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Bruxelles Capitale del cioccolato: è lei la città più dolce d’Europa

È una storia d’amore antica, straordinaria e destinata a durare per sempre, quella tra la Bruxelles e il cioccolato. Una relazione, questa, dall’alto tasso di carboidrati e zuccheri che non ci lascia immuni perché è qui che possiamo vivere una delle esperienze sensoriali più sopraffine e strabilianti del mondo.

Un luogo che ci permette di soddisfare tutte le esigenze del nostro palato, prima ancora della nostra sete di avventura, una città che ci invita a compiere un peccato di gusto per conoscere la sua storia, la sua cultura e le sue tradizioni.

E sì perché se parliamo della capitale del Belgio non possiamo non parlare di cioccolato. E allora eccolo il viaggio più dolce, zuccherino e prelibato che possiamo concederci adesso.

Bruxelles, la capitale del cioccolato

Bruxelles, la capitale del cioccolato

C’era una volta la prima pralina belga

Tutto è iniziato tanto tempo fa, quando il farmacista Jean Neuhaus aprì uno dei suoi negozi all’interno delle lussuose Gallerie Reali Saint Hubert. Per rendere più accattivanti e gradevoli le sue medicine, l’uomo usava ricoprirle di cioccolato. Era il 1857 e così si andava formando la prima idea di quella che sarebbe stata la pralina belga.

Suo nipote, Jean Neuhaus Jr., ereditando l’intuizione dello zio e la passione per il cioccolato dalla famiglia, sostituì presto le medicine con del cioccolato morbido ricoperto da uno strato più solido e sottile. Nacque così la prima pralina belga nel 1912.

Negli anni successivi questo delizioso prodotto conobbe una fama immensa in tutto il Paese e anche oltre. Merito di Charles Callebaut, maître chocolatier, che inventò un modo per trasportare il cioccolato liquido. Da quel momento, la pralina è diventata storia. Tantissime le sue varianti e le cioccolaterie in città e nel mondo che la propongo ancora adesso, sia nella sua versione originale che in quelle più moderne.

Bruxelles, la capitale del cioccolato

Bruxelles, la capitale del cioccolato

Dove mangiare cioccolato a Bruxelles

Dove mangiare cioccolato a Bruxelles? Praticamente ovunque. Nel centro della città, infatti, una serie di cioccolaterie e botteghe storiche sono pronte a deliziare il palato di cittadini e viaggiatori da tutto il mondo. Dalle vetrine sapientemente addobbate alle degustazioni all’interno, passando per uno shopping sensoriale ed esperienziale: questa è Bruxelles.

Tra le cioccolaterie più iconiche della città è impossibile non menzionare Godiva, situata proprio in Grand Place e la boutique Neuhaus, il negozio dove sono nate le praline. Ma non c’è angolo, strada o piazza di Bruxelles che non ospiti un dolcissimo negozio pronto a deliziare il palato di tutti.



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Se non volete accontentarvi di una mera esperienza di gusto, allora, dovete recarvi al Belgian Chocolate Village. Questo museo del cioccolato trasporta gli ospiti nella storia di questo ingrediente, tra lavorazioni, creazioni, trasformazioni e idee che riguardano il passato, il presente e il futuro. Non mancano, ovviamente, le degustazioni.

E se tutto questo ancora non basta a soddisfare la vostra voglia di zuccheri, ecco allora che non potete non concedervi i deliziosi waffle di Bruxelles. Soffici dentro e croccanti fuori, in città sono proposti in tantissime dolci varianti. Se volete osare ancora di più, però, vi consigliamo anche di provare il curioso e sagace abbinamento di birra e cioccolato. Del resto la capitale del Belgio è anche il paradiso della birra.

Bruxelles, la capitale del cioccolato

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Il luogo in cui si trova il maggior numero di templi al mondo

L’India, si sa, è meta di viaggi spirituali, di riconnessione e pace. Trovarsi in mezzo alle alture di Shatrunjaya a 603 metri, in Gujarat, circondati da ben 863 templi è assolutamente coinvolgente. Un’esperienza non per tutti questo yatra -letteralmente il pellegrinaggio-che si compie tra i luoghi della fede, scolpiti in marmo, vicino alla città di Palitana.

Questa è la zona con il maggior numero di templi in tutto il mondo, una tappa imperdibile per chi intende organizzare un viaggio in Gujarat, patria della comunità jainista. Unica avvertenza prima di prendere e partire: controllare molto bene il calendario. Durante la stagione monsonica, infatti, il sito è chiuso e i templi non sono visitabili. Altro dettaglio da considerare: scegliere un pernottamento fuori dalla città-tempio di Palitana. Qui, infatti, non è concesso a nessuno di soggiornare e neppure pernottare.

Una meta spirituale dell’India occidentale

Una collina nella parte più occidentale dell’India dove centinaia di templi si susseguono e lasciano il visitatore a bocca aperta. Pennacchi, torri merlettate, scalinate di un marmo bianco: sembrano dolci pendii di pizzo. Un luogo davvero unico al mondo che non ha eguali. Siamo vicini a Palitana, nel distretto di Bhavnagar del Gujarat, una città proprio nota per la presenza dei numerosi templi, diversi per dimensioni ed architettura, che sono dedicati ai 24 Tirthankaras, ossia i santi venerati dalla comunità Jain. Non solo, Gujarat è nota anche per la presenza del leader spirituale Mahatma Gandhi che dal 1917 al 1930 si trovava al Sabarmati Ashram, le cui stanze sono oggi aperte al pubblico.

