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Cacciatori di aurore, avete mai sentito parlare del Blue Hole di Abisko?

Se siete amanti delle aurore, dei colori freddi e brillanti delle notti artiche, abbiamo un posto che fa proprio per voi. Si tratta di Abisko, un villaggio svedese impregnato di magia. Qui, infatti, è possibile assistere al Blue Hole, un fenomeno meteorologico poco noto rende questo piccolo centro della Svezia artica uno dei posti migliori sulla Terra per vedere l’aurora boreale.

Lo spettacolo dell’aurora nel Blue Hole di Abisko

Per assistere allo spettacolo del Blue Hole è necessario viaggiare fino a Abisko, uno villaggi più settentrionali della Svezia, situato a 250 km a nord del Circolo Polare Artico. Proprio nel cielo che si staglia sopra questa piccola località, c’è una macchia di cielo che si estende da 10 a 20 kmq sopra il villaggio, il lago Torneträsk e il parco nazionale di Abisko. Questa porzione di infinito rimane chiara e limpida sempre, indipendentemente dal clima circostante. Questo fenomeno rende Abisko uno dei posti migliori al mondo per assistere costantemente all’Aurora Boreale.

Infatti, la regione è soggetta a tempeste di neve e altri fattori climatici che rendono impossibile ammirare l’aurora. Ma il Blue Hole rendere questo spettacolo visibile anche se tutto intorno si scaglia il maltempo.

Il Blue Hole of Abisko è circondato da montagne che ostacolano le precipitazioni, assicurando 200 giorni all’anno di cielo limpido. Da Abisko è possibile prendere una seggiovia, che, in venti minuti, porta all’Aurora Sky Station, situata a 1000 metri di altitudine sulla vetta del monte Nuolja. Qui, l’assoluta mancanza di inquinamento atmosferico trasforma le lunghe notti artiche in occasioni perfette per andare caccia di aurore. Sta a voi scegliere quale punto sfruttare per ammirare un’aurora boreale da sogno.

Aurora boreale vista da Abisko
L’aurora boreale vista da Abisko

Abisko in Svezia

Se immaginate Abisko come una meta turistica con hotel, ristoranti e comfort vari, vi state sbagliando. Il luogo che offre la più bella aurora boreale al mondo è una località remota e sperduta tra la neve e il ghiaccio della Svezia. Qui troverete una piccola stazione ferroviaria sola, nella tundra innevata. Niente lampioni, né macchine, né case, il cielo è il padrone assoluto. A pochi metri, un unico edificio, il Mountain Lodge. È tutta qui Abisko, una perla custodita nella Lapponia svedese, a un’ora di treno dall’abitato più vicino. Vi immergerete a pieno nel vostro viaggio, scordando tutto il resto.

L’aurora boreale è l’attrazione principale di Abisko durante i mesi invernali, ma il microclima offre anche altri eventi meteorologici spettacolari. Tra questi, i rarissimi “archi lunari“, noti anche come arcobaleni lunari e aloni lunari, che si verificano quando la luce della luna si riflette e si rifrange attraverso le goccioline d’acqua e cristalli di ghiaccio nell’aria che circondano il Blue Hole.

Preparatevi a temperature a -30° sotto lo zero, vestiti pesanti e diverse coincidenze aeree. La Lapponia Svedese è una regione bella quanto ostile, ma con le giuste attrezzature si può viaggiare con tranquillità.

Un luogo magico in cui le lunghe notti buie si illuminano dei colori dell’aurora e degli arcobaleni lunari. Abisko non avrà da offrire grandi attrazioni cittadine, ma ha quello che le metropoli non avranno mai: una natura spettacolare, da togliere il fiato.

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Madrid: il ristorante più antico del mondo si trova in città

L’atmosfera di Madrid, possiamo ben dirlo, è unica nel suo genere. La capitale spagnola è talmente particolare da incantare ogni anno migliaia di migliaia di turisti. Ma oltre alla sua storia, alla sua magia e al suo fascino, c’è anche un altro motivo per visitarla: qui, infatti, sorge il ristorante più antico del mondo.

Si tratta del Sobrino de Botin, nato nel 1725 come semplice locanda e diventato, nel corso dei secoli, uno dei punti di riferimento per chi vuole mangiare bene in città. Al punto da diventare uno dei ristoranti preferiti di Ernest Hemingway.

