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In Albania tra vigne e cantine, l’itinerario da scoprire

Sapevate che in Albania il vino scorre come l’acqua? Un Paese che, seppur poco noto da questo punto di vista, vanta una lunga tradizione di vinificazione, ma al contempo una breve storia di vino come industria. E se fino al 1991, a causa di vicissitudini storiche, gli ettari di vigne piantate erano solo 2000, oggi la situazione è decisamente migliorata: si raggiungono i 26.000 ettari.

I migliori vigneti in Albania

L’Albania è una terra splendida che si sviluppa tra mare e monti, un Paese del nostro continente dove il clima è mite tutto l’anno permette di produrre dei vini che non sono affatto da sottovalutare.

A livello generale, il territorio albanese dal punto di vista vitivinicolo si suddivide in quattro macro regioni che vengono classificate sulla base del criterio dell’altitudine:

  • le pianure costiere: raggiungono i 300 metri e circondano le città di Tirana, Kavajë, Durazzo, Scutari, Lezhë, Lushnje, Fier, Valona, Pukë e Delvinë;
  • le colline centrali: l’altitudine varia da 300 a 600 metri e sono ubicate nei pressi di Elbasan, Krujë, Gramsh, Berat, Përmet, Librazhd e Mirditë;
  • le zone orientali sub-montane: tra i 600 e gli 800 metri nei dintorni di Pogradec, Korçë, Leskovik e Peshkopi;
  • le aree montuose; la vite viene coltivata fino ai 1000 metri.

Anche se, ad essere onesti, la maggior parte dei vigneti sono concentrati prevalentemente nelle zone collinari, in particolare nei dintorni di Berat, Korçë (Corizza), Pogradec, Përmet, Leskovik, Vlorë (Valona), Lezhë (Alessio), Shkodër (Scutari).

Tra vini e vigneti

In Albania i vitigni internazionali più coltivati sono Merlot, Sangiovese, Barbera, Chardonnay, Primitivo, Tempranillo, Montepulciano, Cabernet Sauvignon, Petit Verdot, Moscato, Alicante Bouschet, Tokai, Trebbiano. Ci sono poi vini  autoctoni ampiamente diffusi, alcuni dei quali andremo a scoprire insieme.

Il villaggio di Shesh con il suo vino

Shesh è un piccolo e delizioso villaggio che si trova a più o meno 9 chilometri di distanza dalla Capitale, Tirana. Situato a circa 460 metri sul livello del mare, è famoso per la coltivazione di un’uva chiamata Sheshi Bardhë e Sheshi i Zi (in italiano Sheshi Bianco e Sheshi Nero) che regala al consumatore un vino di alta qualità.

Va sottolineato, però, che Shesh permette anche di ammirare un bellissimo panorama naturale.

Kallmet con il suo vitigno dotato di potenzialità

Kallmet è una deliziosa frazione del comune di Alessio e proprio qui prende vita un vitigno dotato di grandissime potenzialità. Questo tipo di vitigno è presente  in circa il 20% della superficie e si distingue per essere a bacca rossa e con una ottima base polifenolica.

Pulës, ancora sottovalutato

Nel circondario di Berat, splendida città millenaria e patrimonio mondiale dell’UNESCO, viene invece prodotto il Pulës, un vino ancora sottovalutato ma che vanta un ottimo bouquet e un retrogusto persistente, che richiama il profumo del ginestro.

Al giorno d’oggi il grandi aziende conosciute del Paese che producono vino sono più di 30, anche se, nei prossimi anni, si stima una crescita del settore. Cantine che, in alcuni casi, hanno iniziato a farsi conoscere anche a livello internazionale, partecipando a concorsi e a fiere di settore.

Possiamo perciò affermare che in Albania, grazie a diverse politiche di sostegno della Comunità europea e all’intraprendenza di una trentina di produttori, il settore vinicolo è in espansione e che la superficie di terra destinata alla vite sta aumentando. Dai vitigni internazionali a quelli autoctoni, infatti, comincia ad esserci l’imbarazzo della scelta.

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Una Venezia insolita, tra i suoi capolavori segreti che in pochi conoscono

Venezia, lo sappiamo bene, è una città unica al mondo, una delle mete più iconiche e gettonate, il cui nome porta subito alla mente la spettacolare Piazza San Marco con il Campanile e la Basilica, il Ponte di Rialto, il Ponte dei Sospiri e le caratteristiche isole di Burano, famosa per i merletti, e Murano, celebre per il vetro artistico.

Ma la città lagunare non è soltanto questo: tra calli, campi e sestieri, infatti, si celano chicche segrete, capolavori della storia dell’arte e luoghi insoliti tutti da scoprire per conoscere e apprezzare un lato inedito di rara suggestione.

Ponte del Chiodo

Lungo le fondamenta di San Felice, nel sestiere Cannaregio, ecco Ponte del Chiodo, uno dei due soli ponti veneziani (l’altro è il Ponte del Diavolo sull’isola di Torcello) rimasti intatti senza parapetti.

Si tratta di un piccolo ponte privato, lontano dai flussi turistici, che porta all’ingresso delle case sull’altra sponda e prende il nome dalla famiglia che in passato lo attraversava.

Calle Varisco

È davvero magico perdersi tra i ponti e le stradine meno frequentate di Venezia, nel silenzio rotto soltanto dai passi, e trovarsi dinanzi meraviglie impensate: una di queste è Calle Varisco, la via più stretta della città (indicata da due colonne) che misura appena 53 centimetri!

San Pantalon

Chiesa di San Pantalon

Fonte: Ph Crisfotolux – iStock

Chiesa di San Pantalon

Nelle immediate vicinanze di Campo Santa Margherita, svetta una chiesa dalla facciata incompiuta, il cui aspetto dimesso non cattura l’attenzione.

Si tratta della Chiesa di San Pantalon che, eppure, custodisce un’emozionante sorpresa. Appena varcato l’ingresso, preparatevi al capolavoro: il soffitto di 443 metri quadri è impreziosito da una maestosa tela dipinta simile a un affresco, forse la più grande del mondo.
L’opera, ricavata unendo 40 tele, sfrutta un sapiente gioco di prospettive per ampliare lo spazio della chiesa dove, all’architettura reale, si affiancano colonne e arcate dipinte.

San Zaccaria e la cripta allagata

Non lontano da Piazza San Marco, in  Campo S. Zaccaria, si staglia l’omonima chiesa, tra le più affascinanti della città, con pregevole facciata quattrocentesca e interni che pullulano di opere d’arte.

Ma non basta: raggiunta la cappella di San Tarasio, una serie di gradini conducono alla cripta, suggestivo ambiente a tre navate con colonne e volte a crociera dove venivano sepolti i primi dogi.
La presenza ormai immancabile dell’acqua l’ha resa ancora più affascinante: le volte e le colonne, come in un gioco di specchi, raddoppiano così gli spazi, creano nuove prospettive e aggiungono profondità.