I templi di Palitana possono essere considerati, se paragonati alla fede cattolica, ad una sorta di Vaticano indiano, essendo il più grande ed importante luogo di pellegrinaggio dei gianisti. Non è un caso se i templi sono stati scolpiti proprio su quella collina. I giainisti, infatti, credono che Adinath, il primo delle divinità Jina, abbia letteralmente santificato la montagna di Shatrunjaya, perché la scelse come il luogo di recita del suo primo sermone.

Il sito dei templi di Palitana è immenso, si estende per diversi chilometri, con panorami infiniti. Visitare tutti i santuari è praticamente impossibile, ma ci sono raggruppamenti di templi molto interessanti. Solitamente si presentano con un tempio principale, accerchiato da strutture minori. I principali sono sontuosi e monumentali, decorati e abbelliti con torri, colonne, e marmi meravigliosi. Gli altri, sono invece più modesti.

I templi più importanti da visitare

Il viaggio tra i templi di Palitana inizia da quello forse considerato il più significativo, il tempio principale. Si trova esattamente in cima alla collina, a dominare tutti gli altri. E’ il tempio di Adishwara, ossia quello dedicato ad Adinath, il primo Tirthankara. La sua ricchezza decorativa lo conferma: un tripudio di ori, pietre, colori, sculture e bassorilievi. La figura della divinità domina il sito: è in marmo, con ornamenti d’oro. La si vede a distanza di centinaia di metri. Per raggiungere il tempio è necessaria una prova di resistenza (e di fiato): sono ben 3500 gli scalini da salire per raggiungere la sommità della collina dove si trova il tempio. Vale la pena compiere l’impresa, però, perché Adishwara è considerato uno dei tempi più belli dell’intera India.

Si prosegue verso Chaumukha, anche noto come il tempio a quattro facce. Una struttura imponente, che occupa una superficie ampia. Le prime notizie di questo tempio, e quindi la sua costruzione, risalgono al  1618. Come suggerisce anche il nome, la struttura ha quattro lati, con altrettanti portali: le divinità, in questo modo, sono visibili da ogni parte. Anche qui troviamo l’immagine di Adinath, su una colonna in marmo bianco.

Gli altri templi che meritano di essere visitati in questo luogo incredibile sono: Vimal Shah, dalla riconoscibile forma quadrata con torri. Saraswati, piccolo santuario dedicato alla divinità della conoscenza e della saggezza, il tempio di Narsingh Kesharji e il tempio Samavasaran con i loro affreschi.

Un luogo sacro, fuori dal tempo, che come presumibile ha delle limitazioni nella sua fruizione. La collina di Shatrunjaya è stata scelta (si dice dal divino Adinath) in quanto la città-tempio di Palitana, sua dimora, si trovava lontana da altri insediamenti, in posizione di pace e tranquillità. Posto di contemplazione e preghiera, incontaminato. Per queste ragioni, anche oggi, i templi sono visitabili e sono meta di turisti, ma qui non è concesso a nessuno soggiornare o pernottare (neppure ai sacerdoti). Non solo,  durante la stagione monsonica, che dura circa quattro mesi l’anno, la zona resta inaccessibile, infatti i templi sono chiusi.

Un tuffo nella storia

La storia per capire da dove arrivano questi 863 templi, ci porta intorno a II secolo, quando il giainismo si diffuse grazie alla parola diffusa da diversi gruppi di monaci -ma anche da mercanti- che si insediarono in diverse aree del subcontinente indiano lungo le rotte commerciali. La zona è quella di Pataliputra nel Bihar, fino all’Odisha nell’est dell’India. Ma la filosofia e il credo gianista arrivarono anche al sud, ad Andhra Pradesh, Karnataka e Tamil Nadu. In una grotta di Hathigumpha a Udayagiri a Bhubaneswar, si trovano scritte appartenuto al re Kharavela (157 a.C.) e le abitazioni rupestri destinate ai monaci nel I secolo a.C.

I templi più antichi che si trovano a Palitana furono costruiti durante il regno del re Kumarapala, appartenente alla dinastia Solanki nell’XI secolo d.C. Di questi non rimane quasi più nulla, perché furono in gran parte distrutti dagli invasori musulmani nel XIII secolo d.C. Ciò che si può visitare oggi, infatti, risale al XVI secolo, mentre i templi più antichi furono ricostruiti grazie all’impegno in denaro di ricchi commercianti che vollero nuovamente vedere i luoghi simbolo della regione, in tutto il loro splendore.

Nel 1656 Murad Baksh (l’allora governatore della regione del Gujarat) e figlio dell’imperatore Moghul Shah Jahan, decise di cedere (di vendere, a dire il vero) i villaggi Palitana ad un influente e potente mercante indiano dell’epoca. Iniziò un periodo di grande prosperità, che dura tutt’ora, perché un antico editto consente a Shatrunjaya di resistere in ricchezza. L’area, infatti, è protetta: qui non si pagano le tasse, ad esempio, cosa che ha consentito a questa città-tempio di prosperare per secoli. Come è stato detto, tuttavia, non ci si può dormire, quindi neppure trasferirsi.

india Palitana

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Isole Tremiti itinerari culturali Notizie vacanze Viaggi

Isole Tremiti, una vacanza nel sogno di Lucio Dalla

Le Isole Tremiti non hanno bisogno di presentazioni perché l’immensa bellezza che le caratterizza precede persino la fama che le accompagna da sempre. Le perle dell’Adriatico, le chiamano, perché in effetti quel patrimonio naturalistico straordinario, affiancato da miti, leggende e storie suggestive, le rende davvero gioielli preziosi da preservare e scoprire.

