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Borghi più Belli d’Italia: ci sono 8 new entry

Altri 8 gioielli del nostro Paese entrano a far parte dei “I Borghi più Belli d’Italia”. Salgono così a 334 i borghi ammessi all’interno dell’Associazione sorta dall’esigenza di salvaguardare e valorizzare il grande patrimonio di storia, arte, cultura, ambiente e tradizioni presente nei piccoli centri italiani che spesso sono emarginati dai flussi dei visitatori e dei turisti. Scopriamo, dunque, quali sono gli 8 nuovi borghi più belli d’Italia.

Bagnara di Romagna, splendido esempio di ‘castrum’ medievale

Ciò che rende speciale Bagnara di Romagna, situato nella verde pianura ravennate a sud-ovest di Lugo, lungo gli Stradelli Guelfi, è che tra tutti i borghi fortificati che sorgevano lungo il percorso parallelo alla Via Emilia resta l’unico esempio di castrum medievale tuttora integralmente conservato, con l’intero sistema difensivo visibile ancora oggi.

Emblema della graziosa cittadina è la Rocca sforzesca, col grande mastio, i loggiati perimetrali, il cortile centrale restituito all’aspetto rinascimentale e alcuni ambienti interni con i soffitti lignei originali. Oggi vi si può visitare il Museo del Castello, con la sezione archeologica che comprende importanti reperti che illustrano la storia del borgo dall’Età del Bronzo al Medioevo, di cui rimane l’importante sito archeologico dei Prati di S. Andrea, parte fondamentale dell’originario abitato di Bagnara.

Bagnara Romagna

La Rocca Sforzesca di Bagnara di Romagna

Deiva Marina, tra terra e mare

Si trova in provincia della Spezia, Deiva Marina, che ha appena fatto il suo ingresso tra I Borghi più Belli d’Italia. La cittadina è divisa in due parti principali. C’è il borgo antico, caratterizzato da vicoli stretti e dalle case dalle tonalità pastello, tipiche dell’architettura ligure, che si sviluppa attorno alla piazza antistante la chiesa di Sant’Antonio Abate, cuore del centro storico. E c’è poi la zona turistica della Marina, caratterizzata da un’ampia passeggiata a mare, costellata da alberghi, ristoranti e villaggi. Perfetta anche per gli amanti del trekking, per le piacevoli passeggiate che offrono i sentieri dell’entroterra.

Gesualdo, nel cuore dell’Irpinia

Ci spostiamo in Campania, in provincia di Avellino, dove incontriamo il borgo di Gesualdo, uno dei paesi più tipici dell’Irpinia. Celebre per aver accolto il compositore Carlo Gesualdo, che vi si rifugiò dopo una serie di tragiche vicende, fino alla sua morte nel 1613, si inerpica su una collina sul fianco destro della piccola valle del fiume Fredane e si raccoglie attorno al suo Castello, da cui si può godere di un panorama davvero emozionante. Passeggiando per le vie, i vicoli e le piazze si possono ammirare monumenti, chiese e scorci caratteristici che testimoniano un passato illustre gelosamente custodito tra questi luoghi e tradizioni ancora solide, che vale la pena scoprire.

Ingria, tra i borghi meno popolosi d’Italia

Ingria è uno dei comuni meno popolosi d’Italia – conta circa 45 abitanti – ed è il primo che si incontra risalendo la Val Soana, in Piemonte. Si trova a poco più di 50 km a nord di Torino, ad una altitudine di 816 metri, ed è caratterizzata da tipiche case in pietra, con i tetti a “lose”, arcate, scalette e ballatoi squisitamente alpestri, che conferiscono un tono pittoresco a tutta la zona. Partendo dal borgo, si potranno scegliere suggestive passeggiate tra le incantevoli frazioni che costellano questo affascinante borgo, lungo le mulattiere e i sentieri che si snodano tra i boschi, corsi d’acqua, borgate e panorami mozzafiato.

Miglionico, fascino antichissimo

Tra i nuovi Borghi più Belli d’Italia scopriamo anche Miglionico, situato nella parte orientale della Basilicata, in provincia di Matera. Abitato sin dai tempi più remoti, come testimonia il rinvenimento in zona di vasi e tombe del VI secolo a.C., sorge su una collina tra i fiumi Bradano e Basento a 465 metri sul livello del mare. Secondo la tradizione, fu fondato da Milone, atleta olimpico di Crotone del VI secolo a.C.; secondo altri studiosi, il fondatore di Miglionico srebbe stato Milone di Taranto, un luogotenente di Pirro che prese parte anche alla battaglia di Heraclea, che su queste colline fondò una colonia militare.

Tra i siti di maggior interesse, spiccano il Castello del Malconsiglio, un tempo imponente maniero situato nella parte più alta del borgo, con mura di recinzione e torri di avvistamento, la Chiesa di Santa Maria Maggiore, con portale rinascimentale e preziose tele – tra cui una di Tintoretto, la Chiesa di Santa Maria delle Grazie e il convento di San Francesco.

Miglionico

Veduta del borgo di Miglionico dal Castello

Rosazza, il borgo più misterioso d’Italia

Nell’alta Valle Cervo, lungo il corso dell’omonimo fiume in provincia di Biella, incontriamo l’affascinante e misterioso borgo di Rosazza, con le sue eccentriche strutture e architetture legate alla figura di Federico Rosazza, Senatore del Regno, già membro della Giovane Italia mazziniana e Gran Maestro Venerabile della massoneria biellese.

Prime fra tutte, il Castello di Rosazza, fatto erigere dallo stesso Senatore, con la sua caratteristica torre guelfa e i riferimenti all’esoterismo e alla Loggia, i muri e le colonne che richiamano i templi di Paestum e l’ingresso realizzato tramite un arco in pietra sbrecciata che riproduce l’arco di Volterra, opera etrusca del IV secolo a.C. Un luogo che, al di là delle suggestioni esoteriche, è custode di arte e cultura, tradizioni e mestieri legati alla vita della valle e un passato da riscoprire.