Il labirinto sull’isola

Venezia vanta anche un labirinto.

Sull’isola di San Giorgio Maggiore, a breve distanza in vaporetto da Piazza San Marco, si trova un incredibile percorso tra le siepi di oltre un chilometro con tremila piante di bosso appositamente allineate.

La curiosa struttura è dedicata allo scrittore argentino Jorge Luis Borges, molto legato alla Serenissima, nei cui romanzi il labirinto è un tema ricorrente come metafora della complessità del mondo e della conseguente difficoltà dell’uomo a “trovare la propria strada”.

Scala Contarini del Bovolo

Scala Contarini del Bovolo

Fonte: Ph Paul Hayward – iStock

Scala Contarini del Bovolo

Nel sestiere di San Marco, vicino a Campo Manin, cattura lo sguardo la Scala Contarini del Bovolo, gioiello nascosto plasmato da una torre cilindrica alta 26 metri e 80 scalini dalla forma elicoidale, in stile gotico, rinascimentale e veneto-bizantino.

Dalla sua sommità, si gode di una vista superba sui tetti della città, i campanili e le inconfondibili cupole della Basilica di San Marco.

La tomba di Canova

Poco distante da Campo San Polo, la Basilica dei Frari conserva la tomba dello scultore Antonio Canova, dalla particolare forma a piramide per rappresentare il “grande architetto dell’universo”, divinità dei massoni.

Il complesso, mediante il linguaggio cifrato delle statue e degli elementi arcani, parla della sapienza e dell’ispirazione dell’artista, nonché dell’immortalità dell’anima.

Inoltre, nella tomba è custodito soltanto il cuore del Canova, le cui spoglie si trovano invece a Possano, città natale.

Teatro Italia

A pochi passi dal Ghetto Ebraico, percorrendo la via che dalla stazione ferroviaria conduce a Rialto, ci si imbatte in uno storico edificio su cui campeggia la scritta “Teatro Italia“.

Al suo interno, la sorpresa: il supermercato più elegante d’Italia, il “DESPAR Teatro Italia”, ricavato nell’ex cinema teatro di inizio Novecento, con balconata in stile liberty e volte affrescate.

Palazzo Tetta

Nel Sestiere di Castello, uno dei palazzi più particolari e fotografati di Venezia: il settecentesco Palazzo Tetta, raro esempio di edificio lagunare indipendente sui tre lati.

Salite sul Ponte dei Conzafelzi e potrete immortalarlo da una posizione privilegiata.

Lo Squero di San Trovaso e lo Squero Tramontin

Sono molti i cantieri navali a Venezia, gli squeri, dove vengono costruite le gondole.

Tra questi, meritano una visita lo Squero di San Trovaso nel sestiere Dorsoduro, uno dei più famosi e antichi della città, nonché tra i pochi ancora in attività, e lo Squero Tramontin  e Figli, un’autentica istituzione del settore: i Tramontin, infatti, esportarono la gondola nel mondo e furono i fornitori ufficiali della Questura, del Comando dei Carabinieri e della Casa Reale Savoia.

Il canale sotterraneo

L’unico canale sotterraneo di Venezia? Eccolo in Campo Sant’Angelo, lungo il fianco della Chiesa di Santo Stefano, una piccola cavità cui si accede soltanto via acqua.

È parte del Rio Santissimo e termina al di sotto del coro della chiesa.

San Lazzaro degli Armeni

san lazzaro degli armeni venezia

Tra le isole della laguna di Venezia, da vedere è anche San Lazzaro degli Armeni, dal Settecento centro spirituale di una comunità di monaci provenienti dall’Armenia.

Ottenuto il permesso di stabilirsi sull’isola abbandonata, ristrutturarono la chiesa del monastero in rovina, costruirono nuovi edifici e diedero vita a una tipografia con cui stamparono opere scientifiche, letterarie e religiose in 10 alfabeti e 36 lingue.

Visitando l’isola, raggiungibile in vaporetto da San Zaccaria lungo la Riva degli Schiavoni, ammirerete un museo con arte e oggettistica araba, una pinacoteca e oltre 4000 manoscritti armeni.

La Porta Blu

Infine, la bellezza della Venezia nascosta si rivela anche nella pittoresca Porta Blu, nei presso di Palazzo Tetta e dell’originale Libreria Acqua Alta.

Da Calle Longa Santa Maria Formosa, prendete per Calle Ruga Giuffa, svoltate in Calle de Mezo e percorretela fino in fondo: ve la ritroverete proprio dinanzi.

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In India puoi visitare le rovine dell’università che ha cambiato il mondo

Più di 500 anni prima che venisse fondata la celebre Università di Oxford, in India prosperava l’Università di Nalanda, la prima università residenziale al mondo con ben nove milioni di libri e diecimila studenti provenienti dall’Asia orientale e centrale che vi si riunirono per apprendere la logica, la matematica, la medicina e, soprattutto, i principi buddisti da alcuni degli studiosi più venerati dell’epoca.

Risalente al 427 d.C., è la più antica e rilevante università della tradizione buddista in India e, come disse il Dalai Lama, “La fonte di tutta la conoscenza [buddista] che abbiamo, è venuta dal Nalanda“.

Nalanda, uno dei più grandi centri di apprendimento del mondo antico

Negli oltre sette secoli in cui Nalanda fiorì, non esisteva nient’altro di simile al mondo: l’università indiana precedette l’Università di Oxford e l’università più antica d’Europa, quella di Bologna, di più di 500 anni.
Inoltre, l’approccio illuminato di Nalanda alla filosofia e alla religione, ha contribuito a plasmare la cultura dell’Asia anche molto tempo dopo la sua fine.

È interessante notare che i monarchi dell’Impero Gupta che fondarono l’università erano devoti indù, ma simpatizzanti nei confronti del buddismo e del suo crescente fervore intellettuale nonché degli scritti filosofici dell’epoca: le tradizioni culturali e religiose liberali che si diffusero sotto il loro regno avrebbero costituito il nucleo del curriculum accademico multidisciplinare di Nalanda, che fondeva il buddismo intellettuale con una conoscenza superiore in svariati campi.

Infatti, l’antico sistema medico indiano dell’Ayurveda fu ampiamente insegnato a Nalanda, molte istituzioni buddiste trassero ispirazione dal design del campus con cortili aperti racchiusi da sale di preghiera e aule mentre lo stucco qui prodotto influenzò l’arte ecclesiastica in Thailandia, e l’arte del metallo migrò fino in Tibet e nella penisola malese.
Ma forse l’eredità più profonda e duratura di Nalanda sono i suoi risultati in matematica e astronomia: si ipotizza che Aryabhata, considerato il padre della matematica indiana, abbia diretto l’università nel VI secolo d.C.

In più, l’università inviava regolarmente alcuni dei suoi migliori studenti e professori in Cina, Corea, Giappone, Indonesia e Sri Lanka per diffondere gli insegnamenti e la filosofia buddista: questo antico “programma di scambio culturale” ha così contribuito a diffondere e modellare il buddismo in tutta l’Asia.

