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Deserto di Chihuahua: da vedere almeno una volta nella vita

Con la sua superficie di circa 362.000 chilometri quadrati e il titolo di “terzo deserto più esteso dell’emisfero occidentale”, il Deserto di Chihuahua è uno di quei posti che vale assolutamente la pena vedere almeno una volta nella vita. Il paesaggio che ci si ritrova davanti per molti non ha niente di famigliare, tanto che potrebbe venire facile pensare che possa addirittura far parte di un altro pianeta.

Dove si trova il Deserto di Chihuahua

Il Deserto di Chihuahua è piuttosto distante dal nostro Paese: occupa parte del Messico e degli Stati Uniti. Per la precisione, conquista grandi zone del Texas occidentale, parti di Nuovo Messico meridionale, dell’Arizona sud-orientale, nonché la zona centrale e settentrionale dell’altopiano messicano.

Ad ovest è incorniciato dalla vasta catena della Sierra Madre Occidentale, mentre ad est a svettare è il settore settentrionale della Sierra Madre Orientale.

Oltre a essere un deserto, è anche un’ecoregione definita dal WWF, vale a dire una “unità relativamente grande di terra o acqua contenente un assemblaggio distinto di specie e comunità naturali, con confini che approssimano l’estensione originale delle comunità naturali prima di importanti cambiamenti nell’uso della terra”.

Cosa aspettarsi dalla visita

Viste le sue pressoché infinite dimensioni, è chiaro che in un posto come questo è facile scovare più ambienti e completamente diversi tra loro. Come vi abbiamo accennato in precedenza, qui svettano enormi catene montuose che incantano con i loro profili. Ne sono degli esempi la Sierra Madre, la Sierra del Carmen, la Sierra de los Órganos e molto altro ancora.

Delle imponenti cime che riescono a dare vita a vere e proprie “isole” dove il clima è più fresco e più umido, tanto che vi si sviluppano aree boschive di conifere e di latifoglie, così come folte foreste lungo il corso dei fiumi.

Da queste parti è facile notare “mazzi” di creosote (Larrea tridentata), la specie vegetale predominante nelle aree caratterizzate da suolo ghiaioso, e occasionalmente sabbioso, delle vallate.

A farsi apprezzare sono anche l’Acacia neovernicosa e la Flourensia cernua che invece sono le regine del settore settentrionale dell’ecoregione, mentre lo Psorothamnus scoparius è la specie più facile da incontrare sui suoli sabbiosi occidentali. Non mancano specie appartenenti ai generi Yucca e Opuntia, in particolare sui margini delle colline pedemontane e nella parte centrale, così come i tipici cactus Echinocereus polyacanthus e Ferocactus pilosus in prossimità del confine tra Stati Uniti e Messico.

Un pullulare di vegetazione di tutti i tipi che non si limita di certo a quello di cui vi abbiamo parlato. Tra le piante più curiose, per esempio, c’è il peyote (Lophorra Williamsii), un cactus assai famoso per i suoi effetti allucinogeni, ma che non può assolutamente essere consumato nella stragrande maggioranza degli Stati.

In fatto di fauna, il Deserto di Chihuahua permette di scovare specie che si spostano su grandi distanze, come l’antilocapra (Antilocapra americana), il cervo mulo (Odocoileus hemionus), la volpe grigia (Urocyon cinereoargenteus), il giaguaro (Panthera onca) e molto altro ancora.

Mentre a volare nei cieli ci sono uccelli come il corridore della strada (Geococcyx californianus), il mimo beccocurvo (Toxostoma curvirostre), la quaglia squamata (Callipepla squamata), l’oriolo di Scott (Icterus parisorum) e tanto altro.

Non mancano lucertole endemiche, spaventosi serpenti e una grande varietà di insetti.

Informazioni utili

È possibile visitare una parte del Deserto di Chihuahua partecipando a dei tour organizzati. Il consiglio però è di portare un grande rispetto per il territorio che si sta attraversando: secondo il WWF, quello di Chihuahua è il deserto che presenta la maggiore biodiversità sia per ricchezza di specie che per endemismi.

Sfortunatamente la regione non è più quella di una volta a causa, soprattutto, del sovrapascolo e delle interferenze umane. Vi basti sapere che molte erbe e altre specie native sono state sostituite con specie di alto fusto, come il creosote e il mesquite. Per non parlare del lupo messicano, un tempo numeroso, che al giorno d’oggi è purtroppo scomparso del tutto da questo angolo di mondo.

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Nel deserto californiano è nato un nuovo Paese: lo ha fondato un dj

Chi non ha mai sognato di vivere in un paese creato su misura per sé, dove le leggi e le tradizioni si adattano perfettamente alle proprie esigenze? Un luogo magico in cui i semafori sono sempre verdi, la pizza non fa ingrassare e i vicini di casa non danno mai fastidio. Beh, sognare è bello, ma è difficile trasformare i sogni in realtà.

Tuttavia, c’è qualcuno che ha deciso di sfidare lo status quo e creare un paese ad hoc: il DJ radiofonico Randy Williams e la sua Repubblica di Slowjamastan.

Lo aveva annunciato già da tempo, ma nessuno lo aveva preso sul serio. Invece, Randy ha acquistato ben 4,47 ettari di terreno, appena fuori dalla California State Route 78, e ha fondato una nazione completamente nuova, che prende il nome dal suo programma radiofonico.

Randy Williams, da Dj a sultano di Slowjamastan

Ma chi è Randy Williams, chiederete? È l’audace visionario che ha deciso che il deserto della California avesse bisogno di un suo personalissimo tocco.

Dopo essersi auto-insediato come Sultano di una nazione nel deserto, conta di dichiarare l’indipendenza dagli Stati Uniti.