Varzi, un tuffo nel medioevo nel cuore dell’Oltrepò Pavese

Per incontrare Varzi bisogna giungere nel cuore dell’Oltrepò Pavese, nella splendida Valle Stàffora. Visitare il centro storico medievale di questo affascinante borgo lombardo è come compiere un viaggio a ritroso nel tempo. Attraverso una passeggiata tra le sue vie strette e ripide ricche di storia, le piazze, i palazzi, le chiese, le torri e il castello si ripercorrono otto secoli di storia. Invidiabile la sua posizione, che offre scorci di una bellezza paesaggistica unica e sorprendente. Il borgo fa parte, inoltre, del territorio culturalmente omogeneo delle Quattro province (Alessandria, Genova, Pavia, Piacenza), caratterizzato da usi e costumi comuni e da un importante repertorio di musiche e balli antichissimi.

Lollove, borgo senza tempo in Sardegna

L’ultima new entry tra i Borghi più Belli d’Italia è l’antico villaggio medievale di Lollove, situato a pochi chilometri da Nuoro. Dopo aver sofferto un massiccio spopolamento a metà degli anni ’60, questo affascinante borgo sardo è avvolto da un silenzio quasi surreale e regala suggestioni uniche, tra le sue ripide e strette viuzze acciottolate e le case in pietra grigia inerpicate sul declivio di una collina, da cui si può godere di uno splendido panorama che abbraccia la valle sottostante. Oggi il villaggio rivive grazie all’impegno dell’associazione turistica “Lollovers”, creata dai residenti per combattere l’abbandono di questi luoghi, proponendo eventi e mini tour esperienziali per fare conoscere la storia e le tradizioni di un borgo ricco di fascino.

Lollove

Una splendida veduta del borgo di Lollove

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La foresta di bambù che sembra un dipinto fatato

È nelle favole e nell’immaginario fiabesco che ci rinchiudiamo ogni qualvolta abbiamo bisogno di ispirazioni creative, ma in realtà basta guardare il mondo che abitiamo per scoprire che le meraviglie incantate che appartengono ai cartoni o ai libri che abbiamo letto da bambino esistono, e sono straordinarie.

Come la splendida foresta di bambù di Arashiyama, situata a pochi chilometri da Kyoto, che racconta l’anima più vera e autentica del Giappone. Lì, dove la natura regna incontrastata e splende sotto i raggi del sole.

Arashiyama: la foresta di bambù

Si tratta di uno dei luoghi più celebri di Kyoto, perché è qui che attraversando la foresta, si ha come l’impressione di passeggiare in un luogo che non conosce le leggi del tempo, né quelle dello spazio, ma solo quelle scritte da Madre Natura.

Incastonata tra montagne lussureggianti, che la proteggono da secoli alla stregua di un tesoro prezioso, troviamo la foresta di bambù di Arashiyama. Un luogo che col tempo ha saputo aprirsi al turismo, dato che qui ogni giorno si recano migliaia di visitatori provenienti da tutto il mondo, e che al contempo ha preservato l’anima più autentica del Paese.

E la foresta è bella in ogni momento della giornata, in ogni periodo dell’anno. È straordinaria quando le infinite file di verse brillante svettano verso il cielo e si stagliano sull’azzurro, è incantevole quando in primavera fioriscono i ciliegi e il panorama diventa poetico. Ed è quasi surreale, quando, la neve scende lentamente abbracciando con il suo candido bianco i fusti. Questa è la foresta di bambù, un luogo fatato che sembra dipinto, da visitare almeno una volta nella vita.

Oltre la foresta: il tempio Gio-Ji e il giardino incantato

Di meraviglie, il mondo ne è pieno, e quella di Arashiyama, probabilmente, non è neanche la più grande foresta di bambù che esiste, eppure è unica. Lo è perché grazie al sentiero che è stato creato, e che permette di percorrerla, si ha quasi l’impressione di entrare nel ventre della natura, di far parte di essa.

Sembra che tutti ci inviti a entrare in connessione con Madre Natura, il vento che muove i fusti e avvolge i corpi, il verde che circonda tutto intorno, i suoni, i profumi e i raggi del sole che penetrano tra le fitte file di bambù e riscaldano il viso. L’esperienza è straordinaria perché ci permette di toccare con mano l’immensità della natura.

La foresta di bambù di Arashiyama, come dicevamo, non è molto grande. È possibile percorrerla interamente in pochi minuti e restare tra le perenni legnose per ore se si vuole vivere un’esperienza di rigenerazione totale per corpo e mente. Ma basta una passeggiata di pochi minuti per andare alla scoperta di un altro luogo meraviglioso.

Proprio al confine della foresta, infatti, si erge solitario e quasi mistico il tempio Gio-Ji. Si tratta di uno dei luoghi più straordinari e sacri della città di Kyoto. L’edificio, incorniciato dalla natura rigogliosa e lussureggiante sembra quasi un’estensione della foresta.

Qui, nel sottobosco, è ancora la natura a farla da protagonista e a definire tutto il paesaggio circostante. Il giardino del tempio, conosciuto anche come giardino del muschio per la presenza massiccia di queste piccole piante, ospita felci, alberi di acero e di ciliegio che fioriscono in primavera e che regalano uno spettacolo incantato.

La foresta di bambù di Arashiyama

La foresta di bambù di Arashiyama

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Così l’arte dell’azulejo ha trasformato il Paese in un museo a cielo aperto

Anche se guidati da altre intenzioni o attrazioni, un viaggio in Portogallo si trasforma rapidamente in un’esperienza immersiva all’interno della splendida arte dell’azulejo. Una pratica, questa, affonde le sue radici in tempi antichissimi, nella cultura e nella stessa identità di un Paese meraviglioso da scoprire.

E non c’è neanche bisogno di cercarli negli angoli nascosti della città o preparavo un itinerario che porti alla scoperta di queste opere d’arte, perché gli azulejos sono praticamente ovunque e sono bellissimi. Sono loro, con la sola presenza, che trasformano l’intero Portogallo in un museo a cielo aperto che incanta gli occhi.

Cos’è l’arte dell’azulejo

Piccola pietra liscia e lucidata, è questo il significato della parola araba Al-zuleique che ha dato origine all’arte portoghese che oggi tutti conosciamo come azulejo. Oggi è impossibile non conoscere e riconoscere quelle piastrelle di ceramiche contraddistinte da smalti e decorazioni, perché nel Paese le loro tracce sono praticamente ovunque.