Circondate da meravigliose acque che esplodono nelle sfumature più belle dell’azzurro e del blu, l’arcipelago delle Isole Tremiti, che comprende San Nicola, San Domino, Caprara, gli scogli del Cretaccio e l’isola di Pianosa, è da sempre meta prediletta di viaggiatori, turisti ed escursionisti provenienti da ogni parte del mondo. Merito degli scorci meravigliosi, di quella natura lussureggiante e di quel silenzio remoto che regna tra i sentieri interni e le calette delle isole. Quelle che, secondo la leggenda, sono state create dall’eroe greco Diomede, che di ritorno dalla guerra di Troia ha lanciato dei sassi nel mare blu.

E a guardare questo scenario nel suo insieme è facile comprendere le motivazioni che hanno portato il grande Lucio Dalla a scegliere proprio questo arcipelago delle meraviglie come suo buen retiro, come luogo d’ispirazione e produzione dei suoi più grandi capolavori. Qui, il cantautore, aveva costruito le sue dimore di pace e tranquillità, le stesse che a partire dall’estate 2022 saranno prenotabili per vacanze esclusive e straordinarie.

Lucio Dalla nella sua casa alle Tremiti

Lucio Dalla nella sua casa alle Tremiti

Dormire nella villa di Lucio Dalla a San Domino

È qui che uno dei più grandi artisti della musica italiana veniva a rifugiarsi, a ispirarsi. E non ne ha fatto un segreto dato che proprio a quei panorami incantati che restava a fissare per ore ha dedicato alcuni dei suoi più grandi successi discografici. Luna Matana è stato il suo omaggio che sempre sarà alle amatissime Isole Tremiti, a quel rifugio personale fatto di viste mozzafiato e di tranquillità.

Album e brani prodotti proprio su vista mare, nella sala incisione dell’abitazione di Lucio Dalla sulle Isole Tremiti. E ora in quella casa si potrà dormire, alloggiare e vivere una vacanza esclusiva e unica.

A partire dall’estate 2022, infatti, sarà possibile prenotare la villa di Lucio Dalla a San Domino, proprio quella che assomiglia a una terrazza panoramica che affaccia sulle bellezze dell’isola. A renderlo noto è stata l’azienda molisana Sintattica Servizi e Turismo che si occuperà dell’affitto della villa su richiesta degli eredi del grande cantautore.

Ma quello di San Domino non sarà l’unico alloggio in cui rivivere il sogno di Lucio Dalla, la sua musica, la sua arte. Anche la dimora sulla vicina isola di San Nicola, appartenuta all’artista bolognese, sarà aperta alle prenotazioni per vacanze esclusive e al di fuori dell’ordinario.

Isole Tremiti, vista da San Domino

Isole Tremiti, vista da San Domino

Nel sogno di Lucio Dalla

Le ville che Lucio Dalla possedeva alle Isole Tremiti e che aveva trasformato come rifugi di pace, creatività e ispirazioni, diventeranno quindi degli alloggi esclusivi per viaggiatori selezionati che qui potranno vivere esperienze all’insegna di arte e bellezza.

La villa di San Domino, sviluppata su tre livelli e con vista mozzafiato sul mare, conserva tutti gli arredi originali appartenuti al cantautore e ospita la famosa sala d’incisione che ha visto all’opera i più importanti protagonisti del panorama musicale italiano e lo stesso Dalla che qui ha inciso alcuni dei suoi più grandi capolavori.

Sarà questa l’occasione perfetta per scoprire e riscoprire un territorio affascinante e unico ed entrare in punta di piedi nel sogno di Lucio Dalla.

La villa di Lucio Dalla alle isole Tremiti

La villa di Lucio Dalla alle isole Tremiti

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Borghi itinerari culturali Viaggi

Tursi, il borgo circondato dai calanchi

Abbracciato dalla fiabesca cornice dei calanchi in provincia di Matera, il borgo di Tursi è un autentico gioiello del territorio, famoso per aver dato i natali ad Albino Pierro, annoverato tra i maggiori poeti italiani della seconda metà del Novecento e candidato più volte al Nobel per la Letteratura.

Un paesaggio plasmato da canyon, pinnacoli e bianche dune rocciose, un nucleo storico che gli ha valso il titolo di “Borgo Autentico d’Italia“, attrazioni di un tempo che fu a catturare lo sguardo a ogni passo: scopriamo di più su questa meraviglia della Basilicata.

tursi panorama

Scorcio di Tursi

La storia del borgo

Tursi vide la luce prima dell’anno Mille a opera dell’antico popolo italico degli Enotri con il nome di Pandosia.

Nel 281 a.C. l’area fu teatro dello scontro tra i Romani e Pirro, Re dell’Epiro, e il nucleo abitato venne distrutto durante le guerre condotte dal generale romano Silla: dalle sue rovine sorse allora Anglona, semidistrutta poi dai Visigoti che costruirono il Castello in collina dove gli abitanti poterono rifugiarsi.

Nacque così il borgo della Rabatana, il cui nome si deve ai Saraceni che conquistarono parte della pianura nel IX secolo.

A questa invasione, seguirono quelle dei Bizantini, Normanni e Svevi che contribuirono allo sviluppo del borgo: infine, dopo la distruzione definitiva di Anglona, nel Quattrocento gli abitanti si trasferirono a Tursi.