Attualmente, sul sito web ufficiale, si contano già circa 500 cittadini registrati, mentre altri 4.500 sono “in attesa di passaporto”. Se stai pensando anche tu di chiedere la cittadinanza a Slowjamastan, è importante che tu conosca alcune delle regole particolari che caratterizzano questo Paese.

Tra le più singolari c’è il divieto assoluto di indossare le Crocs, l’obbligo di astenersi dall’ascoltare o produrre musica rap e non è permesso mettere i piedi sul cruscotto della macchina.

Inoltre, la sua riserva aurea è composta interamente da biscotti al cioccolato, un dettaglio che conferma la stravaganza di quest’iniziativa.

I Progetti Futuri di Slowjamastan

Il Sultano Randy Williams ha in mente una serie di progetti per migliorare la vita dei suoi cittadini. Perché accontentarsi della normalità quando si può puntare all’eccezionale?

Primo fra tutti un corso d’acqua ispirato ai parchi acquatici per portare allegria e refrigerio in quelle calde giornate nel deserto. Inoltre, Randy ha pensato che un allevamento di armadilli potrebbe essere un’ottima aggiunta al panorama di Slowjamastan, che contribuirebbero ad arricchire la biodiversità del Paese. E ammettiamolo, chi non vorrebbe avere un armadillo come vicino di casa?

Infine, il Sultano vorrebbe erigere una statua gigante del “Grande Leader”, ovvero di sé stesso come simbolo del fondatore di Slowjamastan e del suo ruolo nella creazione e nello sviluppo di questa nazione unica e originale.

Nel frattempo, sta cercando di creare relazioni diplomatiche con altri Stati in quanto la Convenzione di Montevideo del 1933, stabilisce alcuni criteri fondamentali affinché un Paese possa essere dichiarato come nazione ufficiale. Secondo questo trattato, un Paese deve soddisfare quattro requisiti: una popolazione permanente, un territorio definito, un governo e la capacità di negoziare e collaborare con altre nazioni su questioni di interesse comune.

Randy Williams è convinto che tutti gli aspetti siano fattibili. Tuttavia, l’ostacolo principale rimane l’ottenimento del territorio dal governo statunitense.

Al momento, però, tutti i tentativi di contattare il Presidente Biden per discutere la questione non hanno ricevuto alcuna risposta.

Dopo aver proclamato l’indipendenza di Slowjamastan e stabilito il suo ufficio principale nella sontuosa Dubai, possiamo solo immaginare quali altre sorprese ci riserverà il Sultano Randy nel futuro.

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Antichi insediamenti emergono dal deserto: la scoperta inattesa

Una scoperta sensazionale avvenuta per caso. Studiando alcune immagini satellitari provenienti da Google Earth, un ricercatore si è trovato dinanzi qualcosa di inatteso e sorprendente: tre antichi insediamenti romani, di cui nessuno era a conoscenza, celati tra le sabbie del deserto della Giordania.

Ecco cosa sappiamo finora.

La scoperta inaspettata emerge dal deserto

Michael Fradley, archeologo dell’Università di Oxford, mentre era impegnato nel progetto “Endangered Archaeology in the Middle East and North Africa” finalizzato a individuare e studiare a fondo i siti archeologici del Medio Oriente, si è imbattuto in una scoperta che non poteva aspettarsi.

Infatti, nell’esaminare le fotografie del deserto che si trova tra la Giordania e l’Arabia Saudita, il suo sguardo è caduto su una forma alquanto bizzarra: una sorta di “carta da gioco”, un “rettangolo” con gli angoli smussati dalla tipica forma degli accampamenti militari dei Romani.

Proseguendo nell’attenta analisi delle immagini, Fradley in poche ore ne ha rinvenuti altri due.

Si tratta di una scoperta unica poiché, fino a quel momento, tutti ne ignoravano l’esistenza. E, se è vero che sono molteplici le tracce di insediamenti romani disseminati in Europa, in Medio Oriente finora ne sono stati rinvenuti davvero pochi.

Collocati in una zona poco esplorata del deserto, gli accampamenti appena ritrovati non presentano tracce di altri edifici oppure mura: ciò che rimane sono soltanto i contorni dei campi militari, solcati da impronte di pneumatici a indicare il passaggio recente di persone che, tuttavia, non sono scienziati.

Infatti, nessun esperto ha finora visitato personalmente i siti custoditi dalla sabbia.

Il significato degli insediamenti della Giordania

Tale nuova scoperta, come tutte, può svelare molte informazioni utili che gli archeologi utilizzeranno per ricostruire un ulteriore tassello della storia romana in Medio Oriente.

Secondo le prime ipotesi, gli insediamenti rinvenuti risalirebbero al 160 d.C. e avrebbero un collegamento con la conquista romana del Regno dei Nabatei.

Con ogni probabilità i campi, perfettamente conservati e con ingressi opposti su ogni lato, vennero costruiti come stazioni temporanee di cui servirsi durante una campagna segreta nel deserto.

Se ciò fosse vero, andrebbe a riscrivere le attuali conoscenze su una vicenda che, finora, non presentava misteri: gli esperti hanno sempre pensato che il regno nabateo (sviluppatosi nell’attuale Giordania con capitale l’antica città di Petra) fosse passato in maniera pacifica sotto il dominio dei Romani alla morte del proprio re.

Tuttavia, il ritrovamento degli accampamenti militari fa ipotizzare che, in realtà, il passaggio non fu così “indolore”: ed è questa la teoria che Michael Fradley ha presentato nel suo studio pubblicato da Antiquity.

Ovviamente, molte domande sono tuttora senza risposta. Gli archeologi, infatti, sono rimasti stupiti dalla distanza tra i campi, compresa tra i 37 e i 44 chilometri: un tragitto troppo lungo per essere percorso dalla fanteria in un giorno soltanto.