L’epilogo e il riconoscimento a Patrimonio UNESCO

Nel 1190, Nalanda venne distrutta da una truppa di predoni invasori guidati dal generale turco-afghano Bakhtiyar Khilji, che cercò di estinguere il centro buddista della conoscenza durante la sua conquista dell’India settentrionale e orientale: il campus era così vasto che si narra che l’incendio appiccato dagli aggressori sia durato per tre mesi.

Oggi, il sito archeologico di 23 ettari è probabilmente una mera frazione del campus originale, ma passeggiare al cospetto delle rovine di templi e monasteri evoca la sensazione di come doveva essere apprendere in tale luogo leggendario.
Come in ogni università d’élite, l’ammissione era difficile: gli aspiranti studenti dovevano impegnarsi in un rigoroso colloquio con i migliori professori di Nalanda ma chi aveva la fortuna di entrare poteva imparare dai più venerati maestri buddisti di quei tempi, come Dharmapala e Silabhadra.

I nove milioni di manoscritti di foglie di palma redatti a mano della biblioteca erano il più ricco deposito di saggezza buddista al mondo: purtroppo, soltanto pochi tra i volumi di foglie di palma e fogli di legno dipinti sopravvissero all’incendio, salvati dai monaci in fuga. Ora sono custoditi presso il Los Angeles County Museum of Art e il Museo Yarlung in Tibet.

Nel corso dei sei secoli successivi all’invasione (per cui non è facile stabilire una causa), Nalanda sprofondò gradualmente nell’oblio e rimase sepolta fino a quando venne “scoperta” dal geometra scozzese Francis Buchanan-Hamilton nel 1812 e identificata come “l’antica Università di Nalanda” da Sir Alexander Cunningham nel 1861.

Oggi, le rovine del Grande Monumento dal glorioso passato vantano l’ambito riconoscimento come Patrimonio UNESCO.

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Alla scoperta dell’Orto Botanico di Palermo e delle sue meraviglie naturalistiche

Storia e natura si intrecciano mirabilmente in questo grande parco rigoglioso che sorge nel cuore della città di Palermo: si tratta dell’Orto Botanico, un gioiellino della natura che ospita migliaia di specie vegetali, alcune provenienti persino dall’altra parte del mondo. In un viaggio alla scoperta del capoluogo siciliano, un luogo ricco di bellezze e monumenti storici, non può davvero mancare una visita ai giardini e alle sue tantissime sorprese naturalistiche.

L’Orto Botanico di Palermo, tra storia e natura

Incastonato tra i rigogliosi giardini di Villa Giulia e il vivace via vai del quartiere Kelsa di Palermo, questo angolo di paradiso dista due passi dal lungomare e offre un’esperienza meravigliosa: varcare la soglia dell’Orto Botanico è come entrare in un mondo nuovo, lasciandosi alle spalle il caos della città e immergendosi nella natura. Afferente all’Università degli Studi di Palermo in quanto istituzione museale, ha una storia davvero sorprendente. Il primo giardino botanico venne realizzato nel lontano 1779, contemporaneamente all’istituzione della cattedra di Botanica e Materia medica.

Nel giro di pochi anni, il piccolo appezzamento di terreno coltivato con piante medicinali si dimostrò insufficiente per le esigenze degli studenti: fu così che venne trasferito nella sua attuale sede, trasformando un luogo dal passato sanguinoso (qui venivano praticati i roghi della Santa Inquisizione) in un gioiello naturalistico. Persino Goethe, che ebbe modo di visitare l’Orto Botanico, lo descrisse con splendide parole che, ancora oggi, esprimono la bellezza di questo posto quasi magico. Pian piano, nel corso degli anni, il giardino è diventato sempre più grande e ricco di infinite varietà vegetali che attirano esperti e curiosi da tutto il mondo.

Orto Botanico di Palermo

Fonte: iStock

Orto Botanico di Palermo

Cosa vedere nell’Orto Botanico di Palermo

Già a partire dal suo ingresso monumentale, appare chiaro che una visita all’Orto Botanico di Palermo è un’esperienza unica. Davanti ai cancelli si staglia il Gymnasium, splendido edificio in stile neoclassico che ospitava la sede della Schola Regia Botanice e la dimora del direttore. Accanto ad esso, due altri gioiellini neoclassici: il Calidarium, che accoglieva le piante abituate ai climi caldi, e il Tepidarium, che invece aveva al suo interno una ricca collezione di specie vegetali viventi in un clima temperato. Addentrandosi nel giardino, ecco aprirsi ai nostri occhi le sue meraviglie. Il giardino vanta oltre 12.000 varietà di piante di ogni tipo, ben suddivise in settori.

C’è ad esempio il Sistema di Linneo, il settore più antico, diviso in quattro aiuole che ospitano le piante e i fiori originariamente messi a dimora nell’Orto Botanico – uno dei più belli d’Italia. Molto affascinante è poi l’Aquarium, una grande vasca circolare che racchiude moltissime specie acquatiche, tra cui bellissime ninfee. Diverse serre sono state pian piano aggiunte al giardino, come la Serra Maria Carolina (intitolata alla Regina Maria Carolina d’Austria), oggi ricostruita in ghisa. Vi sono spazi destinati alle piante esotiche, come la Serra sperimentale che accoglie banani e papaye, oppure quelli dedicati alle succulente – c’è anche in corso un progetto per la loro salvaguardia.

E poi i lunghi viali alberati, ricchi di colori e profumi inebrianti, tra cui passeggiare per godersi un momento di relax: l’occhio è continuamente attirato da bellissime piante rigogliose, che si stagliano verso il cielo. Come ad esempio il grande Ginko biloba o il più maestoso Ficus magnolioides, un esemplare meraviglioso importato dalla Nuova Zelanda, che oggi costituisce il simbolo dell’Orto Botanico di Palermo. Non mancano infine i palmeti, le piante provenienti dalle regioni più calde del mondo, gli agrumeti, le piante carnivore e i fiori più suggestivi, come le orchidee.

Orto Botanico di Palermo

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Orto Botanico di Palermo
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Villa Carlotta, il giardino botanico di fronte a Bellagio da visitare in primavera

Quando inizia la fioritura dello splendido giardino botanico di Villa Carlotta, visitarlo è un’esperienza unica e indimenticabile. Il parco di Villa Carlotta è celebre per la stupefacente fioritura primaverile di più di 150 varietà di rododendri e di azalee. Antichi esemplari di camelie, cedri e sequoie secolari, grandi platani ed essenze esotiche attendono i visitatori in un alternarsi di ambientazioni create, nei secoli, dagli architetti di questi giardini.