Facciata di un edificio a Porto

Facciata di un edificio a Porto

La tradizione vuole che la forma delle piastrelle sia quadrata con una misura di 12 centimetri per lato, ma con il tempo e le influenze esterne, molte decorazioni hanno assunto forme e dimensioni differenti. Le origini, dicevamo, affondano le loro radici in tempi lontani quando, nel XIII secolo, soprattutto nelle città di Valencia, Siviglia e Granada, gli artisti locali influenzati dalla cultura mussulmana, iniziarono a lavorare a lastre smaltate e colorate realizzate in argilla da utilizzare per i pavimenti e le pareti.

Quella che inizialmente era una decorazione fuori dall’ordinario, iniziò però a ricoprire un ruolo sempre più importante nell’architettura a partire dal XV secolo, fino a diventare centrale. Anche se molti altri Paesi europei ereditarono le medesime influenze, nessun come il Portogallo trasformò quest’arte in un riconoscimento della propria identità culturale.

L’azulejo, nei secoli, invase le case e i giardini, i conventi e le chiese, le fontane e le opere pubbliche. C’erano piastrelle sacre, che raffiguravano le scene della vita dei senti, o altre profane, ma il risultato era il medesimo: piccole opere d’arte destinate a straordinarie decorazioni che ancora oggi possiamo ammirare.

Azulejos: opere d’arte en plein air in Portogallo

Elencare tutti i posti dove è possibile ammirare gli azuljos in Portogallo è un’impresa difficile, se non impossibile, perché in tutte le città del Paese, tra le case e le chiese, è possibile osservare questa antica arte, sia nelle opere private che in quelle di arte pubblica.

A Porto, per esempio, è facile innamorarsi. Non solo per le attrazioni turistiche che attirano viaggiatori provenienti da ogni parte del mondo, ma anche per questa arte che intrisa nel tessuto urbano della città. Gli azulejo caratterizzano in maniera univoca l’atrio della stazione São Bento, puntellato da 20000 piastrelle decorate. Bellissima e straordinaria è anche la facciata principale dell’Igreja de Santo Ildefonso che, attraverso dei mosaici, mette in scena l’Eucorastie. Ne emerge un’opera d’arte maestosa e imponente che lascia senza fiato.

Sant'Ildefonso in Piazza Batalha

Sant’Ildefonso, Porto

Anche le stazioni della metropolitana di Lisbona sono decorate con pannelli di azulejos che portano la firma dei grandi maestri portoghesi. Una tradizione, quella di decorare le stazioni metropolitane, che ha finito per influenzare anche altri luoghi d’Europa come Parigi e Bruxelles.

Sempre a Lisbona troviamo anche il Museu Nacional do Azulejo dove è possibile toccare con mano l’universo variegato di questa arte, la sua storia e le tecniche che si sono tramandate nel tempo.

Anche nelle Azzorre ci sono tracce visibili e sensazionali di questa arte. Gli azulejos invadono l’architettura del suggestivo Santuario di Nossa Senhora da Paz a Vila Franca do Campo, São Miguel.

Non solo da osservare e da fotografare, però, gli azulejos con il tempo si sono trasformati in veri e propri cimeli di viaggio diventando i souvenir più acquistati nell’intero Paese dai turisti di tutto il mondo.

Vila Franca do Campo, Azzorre

Vila Franca do Campo, Azzorre

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Nel cuore di questo ghiacciaio esiste un palazzo incantato

Esistono luoghi, in ogni parte del globo, che ci ricordano che il mondo che abitiamo è un posto meraviglioso. Sono le opere architettoniche e quelle scultoree costruite dall’uomo alle quali si affiancano anche tutti quei capolavori che portano la firma di Madre Natura. Come quel ghiacciaio in Tirolo che nasconde nelle viscere della terra il suo tesoro più prezioso.

Ci troviamo nella conosciuta e suggestiva Zillertal, la più grande delle valli della Inntal nel Tirolo Austriaco. È qui che, immerso in cento sfumature di un blu quasi surreale che fanno da contrasto alle bianche trasparenze del ghiaccio, si trova un regno incantato. Un palazzo di 15 metri che si nasconde all’interno di un ghiacciaio.

Tirolo: il regno di Frozen in un ghiacciaio

Il Natur Eis Palast, letteralmente Palazzo naturale di ghiaccio, si trova all’interno del ghiacciaio dell’Hintertux, già meta prediletta di tutti gli amanti degli sport invernali. La porta di accesso per questo viaggio straordinario si trova a 3.250 metri di altitudine, da qui è possibile entrare all’interno di una grotta e attraversare questo magico e suggestivo universo di ghiaccio.

Viaggio all'interno del ghiacciaio di Hintertux

Viaggio all’interno del ghiacciaio di Hintertux

Un palazzo che è un vero e proprio capolavoro unico al mondo e porta la firma di Madre Natura. Si è formato a seguito di una profonda crepa all’interno del ghiacciaio Hintertux, la stessa che oggi ci permette di entrare nel suo ventre. Un labirinto che si snoda a una profondità di circa 25 metri sotto le piste da scii presenti sul territorio e che offre delle visioni straordinarie e idilliache.

Ci sono le camere di cristallo che, come il nome stesso suggerisce, sono contraddistinte dalla presenza di cristalli di ghiaccio che sono in eterna mutazione, c’è la camera del vestibolo glaciale, il fiume, i laghi e le cascate ghiacciate. Tutto qui sotto assume i contorni favolistici di una realtà surreale, quella di un regno gelato tutto da scoprire.

Natur Eis Palast: tutte le attività

Entrare all’interno del Palazzo naturale di ghiaccio nel Tirolo austriaco è un’esperienza straordinaria da fare almeno una volta nella vita in solitudine, in coppia o con la famiglia. Questo regno magico è aperto tutto l’anno e consente di vivere un’esperienza al di fuori dall’ordinario.

Viaggio all'interno del ghiacciaio di Hintertux

Viaggio all’interno del ghiacciaio di Hintertux

La visita si svolge in totale sicurezza con tanto di casco e cintura e inizia attraversando una sala d’ingresso immersa in questo azzurro quasi mistico. Dopo di che si prosegue per le sale di ghiaccio, il laghetto e una cappella illuminata da luci rosse fino ad arrivare al cuore di questo regno: palazzo alto 15 metri.