Ciò, quindi, può suggerire che gli accampamenti siano stati ideati da un’unità di cavalleria che avrebbe potuto affrontare la distanza in poche ore grazie ai cammelli.

Per rispondere a questo e ad altri quesiti, gli archeologi hanno in programma di effettuare un sopralluogo nel deserto per ricercare ulteriori reperti che possano aiutare a fare chiarezza sull’importanza della nuova scoperta.

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Il miracolo della natura che fiorisce nel deserto più arido del mondo

Esistono alcuni luoghi nel mondo che sono così belli da non sembrare veri. Paesaggi che, con le loro forme, i lineamenti e i colori sembrano usciti dai più celebri libri di fiabe. E invece sono reali e straordinari, portano la firma di Madre Natura. È proprio lei che, come un abile pittore, dipinge in maniera sublime il mondo che abitiamo, trasformandolo nel palcoscenico di spettacoli mozzafiato che non si possono descrivere, ma solo vivere.

Indescrivibile, infatti, è la bellezza della fioritura nel deserto più arido del mondo. Proprio qui, in una delle zone più selvagge e inospitali del pianeta, ogni 3 o 4 anni accade un miracolo, e il territorio si tinge d’incanto.

Il miracolo di Atacama: quando fiorisce il deserto

Per ammirare quello che è il più grande e strabiliante show della natura, e toccarlo con mano, dobbiamo volare nel deserto di Atacama, nella zona costiera nord occidentale del Cile.

L’area, che si estende per circa 1600 chilometri, è considerata tra le più aride e inospitali della terra, motivo per il quale la fauna del territorio è limitata a pochissimi esemplari. Non c’è molto da fare o da vedere qui, se non perdersi e immergersi in panorami sconfinati e solitari che si estendono fino all’orizzonte a ogni ora del giorno e della notte.

Eppure è proprio qui, in questo paesaggio arido e desolato, che ogni 3 o 4 anni succede qualcosa di straordinario, un vero e proprio miracolo che lascia senza fiato. Quando, infatti, le precipitazioni superano i 15 mm le condizioni permettono alla natura di esplodere in tutta la sua bellezza.

Milioni di fiori colorati, caratterizzati da diverse e cangianti sfumature, trasformano il deserto in un tappeto multicolor che si perde all’orizzonte, e che incanta la vista e stordisce i sensi. Lo spettacolo è davvero unico.

Un tappeto di fiori colorati sboccia nel deserto più arido del mondo

Fonte: iStock

Un tappeto di fiori colorati sboccia nel deserto più arido del mondo

Quando ammirare il “Desierto florido”

La fioritura nel deserto, dicevamo, è tanto rara quanto affascinante e si verifica ogni 3 o 4 anni, o comunque quando ci sono le condizioni ottimali per permettere alle specie endemiche di sbocciare. Le zone più suggestive, quelle che presentano fioriture rigogliose e inaspettate, sono soprattutto quelle che coinvolgono le province Huasco e Freirina.

Il fenomeno, che è stato ribattezzato “desierto florido”, ha fatto sì che la zona si trasformasse in una vera e propria attrazione turistica che richiama viaggiatori, fotografi e amanti della natura. Come abbiamo detto però, per ammirare lo show è necessario che si verifichino determinate circostanze meteorologiche come il surriscaldamento delle correnti marine e l’aumento delle precipitazioni.

Sono tanti gli esemplari che qui trovano la vita quando questi due fenomeni si verificano. Si stima, infatti, che siano almeno 200 le specie endemiche a fiorire. La più grande fioritura di sempre si è verificata nel 2015 tra Caldera e Huasco. In quell’occasione, infatti, il mondo intero ha assistito a un fenomeno unico ed eccezionale, una doppia fioritura sbocciata in primavera e in autunno.

Il periodo migliore per avvistare questo miracolo della natura, invece, è quello che precede l’autunno. Le prime settimane di settembre, infatti, vedono la fioritura nel suo picco massimo. A volte, però, l’esplosione è così potente e intensa, che i fiori continuano a colorare il deserto anche fino al mese di dicembre.

Il miracolo del deserto fiorito, Atacama

Fonte: iStock

Il miracolo del deserto fiorito, Atacama
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I fiori sbocciano nel deserto: il miracolo della natura è iniziato

È magico, straordinario e mozzafiato: è lo spettacolo che Madre Natura, con il suo risveglio, sta portando in scena in questi giorni in tutto il mondo. Con l’arrivo di marzo, e della primavera, le città, i quartieri e le destinazioni che conosciamo si stanno tingendo di meraviglia, tutto merito delle fioriture straordinarie che incantano la vista e inebriano i sensi.

È questo il momento migliore per organizzare un viaggio intorno al globo, per andare alla scoperta dei colori e dei profumi dei fiori che stanno colorando il pianeta. Tulipani, mimose, narcisi, papaveri e alberi di ciliegi, gli show naturali sono tantissimi e tutti sono destinati a incantare.

Ma se è un miracolo della natura che volete toccare con mano questa primavera, allora, il consiglio è quello di raggiungere la California. Proprio qui, infatti in un’area desertica e sconfinata, i fiori selvatici stanno sbocciando. Il paesaggio è un sogno a occhi aperti.

Raggiungere la California in primavera

Organizzare un viaggio in primavera è sempre un’ottima idea. È questo il periodo in cui possiamo andare alla scoperta di tutti quei luoghi che, in occasione dell’arrivo della bella stagione, indossano il loro abito più bello, quello cucito per loro da Madre Natura.

Non è un caso che le grandi fioriture si siano trasformate in vere e proprie attrazioni turistiche il cui richiamo smuove ogni anno viaggiatori provenienti da ogni dove. Ne sono un esempio quella dei tulipani, che colorano l’Olanda, o quella dei ciliegi che invita a praticare l’Hanami.