Villa Carlotta, una delle più belle dimore storiche che si possono visitare in Italia, si trova a Tremezzo, in provincia di Como, e s’affaccia direttamente sul lago, con vista sul pittoresco borgo di Bellagio, da cui è raggiungibile in motonave. La vista dalla villa e dai giardini è meravigliosa e i colori della fioritura lasciano senza fiato. Non a caso, viene spesso scelta come location per matrimoni, anche per la terrazza panoramica che si affaccia sul lago. Villa Carlotta riapre per la stagione il 18 marzo.

Scoprire Villa Carlotta

Villa Carlotta accoglie i visitatori con il suo magnifico parco botanico e le sue sale ricche di capolavori d’arte: è un luogo di rara bellezza, qui capolavori della natura e dell’ingegno umano convivono armoniosamente in 70.000 mq tra giardini e strutture museali.

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Fonte: 123rf

Villa Carlotta, a Tremezzo

In una conca naturale, tra lago e montagne, il marchese Giorgio Clerici fece edificare, alla fine del 1600, una splendida dimora, imponente ma sobria, circondata da un giardino all’italiana, di fronte a uno scenario mozzafiato sulle Grigne e su Bellagio.

Con Gian Battista Sommariva, il successivo proprietario, la villa toccò il massimo dello splendore, arricchendosi di opere d’arte e divenendo meta irrinunciabile per una visita sul Lago di Como. Sommariva, che acquisì la proprietà agli inizi dell’Ottocento, volle che parte del giardino fosse trasformato in uno straordinario parco romantico e che la villa venisse impreziosita con capolavori di Canova, Thorvaldsen e Hayez.

Il parco di Villa Carlotta (circa 8 ettari visitabili) è luogo di grande fascino, non solo per la posizione panoramica particolarmente felice, ma anche per l’armonica convivenza di stili, la ricchezza di essenze, le suggestioni letterarie che ne fanno una meta imperdibile per chi giunge sul Lago di Como.

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Fonte: 123rf

La bellezza del giardino di Villa Carlotta a primavera

Le terrazze e il giardino all’italiana

Dell’età seicentesca resta l’ampio giardino all’italiana con alte siepi a taglio geometrico, parapetti a balaustrate, statue e giochi d’acqua; del periodo romantico è ancora percepibile la struttura del giardino all’inglese, ricco di alberi pregiati di proporzioni eccezionali e di scorci di grande suggestione; alla fine del XIX secolo risale invece la grande architettura vegetale delle imponenti masse di rododendri, azalee e di specie rare, che fanno del parco di villa Carlotta un vero e proprio giardino botanico.

Le cinque terrazze che fronteggiano la villa, sono animate da aiuole geometriche, piccole peschiere, nicchie e fontane. Raggiungibili attraverso la seicentesca scalinata a tenaglia, le terrazze offrono molte sorprese botaniche: le alti siepi di camelie, le piante di papiro, i grandi e rinomati tunnel di agrumi e le numerose rose che decorano le facciate, in molti casi antichi esemplari sopravvissuti nel corso degli anni. Questa fu la zona del giardino che il celebre scrittore francese Gustave Flaubert, durante il suo soggiorno sul Lago di Como nella primavera del 1845, apprezzò più di ogni altro con la sua “scalinata di pietra che scende fino nell’acqua per imbarcarsi, i grandi alberi, le rose che spuntano su una fontana”.

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Fonte: 123rf

Il giardino all’italiana di Villa Carlotta

Dalle terrazze si gode di una straordinaria vista del giardino all’italiana con la balaustra in pietra a 12 pilastri a bugnato che sorreggono altrettante statue di divinità mitologiche e figure allegoriche in marmo di Candoglia, risalenti ai primi anni del Settecento: Notte, Ercole, Dejanira, Zefiro, Flora, Apollo, America, Pomona, Vertumno, Galatea, Eco, Aurora in un crescendo di significati simbolici riconducono ai ritmi e ai piaceri della vita agreste. Al centro, la fontana settecentesca con vasca sagomata e la statua di Arione di Metimna, celebre cantore e suonatore di cetra, che venne miracolosamente salvato dai flutti grazie all’intervento di un delfino.

Le camelie

A giudicare dalle dimensioni raggiunte da numerosi esemplari, l’impiego della camelia a Villa Carlotta risale molto indietro nel tempo. Passeggiando tra i giardini se ne possono ammirare diverse varietà, alcune assai rare, dai colori più diversi. Il nucleo più imponente è senza dubbio quello che decora il cortile posteriore della villa, attorno alla grande nicchia a rocaille che un tempo ospitava la statua di Ercole e l’idra e oggi è rigogliosamente coperta dal capelvenere.

Le azalee

Ad aprile e maggio, il giardino di Villa Carlotta si trasforma in un autentico mare di azalee multicolori, disposte in alti cuscini arrotondati lungo i sentieri. L’effetto è straordinario, sia per la varietà cromatica sia per le dimensioni raggiunte dagli arbusti. Si tratta di un percorso fiorito di grande fascino e portata che in Italia conosce davvero pochi eguali. Qui è realmente possibile verificare in modo tangibile l’abilità di chi, dai paesaggisti della famiglia Sassonia-Meiningen ai giardinieri odierni, ha saputo ideare, realizzare e mantenere un percorso di tale portata, interpretando in chiave moderno gli obiettivi e le tecniche dell’antica arte topiaria. Per osservare ancora meglio la scena, un corto sentiero lungo le azalee conduce a un gazebo dal sapore romantico: da questo luogo si possono ammirare autentiche onde di meravigliose azalee.

Il bosco dei rododendri

La sapiente cura di un’unica specie di rododendro (Rhododendron arboreum) ha permesso di creare un ambiente che in natura trova riscontro solo sulle montagne himalayane: decine di esemplari ultracentenari, dai rami e dai tronchi contorti creano qui un’atmosfera unica. Caratterizzata da un tronco spesso non ramificato in basso, dal diametro di 30-60 cm e di un’altezza fino a 15 metri, il Rhododendron arboreum è un vero e proprio albero dalle foglie lanceolate od oblunghe e dalle infiorescenze ad ombrella con 15-20 fiori di un bel rosso cremisi nella specie tipo oppure rosata o perfino bianca in alcune sottospecie.

Il giardino dei bambù

Oltre 3000 metri quadrati ispirati ai principi e alle tecniche dell’arte dei giardini giapponesi qui ospitano ben 25 specie di bambù, alcune assai rare, in un contesto di grande armonia tra cascatelle, ruscelli e strutture di pietra. La scalinata di accesso al giardino è sovrastata dal portale Torii che segna l’ingresso alla parte del giardino più tipicamente orientale, una zona strutturata a stanza su due differenti livelli; quello più interno circondato da un boschetto di bambù giganti è un’oasi di tranquillità in cui si possono apprezzare appieno luci, forme, suoni e colori che nell’armonica unione tra acqua e bambù mutano nel corso delle ore della giornata.