La storia del Sobrino de Botin

Ma qual è la storia del Sobrino de Botin? Pare che corresse l’anno 1700 quando a Madrid arrivò un cuoco francese di nome Jean Botìn. L’uomo si era formato in alcune notevoli cucine parigine e aveva lavorato in diversi altri paesi della Francia, ma aveva un’idea davvero ambiziosa: voleva lavorare per un nobile della corte d’Asburgo.

Insieme alla moglie, Botìn si trasferì in una strada vicinissima a Plaza Mayor. Non riuscì a raggiungere l’obiettivo di lavorare per l’aristocrazia, ma fu molto furbo nel rilevare, insieme alla moglie, che proprio la presenza della corte d’Asburgo in città aveva fatto crescere sensibilmente la popolazione, con tanti artigiani e visitatori che si recavano in città.

Ristorante Botin: aperto nel 1725, è il più antico del mondo

Botìn e la moglie dovettero attendere qualche anno prima di poter fare propri gli spazi che oggi ospitano il ristorante, ma riuscirono ad aprire una piccola locanda atta ad ospitare chi, ancora, non aveva una casa propria ed era disposto a pagare per dormire e mangiare.

Il ristorante più antico del mondo e l’arte della cucina

I coniugi Botìn riuscirono ad affermarsi rapidamente, per diverse ragioni. In primis per la posizione centrale nella capitale, ma anche per i lavori di ristrutturazione che interessarono prima il piano terra e poi il primo piano. Proprio questi lavori resero il ristorante ancora più particolare, accogliente e tradizionale, con la creazione di un forno a legna di un patio interno tanto rustico quanto suggestivo.

Ristorante Botin: aperto nel 1725, è il più antico del mondo

A rendere famosi i Botìn e Jean in particolare, però, era il talento culinario. Il cuoco francese riuscì persino ad aggirare un divieto (temporaneo) per il quale nelle locande e nelle osterie non si potevanp vendere carne, vino e altri generi alimentari. Come? semplicemente chiedendo agli ospiti di portare gli ingredienti: avrebbero pagato “solo” la manodopera. E le pietanze di Botìn erano così squisite che chiunque si recasse nella locanda era disposto a pagare anche più di quanto lo stesso cuoco volesse.

Il ristorante più antico del mondo, tra leggenda e gusto

Alla morte dei coniugi Botìn, la locanda ha cambiato nome, passando da Casa Botìn a Sobrino de Botìn [nipote di Botìn, ndr], perché fu proprio il nipote a rilevarlo, trasformandolo sempre più in un ristorante in senso stretto. Pare che la sua fama fosse tale da portare un giovane Goya a lavorare lì come lavapiatti e che diversi poeti, pittori, letterati e personaggi di spicco ci siano passati almeno una volta per godere delle sue deliziose pietanze.

Il Ristorante Botin a Madrid, in assoluto il più antico del mondo

Ma a proposito, cosa si mangia al Sobrino de Botin? Qualsiasi pietanza tipica spagnola, chiaramente, ma i suoi piatti forti sono l’agnello e il maialino da latte arrosto (cordero asado e cochinillo asado). Le carni vengono da un’area della Spagna, quella compresa tra Sepúlveda-Aranda-Riaza, notissima per le materie prime di qualità e vengono poi arrostite lentamente, con cura. A gestire il ristorante, oggi, è la famiglia Gonzalez, un trio di cuochi ed esperti della ristorazione che hanno deciso di portare avanti la tradizione di Botìn, con passione e dedizione.

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Il luogo più bianco e instagrammabile di Minorca

Quando arriviamo, un’orda di belle ragazze che indossano lunghi e ampi abiti colorati – di quelli perfetti per fare la “ruota” – e cappelli a falda larga in mano o già pronto sulla testa, ci precede.

Sono influencer e instagrammer arrivate in questo minuscolo borgo dell’isola di Minorca dai quattro angoli del globo per scattare foto e selfie e fare reel e story.

Un angolo di Grecia in Spagna

Binibeca (o Binibèquer), un ex porto di pescatori la cui architettura ricorda più un villaggio della Grecia che non un angolo di Spagna, è uno dei luoghi più instagrammati di Minorca e forse di tutto l’arcipelago delle Baleari. Che siate social o meno, questo posto va comunque visto.