Oltre a queste, però, ci sono altre fioriture che forse sono meno conosciute, ma non per questo altrettanto straordinarie. E oggi è proprio di una di queste che vogliamo parlarvi, un tripudio di colori che illumina un’area desertica nel sud della California.

Per ammirarla da vicino dobbiamo raggiungere il Parco Statale del deserto di Anza-Borrego, un’area desertica immensa situata nella parte meridionale del Paese. Su un terreno di oltre 200000 ettari, che rende il parco il più grande della California, si snodano paesaggi meravigliosi dove si alternano palme, calanchi, canyon e colline.

È un luogo bellissimo, Anza-Borrego, in ogni periodo dell’anno e in tutte le stagioni. Tuttavia è in primavera che è possibile assistere a uno spettacolo unico e mozzafiato: l’esplosione magica e incantata dei fiori selvatici nel deserto.

I fiori selvatici nel deserto di Anza-Borrego

Fonte: iStock

I fiori selvatici nel deserto di Anza-Borrego

I fiori selvatici tingono il deserto: lo show è imperdibile

Se avete in mente di organizzare un viaggio in California in primavera, non potete non inserire nel vostro itinerario di viaggio anche una visita al deserto di Anza-Borrego. In questo periodo, infatti, i fiori selvatici stanno esplodendo in tutta la loro bellezza, tingendo di meraviglia l’intera area e creando un paesaggio incantato che sembra uscito da un sogno.

Un tripudio di colori, che vanno dal viola al giallo, passando per il rosa e il bianco, ha interamente ricoperto le distese sconfinate di deserto che si perdono all’orizzonte e che si sono trasformate nel palcoscenico di uno spettacolo mozzafiato.

A tenere traccia delle fioriture, e a mapparle tutte, ci pensa la Fondazione Anza-Borrego, che ogni anno mette a disposizione dei visitatori tutti gli aggiornamenti relativi ai fiori selvatici, consigliando il periodo migliore per avvistarli e i luoghi da raggiungere.

California: la fioritura nel deserto

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California: la fioritura nel deserto
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Giordania, il meraviglioso Jordan Bike Trail che passa attraverso il deserto

L’avreste mai detto che la Giordania è una delle migliori destinazioni per trascorrere le vacanze in bicicletta? Eppure è così e lo è soprattutto grazie al Jordan Bike Trail, un itinerario di 730 chilometri con conduce alla scoperta del Paese, da Nord a Sud, in 12 macro tappe, tra rovine archeologiche di immenso valore, riserve naturali e villaggi ospitali.

Cosa aspettarsi dal Jordan Bike Trail

Il Jordan Bike Trail permette di avventurarsi lungo sentieri rocciosi e attraversare deserti di sabbia rossa. Il tutto mentre si è accompagnati dall’ospitalità e la cucina beduina, accampandosi nelle aspre montagne abitate da pastori e dai loro greggi, o utilizzando uno dei tanti alberghi presenti.

Con un dislivello di 20.000 metri e suddiviso in 12 magiche tappe, attraversa da Nord a Sud l’intero territorio giordano mentre corre sul crinale dei monti che hanno visto millenni di storia, con luoghi famosi per il Cristianesimo e per le popolazioni che hanno solcato questo territorio.

In sostanza si passa in mezzo ad aree con magnifici resti romani incorniciati dalla natura, intere città riportate alla luce e antichi castelli medievali edificati durante le Crociate, fino alla più che meravigliosa città nabatea di Petra.

Se vi state chiedendo se si può affrontare in autonomia la risposta è sì: la Giordania, oltre a essere un Paese sicuro, è anche abitato da popolazioni nomadi molto ospitali.

Le tappe sono divise in tre grandi aree, ognuna delle quali prevede alcuni stop essendo lunghe diversi chilometri: la regione settentrionale, quella centrale e quella meridionale, ognuna con quattro diversi possibili itinerari.

 Jordan Bike Trail intinerario

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Un angolo del Jordan Bike Trail

L’incredibile itinerario

Se il vostro obiettivo è visitare i più famosi siti turistici della Giordania, la regione meridionale è la più caratteristica e sicuramente la più turistica. È quella che arriva a Petra, la città rosa, che attraversa il deserto del Wadi Rum per terminare sul Mar Rosso giordano ad Aqaba.

Selvaggio e avventuroso è l’itinerario del Nord, quello che va da Um Qais a Madaba, che passa tra deserti di roccia, costeggia corsi d’acqua e attraversa wadi e montagne.

Il percorso del Centro della Giordania parte da Madaba e arriva a Shobak, con tappe nelle antiche cittadelle e tra le rovine di castelli.

Itinerario Nord

L’itinerario che attraversa il Nord inizia dai resti della città di Gadara (oggi Um Qais) per poi regalare una tonificante discesa verso la diga di Al Arab. Cominciano subito dopo una serie di strade asfaltate e sterrate in cui ammirare villaggi più piccoli, prima di un’ulteriore lunga discesa verso la Valle del Giordano che è anche il punto più basso del viaggio. Da lì si risale a Pella con i resti di un’altra città della Decapoli per poi percorrere un lunga e lenta salita verso Kufr Rakeb, uno dei cinque distretti metropolitani che compongono il comune di Barqash.

Lasciando Kufr Rakeb si ha la possibilità di salire e scendere tra le famose foreste di querce del nord della Giordania. Qui si può ammirare il castello di Ajloun, una fortezza musulmana del XII secolo, per poi pedalare su una lunga discesa prima di risalire fino ad Anjara. Dopo Anjara direzione Khirbet as-Souq, su un terreno boscoso e ondulato.

castello di Ajloun jordan bike trail

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Il castello di Ajloun

Il percorso continua e arriva sino al Wadi Zarqa, un punto da dove godere di viste impressionanti. Inizia poi una lunga scalata fuori dal canyon: un tratto particolarmente impegnativo durante le giornate calde. Di seguito si scende in un’altra valle per risalire a Rumeimeen, dove sorge una cascata in cui dedicarsi a un po’ di relax, per poi proseguire fino a Fuheis.