Cosa vedere a Tursi: le attrazioni da non perdere

Una visita al suggestivo borgo dei calanchi può iniziare dal suo cuore storico, la Rabatana, raggiungibile percorrendo per circa 200 metri una ripida strada che si snoda al di sopra dei burroni, una sorta di gradinata chiamata “petrizze”: qui spicca il Picciarello, lembo di terra che dalla collina del Castello si protende su vertiginosi precipizi.

Della fortezza oggi rimangono i cunicoli sotterranei ma le ricostruzioni indicano che aveva pianta quadrangolare, quattro torri cilindriche e due piani.

L’incantevole intrico di case in pietra e laterizio edificate dai Saraceni nell’850 a.C. e il complesso sistema di strettoie e grotte accessibili soltanto attraverso le abitazioni, fanno del quartiere un pregevole esempio di architettura spontanea dalla chiara influenza araba.

Qui trovò ispirazione per le sue opere il poeta Albino Pierro alla cui memoria è stato realizzato l’omonimo Parco Letterario situato nella casa in cui nacque nel 1916 nello storico rione San Filippo: l’edificio si compone di un seminterrato e due piani.

Al primo piano si ammira la biblioteca con opere e la collezione personale del poeta nonché la riproduzione del suo studio a Roma; il secondo piano invece ospita la pinacoteca con la mostra permanente dei dipinti ispirati alle liriche di Pierro a cura di artisti locali.

Il Parco, sede di eventi culturali, manifestazioni e visite guidate, dona una vista superba sui calanchi, il convento di San Francesco e il torrente Pescogrosso.

cattedrale tursi

La Chiesa Cattedrale dell’Annunziata

Degna di nota la Chiesa Cattedrale dell’Annunziata in Piazza Maria SS. di Anglona, risalente al XV secolo ed elevata a Cattedrale nel 1546.

Ricostruita nel 1988 a seguito di un incendio, presenta pregevoli altari in marmo, due tele settecentesche ai lati dell’altare maggiore e il soffitto a cassettoni: l’esterno è impreziosito dal portone in bronzo raffigurante scene religiose, lo stemma papale e lo stemma del vescovo.

Altri edifici di culto da non tralasciare durante una visita a Tursi sono la Chiesa Collegiata di Santa Maria Maggiore eretta tra il X e l’XI secolo, dagli interni in stile barocco e facciata quattrocentesca, e la Chiesa di San Filippo Neri, dedicata al patrono del borgo, edificata in stile barocco nel 1661.

tursi

Panorama di Tursi

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Borghi itinerari culturali musei Pesaro E Urbino Viaggi

Pietrarubbia, il borgo solitario che sembra un museo medievale

L’Italia è un Paese meraviglioso, un luogo che incanta viaggiatori provenienti da tutto il mondo con le sue attrazioni naturali, con quelle costruzioni monumentali, con i mari azzurri e cristallini baciati dal sole, con i borghi che preservano le tradizioni secolari che si tramando da generazioni.

Eppure, anche quando crediamo di conoscere bene ogni angolo dello stivale, ecco che nuovi luoghi fanno capolino come per magia, per incantarci e a affascinarci, per ricordarci quanto è bella l’Italia. Ed è quello che è successo quando ci siamo trovati al cospetto di Pietrarubbia, il piccolo borgo della provincia di Pesaro e Urbino, nelle Marche, arroccato su un massiccio roccioso che domina tutta la valle del torrente Apsa.

Si tratta di uno dei più antichi borghi dell’intero territorio di Montefeltro che affonda le sue origini in secoli antichi, gli stessi che sono rimasti impressi sui ruderi e sui resti degli edifici che dominano il borgo e i suoi dintorni.

Pietrarubbia

Pietrarubbia

Benvenuti a Pietrarubbia

Le prime notizie del borgo marchigiano, che deve il suo nome alla colorazione rossastra della roccia su cui sorge, risalgono agli anni immediatamente precedenti al 100 d.C. Le storie locali, però, attribuiscono la nascita dell’insediamento ancora prima, addirittura al V secolo. Quello che sappiamo con certezza è che le testimonianze storiche e architettoniche che qui sopravvivono rendono Pietrarubbia un borgo medievale tutto da scoprire.

Del resto, passeggiando all’interno dell’antico borgo si ha come l’impressione di fare un salto temporale nel Medioevo, come se ci si trovasse all’interno di un museo a cielo aperto dove il passato e il presente si fondono, dove sembra quasi di poter immaginare le giornate di dame e cavalieri che qui vivevano.

Cosa vedere nel borgo che sembra un museo

Silenzioso e solitario, il piccolo borgo medievale di Pietrarubbia è un gioiello da scoprire. Situato alla pendici del monte Carpegna, in una posizione strategia e panoramica, fu scelto come sede di un castello fortificato che sovrastava il borgo, del quale oggi resta solo una terra e pochi resti fortificati.

L’iconica costruzione, presente in ogni cartolina di viaggio, è raggiungibile attraverso un sentiero ripido e breve che conduce proprio lì, in quella posizione panoramica dalla quale è possibile osservare tutto il territorio circostante. I resti della fortificazione, invece, non sono accessibili, ma è presente un percorso che consente di girarci intorno.

Come molti borghi italiani, anche Pietrarubbia ha dovuto combattere contro lo spopolamento iniziato intorno al 1960. Questo ha portato al naturale declino del territorio per diversi anni fino a quando il celebre Arnaldo Pomodoro ha scelto di investire nel paese che gli ha dato i natali. Il borgo è stato così ristrutturato, diventando oggi una destinazione sempre più raggiunta dai viaggiatori, seppur ancora molto distante dagli itinerari turistici più battuti.

