterali in Italia

Sono tanti e si trovano in tutto il nostro Paese. Ne abbiamo selezionati alcuni imperdibili a partire dal Parco Letterario Eugenio Montale alle Cinque Terre. Nacque in occasione dei 40 anni dal Nobel per la letteratura al poeta. Il suo scopo è far rivivere al visitatore le emozioni intense che Montale ha sempre espresso tramite i versi delle sue liriche.

Il parco porta il nome del poeta poiché proprio qui, a Monterosso, trascorreva le sue estati. Simbolo di questo parco letterario è infatti la casa in cui Montale soggiornò per lungo tempo e che lui stesso chiamava o “la pagoda giallognola” o “la casa delle due palme”.

Incredibile anche il Parco Letterario Pier Paolo Pasolini a Ostia. Quest’anno ricorre persino il centenario della sua nascita e in quest’area è possibile passeggiare tra citazioni e frasi tratte dalle sue opere e da percorsi bibliografici.

Nel parco, aperto ogni giorno dalle 9 al tramonto, sono promosse ogni anno numerose attività culturali e di valorizzazione del territorio, tra cui mostre, conferenze, visite guidate, attività di book-crossing, eventi letterari e artistici.

Ad Aliano, in provincia di Matera, sorge il Parco Letterario Carlo Levi che opera dal 1998. L’idea di base in questa circostanza è stata quella di utilizzare la fonte letteraria come codice di lettura del territorio, per scoprirne e valorizzarne i diversi aspetti che ne configurano l’identità.

Le molteplici iniziative vogliono, quindi, recuperare e valorizzare l’identità, la cultura, la storia e le tradizioni locali, svolgere programmi finalizzati alla diffusione e alla conoscenza della letteratura, delle arti figurative e dello spettacolo. Ma non solo. Vogliono anche promuovere studi, ricerche, convegni, pubblicazioni, mostre, spettacoli, concorsi, premi letterari di particolare interesse.

Per sapere quali saranno gli eventi che si terranno in Italia in occasione della Giornata Mondiale della Poesia e della Giornata internazionale delle Foreste, vi rimandiamo a questo sito in costante aggiornamento.

giornata mondiale poesia

Una veduta di Aliano

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Nel cuore della capitale c’è un fantasma che si aggira in un museo

Situato nel cuore antico e suggestivo della città eterna, c’è un edificio che è impossibile non notare per la sua maestosa eleganza, una dimora che conserva ancora il fascino degli antichi sfarzi mondani dei suoi antichi proprietari. Stiamo parlando del Palazzo Braschi, edificio del rione Parione a Roma, oggi sede delgi Museo di Roma.

Eretto tra Piazza Navona e Corso Vittorio Emanuele II, questo palazzo fu progetto dall’architetto Cosimo Morelli per volere di Papa Pio VI intenzionato a regalarlo a suo nipote, Luigi Braschi Onesti. Ed è proprio alla famiglia Braschi che, questo meraviglioso edificio della capitale, è indissolubilmente legato.

Non solo per le sue origini e la storia legata al pontefice, o alla famiglia nobile che scelse la città eterna come rifugio mondano, ma in particolare alla giovane Costanza che, si dice in giro, vaga ancora nelle stanze del museo.

La storia di Costanza, il fantasma di Palazzo Braschi

Palazzo Braschi conserva una storia antica quanto affascinante, quella della famiglia che qui dimorò. Le cronache del tempo raccontano della giovane donna che sposò Luigi Braschi Onesti, una ragazza colta e raffinata che amava organizzare feste e banchetti all’interno della sua dimora.

I gossip del tempo la dipingono come una donna piena di vita che consumava le sue passioni in numerose relazioni extraconiugali. Altri dettagli della vita di Costanza, che da nubile faceva Falconieri di cognome, sono a noi sconosciuti, così come sono ignoti quelli relativi alla sua morte.

Sono diverse le persone che, in visita a quello che è oggi il Museo di Roma, affermano di averla incontrata tra le stanze meno frequentate dell’edificio. C’è chi dice, invece, di sentire spesso dei rumori di passi o di vedere luci e ombre che si aggirano tra i corridoio. Che sia davvero Costanza che, malinconica, si aggira in quella che un tempo era la sua dimora?

Altri fantasmi a Roma

Costanza Braschi non è l’unico fantasma che si aggira nel cuore della capitale. Ce n’è un altro, forse il più famoso di Roma, che secondo alcuni si palesa in città nella notte tra il 10 e l’11 settembre ogni anno. Stiamo parlando di Beatrice Cenci, una giovane nobildonna romana vissuta in città in epoca rinascimentale.

La sua storia, celebre in tutta il mondo, ha ispirato artisti, poeti e scrittori tra cui anche Guido Reni e Stendhal. Si dice della donna che fosse posta sotto il controllo di un padre violento e autoritario. Nonostante le diverse denunce, nessuno fece nulla per salvarla. Così fu lei stessa, con la complicità dei suoi fratelli e di alcuni conoscenti, a ucciderlo. Beatrice Cenci e gli atri furono processati e condannati a morte l’11 settembre del 1599. Si dice che il fantasma della giovane donna, a ogni anniversario della sua morte, vaga sul ponte di Castel Sant’Angelo con la sua testa in mano.