A Fuheis prende vita praticamente un altro viaggio: vi lascerete alle spalle le rigogliose foreste del Nord per andare verso una zona più arida, pedalando lungo il bordo della Valle del Giordano. L’arrivo è a Madaba.

Itinerario Centrale

L’itinerario centrale parte da Madaba e permette di attraversare due dei principali wadi della Giordania centrale: Wadi Zarqa-Ma’in e Wadi Hidan. In quest’ultimo vale la pena prendersi un momento per fermarsi e godersi il ​​panorama visibile durante la discesa, ma anche per rilassarsi sotto la piacevole ombra offerta dai diversi alberi presenti. Anche perché, subito dopo, si deve affrontate una lunga salita che conduce a Dhiban.

Il percorso procede, e forse con il tratto più complesso di tutti: bisogna salire ben oltre 1000 metri per raggiungere il bordo opposto del canyon. Il panorama, però, è davvero unico al mondo, così come la serie di piccoli villaggi che caratterizzano la zona. Infine, da Rakin una discesa tecnica, seguita da un’ulteriore salita, scorta nella valle sotto Karak.

Karak vi regalerà altrettanti panorami impressionanti per poi proseguire per alcuni chilometri di strada sterrata attraverso piccoli villaggi giordani e tende di pastori sulla strada per Wad Hasa, l’ultimo dei principali wadi visibili durante questo tratto di Jordan Bike Trail.

Karak giordania

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La vista da Karak

L’Itinerario Centrale giunge poi al suo termine seguendo una pittoresca strada sterrata lungo il bordo del canyon, prima di superare Busayra fino a Dana. A Dana potrete emozionarvi con ampie vedute del Wadi Feynan e poi proseguire su un’altra bellissima valle fino a Shobak e al suo storico castello.

Itinerario Sud

L’itinerario in 12 tappe prosegue verso Sud poiché da Shobak si dovrà pedalare su una strada sterrata lungo la Valle Araba con alcune delle viste più spettacolari dell’intero percorso. Alla fine si salirà sulla King’s Highway e, dopo un’altra breve salita, si raggiungerà il punto più alto del sentiero, poco meno di 1700 metri. In discesa poi verso Little Petra e Petra, con viste meravigliose dei siti.

Da Petra una serie di salite, discese e strade sterrate condurranno in un’ampia area desertica fino ad Abbasiya.

La penultima tappa farà tirare un respiro di sollievo: le impervie salite sono ormai un lontano ricordo. Ma attenzione, rimane da affrontare la sabbia del deserto con i suoi contrafforti di arenaria: il Wadi Rum si comincia a vedere in lontananza, ma bisogna ancora avvicinarsi a Quwayrah e alla Desert Highway. Da lì si arriverà finalmente al deserto monumentale giordano dove organizzare un soggiorno in una tenda beduina.

Wadi Rum giordania

Fonte: iStock

Soggiornare nel Wadi Rum

Per ultimo, dalle infinità del deserto a un tratto complesso che conduce a Titen, un villaggio che un tempo apparteneva all’Arabia Saudita. Da questo momento in poi tutto sarà in discesa fino ad Aqaba, costeggiando le meraviglie del Mar Rosso.

Informazioni utili

Ogni tappa del Jordan Bike Trail fornisce informazioni sulle difficoltà dei percorsi, le distanze e il tempo medio di percorrenza, con mappe, file GPX per l’orientamento, dati altimetrici, luoghi di ristoro e per pernottare, trasporti, dove noleggiare le biciclette, la descrizione dei luoghi di maggior interesse che s’incontrano lungo il percorso e suggerimenti vari.

L’organizzazione del Jordan Bike Trail si propone anche di consigliare itinerari alternativi per quei ciclisti che non hanno molto tempo a disposizione per completare i vari percorsi e di fornire le principali informazioni sulla pianificazione del viaggio prima di partire.

È bene sapere, però, che è altamente sconsigliato andare da Sud verso Nord perché il tragitto è stato appositamente esplorato e progettato per essere percorso al contrario. Questo vuol dire che i tratti in salita sono su strada, mentre quelli in discesa o pianeggianti sono su sterrato/fuoristrada ove possibile. Inoltre, non si può entrare nel Wadi Rum provenendo da Aqaba.

Non resta che percorrere questo affascinante Paese a bordo di una bicicletta per scoprirne le sue sfaccettature più autentiche.

jordan-bike-trail

Fonte: @Jordan Bike Trail

Jordan Bike Trail
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Un miraggio nel deserto: dormire tra le dune più alte del mondo

Esistono luoghi che sono così belli da non sembrare veri. Posti plasmati sapientemente da Madre Natura che hanno assunto forme, lineamenti e colori che sembrano usciti da un sogno, ma che sono ancora più belli perché reali.

E questo è il caso deserto rosso in Namibia, una distesa di sabbia infuocata che brilla sotto i raggi del sole e che crea un paesaggio mozzafiato dove dominano imponenti dune che svettano verso il cielo, fino a sfiorarlo.

Ci troviamo a Sossusvlei, uno dei luoghi simbolo della Namibia, nonché il deserto più fotografato e raggiunto dai viaggiatori di tutto il mondo. Proprio qui, dove la natura domina aspra e selvaggia, è possibile vivere un’esperienza unica al mondo, quella di dormire tra le dune più alte del pianeta.