Occhi ben aperti e lunghe passeggiate, è così che si va alla scoperta di questo solitario paese. Tonino Guerra lo descrisse come “Il borgo di pietre morbide che accarezzano gli occhi”.

Pietrarubbia oggi è diventato un museo a cielo aperto grazie alla presenza di una scuola di alto artigianato specialistico creata dallo stesso Pomodoro, il Centro Tam, che ha esposto le sculture degli allievi al suo esterno. Ma il suo patrimonio storico e culturale, che affonda le sue radici nel passato, è intriso in ogni dove. È raccontato nei resti del castello, in quegli edifici ristrutturati con i materiali delle fortificazioni preesistenti e da quella meravigliosa chiesa dedicata a San Silvestro la cui struttura risale all’epoca medievale.

Pietrarubbia, resti del castello

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Scoperta eccezionale: trovati i resti di due statue monumentali

Due statue monumentali in pietra calcarea, dotati di torace possente e di grandi scudi a protezione del ventre: è questa l’incredibile scoperta che ha sorpreso gli archeologi, secondo cui il rinvenimento è a dir poco eccezionale. E se anche i due giganti non sono completi – diversi frammenti sono stati trovati nei dintorni -, aprono le porte ad una nuova serie di reperti tutti da scoprire.

La scoperta incredibile a Mont’e Prama

Nelle scorse settimane hanno avuto il via i lavori presso il sito archeologico di Mont’e Prama, sede di uno dei più importanti villaggi nuragici della Sardegna. Gli scavi hanno dato ben presto i loro frutti: dalla terra sono emerse due statue monumentali scolpite nell’arenaria gessosa, formate da torsi robusti e un grande scudo curvo, assieme ad alcuni frammenti sparsi – tra cui gli arti e le teste dei giganti. Si tratta di una scoperta eccezionale, perché rivela che il sottosuolo ha ancora molto da regalarci, in questa importante regione geografica.

È qui infatti che la civiltà nuragica ha trovato il suo massimo sviluppo, e le testimonianze del loro passaggio sono tra le più suggestive mai rinvenute. Le due statue fanno parte di un vero e proprio esercito di pietra risalente all’incirca a 3mila anni fa, e rappresentano dei pugilatori. Non è la prima volta che a Mont’e Prama vengono trovati giganti del genere, anzi: è proprio per questo che il sito è diventato famoso in tutto il mondo, immerso in un’aura di mistero che ancora oggi rimane immutata. Il complesso scultoreo, già formato da 16 pugilatori, 13 modelli di nuraghe, 5 arcieri e 4 guerrieri, va così ad arricchirsi ulteriormente.

Gli archeologi hanno subito iniziato a lavorare sulle due statue, procedendo con un’accurata (e delicata) pulizia, resa complicata soprattutto dall’incredibile fragilità della pietra in cui sono state realizzate, e con un attento studio che potrebbe rivelare nuovi dettagli su questi giganti. Ma è già emerso qualcosa di interessante: le statue appena scoperte sono diverse da quelle rinvenute negli anni ’70, mentre somigliano molto a quelle portate alla luce nel 2014 a pochissima distanza dal luogo dell’attuale ritrovamento.

Scoperta a Mont'e Prama

Scoperta a Mont’e Prama

Mont’e Prama, un sito archeologico affascinante

Il sito archeologico di Mont’e Prama, situato a Cabras, è da sempre avvolto nel mistero. Le prime scoperte in questo luogo sono avvenute quasi per caso, negli anni ’70: in quel periodo vennero rinvenute alcune statue gigantesche, rappresentanti colossi di pietra di ben 2 metri e mezzo di altezza. Sulla loro funzione, non si è mai fatta chiarezza. I giganti sembrano vegliare su alcune antichissime tombe, disposte lungo una vera e propria via funeraria che, a quanto pare, sarebbe stata riservata unicamente a giovani uomini. Nel corso delle ricerche, infatti, non sono mai stati trovati anziani e bambini (e solo pochissime donne sono emerse dagli scavi).

Negli ultimi anni i lavori hanno ripreso a pieno ritmo, sulla base dell’idea che il sito archeologico fosse molto più ampio di quanto inizialmente immaginato. Il nuovo ritrovamento è la prova che gli archeologi sono sulla buona strada, sottolinea Alessandro Usai, responsabile scientifico dello scavo: “La ricerca programmata dà i suoi frutti, siamo andati a scavare a colpo sicuro in un tratto che ancora non era stato toccato”. L’obiettivo ora è quello di ampliare il raggio dei lavori, restaurando nel contempo le statue già emerse per poterle esporre al Museo di Cabras.

Scoperta a Mont'e Prama

Scoperta a Mont’e Prama

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A Milano è stata fatta un’incredibile scoperta che cambia la storia

“Non un crine di cavallo, ma tre ciocche dell’imperial chioma” è il curioso titolo dell’incontro che si terrà sabato 7 maggio alle 11 nella sala conferenze dell’Archivio di Stato di Milano per illustrare i risultati di una straordinaria scoperta: le ciocche della chioma di Napoleone Bonaparte sono conservate all’Archivio di Stato e saranno mostrate al pubblico. Non ci sono dubbi in merito all’illustre appartenenza: accurate analisi forensi e l’esame del Dna, hanno certificato l’autenticità. Come sono arrivate a Milano? Si racconta la storia di un singolare souvenir di viaggio.