Si può scegliere di visitare il ventre di ghiacciaio a piedi, seguendo il percorso e attraversando i cunicoli tra incanti giochi di ombre e luci, oppure vivere un’avventura al di fuori dall’ordinario. Il palazzo, infatti, è visitabile anche con un gommone che naviga sul piccolo fiume che attraversa gli interni di Hintertux, in alternativa – e per i più allenati – è possibile anche remare sul corso d’acqua sopra uno Stand Up Paddle.

I più temerari, infine, possono scegliere di attraversare il crepaccio a nuoto e provare il brivido di fare il bagno in un ghiacciaio. La temperatura è da brividi, raggiunge infatti i -0,2 gradi sotto lo zero. Ma se avete una certa preparazione sportiva, tanta audacia e un pizzico di follia, una visita nel palazzo naturale di ghiaccio può trasformarsi in un’avventura indimenticabile.

Viaggio all'interno del ghiacciaio di Hintertux

Viaggio all’interno del ghiacciaio di Hintertux

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Il palazzo misterioso nel quale puoi attraversare l’inferno di Dante

C’è un luogo intriso di fascino, mistero, suggestione e un pizzico di magia che è da sempre in cima alla delle destinazioni da raggiungere e da esplorare. E il motivo è facilmente intuibile dato che Sintra, la località portoghese situata tra le colline della Serra de Sintra, è una vera meraviglia. Qui, sul cielo limpido, si staglia dolcemente il Palacio Nacional da Pena situato suuna sporgenza rocciosa su una delle colline più alte del territorio, un palazzo che per colori, forme e linee rimanda inevitabilmente a quell’immaginario favolistico della nostra memoria infantile.

Dall’alto, l’edificio, domina su tutto il territorio rendendo superlativo, ma non è certo l’unica tappa di un itinerario fatto di fascino e magia, di simboli apparentemente indecifrabili, di una suggestione ai limiti tra la realtà e la fantasia.

Alla scoperta della Quinta da Regaleira

Non lontano dai punti d’interesse più conosciuti e frequentati di Sintra, troviamo anche la Quinta da Regaleira, un palazzo dai lineamenti maestosi circondato da 4 ettari di lussureggianti giardini, all’interno dei quali si snodano laghetti, fontane, sculture e grotte. Conosciuto anche con il nome Palácio da Regaleira, l’edificio è stato costruito i primi anni del 1900 per volontà del collezionista ed entomologo Antonio Augusto Carvalho Monteiro, e porta la firma dell’architetto italiano Luigi Manini.

Quinta da Regaleira

Quinta da Regaleira

La bellezza rara e fuori dall’ordinario dell’intera tenuta ha fatto meritare alla Quinta da Regaleira un posto d’onore all’interno della lista del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO nel 1995. Ma non è solo quell’affascinante architettura che fonde gli stili tardo gotico e rinascimentale, e neanche quei simboli apparentemente indecifrabili che affondano le origini nel mondo esoterico e alchemico, ma è l’intero complesso a rappresentare una sorta di viaggio iniziatico per la rinascita.

La meravigliosa Cappella della Santissima Trinità, la Loggia e la Fontana dell’Ibis e quella dell’Abbondanza, le grotte e poi ancora la torre circolare sulla quale salire per poter contemplare la tenuta nel suo insieme e tutta Sintra: Quinta da Regaleira è meravigliosa in ogni suo angolo.

Eppure c’è qualcosa che attira qui cittadini e viaggiatori da tutto il mondo, ed è la presenza di due pozzi, in corrispondenza delle torri, nelle quali scendere per affrontare il percorso di rinascita, per attraversare i 9 gironi dell’inferno dantesco.

Quinta da Regaleira

Quinta da Regaleira

L’inferno di Dante a Sintra

Sono due i pozzi all’interno della Quinta da Regaleira, quello iniziatico e quello incompleto. Il primo, nello specifico, è caratterizzato da una spirale che conduce i visitatori verso il fondo, a una profondità di 30 metri, attraversando 9 piani. Un numero che non è di certo un caso perché fa riferimento alla Divina Commedia. Il collegamento con i 9 gironi dell’inferno dantesco è inevitabile, così come lo è quello ai 9 cieli concetrici dell’opera del sommo poeta.

Scendere in questa torre invertita che squarcia il terreno, fino alle sue viscere per poi risalire, è un’esperienza che simboleggia la morte e poi la rinascita. Ad avvallare la metafora che si nasconde dietro al pozzo, c’è anche un mosaico posto sul fondo che rappresenta la bussola e la croce templare.

Ne emerge quindi un complesso che, nella sua totalità, era finalizzato a dei riti di iniziazione che si concludevano proprio in quel pozzo, in quella spirale che conduceva le persone verso il fondo e poi verso la risalita.

Il significato allegorico dei due pozzi, e soprattutto di quello iniziatico, sembra il pezzo di puzzle mancante per una comprensione totale di tutto il complesso che ancora oggi conserva misteri mai risolti e un fascino straordinario che attira qui ogni giorno migliaia di viaggiatori provenienti da tutto il mondo.

Pozzo iniziatico, Quinta da Regaleira

Pozzo iniziatico, Quinta da Regaleira

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La città che porta il nome di un patrono che però non esiste

Qualsiasi sia il contesto, la circostanza, il periodo o la stagione, quando si parla di Sanremo si parla anche del Festival perché il collegamento, neanche a dirlo, è immediato ed eterno. Crocevia di incontri, culture, storie e musica, la deliziosa cittadina costiera in provincia di Imperia non è solo il palco dell’Ariston, anche se questo è diventato il simbolo della città, nonché l’icona del Festival della canzone Italiana.

Eppure Sanremo è molto di più. È una cittadina costiera esclusiva e deliziosa, un luogo di vacanza che accoglie i viaggiatori da secoli, già nell’800 quando veniva scelta dalle famiglie reali e poi dai membri dell’aristocrazia di tutta Europa. È la città degli splendidi spazi verdi, come il parco di Villa Ormond col suo giardino giapponese, della Cattedrale di San Siro con le sue dodici campani e dello storico Casinò di Sanremo.