La valle delle felci

L’abile mano del paesaggista ha saputo trasformare una comune forra naturale in un ambiente scenograficamente costruito al fine di destare stupore nel visitatore, mediante l’aggiunta di platani e tigli, ma soprattutto di piante esotiche come le grandi felci arborescenti e palmiformi originarie dell’Australia. Lo spettacolo, per chi si affaccia dal belvedere appositamente creato, è di sicuro effetto e di grande impatto.

Il giardino roccioso

Una parte del giardino ha una configurazione molto particolare, costituita da una corona superiore di arbusti di ottimo impianto ornamentale, sovrastanti un mosaico di erbacee a fioritura primaverile ed estiva, alternate a tipi di palme dalle più diverse provenienze. Nella zona più a Est, tra ampie nicchie scavate nel terreno scosceso e separate fra loro mediante rocce e sassi, è ospitato un considerevole gruppo di piante grasse, con specie provenienti da una quindicina di generi diversi, che vengono qui sistemate nella buona stagione e ritirate poi in serra con i primi freddi.

Info utili

Villa Carlotta è aperta tutti i giorni a partire dal 18 marzo 2023, dal lunedì alla domenica. Fino al 23 marzo, l’apertura ha orario 10 – 18 (chiusura della biglietteria alle 17 e del museo alle 17.30). A partire dal 24 marzo, l’orario viene esteso alle 19 (chiusura della biglietteria alle 18 e del museo alle 18.30).

Sono previsti alcuni appuntamenti imperdibili. Per il primo weekend di apertura, il 18 marzo sono previste visite e laboratori in occasione della Giornata Nazionale del Paesaggio 2023, mentre il 19 viene organizzata una passeggiata culturale e gastronomica per scoprire il rapporto tra la villa e il territorio in cui si trova.

Ad aprile vengono organizzate visite tematiche per scoprire il mondo delle camelie (1° aprile), una caccia al tesoro botanica il 10 e una workshop artistico per bambini il 15.

A maggio le protagoniste sono le rose con visite guidate il 6 e un laboratorio di biocosmetica il 13, mentre il 20 in occasione di Notte al museo la villa resterà aperta fino alle 22.

A giugno, infine, in occasione del tradizionale “Appuntamento in giardino” dell’APGI (Associazione Parchi e Giardini Italiani) che si tiene il 3 si andrà alla scoperta del bosco di bambù, mentre il 17 viene organizzato un pic-nic serale sotto le stelle.

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Fonte: 123rf

Le sale del museo di Villa Carlotta
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Valparaìso: la città che sembra una galleria en plein air

Ci sono dei luoghi in cui l’arte e la cultura attirano l’interesse dei turisti, altri invece si fanno apprezzare per la bellezza della natura incontaminata, poi ci sono quei luoghi che si fanno amare senza un motivo razionale. Ciò che attira e li rende unici è inspiegabile, hanno in sé qualcosa di vibrante e vivace a cui è impossibile non cedere. Valparaiso con il suo mix di vecchio e nuovo a metà tra colline addormentate e un porto florido è una di quelle città nel mondo che si fa apprezzare dal primo momento. La città cilena, riesce ad esprimere in pieno la sua anima eclettica attraverso i murales che adornano i palazzi e che l’hanno trasformata in una galleria a cielo aperto, pronta a stupire il visitatore ad ogni angolo.

La città patrimonio dell’Unesco amata da Neruda

Una delle città più belle del Cile, Valparaiso viene considerata un vero e proprio gioiello all’interno del pacifico, tanto che nel 2003 il centro storico è stato considerato Patrimonio dell’umanità dall’Unesco. Inoltre, la città è stata una delle più amate da Pablo Neruda, che vi ha abitato per alcuni anni, tanto che la sua residenza “La Sebastiana” oggi è diventato un museo.

Un murales pittoresco di Valparaiso

Fonte: 123RF

Uno dei tanti murales di Valparaiso

Il suo stile colorato, quasi bohémien esce allo scoperto attraverso i suoi bellissimi murales. Proprio i disegni che campeggiano sui palazzi, ne hanno fatto la capitale della street art in Sud America. Valpo, come viene chiamata affettuosamente dagli abitanti del posto è riuscita a coniugare l’arte e la voglia di comunicare messaggi importanti. Molti dei murales che ricoprono le facciate di interi edifici, rendono unico uno scorcio o portano alla luce un vicolo nascosto, non sono semplicemente “bei disegni”. Sono un vero e proprio veicolo di cultura che riescono a tramandare la storia locale e messaggi politici importanti.

I murales più belli della città

La passione di Valparaiso per i murales risale agli anni Novanta quando uno dei colli che caratterizza la città, il Cerro Bellavista, è diventato un autentico museo a cielo aperto. Nel corso degli anni l’interesse di artisti di fama mondiale si è accresciuta sempre di più e ancora oggi si possono ammirare le loro opere tra le vie della città. Ad esempio a Cerro Alegre e Cerro Conception, Inti, uno degli street artist più famosi a livello internazionale ha reso unici i palazzi posizionati in strade tortuose con le sue opere audaci che si focalizzano sulla cultura indigena.

Uno dei principali murales di Valparaiso

Fonte: 123RF

Il murales “La Mamie de Valparaiso”

Un altro murale famoso, poi, si trova vicino alla Templeman Street ed è diventato un simbolo unico della street art di Valpo. Infatti qui campeggia una piccola scalinata dipinta da un collettivo britannico, su cui è possibile leggere la scritta “We Are Happy Not Hippies”. Anche a Concepción Hill è possibile ammirare una di queste attrazioni, una scalinata, i cui gradini rappresentano i tasti di un pianoforte realizzato dall’artista e musicista Chino Atonal.

Tra le opere più belle e cariche di significato c’è “La Mamie de Valparaiso” ad Allegre Hill. Il disegno rappresenta una nonna che posizionata all’angolo di una casa, simbolicamente veglia sulla città. Queste sono soltanto alcuni dei capolavori che rendono Valpo, un incredibile paradiso, come suggerisce il suo stesso nome, di arte e cultura.

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Valle Anzasca, il giacimento d’oro che oggi è un sito turistico

In Italia prende vita una valle assolutamente affascinante ma anche unica dal punto di vista culturale: nella parte bassa è predominante la tradizione latina, mentre in alta valle sopravvivono ancora le usanze degli antichi Walser. Il luogo in questione è la Valle Anzasca, nelle province di Verbano-Cusio-Ossola, che era uno dei giacimenti d’oro più grandi d’Europa, oggi riconvertito in sito turistico.

La storia della Valle Anzasca

La storia di questo giacimento d’oro non è delle più allegre: nel febbraio del 1961 quattro minatori italiani morirono in un incidente sul lavoro per l’esplosione delle cariche di dinamite che stavano trasportando. Fu così che terminò l’estrazione dell’oro nella Valle Anzasca, ai piedi del Monte Rosa. Un giacimento enorme: era di almeno 20 chilometri quadrati, per circa 60 chilometri di gallerie.