Durante l’esposizione si partirà dalla ricostruzione dell’albero genealogico di Napoleone Bonaparte, l’antropologa forense che ha condotto la ricerca spiegherà come è stato possibile arrivare a questo incredibile risultato. Le tre ciocche di capelli di Napoleone furono sequestrate nel 1817 a Natale Santini, suo collaboratore giunto in Italia dall’isola di Sant’Elena con il curioso cimelio che gli venne sequestrato.

I capelli di Napoleone, cimelio esposto a Milano

Un cimelio certamente sui generis, quello scoperto negli Archivi di Stato di Milano, e che il grande pubblico potrà vedere nel capoluogo lombardo sabato 7 maggio. Tre ciocche di capelli appartenenti a Napoleone Bonaparte verranno esposte alle ore 11 nel corso di un evento esclusivo dal titolo “Non un crine di cavallo, ma tre ciocche dell’imperial chioma”. L’appuntamento (per il quale è necessario prenotarsi) si terrà nella sala conferenze dell’Archivio di Stato milanese, in occasione del finissage della mostra “Nelle sommosse e nelle guerre. Gli archivi milanesi durante l’età napoleonica”, percorso celebrativo del bicentenario della scomparsa dell’imperatore francese.

Il Dna ha certificato la chioma di Bonaparte

La provenienza delle tre ciocche di capelli è assolutamente certa. Cosa meglio di un esame del Dna può certificarlo? Le analisi sono state condotte da Elena Pilli, docente di Antropologia forense del dipartimento di Biologia dell’Università di Firenze, che sarà tra i relatori della conferenza insieme al direttore dell’Archivio di Stato di Milano Benedetto Luigi Compagnoni e alla vicedirettrice Carmela Santoro, curatrice dell’esposizione. Durante la visita in mostra speciale di sabato 7 maggio saranno illustrati tutti gli aspetti storici e di ricerca, effettuati per arrivare all’ esposizione, Non solo, verranno esposti anche i risultati dell’accurata indagine scientifica fatta sulle ciocche di capelli appartenute a Napoleone Bonaparte

Come si è arrivati ad avere la certezza della chioma dell’imperatore? Confrontando il Dna delle ciocche di capelli con quello dei discendenti di Napoleone, mappandone le tracce e confermando evidenze e corrispondenze scientifiche. Un lavoro di ricerca meticoloso, iniziato con l’albero genealogico dei Bonaparte: sono stati rintracciati discendenti dell’imperatore francese ancora in vita, ai quali è stato prelevato un campione biologico da confrontare con il materiale pilifero in possesso degli studiosi coordinati dalla dottoressa Elena Pilli,  ossia le ciocche di capelli conservate all’Archivio di Stato di Milano.

Tutto è partito dal Dna mitocondriale, che, come insegna la scienza, si trasmette ai figli dalle donne. Ad iniziare la catena del tracciamento sull’albero genealogico dei Bonaparte, è stata dunque Carolina Bonaparte, la sorella di Napoleone (aveva quindi il suo stesso Dna), per arrivare alle successive sette generazioni. Sino ai giorni nostri, quando sono stati contattati cinque discendenti diretti dell’imperatore, ai quali è stato prelevato il Dna.

Una volta ottenuti cinque materiali biologici dai discendenti di Bonaparte, sono state eseguiti i campionamenti e le analisi sulle formazioni pilifere e successivamente sui campioni stessi, per scongiurare qualsiasi rischio di contaminazione. Infine c’è stata la prova del nove: è stato effettuato un test comparativo che ha evidenziato senza alcuna possibilità di errore la precisa sovrapponibilità dei mitocondri. Nessun dubbio, quindi, sulla provenienza dell’illustre chioma: i capelli sono effettivamente di Napoleone.

Si tratta di un punto di partenza per futuri studi di carattere storico scientifico. Queste analisi condotte dal Dipartimento di Biologia dell’Università di Firenze, sono solo l’avvio di un ampio progetto di ricerca che ha come obiettivo finale quello di ricostruire l’intero genoma di Napoleone.

La storia delle ciocche di Napoleone e il loro arrivo a Milano

Un cimelio curioso, le tre ciocche di Napoleone Bonaparte, che furono pensate come bislacco souvenir da portare in Italia, poi sequestrato dalla polizia. Ma a chi venne l’idea? La storia ci consegna questa versione, raccontata anche in Archivio di Stato a Milano: i capelli dell’imperatore francese sarebbero arrivati a Milano a seguito dell’interrogatorio di Natale Santini, storico collaboratore di Napoleone Bonaparte, che venne sentito dagli investigatori dalla Polizia austriaca.

Nel 1817 Santini arrivò in Italia dall’isola di Sant’Elena con questo particolare e singolare souvenir, che non gli venne poi restituito al termine dell’indagine, a sequestrato. Napoleone, come è ben noto, era ancora in vita, perché morì in esilio sull’isola il 5 maggio del 1821. I capelli entrarono così a far parte del fascicolo archivistico relativo al suo caso, giungendo fino a noi racchiusi in involucri di carta dell’epoca.

La mostra a Milano

All’Archivio di Stato di Milano ( Sala mappe e sala affrescata,  Palazzo del Senato), a 200 anni dalla morte di Napoleone, l’Archivio di Stato di Milano ha proposta una grande mostra in cui è stato ripercorso un quarto di secolo ( dal 1796 al 1821) vissuto negli archivi di stato, durante l’ impetuosa avanzata dell’imperatore francese. Nel percorso si inserirà anche l’esposizione delle ciocche di Bonaparte.