Sempre nel cuore della città eterna c’è un altro fantasma che sembra essere stato avvistato più volte, stiamo parlando di Giuseppe Balsamo, meglio conosciuto come il Conte di Cagliostro. L’uomo, alchimista, guaritore e truffatore, fu denunciato da sua moglie Lorenza Serafini Feliciani per maltrattamenti e violenze. Cagliostro fu così arrestato e rinchiuso, con la condanna a ergastolo, in una stanza senza porte e finestre dove morì. Chi vive a Roma giura di averlo visto tra le strade del Vicolo delle Grotte, dove un tempo abitava, e udito il grido disperato dell’uomo che invoca sua moglie.

Sempre nel cuore della capitale, e nello specifico a Piazza di Spagna, gli abitanti della città dicono di aver visto più volte, al calar del sole, John Keats e Percy Bysshe Shelley. I due poeti romantici, vissuti all’inizio dell’ottocento, passeggiano a braccetto mentre contemplano le meraviglie della città eterna.

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Scoperto a Notre-Dame un misterioso sarcofago

Proseguono i lavori di ristrutturazione di Notre-Dame, la maestosa cattedrale metropolitana di Parigi, dopo l’incendio del 2019. Oltre al suo immenso patrimonio fatto di tantissimi tesori di storia e d’arte, a quanto pare ci sono meraviglie ancora sconosciute, come il misterioso sarcofago recentemente scoperto.

Notre-Dame, dall’incendio alla scoperta

Era il 15 aprile del 2019 e tutto il mondo guardava incredulo le immagini dell‘incendio di Notre-Dame, una delle più belle cattedrali del mondo. Costruita a partire dal 1160, a causa del fuoco aveva visto collassare le guglie del suo tetto.

Ma nel posizionare le impalcature nella navata, sono stati scoperti un sarcofago in piombo perfettamente conservato -probabilmente del XIV secolo, – e diversi luoghi di sepoltura sotto il pavimento, assieme a delle sculture. Meraviglie rinvenute sotto il livello del transetto della cattedrale, parzialmente distrutto dall’incendio dell’aprile 2019.

Le dichiarazioni degli addetti ai lavori

Ad annunciarlo è stato il ministero della Cultura che ha dichiarato che le vestigia ritrovate sono “di notevole qualità scientifica”. Fra le sepolture rinvenute, “è stato estratto un sarcofago antropomorfo in piombo, integralmente conservato“.

Potrebbe trattarsi, aggiunge, di quello “di un alto dignitario, probabilmente risalente al XIV secolo”. L’operazione di estrazione delle sepolture ha messo anche in evidenza, immediatamente al di sotto del livello di pavimentazione attuale della cattedrale, “l’esistenza di una fossa nella quale sono stati depositati elementi scolpiti policromi identificati come appartenenti alla cosiddetta “jubé“, la tribuna su archi costruita attraverso la navata principale delle chiese per isolare il coro. Un ambiente, quindi, riservato ai monaci o ai canonici.

Durante i lavori condotto della metà del XIX secolo, Viollet-le-Duc, che ideò la guglia, aveva ritrovato altri frammenti della “jubé” che oggi sono esposti al museo del Louvre.

Siamo stati in grado di inviare una piccola fotocamera all’interno che mostrava resti di stoffa, materia organica come capelli, ma anche resti di piante. Il fatto che questi resti siano lì indica che il contenuto è stato preservato nel migliore dei modi”, ha affermato Christophe Besnier dell’Istituto Archeologico Nazionale francese.

Quando riapre Notre-Dame

Stando a quanto dichiarato dalla ministra francese della cultura Roselyne Bachelot e il presidente Emmanuel Macron, Notre-Dame riaprirà nel 2024. All’epoca dei fatti, Macron aveva invocato la ricostruzione del monumento gotico – tra i simboli della Francia, ma anche dell’Europa intera – in tempo per le Olimpiadi di Parigi 2024.

Anche il generale Jean-Louis Georgelin, che segue il cantiere per conto di Macron, ha garantito che Notre-Dame potrà riaprire nel 2024. Una celebrazione liturgica di ringraziamento è già fissata per il 16 aprile, anche se i lavori non dovessero essere del tutto conclusi per quella giornata.

In attesa della sua riapertura, la cattedrale si arricchisce grazie anche a queste significative scoperte, che rendono la storia di questa meraviglia parigina ancor più importante.

I ritrovamenti avvenuti aiuteranno gli archeologi a comprendere meglio le pratiche funebri che avvenivano durante il Medioevo francese. Ma la verità è che non c’è tempo da perdere: il ministro della cultura, Roselyne Bachelot-Narquin, ha fatto sapere che gli studiosi potranno condurre ulteriori ricerche nell’area degli scavi fino al 25 marzo, con lo scopo anche di sfruttarne al massimo le sue potenzialità.

sarcofago notre dame

Il ritrovamento del sarcofago