E dietro al rinomato Festival, e dietro a tutte le bellezze che preserva la città, c’è una storia molto curiosa che svela le origini del nome del gioiello della Riviera dei Fiori. Detto questo, siete sicuri di conoscere tutto, ma proprio tutto, su Sanremo?

La storia del Santo che non esiste e che ha dato il nome alla città

Sanremo si scrive esattamente così, tutto attaccato. Eppure analizzando il nome viene da chiedersi se le sue origini fanno riferimento a un Santo esistito. La risposta è sì, almeno in parte, perché un Santo di nome Remo non esiste.

Ma esiste San Romolo, però, che è stato il vescovo di Genova, successore a San Siro, nel V secolo. Secondo gli storici e i documenti a nostra disposizione, la vita del Santo è collegata alla città di Villa Matutiae che corrisponde all’attuale Sanremo. Dalle fonti ufficiali sembra proprio che Romolo di Genova morì nella città in occasione di una visita pastorale.

Altre leggende legate al culto del Santo, invece, parlano di un collegamento ancora più diretto con la città costiera. Si dice, infatti, che per sfuggire alle invasioni longobarde egli si rifugiò in una grotta nell’entroterra sanremese ai piedi del Monte Bignone.

Dopo la sua morte a Villa Matutiae, la venerazione del vescovo fu tale che diede vita a numerose storie e leggende che si sono, inevitabilmente, mescolate alla realtà. A lui furono attribuiti numerosi prodigi in città e la grotta divenne un luogo di pellegrinaggio.

Perché San Remo è Sanremo

Nel X secolo la cittadina scelse di cambiare il suo nome in onore del Santo: Villa Matutiae divenne Civitas Sancti Romuli. Col tempo, però, l’abbreviazione dialettale di San Roemu prese il sopravvento e si trasformò in San Remo. Nel XX secolo fu stabilito che il nome ufficiale della città della Riviera dei Fiori fosse San Remo.

Ma non tutti furono d’accordo, del resto questa non era la città di Remo, ma di Romolo. Con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, però, la diatriba sul nome venne accantonata e questo ci porta al 17 giugno del 1992 quando, sulla Gazzetta Ufficiale, il nome di Sanremo apparve tutto attaccato. E così è rimasto.

E San Romolo? A lui è stata dedicata una frazione della città nell’entroterra, proprio dove c’era la grotta nella quale il Santo si rifugiò che ora è stata trasformata in una piccola chiesa.

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“L’amica geniale 3”, le location della fiction Tv

La terza stagione della serie Tv RAI “L’amica geniale”, tratta dal romanzo “Storia di chi fugge e di chi resta” di Elena Ferrante, prosegue da dove si era interrotta in “Storia del nuovo cognome”. La fiction, così come il romanzo, segue la storie delle due protagoniste, Lila, interpretata dall’attrice Gaia Girace, e Lenù, Margherita Mazzucco.

La loro grande amicizia sarà capace di resistere anche ai loro diversi stili di vita, alle differenze sociali e a quelle economiche che si sono create negli anni.

Tutta “L’amica geniale 3” è ambientata negli Anni Settanta, con Lila che, dopo aver lasciato il marito e gli agi che le garantiva, lavorerà duramente in fabbrica per mantenere il figlioletto ed Elena, che vive a Firenze, alle prese con un romanzo di successo e le inaspettate vicende famigliari.

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Lenù su un autobus a Napoli. Una scena di “L’amica geniale 3”

La Napoli di Lila

Lila, soprannome di Raffaella Cerullo, non si è mai mossa da Napoli, se non per trascorrere le vacanze estive a Ischia. Nella sua città, ci sono il marito, Stefano Carracci, – da cui si separerà per andare a vivere con l’amico Enzo Scanno – ma soprattutto il figlioletto, Gennaro. Il suo stile di vita è molto duro: lavora come operaia in una fabbrica dove insaccano i salumi e lo fa per garantire un futuro di agi al figlio. Lila però è troppo intelligente per questo lavoro e, insieme al nuovo compagno di vita (ma non di letto), va a lavorare alla IBM, agli albori dell’informatica.

Tra le location più famose del Capoluogo partenopeo c’è piazza Dante, nel bellissimo centro storico, simbolo della città e luogo di scambio e chiacchiericcio continuo, con i suoi fantastici monumenti e l’imponente statua dedicata al Sommo Poeta.

Altre scene sono state girate nella vicina piazza del Gesù, dove per esigenze di copione sono stati sistemati alcuni elementi tipici dell’epoca come, per esempio, la fermata dell’autobus 140 per Posillipo, che è stata lì per tantissimi anni.

Napoli è la protagonista assoluta della fiction così come dei romanzi della Ferrante. Anche nella prima e nella seconda serie, così come dei romanzi “L’amica geniale” e “Storia del nuovo cognome“. Le due bambine, infatti, nel primo capitolo della saga vivevano nel Rione Luzzatti, un quartiere popolare nella zona Gianturco, alla periferia Est della città (un luogo che in realtà è stato sapientemente ricostruito a Caserta, nell’ex fabbrica della Saint-Gobain).

La Firenze di Lenù

Lenù, Elena Greco, si è trasferita a Firenze, dove ha sposato il professor Pietro Airota, dal quale ha avuto due figlie, Adele (Dede) ed Elsa. Insoddisfatta – a sua insaputa – del matrimonio, dopo aver rivisto l’amore d’infanzia, Nino Sarratore, lascia tutto, marito, casa e persino le figlie per tornare a vivere a Napoli con lui.

Di Firenze, a fare da sfondo alla fiction, si riconosce la celebre piazza della Signoria, la più centrale del Capoluogo toscano, sede del potere civile e cuore della vita sociale della città. È la piazza su cui s’affaccia Palazzo Vecchio, il più rappresentativo del Rinascimento fiorentino trecentesco, e dove si trova la famosa Loggia della Signoria (o dei Lanzi, in quanto vi si accamparono il Lanzichenecchi nel 1527), ma anche dove troneggia il David (una copia) di Michelangelo (l’originale è conservata all’interno della Galleria dell’Accademia).