La mostra che si concluderà sabato 7 maggio, e presenta una serie di documenti, carte e pergamene dall’alto valore simbolico, oltre a intestazioni finemente decorate, sigilli, progetti di monumenti, stampe e un ampio tesoro composto da altri pezzi rari conservati all’Archivio di Stato di Milano. Al termine della conferenza si terrà una visita guidata, per cui è obbligatoria la prenotazione (all’indirizzo https://bit.ly/PrenotazioneMostraAsmi). – Accesso libero e gratuito fino a esaurimento posti (con obbligo di mascherina Ffp2), con dirette sul canale Youtube e sulla pagina Facebook dell’Archivio di Stato.

Quattro passi nella Milano napoleonica

Dopo aver visitato la mostra, restando all’ombra della Madonnina, è possibile fare una passeggiata per Milano a caccia dei luoghi napoleonici della città. Diversi sono i punti sulla mappa legati in qualche modo all’imperatore francese. Si inizia dalla bucolica zona all’interno del Parco Sempione, dall’Arco della Pace – ispirato all’Arc de Triomphe di Parigi da cui sarebbero dovuti partire gli Champs Elysees meneghini alla Loggia Reale della Palazzina Appiani, per spostarsi infine al complesso di Brera.

Milano

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Pesaro: un museo a cielo aperto che omaggia la musica, l’arte e la natura

C’è sempre un buon motivo per scoprire e riscoprire le bellezze che caratterizzano il nostro meraviglioso Paese. Attrazioni naturali, architetture monumentali, città straordinarie e borghi suggestivi che raccontano e conservano tradizioni, culture e storie che ci rappresentano, e che si trovano a pochi passi da noi.

Luoghi da esplorare anche più volte, per essere compresi nella loro essenza, che ci mettono in contatto con la grande bellezza italiana, come fa Pesaro, la città marchigiana che si è conquistata il titolo di Capitale Italiana della Cultura per il 2024.

I motivi che hanno reso possibile la proclamazione del capoluogo marchigiano sono noti a tutti. Del resto la città, da sempre, conserva e valorizza in maniera esemplare il prezioso patrimonio paesaggistico, naturale, storico e artistico che appartiene al territorio.

Pesaro, la città dell’arte e della musica

Musei iconici, anfiteatri tecnologici e luoghi intrisi di cultura e arte: questa è la bellissima Pesaro, quella che riesce a trasformare anche una semplice passeggiata a piedi o in bicicletta in un’esperienza unica che lascia senza fiato.

E sembra quasi di poter immaginare di camminare sulle note create dal più importante compositore italiano della prima metà del XIX secolo, Gioacchino Rossi, che proprio a Pesaro è legato indissolubilmente. La terra che gli ha dato i natali, infatti, è conosciuta anche come città della musica ed è sempre qui che è possibile andare alla scoperta del maestoso Museo Nazionale Rossini e della casa natale del compositore.

Non solo musei, dicevamo. La storia d’amore tra l’arte e la città è percettibile in ogni suo angolo, in ogni strada e passeggiata, a partire dal centro storico fino al lungomare. Attraverso un itinerario urbano, infatti, è possibile scoprire come questo legame sia stato perpetuato nel tempo e valorizzato da opere firmate da artisti contemporanei che hanno ridefinito il paesaggio della città.

La città che sembra un museo a cielo aperto

Ci piace immaginare Pesaro come un museo a cielo aperto, perché in effetti lo è davvero. Senza addentrarci all’interno di musei e altri luoghi di cultura, che comunque meritano una visita, i nostri occhi potranno ammirare la grande bellezza custodita tra le strade cittadine.

Piazza del Popolo, crocevia di incontri quotidiani, è il fulcro e l’anima della città, quella dalla quale si snodano una serie di strade e via che conducono tra palazzi settecenteschi contraddistinti da architetture straordinarie come quello Olivieri che ospita la Fondazione Rossini.

Impattante e meravigliosa è anche la Rocca Costanza che domina l’intera scena urbana, a questa si aggiunge il Teatro dedicato a Rossini e le cattedrale. Le opere d’arte, però, non sono solo quelle conservate nelle chiese e nei musei e ne è dimostrazione la splendida Sfera Grande di Arnaldo Pomodoro.

Situata al centro del Piazzale della Libertà e adagiata sull’acqua di una fontana, la gigantesca sfera in bronzo è diventata il simbolo della città sin dalla sua istallazione. Ma non è l’unica opera che meraviglia durante le passeggiate a Pesaro e sul suo lungo mare.

Sul Molo di Levante, infatti, troviamo lo splendido e suggestivo Riflesso dell’Ordine Cosmico dell’artista Eliseo Mattiacci. Un altro simbolo del legame indissolubile di questo territorio con il mare, con l’arte e con la terra. A questa si aggiunge la copia della Porta a Mare di Lorenzo Sguanci, l’arco di Pesaro e la Scultura della Memoria di Giuliano Vangi. Ma tenete gli occhi aperti perché tra il centro storico e il lungomare potreste trovare altre sculture straordinarie.

Arnaldo Pomodoro la Sfera Grande

Arnaldo Pomodoro la Sfera Grande

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L’Appia Antica, la regina delle strade, è candidata all’Unesco

Il ministero della Cultura ha lanciato la candidatura della via Appia Antica affinché possa essere inserita tra i Patrimoni mondiali dell’umanità dall’Unesco. “La Regina Viarum unisce territori ricchi di uno straordinario patrimonio culturale, archeologico e paesaggistico”, ha spiegato il ministro Dario Franceschini su Repubblica “e ha le caratteristiche per divenire uno dei più grandi cammini europei”.