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Fonte: 123rf

Tra i vicoli di Binibeca a Minorca

I cartelli affissi ai muri ricordano, in diverse lingue, che qui ci vive della gente e che quindi è apprezzato il silenzio. I vicoli stretti sui quali s’affacciano le case bianche creano infatti eco. Altri cartelli chiedono la cortesia di non salire sulle scalinate private, di non entrare nei cortili e, comunque, di avere rispetto per la privacy degli abitanti del borgo. Evidentemente a un certo punto si esagerava. E infatti ora è un luogo di silenzio dove regna la pace.



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La storia di Binibeca

Del resto, come non restare affascinati questo delizioso villaggio completamente bianco, decisamente inaspettato, che si trova lungo la costa meridionale di Minorca, a una decina di chilometri dalla Capitale Mahón, affacciato su un porticciolo.

Le stradine intricate dove perdersi e le sue case imbiancate a calce rendono Binibeca uno dei paesi più belli della Spagna.

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Fonte: 123rf

Le case imbiancate a calce a Binibeca

Conosciuto anche come il paese bianco della Spagna, fu costruito negli Anni ’60 e poi completamente restaurato e ricreato a immagine e somiglianza dei paesini di pescatori tipici del Mediterraneo.

L’idea venne a due architetti spagnoli, il minorchino Antonio Sintes e Javier Barba, di Barcellona, che progettarono e costruirono insieme le 165 case che formano Binibèquer Vell (in catalano, “vecchia”) e che rappresentano fedelmente l’essenza di un tipico villaggio di mare mediterraneo, con molte somiglianze con i paesaggi tipici delle isole greche.

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Fonte: 123rf

A Binibeca tutto è candido come la neve

Binibeca, più bel villaggio di Spagna

Non c’è un’abitazione che sia uguale all’altra. Alcune hanno scalinate, altre piccoli balconi di legno o di calce bianca, altre ancora terrazze o comignoli sul tetto. Anche le porte d’accesso sono una diversa dall’altra. La prima a essere stata costruita è Casa Candi. Trovarla è semplice perché ognuna ha un nome.

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Fonte: SiViaggia – Ilaria Santi

Casa Candi, la più antica di Binibeca

Le stradine di pietra s’insinuano nel cuore del borgo e portano verso piccole piazze o verso la chiesetta o verso il piccolo porto.

Oggi, molte delle proprietà sono diventate delle strutture ricettive turistiche, ma qualcuna è ancora abitata dalla gente del posto.

Non mancano piccoli bar e ristoranti con deliziosi cortili interni ombreggiati e tanti piccoli negozi, anche di alimentari, per gli abitanti del luogo.

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Fonte: 123rf

L’architettura mediterranea di Binibeca
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I posti nel mondo dove puoi sentirti a Venezia, anche se non ci sei

È straordinaria, è bellissima, affascinante e seducente. È la città più romantica del mondo e anche una delle più frequentate di tutta Italia. Turisti da ogni parte del mondo arrivano qui, per fotografare i canali, per farsi i selfie sulle gondole e per ammirare la maestosità di un luogo che entra nel cuore e lì resta, per sempre.

Stiamo parlando di Venezia, la città che non ha strade, ma solo canali. Quelli in cui si affacciano opulenti palazzi, edifici rinascimenti e gotici che regalano scorci magici e onirici che lasciano senza fiato.

La verità è che di Venezia ce n’è soltanto una, come confermano i viaggiatori che qui hanno lasciato un pezzo di cuore. Eppure tanta è la bellezza del capoluogo del veneto che tutti, nel mondo, hanno provato a imitarlo.

Le copie di Venezia

Esistono alcune città che sono destinate a farci innamorare, e Venezia è una di queste. La sua bellezza è così iconica e celebre nel mondo che ogni anno migliaia di visitatori giungono proprio nella laguna per toccare con mano tutto il fascino che questa sprigiona da secoli.

Ed è lo stesso fascino che, probabilmente, ha trasformato Venezia in una delle città più copiate al mondo. Attenzione però perché non parliamo solo di riferimenti evidenti o di ricostruzioni parziali dei monumenti iconici, ma di veri e propri cloni della laguna.

Probabilmente nessuno di questi potrà mai restituire le stesse sensazioni che si provano quando si visita La Serenissima, eppure alcune di queste copie sono così ben fatte che vi lasceranno senza fiato. Scopriamo le più celebri.