Namibia: il deserto che diventa magia

Situato nel cuore del Parco nazionale di Namib-Naukluft, l’area di Sossusvlei è una meta imprescindibile per tutti i viaggiatori che raggiungono la Namibia. Il motivo è facilmente intuibile: dall’alba al tramonto il deserto si trasforma nel palcoscenico di uno spettacolo che lascia senza fiato, un gioco di luci e o ombre che illumina la distesa dorata infinita e sterminata e che tinge tutto di oro e di rosso.

Assolute protagoniste di questa visione incantata sono le dune dai colori intensi, che virano dal rosa all’arancione, passando per il rosso. Le caratteristiche nuance di queste montagne sabbiose, sono dovute alla composizione ferrosa del terreno e alla sua ossidazione. Ma non sono solo i colori a incantare, ma anche le altezze che sono mozzafiato.

A Sossusvlei, infatti, è possibile ammirare quelle che sono le dune più alte del mondo che hanno un’altezza che supera i 200 metri. E poi c’è lei, la Big Daddy, che con i suoi 380 metri d’altezza si è guadagnata il primato assoluto di duna più alta del pianeta.

Un luogo magico, questo, in cui vivere quello che possiamo definire il viaggio della vita. Ma non è tutto perché, oltre a camminare tra le maestose dune, e ammirare gli splendidi tramonti infuocati che si perdono all’orizzonte, è possibile anche dormire qui, in un resort in mezzo al deserto che si apre davanti agli occhi dei viaggiatori come un miraggio.

Un miraggio in mezzo al deserto: dormire tra le dune più alte del mondo

Proprio a Sossusvlei, immersa nel deserto più bello e famoso della Namibia, si staglia nel paesaggio solitario Le Mirage Desert Lodge & Spa. Il nome scelto per la struttura ricettiva non è un caso e, al contrario, è un preludio all’esperienza che si andrà a vivere: un miraggio in mezzo al deserto, una vera e propria oasi di infinita bellezza che permette agli avventurieri di vivere l’esperienza più straordinaria di sempre.

Situato a circa 21 chilometri dall’accesso Sesriem a Sossusvlei, il lodge assume le forme e i lineamenti di una fiaba nel deserto. Una struttura unica, e completamente immersa nel deserto della Namibia, che si configura come il luogo ideale per chi vuole raggiungere e ammirare le dune più alte del mondo.

Considerata una delle strutture più uniche e caratteristiche della zona di Sossusvlei, Le Mirage Desert Lodge & Spa offre ai viaggiatori tutta una serie di servizi e comfort da hotel a 5 stelle. Ma il vero lusso, s’intende, è quello che si vive affacciandosi alla finestra dei propri alloggi, proprio lì dove è possibile perdersi con lo sguardo in uno dei deserti più mozzafiato del mondo intero.

Le Mirage Desert Lodge & Spa

Fonte: 123rf/PhotoFra

Le Mirage Desert Lodge & Spa
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In questo hotel, immerso nel deserto, puoi dormire tra le stelle

Chiudete gli occhi e provate a immaginare una distesa sconfinata di sabbia dorata che si perde all’orizzonte. Brilla al sole di giorno e sfavilla di sera, quando le stelle fanno capolino nel cielo illuminando di meraviglia le notti più buie di sempre.

Ora aprite gli occhi perché quel sogno che vi abbiamo descritto è realtà nei pressi di Zhongwei, nella regione autonoma di Ningxia Hui. Proprio qui, infatti, è stato costruito un hotel immerso nel vicino deserto del Tengger, proprio lì dove si aprono scenari selvaggi e solitari.

Sempre qui, in questa distesa di infinita bellezza, è possibile dormire tra stelle circondate da pianeti e immerse in un cielo di sabbia dorata. Noi non abbiamo dubbi: il Desert Star Hotel è l’alloggio più suggestivo del mondo dove vivere un’esperienza da sogno.

Un’esperienza sfavillante nel deserto del Tengger

Il nostro viaggio di oggi ci spinge a raggiungere e a esplorare territori lontani e bellissimi, quelli che caratterizzano il deserto del Tengger.

Situato nella Cina centro settentrionale, sull’Alashan Plain, questo è uno dei deserti più grandi del Paese per estensione, il quarto in particolare. Circondato dalla catena montuosa del Qilian Shan da una parte, e confinante con il deserto del Gobi dall’altra, la distesa del Tengger è incorniciata a sud e a est dalla Grande Muraglia cinese.

I motivi per raggiungere questa distesa desertica, che si snoda per oltre 40000 chilometri quadrati, sono tanti. A partire da quei paesaggi sconfinati e meravigliosi che si perdono a vista d’occhio e che sono così belli da non sembrare reali.

Ma arrivare fin qui vuol dire anche darsi l’opportunità di dormire all’interno di quello che è, con tutta probabilità, uno degli hotel più belli del mondo: il Desert Star Hotel.

La guest room nel deserto

Fonte: Getty Images

La guest room nel deserto

Il resort stellare nel deserto

Situata nel cuore del deserto, questa struttura ricettiva è dotata di stanze, tende e case di legno, alloggi straordinari che permettono di dormire nel cuore del deserto. Non mancano neanche punti di osservazione e teatri all’aperto dove vivere notti mozzafiato illuminate solo dalla Luna e dalle stelle.

Il territorio di Ningxia è considerato uno dei luoghi migliori da raggiungere per ammirare le stelle, per via dei cieli sereni, del clima secco e per il poco inquinamento luminoso. Il deserto, che si trova lontano chilometri dai centri abitati, garantisce notti buie e scure. È proprio dopo il crepuscolo che il compito di illuminare il cielo è la terra è affidato alle stelle.

Ed è sempre qui che è stato costruito un hotel eccezionale, che non solo imita le stelle e i pianeti con i suoi edifici straordinari, le sculture iconiche e i dettagli magici, ma permette alle persone di vivere un’esperienza sensazionale a contatto diretto con le luci notturne.