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Piazza della Signoria a Firenze, set della fiction Tv

Oltre a piazza della Signoria, tra le location di “L’amica geniale 3” ci sono anche piazza Santa Croce, un’altra delle principali piazze fiorentine, dominata dalla Basilica di Santa Croce, la grande piazza Santissima Annunziata che, tra le piazze fiorentine, è quella che meglio esprime gli ideali della città rinascimentale. Al centro, è riconoscibile la statua equestre di Ferdinando I de’ Medici. Ma tra i set della fiction ci sono anche alcuni palazzi storici privati, tra cui un edificio che si trova tra via de’ Servi e piazza Santissima Annunziata.

Galeotta fu Milano

Elena rivede Nino dopo tanti anni in occasione della presentazione del suo romanzo in una libreria milanese. Le scene di questo episodio sono state girate nella Galleria Vittorio Emanuele, in pieno centro.

Simbolo del Capoluogo lombardo, la galleria, che unisce piazza Duomo a piazza della Scala, è un luogo senza tempo, perfetto come set della serie ambientata nell’Italia degli Anni ’70. Oggi, come allora, la galleria ospita eleganti boutique e raffinati bar e ristoranti che, proprio negli ultimi anni, hanno riacquisto quel fascino d’antan. Da sempre la Galleria Vittorio Emanuele è considerata il “salotto buono” e il ritrovo della borghesia milanese.

Galleria e zona Duomo sono i set scelti per alcune delle scene della serie Tv. La Cattedrale più famosa del mondo fa da sfondo alla storia, così come La Rinascente, uno dei grandi magazzini più famosi d’Italia nato nei primi anni del Novecento e che, negli Anni ’70, erano al top e di assoluta tendenza.

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Motorini degli Anni ’70 davanti alla Rinascente a Milanoa

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Scoperta sensazionale in Israele: così cambia la storia

La Galilea è una delle zone più interessanti di Israele. Dal punto di vista naturalistico, ma anche archeologico e nell’ambito della paleontologia. Oltre che per la tradizione spirituale, questa regione è davvero unica al mondo proprio per la straordinaria storia dell’uomo preistorico e per le evidenze qui lasciate.

È di recente una scoperta a dir poco sensazionale. Vicino al lago di Galilea, sono stati rinvenuti i resti di un insediamento che risale a 23mila anni fa. L’analisi dei resti animali ritrovati dimostra che qui gli antichi abitanti prosperavano in maniera straordinaria.

La scoperta straordinaria

Uno studio pubblicato a fine gennaio sulla rivista Plos One dal team dell’Istituto di archeologia dell’Università ebraica di Gerusalemme, infatti, ha messo in evidenza i ritrovamenti di resti di un campo di pescatori-cacciatori-raccoglitori precedentemente sommerso sulle rive del lago di Galilea. Attraverso un’attenta analisi della varietà e dell’uso dei resti di animali, il team ha concluso che questi sopravvissuti all’ultima era glaciale prosperavano, mentre la maggior parte dei loro contemporanei, in altre parti del mondo, erano quasi affamati, a causa della temperatura estremamente fredde.

La storia del sito israeliano

Il sito israeliano, noto come Ohalo II, fu occupato alla fine della massima espansione dell’ultima era glaciale, tra 23.500-22.500 anni fa. Ohalo II è noto per l’eccellente conservazione delle capanne a cespuglio e dei resti botanici. Lo studio, guidato dalla studentessa di dottorato dell’università Tikvah Steiner, sotto la supervisione della professoressa Rivka Rabinovich e dell’archeologo dell’Università di Haifa, il professor Dani Nadel che ha effettuato gli scavi del sito, ha esaminato la dieta e l’uso di parti di animali per determinare il benessere e lo stile di vita degli antichi abitanti di questa zona.

Durante la massima espansione dell’ultima era glaciale, le calotte glaciali coprivano gran parte del Nord America, del Nord Europa e dell’Asia, influenzando profondamente il clima terrestre causando siccità, desertificazione e un forte calo del livello del mare. Ironia della sorte, Ohalo II è stato scoperto nel 1989, in seguito a condizioni di siccità che hanno abbassato di diversi metri il livello dell’acqua del lago di Galilea.

Gli scavi archeologici

Gli scavi sono stati effettuati tra il 1989-1991 e di nuovo tra il 1998-2001. Il sito si estende per 2000 metri e si trova vicino alla punta meridionale della zona moderna del lago di Galilea, a circa 9 chilometri a Sud di Tiberiade. Il sito contiene i resti di sei capanne a cespuglio di forma ovale, focolari a cielo aperto, la tomba di un maschio adulto, oltre a varie installazioni e cumuli di rifiuti. Abbondanti materiali organici e inorganici forniscono una ricchezza di informazioni sullo stile di vita dei pescatori-cacciatori-raccoglitori che abitavano quest’area.

Una scoperta che cambia la storia

Da un’attenta analisi di 22.000 ossa di animali rinvenute nel sito, tra cui gazzelle, cervi, lepri e volpi, nonché dalla documentazione precedente sul numero di resti di piante carbonizzate, strumenti di selce e chicchi di cereali, il team ha concluso che Ohalo II presenta un quadro di sussistenza diverso rispetto alla maggior parte degli altri siti del periodo Mesolitico.

Le oscillazioni climatiche durante l’ultimo periodo della massima glaciazione hanno avuto effetti minimi sull’Alta Valle del Giordano, in particolare vicino a Ohalo II, consentendo a quelle persone di utilizzare un’ampia nicchia ecologica composta da varie piante commestibili, mammiferi, rettili, uccelli e pesci.

“Nonostante la loro capacità di cacciare animali anche di grandi dimensioni, questi abitanti cacciavano una vasta gamma di prede e avevano strumenti e tempo sufficienti per sfruttare appieno le carcasse di animali fino al midollo”, ha spiegato Steiner. Allo stesso modo si può notare come “le tartarughe siano state apparentemente selezionate secondo una specifica linea, il che potrebbe suggerire che i loro gusci da usare come ciotole, e non la loro carne, fossero l’obiettivo principale. La lepre e la volpe sono state probabilmente cacciate per le loro pelli”, ha concluso la ricercatrice.