The Venetian, Macau

Fonte: iStock/jimmyan

The Venetian, Macau

Da Las Vegas a Macau: Venezia nel mondo

Mentre si passeggia nel cuore della città più scintillante e luminosa che mai appare improvvisamente, e inaspettatamente, un’inedita Venezia. C’è la laguna con le gondole che l’attraversano. C’è il campanile di San Marco e il Ponte di Rialto, frequentatissimo a ogni ora del giorno e della notte. Ci sono tantissimi dettagli che rimando proprio alla città italiana anche se ci troviamo a Las Vegas, in uno dei resort più grandi e stravaganti del mondo.

Il suo nome è The Venetian e si tratta di uno dei più grandi e opulenti complessi turistici, e non è solo ispirato a Venezia, ma è esattamente la sua copia. Davanti all’ingresso che affaccia su Las Vegas Strip due riproduzioni fedeli del campanile di San Marco e del Ponte di Rialto accolgono i turisti. All’interno, invece, c’è un lago artificiale che crea tutta una serie di canali dove navigano i gondolieri per trasportare gli ospiti del resort da una parte all’altra.

The Venetian rappresenta una delle più fedeli riproduzioni della nostra laguna e non è l’unica. Nonostante, infatti, l’idea di una copia della città non abbia entusiasmato molti italiani, la presenza del resort si è rivelata un successo in questi anni, al punto tale che la struttura è stato inaugurata anche in Cina.

Per esplorarla dobbiamo recarci a Macau, è qui che la stessa catena turistica ha aperto il complesso alberghiero identico al precedente e, anzi, ancora più grande. Al suo interno, infatti, è possibile visitare quello che è il casinò più grande del mondo intero.

Restiamo sempre in Cina per scoprire un’altra copia de La Serenissima, forse anche la più criticata. Si tratta di Venice Water Town, a Hangzhou. Una vera e propria città lagunare che si snoda tra diversi canali sui quali si affacciano case, ristoranti e hotel che però non hanno nulla a che fare che fare con i maestosi palazzi della città. Ovviamente non manca neanche Piazza San marco con il suo campanile, ma le riproduzioni sono così esagerate da sembrare davvero poco fedeli.

Venice Water Town, Hangzhou

Fonte: iStock

Venice Water Town, Hangzhou

 

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Lo sapevi che esiste una piramide “piegata”?

Simbolo dell’Egitto, ma soprattutto dell’eccellenza architettonica dell’antichità, le piramidi sono costruzioni affascinanti dalla forma inconfondibile. Proprio la forma che all’apparenza sembra così semplice, in realtà è ricca di mistero. Ancora oggi archeologi e appassionati non smettono di domandarsi come sia stato possibile realizzare strutture così imponenti, che con la loro bellezza tolgono puntualmente il fiato, senza l’utilizzo di tecniche ingegneristiche moderne.

A rendere ancora più intriganti questi monumenti funebri, che si stagliano dalla sabbia e che caratterizzano il paesaggio del deserto, ci pensano alcune “versioni” particolari come la Piramide Piegata fatta costruire dal faraone Snefru, intorno al 2600 a.C. e che si trova nella Necropoli di Dahshur. Il complesso sorge a 45 chilometri dal Cairo ed è a metà strada tra Saqqara sud e il sito archeologico Mazguneh.

Le intuizioni del faraone Snefru

Appartenente alla IV dinastia egizia, il Faraone Snefru, padre di Cheope, visse oltre 2000 anni prima della nascita di Cristo. Di lui si ricordano le vittorie durante le campagne militari contro i Nubiani e le tribù libiche, ma soprattutto l’ingegno architettonico che lo portò a costruire delle piramidi innovative per il suo tempo.

Non è un caso che a Dahshur si possano ammirare oggi due costruzioni davvero eccezionali, la preziosa eredità del periodo in cui Snefru ha regnato. Non c’è soltanto quella piegata a dominare il panorama, ma anche quella rossa, entrambe a rappresentare il passaggio dai monumenti funerari a gradoni a quelli più classici. In realtà, prima di queste due piramidi, il faraone aveva ordinato di costruirne un’altra, quella di Meidum che però crollò durante la realizzazione. I tre edifici voluti da Snefru hanno caratterizzato il percorso evolutivo e architettonico che ha portato poi alle famose piramidi di Giza.