Gli alloggi, come abbiamo anticipato, sono tanti e diversi, e tutti soddisfano le esigenze dei viaggiatori provenienti da ogni parte del mondo. Alcune camere, poi, sono dotate di ampie vetrate che affacciano direttamente sulla sabbia dorata, garantendo così una visione spettacolare sul deserto, a ogni ora del giorno e della notte.

Gli interni, così come gli esterni, si ispirano in tutto e per tutto al paesaggio esterno. Il design, infatti, richiama elementi del deserto e del cielo stellato.

Bellissima di giorno, l’esperienza nel Desert Star Hotel diventa magica di notte, quando le luci vengono spente e tutto viene illuminato solo ed esclusivamente dalle stelle e dalla Luna. È questo il momento perfetto per raggiungere il teatro all’aperto della struttura e vivere un’esperienza suggestiva sotto il cielo stellato.

Desert Star Hotel, il teatro all'aperto

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Desert Star Hotel, il teatro all’aperto
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Ghadames, “la città perfetta del deserto”

Ai margini del deserto del Sahara, 600 chilometri a sud-ovest di Tripoli, esiste una città “perfetta”, progettata nel dettaglio per resistere alle temperature estreme e ai forti venti che generano tempeste di sabbia.

Si tratta di Ghadames, “Perla del Deserto”, dalle imponenti mura bianche e ocra, ombreggiata da palme: un’oasi spettacolare che ha ottenuto il riconoscimento UNESCO, uno dei più significativi capolavori architettonici del Sahara nonché fulgido esempio di pianificazione ambientale.

Il segreto per resistere al caldo e al freddo estremi

Antica città di Ghadames

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Antica città di Ghadames

Ghadames, nota da almeno 2000 anni, deve la sua attuale struttura compatta agli arabi musulmani che la edificarono nel VII secolo e si è poi espansa nel corso dei secoli.

Con temperature che in estate raggiungono i 55 gradi e in inverno scendono sotto lo zero, la città  è plasmata da un labirinto di passaggi ombrosi, sinuose zinqas (vicoli ad arco ricoperti di legno di palma), e lucernari che portano illuminazione e ventilazione, agevolano l’orientamento e mantengono la temperatura a circa 20 gradi.
L’idea alla base dei passaggi curvi è impedire il passaggio di raffiche di sabbia del deserto.

Le pareti interne delle abitazioni, che risplendono di bianco con uno strato protettivo di calce, sono state costruite con mattoni di fango essiccati al sole: tale miscela di argilla, sabbia e paglia era stratificata sopra le pietre che le isolavano dall’umidità.

Il segreto di questa tecnica costruttiva così ingegnosa sta nei muri: infatti, grazie agli spessi muri di terra o pietra, il calore del sole tarda ad arrivare all’interno degli edifici durante il giorno e viene irradiato verso il cielo durante la notte. In questo modo, al mattino, le pareti si sono raffreddate abbastanza da poter ricominciare questa importanza funzione protettiva.

Ma non è tutto: il sapiente utilizzo dei materiali da costruzione disponibili permette di ottenere il massimo comfort con mezzi minimi. Nel deserto, ciò significa frescura senza aria condizionata e calore senza riscaldamento.

La meraviglia e la storia della città-oasi

Ghadames

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Panorama di Ghadames

Proseguendo nella passeggiata alla scoperta di Ghadames, ci si imbatte in porte ricavate da semplici tronchi di palma, alcune borchiate di ottone, poi archi bassi, nicchie curve e dakkar, ovvero panchine incorporate perfette per rilassarsi che, di solito, indicano una moschea vicina (in città se ne trovano ben 21, anche se poche sono ancora in uso, e solo il venerdì).

Molti archi sono impreziositi con incisioni, cesellature oppure decorati con delicati dipinti (una mano di Fatima, una stella, intricate geometrie) che aggiungono fascino e mistero.

Al centro della Medina, si aprono due piazze ad arcate che racchiudono giganteschi gelsi: la città, in passato, era una meta privilegiata per i commercianti ambulanti che, con le loro carovane, si riunivano per scambiare le merci più svariate.

Ghadames, infatti, sorge in una posizione strategica dove oggi si incontrano Tunisia, Algeria e Libia, ed era proprio da qui che i cammelli carichi partivano a ovest verso Timbuktu, a sud verso Ghat e Bornu o a nord verso i porti del Mediterraneo: divenne, quindi, un punto di incontro chiave per numerose civiltà e i suoi abitanti berberi (conosciuti localmente come Amazigh), i Ghadamisa, molto rispettati.

Dagli anni Ottanta, tuttavia, a causa della scarsità d’acqua e della mancanza di servizi igienici moderni, la città fu progressivamente abbandonata con la costruzione di una più moderna non lontano.

Oggi, l’antica Ghadames non ha residenti permanenti, anche se durante la rovente estate, il suo comfort rispetto ai condomini di cemento della città nuova attira molte persone, che tornano qui per entrare nelle moschee e sale da tè e assaporarne il refrigerio.
Inoltre, si prendono cura di molti tra i 121 giardini dell’oasi che sono irrigati, grazie a un complesso sistema di canali, dai pozzi artesiani e dalla sorgente sotterranea di Ain al-Faras.

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Ras Al Khaimah, il nuovo emirato da scoprire

Ras Al Khaimah è l’emirato che sta registrando la più rapida crescita di tutta la regione. Si trova negli Emirati Arabi Uniti ed è noto per i suoi paesaggi unici che comprendono 64 chilometri di spiagge, un vasto deserto e soprattutto le montagne, che danno la possibilità di vivere tante emozioni e di provare avventurose attività sportive.

L’emirato di Ras Al Khaimah vanta una ricca cultura e una lunga storia che risale a 7.000 anni fa. Vi sono siti archeologici che risalgono al III secolo a.C. e panorami naturali mozzafiato, spiagge di sabbia dorata, suggestive dune e una cintura verde fatta di palme da datteri fino a Jebel Jais, la montagna più alta degli Emirati Arabi Uniti.