Gli studi attuali si sono concentrato sui resti di rettili, uccelli e mammiferi trovati in una delle capanne durante le sue tre occupazioni consecutive. Nell’ambito dello studio, sono state effettuate l’identificazione e la quantificazione delle diverse specie animali: sono state misurate le dimensioni ossee e le superfici ossee sono state sottoposte ad esame spettroscopico per identificare segni di taglio e usura.

Inoltre, una studentessa post-dottorato all’Università ebraica ed esperta in erpetologia, la dott.ssa Rebecca Biton, ha scoperto che le tartarughe erano tutte di taglia uniforme, il che potrebbe indicare una selezione consapevole, da parte dei cacciatori, di una dimensione specifica di tartaruga per l’utilizzo del loro guscio.

Secondo il team dei ricercatori, Ohalo II è un meraviglioso esempio di una vera economia ad ampio spettro durante l’ultima era glaciale, proprio all’inizio del periodo epipaleolitico. Una scoperta sensazionale, insomma.

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Gli scavi archeologici a Ohalo II, in Israele

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Le bianche falesie che hanno ispirato gli artisti del mondo

Victor Hugo l’ha definita “La più bella architettura che ci sia” e in effetti la scogliera di Étretat è meravigliosa. Rappresentato proprio da lui nel suo Carnet de Voyage del 1835, quel luogo che sembra sospeso nel tempo e nello spazio ha ispirato, per secoli, artisti provenienti da ogni dove alla stregua di una musa.

Per ammirare la scogliera in tutta la sua bellezza dobbiamo recarci in Normandia, nella Senna Marittima, in quel comune francese che si affaccia sul Canale della Manica. Étretat, col tempo, è diventata un vero e proprio punto di riferimento di viaggiatori, scrittori, artisti e fotografi, nonché meta più popolare della Costa d’Alabastro. È qui che si trovano le scogliere meravigliose che dal mare si innalzano verso il cielo, le cui forme sono così suggestive da ispirare storie, misteri e leggende, capolavori d’arte.

Étretat, le spettacolari scogliere della Normandia

La Manneporte, la Courtine o l’Aiguille, le falesie della Costa d’Alabastro sono tutte meravigliose, alcune meno popolari, altre protagoniste assolute di quadri moderni e fotografie contemporanee, ma magiche in maniera unica. Insieme formano una delle più belle architetture naturale del mondo intero.

La loro forma singolare è un invito a lasciarsi suggestionare. Si possono contemplare da una barca in mare, o dalla spiaggia, lasciandosi catturare da quello spettacolo maestoso. Oppure si può sfidare la forza di gravità e salire in cima attraversando sentieri verticali che portano sulle falesie, e da lì ammirare il mare e le spiagge, uno spettacolo unico al mondo.

Una bellezza selvaggia e autentica preservata ieri e oggi, dalla quale neanche Maurice Leblanc era rimasto immune, proprio lui che qui che ha creato il suo Arsène Lupin, il ladro gentiluomo al quale sono stati dedicati film e cartoni che hanno appassionato intere generazioni.

Non è stato l’unico, s’intende, perché qui scrittori, pittori e illustratori si sono recati per immortalare il panorama e la magica atmosfera a suon di pennellate. Il primo, di cui si hanno testimonianze, è stato proprio Victor Hugo, seguito poi da Delacroix e infine Monet che di questo posto si era innamorato.

Étretat: le falesie nei quadri dei pittori

Descrivere l’incanto delle falesie a parole è un’impresa ardua, per questo gli artisti hanno utilizzato i pennelli e i colori per raccontare ciò che le parole da sole non potevano spiegare. Quell’abbagliante biancore delle falesie della Costa d’Alabastro hanno rapito lo sguardo di Eugène Delacroix che attraverso delle rappresentazioni in acquerello ha provato a far conoscere la bellezza di un luogo che in lui creava una miriade di suggestioni. Le rovine di un’antica città, a queste lui le paragonava.

Mentre Gustave Courbet, con il suo realismo, ha immortalato prima l’arco naturale della Porte d’Aval, in un paesaggio romantico ed eterno, e poi il lato d’Amont, con quel piccolo arco di chiusura ripreso dopo il temporale.

Diverse, invece, le raffigurazioni di Étretat firmate da Claude Monet. Le sue pennellate hanno raccontato la porta d’Amont, quella d’Aval e poi la Manneportle in diversi momenti della giornata e delle stagioni. Lui le ha percorse in lungo e in largo e così le ha raccontate, attraverso i cambiamenti della luce e i movimenti del mare regalandoci degli scorci sorprendenti e unici.

Le Falesie di Étretat

Le Falesie di Étretat

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Capitale italiana della Cultura: le 10 finaliste

Sono finalmente state annunciate le 10 finaliste per la Capitale italiana della Cultura per il 2024. Tutte incantevoli località del nostro Paese scelte da una giuria tra 24 città preselezionate tra quelle che avevano risposto al bando. A renderlo noto è il Ministero della Cultura.

Quali sono le 10 finaliste per il 2024

Le città che si contendono il titolo di Capitale italiana della Cultura per il 2024 sono una più bella dell’altra e tutte pronte a vincere il titolo. Tra le finaliste c’è Ascoli Piceno, sorta quasi 2.500 anni fa in epoca pre-romana e conosciuta come la “città delle cento torri”. Molto entusiasta il sindaco, Marco Fioravanti, nell’annunciare il risultato della candidatura che negli ultimi mesi ha fortemente impegnato lui, il Comune e l’intero territorio provinciale.”Il dossier è stato molto apprezzato dalla commissione, che ha riconosciuto l’egregio lavoro svolto con passione e dedizione dal nostro team. E allora il percorso prosegue, così come fatto finora: coinvolgendo tutti i Comuni della provincia, ma anche enti, stakeholders, associazioni e tutti i cittadini del Piceno. Perché la Cultura deve rappresentare il vero motore di rinascita del nostro territorio“, ha commentato il sindaco.

Ancora Marche ma questa volta con Pesaro, affacciata sul mare e attraversata dal fiume Foglia, per cui il sindaco, Matteo Ricci e il vicesindaco e assessore alla Bellezza, Daniele Vimini, hanno commentato: “Vogliamo giocare per vincere. Quello ottenuto è un grande risultato che porta con sé tanta responsabilità: quella di giocarsi la partita fino in fondo. Eravamo speranzosi ma nulla era scontato“.