L’antica strada romana, che collegava Roma con Brindisi – e quindi con gli sbocchi verso l’Oriente allora conosciuto -, era considerata dai Romani la “Regina Viarum”, la regina delle strade.

Un po’ di storia

Quando, verso la fine del IV secolo a.C., fu tracciata, la via Appia era una delle più grandi opere di ingegneria civile al mondo, con un enorme impatto economico, militare ma anche culturale. Questa strada fece da esempio per tutte le successive in quanto era larga più di quattro metri consentendo di essere percorsa in entrambi i sensi, oltre era fiancheggiata da larghi marciapiedi così da poter andare anche a piedi e raggiungere facilmente i villaggi che s’incrociavano.

Lungo l’intero tracciato s’incontrano luoghi che costituiscono un patrimonio culturale importantissimo. L’Appia fu anche la prima delle grandi strade romane a prendere il nome non dal luogo verso cui era diretta, ma dal magistrato – Appio Claudio Cieco – che l’aveva costruita.

La via Appia partiva da Porta Capena, nei pressi del Circo Massimo a Roma, e proseguiva fino a destinazione – inizialmente Santa Maria Capua Vetere, in Campania, e solo in un secondo momento fino a Brindisi – seguendo una linea retta.

Buona parte dell’Appia Antica oggi è scomparsa, ma ne restano ancora ben visibili e percorribili dei tratti, specie nei dintorni di Roma, divenuti meta di turismo archeologico.

La candidatura Unesco

La candidatura avanzata dal ministero dei Beni culturali è frutto di un lavoro congiunto sostenuto da ben 74 Comuni attraversati dalla via Appia, da 15 parchi, 12 città, quattro regioni e 25 università. Lo scopo è prima di tutto quello di tutelare quest’antica strada, ma anche di valorizzare e promuovere il sito Via Appia. Regina Viarum come itinerario turistico unico al mondo.

 

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L’anima più vera di Torino da scoprire in questi musei

I musei sono da sempre in cima alle nostre to do list quando raggiungiamo una nuova destinazione, e il perché è presto detto. Ci piace pensare a questi edifici come scrigni di meraviglie, indipendentemente dalle dimensioni e dalle posizioni. Dei microcosmi che custodiscono tesori, oggetti e storie che riguardano le culture e le tradizioni di una città, di un paese, di una popolazione. Che riguardano noi.

Del resto è il nome stesso di queste istituzioni a restituirci il loro significato. Il termine museo, infatti, deriva dal greco antico mouseion che vuol dire luogo sacro alle Muse, le figlie di Zeus protettrici delle arti e delle scienze.

Ed è proprio in questo luoghi che è possibile scoprire e riscoprire molte città. Come Torino, per esempio, che racconta il suo volto più autentico proprio attraverso musei iconici.

Benvenuti a Torino

È una Torino sorprendente e a tratti inedita quella che possiamo scoprire attraverso i suoi musei, come quello del cioccolato, del caffè, del calcio e della Fiat. Sono gli stessi musei che raccontano la città, la sua storia, le sue origini e tutte quelle caratteristiche che la rendono unica.

Il capoluogo piemontese, già noto per le sue raffinate architetture, per i lussuosi edifici barocchi, per le pregiate caffetterie che popolano il centro storico e per quella Mole Antonelliana che ridefinisce tutto il paesaggio urbano, ospita alcuni dei musei più celebri del nostro stivale, come quello Egizio che ogni giorno ospita centinaia di visitatori provenienti da tutto il mondo.

A questo si aggiungono tutte quelle istituzioni che sono direttamente collegate con la storia della città, come quello delle automobili e del caffè, per citarne alcuni. Scopriamoli insieme.

Scoprire la città attraverso i suoi musei

Se parliamo di Torino non possiamo non menzionare la splendida residenza sabauda iscritta alla lista del Patrimonio Mondiale dell’Unesco dal 1997. La Reggia di Venaria, progettata dall’architetto Amedeo di Castellamonte, è un vero e proprio simbolo della città, nonché uno scrigno di storia, cultura, arte e architettura del capoluogo piemontese.

A questa si aggiunge il Centro Storico Fiat, un museo che espone automobili, treni, camion e biciclette con marchio Fiat e che funge anche da archivio aziendale, e Casa 500, uno spazio espositivo creato all’interno della Pinacoteca Agnelli che è molto più di un museo automobilistico, ma è un vero e proprio viaggio nella storia dell’Italia e del periodo di espansione industriale.

Ci spostiamo ora all’interno del Museo Lavazza del quartiere Aurora che consente ai visitatori di vivere una vera e propria esperienza multisensoriale. Una tappa imperdibile per tutti gli amanti del caffè che qui potranno scoprire la secolare relazione tra la storica azienda e la celebre bevanda, attraverso un’esperienza immersiva nella cultura del caffè e dei suoi rituali.

Gli appassionati del pallone, invece, troveranno imperdibile il Museo del Grande Torino e della Leggenda Granata che racconta la storia di una squadra che ha fatto la storia del Belpaese.

Ultimo, ma non per importanza, è Il Museo Nazionale del Risorgimento italiano, un’istituzione che racconta la storia dell’unificazione del Paese e della città sabauda in quegli anni. Inoltre, il Palazzo Carignano che ospita il museo, ha ricoperto un ruolo centrale durante il periodo risorgimentale come sede del primo Parlamento del Regno d’Italia.