Gran parte della sua popolarità è data dalla facilità con cui si può raggiungere l’emirato. Oggi è ancor più vicino all’Italia grazie a un nuovo volo della compagnia aerea low cost Air Arabia che parte da Bergamo e che arriva all’aeroporto di Sharja, a metà strada tra Ras e Dubai.

La spiaggia di Ras Al Khaimah

L’emirato delle montagne

La particolarità del piccolo emirato di Ras Al Khaimah e che lo differenzia dagli altri sette Emirati Arabi Uniti sta proprio nella catena montuosa che ne caratterizza il territorio. Montagne che sfiorano i duemila metri, al confine con l’Oman.

Così, oltre alle attività marine e ai safari tra le dune del deserto, a Ras si viene per l’alta montagna e per le tante attività che offre. Prima fra tutte la zipline più lunga e più alta del mondo che è stata da poco inaugurata sul monte di Jebel Jais. Si sfreccia a 160 chilometri orari sospesi a 1.680 metri di altezza. Decisamente per i più coraggiosi.

Per i più fifoni, tra le ultime attrazioni c’è la Jais Sledder, una monorotaia che, curva parabolica dopo curva parabolica, scende dalla montagna rocciosa, il monte Hajar, alla velocità di 40 km orari. In soli otto minuti si percorrono 1.840 metri, ma si ha tutto il tempo di ammirare il paesaggio addirittura fino al mare.

Un’attività di grande attrattiva turistica, visto che nell’emirato sono migliaia gli appassionati di montagna – anche perché quassù fa decisamente meno caldo – è il trekking. Alcuni tratti, facili e segnati si possono percorrere anche in autonomia, ma la maggior parte dei sentieri devono essere accompagnati da una guida esperta, che organizza eventualmente il pernottamento in un camp in quota.

Ora esiste un solo glamping, il Camp 1770, il  più alto degli Emirati Arabi Uniti, ma entro il 2024 saranno aperti due nuovi ecolodge.

Le montagne di Ras Al Khaimah

Il deserto Al Wadi

Non c’è emirato senza deserto e naturalmente anche Ras Al Khaimah ne ha una bella porzione. Si trova racchiuso in una riserva naturale, la Al Wadi Nature Reserve, di cui fa parte anche uno dei resort più belli dell’emirato, il Ritz Carlton, con lussuosissimi lodge immersi tra le dune e circondati da animali allo stato brado, tra cui il famoso orice, simbolo degli Emirati Arabi Uniti.

Il deserto, in parte roccioso e in parte di dune di sabbia dorate, offre diverse attrattive. Lo si può percorrere con le jeep, accompagnati da guide esperte, o con la mountain bike o a dorso di cammello, seguendo i sentieri indicati. Si può assistere a spettacoli di falconeria o fare stargazing per ammirare le costellazioni grazie alla completa assenza di inquinamento luminoso del deserto.

Mare e spiagge di Ras Al Khaimah

Gli appassionati dei luoghi caldi e della tintarella non resteranno delusi dall’emirato. La costa offre spiagge dorate lunghissime e tanti resort a cinque stelle in riva al mare, molto meno costosi di quelli che si trovano a Dubai.

Per chi ama le attività acquatiche, c’è solo l’imbarazzo della scelta. Molti resort si trovano anche sull’isola artificiale di Al Marjan, l’arcipelago a forma di corallo. Dicono che qui ci sia il mare più bello di tutti gli UAE.

Marjan Island, l’isola resort di Ras Al Khaimah

Storia e cultura dell’emirato

Chi sceglie di trascorrere una vacanza a Ras Al Khaimah avrà una vasta scelta di attività tra cui spaziare, dalle più attive alle più rilassanti. Con anche un bel po’ di cultura.

Vale la pena infatti visitare il Museo nazionale ricavato all’interno di un’antica fortezza che ospita una ricca collezione di manufatti, documenti e manoscritti dei primi abitanti di questa zona.

Il Museo nazionale di Ras Al Khaimah

Da non perdere anche quel che resta del Forte Dhayah, candidato a entrare a fare parte della lista dei patrimoni dell’Unesco, che risale al XVI secolo. Si erge su una collina a una ventina di chilometri dalla città, circondato da un’oasi di palme, domina tutto il golfo. Da quassù si gode di un bellissimo panorama.

Alle porte dell’omonima Capitale, Ras Al Khaimah, si trova la ghost town di Jazirat al-Hamra, un piccolo villaggio di pescatori abbandonato dopo il boom del petrolio, ma conservato benissimo grazie all’aria asciutta del deserto che ne ha preservato gli edifici così com’erano. Un tempo, infatti, la popolazione viveva di pesca e della raccolta delle perle, attività che viene ancora praticata da un solo produttore chiamato Suwaidi Pearls.

Si può visitare la sua “fabbrica” su una piattaforma in mezzo al mare e farsi raccontare da Abdulla Al Suwaidi in persona la storia millenaria di quest’antica arte, di quando Ras Al Khaimah era il primo produttore di perle al mondo grazie al quale vantava il primato porto commerciale più importante della regione.

Gli italiani sono stati i primi a scoprire questo emirato vent’anni fa e a venirci in vacanza nell’unico hotel che allora era stato aperto. Oggi non sono ancora tantissimi i turisti che ci vengono, ma va bene così perché lo scopo è proprio quello di contenere il numero di arrivi internazionali prediligendo un tipo di turismo naturalistico e volto alla sostenibilità ambientale.

Se vi abbiamo fatto venire voglia di scoprirlo, sappiate che è un viaggio da fare al più presto, prima che Ras Al Khaimah venga scoperto dalla folla di turisti e perda la sua autenticità.