Da quel momento in poi le miniere sono state dismesse e usate per lo più come sito turistico in quanto sono luoghi di interesse perché insegnano uno spaccato della storia di questa parte d’Italia.

Secondo la tradizione, i primi a ricavare oro dai filoni minerari dell’Alta Valle Anzasca sono stati i Romani, soprattutto dai fiumi e nei terrazzamenti. Nei secoli successivi l’attività mineraria crebbe, aumentando l’interesse degli investitori. Ma è solo con l’arrivo di capitali stranieri, nell’Ottocento, che divenne una vera e propria attività industriale.

La Valle Anzasca oggi

La Valle Anzasca oggi è un ricco connubio di storia e paesaggi mozzafiato. Si sviluppa per 30 chilometri a Ovest della Val d’Ossola con un dislivello di più di mille metri che culmina con il Monte Rosa. È una zona affascinante e che ancora conserva i suoi aspetti rurali e una natura selvaggia e incontaminata.

Valle Anzasca piemonte

Fonte: iStock

Veduta della Valle Anzasca

Non a caso sono tantissimi i percorsi escursionistici a disposizione dei viaggiatori, come altrettanti sono i centri da visitare che lasciano senza fiato. Ma al di là di tutto questo, c’è anche la possibilità di conoscere il suo importante passato per l’attività mineraria. Attualmente, infatti, è possibile visitare la miniera d’oro della Guia, nei pressi di Macugnaga, prima miniera d’oro delle Alpi e prima miniera-museo in Italia.

Cosa vedere in Valle Anzasca

L’incantevole Valle Anzasca si incunea nelle Alpi Pennine e, in particolare, separa la Catena dell’Andolla (a nord) dai Contrafforti valsesiani del Monte Rosa (a sud), mentre la parte alta della valle si affaccia direttamente sul Massiccio del Monte Rosa. Per facilitare l’accesso alle vette e l’escursionismo di alta quota la valle è dotata di alcuni rifugi e bivacchi. Sono 6, invece, i comuni che ne fanno parte e sono uno più bello dell’altro.

Piedimulera, un luogo di notevole importanza

Piedimulera è un piccolo borgo di poco più di 1000 abitanti che sfoggia un centro storico caratterizzato dalla presenza di numerosi edifici risalenti al Sei-Settecento che testimoniano che questo luogo era un centro di commerci tra le genti ossolane e quelle della Valle Anzasca.

Di particolare interesse è il Palazzo Testoni con ricchi saloni decorati con stucchi e pitture. Molto particolare anche la Parrocchiale dei Santi Giorgio e Antonio Abate, un edificio organizzato in una navata unica di stile classico. Al suoi interno sono conservati interessanti dipinti, opera del pittore Lorenzo Peretti, fra cui un affresco raffigurante il Martirio di San Giovanni Nepomuceno.

Piedimulera ha anche delle frazioni di notevole interesse. Una di queste è Cimamulera che si sviluppa su una roccia. Da queste parti è presente un’antica torre recentemente trasformata in abitazione civile.

Piedimulera piemonte

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Veduta di Piedimulera

Calasca-Castiglione, due borghi in un unico comune

L’altro comune che fa parte della Valle Anzasca è Calasca-Castiglione. In realtà sono si tratta di due borghi che vennero riuniti in un’unica entità amministrativa nell’ormai lontano 1928. Nonostante questo, conservato la loro fisionomia originale di distinti villaggi di montagna.

Degna di nota è anche la frazione di Antrogna dove si trova la Parrocchiale di Sant’Antonio Abate, un edificio a tre navate sormontato da una grande cupola e, nella sua facciata, composto da cinque arcate e da un massiccio pronao. La sua caratteristica principale? Possiede delle dimensioni inconsuete per essere una chiesa di montagna: per questo motivo è pubblicizzata come la “cattedrale tra i boschi”.

Nel territorio di Calasca è molto particolare il Santuario della Madonna della Gurva, una chiesetta eretta nel 1641 sopra un enorme masso a strapiombo su una forra del torrente Anza. Poi ancora Villa Belli, dimora di un’illustre famiglia calaschese ricordata per aver dato i natali al fisico Giuseppe Belli. Colombetti, a sud di Castiglione, è invece un  borgo che si distingue per essere un modello esemplare di nucleo rurale in pietra ossolana ancora conservato. Ospita un ecomuseo all’aperto per valorizzare le sue belle abitazioni caratterizzate da logge e muri ad arco.

Macugnaga, il fiore all’occhiello

Macugnaga è un comune italiano sparso che senza ombra di dubbio è il fiore all’occhiello della Valle Anzasca. Si tratta di uno splendido borgo walser dominato dall’imponente parete est del Monte Rosa che si staglia sull’intera vallata con i suoi 4.634 metri di quota.

Cultura e tradizioni walser ancora caratterizzano Macugnaga: l’architettura tipica delle sue abitazioni, i tradizionali costumi indossati dalle donne del paese per le occasioni spaciali e ancora la lingua Titsch parlata dagli anziani o il tipico “Dorf”, piccolo nucleo abitativo del 1200.

Macugnaga valle anzasca

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Un angolo di Macugnaga

Da non perdere da queste parti è la Casa Museo Walser nella frazione di Borca. Si sviluppa su tre piani e ospita una permanente collezione di riproduzioni, antiche stampe, fotografie e reperti inerenti alla vita quotidiana della colonia Walser di Macugnaga.

Macugnaga è un luogo adatto per soggiorni turistici sia durante l’inverno, grazie ai suoi  35 chilometri di piste, due anelli di fondo, uno snowpark e numerosi tracciati per le ciaspole, sia in estate per fare passeggiare tra i boschi, escursioni alla scoperta degli alpeggi e dell’Oasi Faunistica e praticare alpinismo di alto livello sulle cime del Monte Rosa.

Bannio Anzino, dagli incantevoli scorci

Il comune di Bannio Anzino è costituito da due paesi distinti, Bannio e Anzino. Il primo è la Capitale millenaria della Valle Anzasca e regala diversi luoghi di interesse come la chiesa parrocchiale di San Bartolomeo che testimonia la trasformazione del tempio preesistente, in stile lombardo avvenuta nel 1644, pochi anni dopo l’ultimazione dell’elegante campanile, monumento nazionale e datato 1592.

Anzino gode invece una certa notorietà per la devozione degli abitanti a sant’Antonio da Padova. Proprio qui, infatti, è conservato un quadro di pregevole fattura situato nell’omonimo santuario. Inoltre, è paese d’origine di importanti personaggi, tra cui Ludovico Quaroni, architetto romano del Novecento.

Vanzone con San Carlo, con insediamenti umani già in epoca romana

In questo comune sono stati trovati numerosi reperti databili attorno al I secolo d.C., rinvenuti in seguito a scavi archeologici di fine Ottocento. Un comune antico e interessante che nacque nel 1875 dalla fusione di San Carlo d’Ossola e Vanzone.