Ascoli Piceno 2024

Piazza Arringo ad Ascoli Piceno

Anche per il Veneto sono le due le città che arrivano in finale: la splendida Chioggia in provincia di Venezia che sorge su un insieme di isolette connesse tra loro da ponti e Vicenza, città Patrimonio dell’Unesco che ospita tante meraviglie artistiche ed architettoniche. “Sapere che, per la prima volta, su 10 città candidate al riconoscimento di ‘Capitale italiana della cultura’ per l’anno 2024 due sono venete testimonia il valore dell’immenso patrimonio culturale posseduto dalla nostra Regione, capace di esprimere, attraverso due città dalla storia secolare e dai tratti identitari diversi e ugualmente molto forti, Vicenza e Chioggia, il suo carattere estremamente articolato“, con queste parole ha commentato il risultato ottenuto il presidente della regione Veneto Luca Zaia.

Vicenza 2024

Una splendida vista di Vicenza

Felicità anche per Grosseto in Toscana, città racchiusa tra bastioni perfettamente conservati. Il sindaco, Antonfrancesco Vivarelli Colonna, ha sottolineato: “Sono orgoglioso di annunciarvi che la nostra città è stata selezionata tra le dieci finaliste per il titolo di Capitale della Cultura 2024. Un risultato storico per Grosseto, possibile grazie all’impegno, al lavoro di squadra – ha poi continuato – ora, uniti e concentrati in vista dell’ultimo grande step: la selezione della città vincitrice che avverrà ai primi di marzo. La sfida continua!“.

Stessa sorte per Viareggio, conosciuta nel mondo come la città del Carnevale. Il sindaco, Giorgio Del Ghingaro ,su Facebook ha festeggiato con le seguenti parole: “Un primo importante risultato che conferma quanto la nostra città sia creativa, attraente, innovativa“.

Grosseto 2024

Piazza Dante a Grosseto

Tra le 10 finaliste anche Mesagne, in provincia di Brindisi, che si distingue per essere una città dalle molteplici sfaccettature e dalle numerose ricchezze. Unica località pugliese a correre per il prestigioso titolo per cui il sindaco, Antonio Matarrelli, ha commentato: “Ci abbiamo sperato e creduto, in tanti, tantissimi, mettendoci anima e cuore. Il sogno è ancora più vicino” Il primo cittadino ha poi aggiunto: “Che gioia, siamo in finale!“, rilanciando l’hashtag #mesagne2024.

Per la Liguria c’è Sestri Levante con il Tigullio in povincia di Genova. Una vera e propria soddisfazione per i 6 magici Comuni promotori – Sestri Levante, Chiavari, Rapallo, Santa Margherita Ligure, Camogli, Recco –, e per tutti coloro che hanno partecipato al progetto e per la regione. “Un primo, importantissimo traguardo che premia un percorso in cui abbiamo creduto fortemente e a cui abbiamo lavorato con grande intensità nei mesi scorsi – ha dichiarato la sindaca di Sestri Levante, Valentina Ghio a nome dei Comuni promotori e di tutti i Comuni aderenti al progetto -. Non posso nascondere una grande soddisfazione che nasce dal riconoscimento ottenuto e anche e soprattutto dalla capacità che abbiamo avuto di lavorare in maniera coordinata e complementare per tutto il territorio.”

capitale cultura 2024

Uno scatto meraviglioso di Sestri Levante

Poi Siracusa, definita da Cicerone “La città più bella della Magnagrecia”. E qui il sindaco, Francesco Italia, ha fatto sapere che “Con grande gioia apprendiamo di essere tra le 10 città finaliste per il prestigioso titolo. Il mio ringraziamento va innanzitutto all’assessore Fabio Granata che ha lanciato e creduto nella candidatura, da me subito condivisa. Insieme a Fabio Granata, ringrazio tutte le associazioni e le istituzioni cittadine che hanno sostenuto coralmente l’ambizioso progetto“.

Infine, ma non per importanza, in corsa per diventare Capitale della Cultura 2024 anche l’Unione dei Comuni Paestum-Alto Cilento in provincia di Salerno, formata da località  eccezionali come Agropoli, Capaccio, Cicerale, Laureana Cilento, Lustra, Perdifumo, Prignano Cilento, Rutino e Torchiara. “Essere tra i dieci finalisti per il titolo di Città italiana della Cultura per l’anno 2024 è per noi motivo di orgoglio e di grande soddisfazione. E posso dire già oggi che, a prescindere dall’esito, il programma che abbiamo realizzato per questa candidatura sarà interamente realizzato – ha dichiarato Franco Alfieri, sindaco di Capaccio Paestum e presidente dell’Unione dei Comuni – L’intuizione di candidare l’Unione ci sta premiando: la cultura genera cambiamento solo se è diffusa“.

Agropoli 2024

Vista panoramica di Agropoli

Le precedenti Capitali della Cultura e come nasce l’evento

Il progetto della Capitale Italiana della Cultura è nato nel 2014 da un’idea di Dario Franceschini, ministro della Cultura, a seguito della proclamazione della città di Matera a Capitale europea della Cultura 2019. L’iniziativa ha, tra gli obiettivi, quello di “valorizzare i beni culturali e paesaggistici” e di “migliorare i servizi rivolti ai turisti”.

Fino a questo momento in Italia a ottenere questo titolo sono state: Cagliari, Lecce, Perugia, Ravenna e Siena nel 2015; Mantova nel 2016; Pistoia nel 2017, Palermo nel 2018, Parma nel 2020 e nel 2021, Procida è la capitale del 2022, Bergamo e Brescia saranno le capitali nel 2023.

Per il ministro della Cultura, Dario Franceschini, “la storia pluriennale di questa sfida ha dimostrato tutta la capacità della cultura di mettere in moto dei meccanismi virtuosi e percorsi di valorizzazione di tutte le città al di là della vincitrice“.

Il passo successivo sarà un’audizione in video-conferenza davanti alla giuria – da effettuare il 3 e 4 marzo – che dovrà poi indicare a Dario Franceschini la candidatura ritenuta più idonea.