Oggi di particolare interesse è la chiesa parrocchiale di Santa Caterina d’Alessandria che sfoggia un’artistica porta in noce massiccio con scolpito, nelle due formelle centrali, il martirio di Santa Caterina. Non da meno è la torre di Battiggio, detta “dei Cani”, costruita in pietre locali squadrate: una caratteristica della Valle Anzasca.

Infine, la miniera d’oro, abbandonata nei primi anni del novecento, nota come la miniera dei Cani insieme a sorgente di acqua minerale, ricca soprattutto di ferro e di arsenico che ha caratteristiche curative e terapeutiche, conosciute fin dal Medioevo.

Ceppo Morelli, minor comune anzaschino

Pur essendo il minor comune della Valle Anzasca, Ceppo Morelli regala al visitatore un certo patrimonio storico e culturale. È impossibile non pensare, per esempio, alla chiesa di San Giovanni Battista che ospita un pulpito risalente al Settecento.

La frazione di Mondelli, invece, è il posto in cui scoprire la cosiddetta Casa degli Specchi, una dimora signorile nella quale le pareti della sala da pranzo sono interamente ricoperte da specchi.

Ceppo Morelli piemonte

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Veduta di Ceppo Morelli
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Chaco Canyon, una delle prime metropoli della storia

Il mondo d’oggi è costellato di metropoli che sono una più intrigante dell’altra, ovvero quelle città che nell’accezione moderna hanno notevoli dimensioni, specie se caratterizzata da una dinamica vita sociale, economica, culturale. Ma quale è stata la prima in assoluto?

Le opinioni degli esperti su questo argomento sono un po’ dibattute. C’è chi ritiene che sia stata Roma antica che superò il milione di abitanti. Ci sono altrettanti studiosi che sostengono che la prima metropoli della storia fu Catalhoyuk, in Turchia, che risale a 9500 anni fa. Poi ci sono gli esperti che invece sono convinti che Alessandria d’Egitto fu la prima metropoli cosmopolita al mondo. E poi ancora dei conoscitori che dichiarano che ad esserlo sia stato Chaco Canyon, nel Nord America, ed è proprio di quest’ultimo che vi vogliamo parlare.

Un po’ di storia su Chaco Canyon

Chaco Canyon è forse il più importante mistero archeologico del Nord America ed ed è legato alla storia degli Anasazi, una civiltà nativa che ha lasciato moltissime tracce prima di scomparire completamente. Oggi è un prestigioso sito archeologico che si trova negli Stati Uniti, e precisamente a Four Corners County, l’unico punto dove si incontrano quattro Stati del Nord America: il New Mexico, l’Arizona, il Colorado e lo Utah.

Attualmente è una zona arida e abbandonata, ma fino circa 800 anni fa era fertile e abitata da questa popolazione che visse tra il VII secolo e la fine del XIII secolo. Anche se a dire la verità vi sono tracce dei loro antenati risalenti al 1500 a.C., ma questa vera e propria civiltà si sviluppò propriamente nel X secolo.

Un’area che, nel 1250, venne in gran parte abbandonata, anche se un recente studio ha stabilito che questa tribù nativa, come successe per i Maya, non sopravvisse alla siccità causata dal riscaldamento globale, finendo per estinguersi. Altrettanti studiosi sostengono che la violenza e la guerra hanno spinto questa popolazione al cannibalismo: sono stati ritrovati corpi smembrati. Insomma, quel che è certo è che l’origine e il declino di questa popolazione è ancora in discussione.

Il Chaco Canyon oggi

Il Chaco Canyon oggi è una raccolta di quasi 3.600 siti archeologici e anche un monumento nazionale americano divenuto poi National Historical Park. Classificato persino patrimonio mondiale dell’UNESCO, è il più importante sito archeologico precolombiano del Messico settentrionale .

Molte delle costruzioni presenti sono allineate secondo i cicli solare e lunare, il che indica un certo grado di avanzamento di questa civiltà per le osservazioni astronomiche e l’architettura. Sfortunatamente, però, i siti culturali sono fragili e il rischio di erosione causato dai turisti ha portato, per esempio, alla chiusura al pubblico di Fajada Butte, una collina che, nonostante non ci sia una fonte d’acqua, conserva rovine di piccole abitazioni rupestri.

I luoghi del Cacho Canyon sono considerati sacri da tempo immemore e si trovano tra il Canyon Centrale, che contiene i più grandi complessi di questo sito, e gli Esterni dove sorgono alcune delle più interessanti Grandi Case.

Le Grandi Case sono degli enormi complessi che rappresentavano il fulcro dello stile architetturale e religioso del popolo. Molti complessi del Chaco Canyon possiedono una media di 200 case ognuno, con punte di 700. Dimore ben progettate e che spesso raggiungevano i quattro o cinque livelli. C’erano poi le strutture religiose, note come kiva, che venivano costruite in proporzione al numero delle abitazioni di un pueblo (termine con cui i primi esploratori spagnoli identificavano lo stile di vita degli Anasazi).

Decisamente interessante è il complesso del Pueblo Bonito (“Bel Villaggio”) che copre quasi 8000 m², include 650 case ed è la più spaziosa delle Grandi Case.

In sostanza, il Chaco Canyon con i suoi enormi edifici e la sua dimensione metropolitana ha attirato per decenni le curiosità della comunità scientifica. Per questo in molti si chiedono come hanno fatto le popolazioni a superare i vari ostacoli naturali e a trasportare i materiali necessari alla costruzione della città. Stando alle recenti rivelazioni di alcuni esperti provenienti dalla Colorado University, avrebbero utilizzato delle ingegnose cinghie legate al cranio.

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Kronborg, il castello che stregato Shakespeare

Di principi, regnanti e cavalieri parlano i castelli e le fortezze, custodi di storie, leggende e segreti che affascinano e suggestionano da sempre. Ce ne sono tantissimi, da visitare e da scoprire nel mondo, e alcuni sono così celebri da essersi trasformati in vere e proprie attrazioni turistiche. Edifici imponenti e maestosi che con le loro torri merlettate, i ponti di attraversamento, gli arredamenti opulenti e le stanze segrete evocano un passato che non si può dimenticare.

E oggi è proprio di un castello che vogliamo parlarvi, di una delle più emblematiche fortezze rinascimentali europee, situata in Danimarca e iscritta nel registro del Patrimonio Mondiale dell’Umanità dell’Unesco dal 2000.

Il nome Kronborg Slot, forse, non vi dirà molto, ma la fama di quello che è successo all’interno del maestoso edificio secoli fa ha raggiunto il mondo intero. Perché questo castello non solo ha stregato William Shakespeare, ma è stato trasformato dal grande scrittore nella dimora di Amleto.

Viaggio in Danimarca sulle orme di Shakespeare

Il nostro viaggio di oggi ci porta in Danimarca, nel Paese scandinavo che da sempre popola le travel wish list dei viaggiatori di tutto il mondo. Le cose da fare e da vedere qui sono tantissime, come perdersi e immergersi nella bellezza della capitale o lasciarsi suggestionare da Odense, la città natale dello scrittore Hans Christian Andersen.

Non ci sono solo le celebri città da visitare però, ma anche i suoi dintorni. Partendo da Copenhagen, e a soli circa 40 chilometri dalla capitale danese, è infatti possibile raggiungere uno dei luoghi più affascinanti dell’intero Paese: il castello di Kronborg.

Situato a Helsingør, l’edificio fu costruito nel 1420 da Eric di Pomerania, ma il suo aspetto attuale risale alla grande ristrutturazione effettuata dall’architetto Anthonis van Obbergen il secolo successivo, su commissione di Federico II di Danimarca, che lo ha trasformato nello splendido castello rinascimentale che oggi possiamo ammirare.

Lo stesso castello, che è diventato una meta imprescindibile per tutte le persone che giungono nel Paese, stregò letteralmente William Shakespeare. Fu proprio in questo che il drammaturgo e poeta inglese scelse di ambientare il suo più celebre dramma, quello dell’Amleto.

La residenza di Amleto

Che siate affascinati dalle opere di William Shakespeare o siete in cerca di esperienze uniche e iconiche in Danimarca, non potete rinunciare a una visita al castello di Kronborg per rivivere le suggestioni del dramma shakespeariano in quella che è conosciuta nel mondo come la residenza di Amleto.

L’edificio è un vero e proprio gioiello rinascimentale tutto da scoprire, nei suoi esterni così come nei suoi interni. Grazie alle visite guidate, infatti, è possibile esplorare le stanze, le cripte e le catacombe. Proprio qui, nelle viscere del castello, potrete scoprire la grande statua in pietra di Ogier, il protettore della Danimarca, alla quale è legata una suggestiva leggenda. Secondo la tradizione il guerriero si risveglierà per proteggere il Paese in caso di pericoli.

Non è tutto, però, perché all’interno del castello ogni estate vengono portate in scena, da attori e compagnie teatrali, le opere più famose del poeta e drammaturgo inglese. Ed è allora che è possibile immergersi totalmente nel fascino della letteratura shakespeariana.

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Alderney, una perla tra le isole del Canale della Manica

Perla tra le Isole del Canale (Channel Islands), situata a nord dell’arcipelago, Alderney è uno di quei paradisi ancora non intaccato dal turismo di massa. Una meta per vacanze all’insegna del vero relax. La si raggiunge con un volo di 15 minuti da Guernsey, oppure via mare con il traghetto, che si può prendere anche da Port Diélette, in Francia. Che vogliate passeggiare per le strade acciottolate della città di St Anne, noleggiare una bicicletta o esplorare l’isola in barca, c’è molto da scoprire, tra numerosi siti storici, la ricca fauna selvatica, piccoli villaggi e, naturalmente, incantevoli spiagge lambite da acqua cristallina.

Alderney, tra storia e natura incontaminata

Le Isole del Canale, note anche come Isole Normanne, sono politicamente divise tra i baliati di Guernsey e di Jersey, entrambe dipendenze della Corona britannica, pur non essendo parte del Regno Unito. Quelle abitate sono Jersey, tra le più belle d’Europa, Guernsey, Alderney, Sark, Herm, Jethou, Brecqhou e Lihou. Esiste, inoltre, la piccola isola abitata di Chausey, a sud di Jersey, che appartiene alla Francia ed è ancora meno conosciuta.

Si può ripercorrere la storia dell’isola di Alderney, terza per dimensioni tra le Isole del Canale, presso l’interessante Alderney Museum. Costruito nel 1790, questo bellissimo edificio antico, un tempo scuola dell’isola, è ricco di storia e fascino locale. Il museo, vincitore di numerosi premi, illustra la storia dell’isola, dall’età del ferro ai giorni nostri, e ospita conferenze e mostre affascinanti, tra cui un’ampia esposizione del relitto elisabettiano di Alderney e la recente scoperta di resti Romani.

Alderney è anche uno dei luoghi ideali delle Channel Islands per gli amanti della fauna selvatica. I suoi diversi habitat spaziano dalle praterie costiere alle foreste di alghe kelp subtidali, attirando uccelli marini, delfini, pipistrelli e il raro esemplare di riccio ‘biondo’. Visitatela in primavera e in estate per vedere le colonie di pulcinella di mare e di sule che prosperano in queste stagioni.

Le incantevoli spiagge di Alderney

Le spiagge dorate di Alderney sono l’ideale per una giornata di relax, bagni in mare o sport acquatici. La più popolare dell’isola è Braye Beach, a pochi minuti dalla città di St Anne e dal porto. Le acque limpide e calme, riparate dal frangiflutti, sono sicure per remare o nuotare. I numerosi servizi disponibili a pochi passi la rendono un’ottima scelta anche per le famiglie. Ci sono, poi, i ristoranti su Braye Road, accessibili dal lato della spiaggia appena oltre le dune di sabbia, per godersi un lungo pranzo con una vista mozzafiato. Questa spiaggia è, inoltre, sede di molti eventi durante l’estate, tra cui la popolare e molto competitiva gara di castelli di sabbia e la gara di zattere che si tiene ogni agosto.

Arch è, invece, la spiaggia più piccola, riparata, appartata e tranquilla dell’isola. Da qui si può godere di una vista spettacolare su due fortezze vittoriane, Château â L’Etoc a sinistra e Fort Corblets a destra, e sul fantastico faro. Con la bassa marea, si può raggiungere la baia di Corblets, camminando attraverso le rocce fino al litorale adiacente.

La spiaggia di Saye, accanto al campeggio sulla costa nord-orientale di Alderney, attrae persone di tutte le età con le sue splendide dune di sabbia bianca, riparate da promontori rocciosi ai lati, che scendono dolcemente nelle acque azzurre e cristalline, perfette per nuotare. Anche in piena estate è spesso possibile godere di un’intera spiaggia tutta per sé, o al massimo condividerla con i cacciatori di ostriche o con la foca grigia.

Sulla costa sud-orientale dell’isola, la spiaggia di Longis è la più accessibile di tutte, e vanta la più lunga striscia di sabbia di Alderney. La baia ha una pendenza dolce, che la rende ideale per godersi un bagno in acque limpidissime, o fare kayak. Con la bassa marea è davvero impressionante, perché si può camminare per chilometri ed esplorare le piscine rocciose.

Vi conquisterà, infine, la baia di Clonque, che si affaccia a ovest verso l’area designata sito Ramsar, poiché comprende una serie di ecosistemi marini diversi, e verso l’isola di Burhou. Costituita da un’ampia zona rocciosa che si estende verso il mare e alcune aree sabbiose durante la bassa marea, è uno dei luoghi preferiti dagli isolani per godersi il tramonto. È dominata dall’imponente Fort Clonque, dove oggi si può vivere l’esperienza di soggiornare in un’antica fortezza.