Uno scorcio della Piramide Piegata

Fonte: IPA

La Piramide Piegata fatta costruire da Snefru

Un errore e una correzione che l’hanno resa unica

Unica nel suo genere: la Piramide Piegata di Dahshur non ha eguali, ma come è possibile che abbia una forma così strana? Inizialmente fu costruita con un angolo di inclinazione di 54 gradi, ma durante la realizzazione gli architetti furono costretti a modificare il progetto iniziale. Il terreno infatti non era in grado di reggere il peso della struttura e avrebbe potuto cedere da un momento all’altro.

Per questo motivo fu necessario ridurre l’angolo di inclinazione fino a 43 gradi, una decisione che ha reso stabile la piramide e che a distanza di secoli contraddistingue il suo aspetto piegato. Ancora oggi è in un discreto stato di conservazione, tanto che è possibile ammirare nella metà inferiore la pietra calcarea bianca che rivestiva in origine l’intera struttura.

Con i suoi 105 metri di altezza, è impossibile non rimanere affascinati con il naso all’insù, ad ammirare la sua bellezza senza tempo che si può ritrovare anche all’interno. Infatti recentemente è stata sottoposta a un attento restauro che ha portato alla luce due splendide camere sepolcrali che sono state aperte ai visitatori.

Entrare all’interno di questo monumento rappresenta un vero e proprio tuffo nel passato, quando ci si trova all’interno di un edificio così antico è impossibile non immaginare gli sforzi e gli ingegni degli architetti dell’epoca, i quali sono stati “ripagati” a distanza di millenni con il riconoscimento da parte dell’Unesco come patrimonio mondiale.

La struttura interna della Piramide Piegata

Fonte: IPA

L’interno della Piramide Piegata

 

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La campana più grande del mondo è in Italia

Immaginate un suono armonico che, ogni sera, puntuale, parte da un piccolo punto su un colle per cercare di toccare i cuori e la sensibilità del mondo intero. Immaginatelo nell’intento di far vibrare non solo i timpani, ma anche le anime e i cuori di chi lo ascolta: avrete, a questo punto, un’idea di ciò che vuol fare la campana più grande del mondo. Che, per la cronaca, si trova in Italia.

Avrete capito che non si tratta di una campana qualsiasi: non a caso, è chiamata la Campana dei Caduti, battezzata con il nome di Maria Dolens. È dedicata a tutti i caduti di tutte le guerre del mondo, senza alcun tipo di distinzione: né razza, né fede, né sesso, né ideologia. Maria Dolens suona per loro, inneggiando alla pace.

Maria Dolens, la campana più grande del mondo

La Campana dei Caduti troneggia sul Colle di Miravalle, in quel di Rovereto. Circondata da una natura tanto mozzafiato quanto silenziosa, spicca al centro di Largo Padre Jori Eusebio. Arrivarci non è difficile: una passeggiata in salita ed eccola, suggestiva più che mai: alta più di 3 metri, pesa oltre 300 quintali e il colore scuro del meccanismo che la aziona, insieme al suo bronzo, crea un contrasto intenso con i pilastri bianchissimi che la reggono.

Campana dei Caduti a Rovereto

Fonte: 123rf

Campana dei Caduti a Rovereto

Il contrasto, per altro, è voluto: la campana deve attirare l’attenzione, perché il suo scopo è quello di raccontare, ricordare, di ottenere non solo l’ascolto ma anche lo sguardo di chi la nota. È un monumento che deve dare tanto un senso di continuità quanto restituire la prepotenza della rottura creata dalla guerra. E ci riesce alla perfezione.

La nascita della campana più grande del mondo

Ma come nasce questa campana? Il suo ideatore fu don Antonio Rossaro. Il sacerdote, che operava a Rovereto, era colpito dalla tragedia della Prima Guerra Mondiale. Gran parte delle famiglie della zona avevano perso i loro cari, per un conflitto sanguinoso. Una volta terminata la guerra, don Rossaro pensò proprio a una campana che doveva essere ricavata da un materiale particolare: il bronzo fuso dei cannoni dei vari Paesi che avevano partecipato alla guerra.

Campana dei Caduti a Rovereto

Il sacerdote fece di tutto per perseguire il suo scopo. Prese contatto con ambasciatori e diplomatici e riuscì a fare in modo che il bronzo, già fuso e derivante non solo dai cannoni, ma anche da altre armi e materiale bellico, arrivasse a Rovereto. Fu usata una grande fucina, quella della Fonderia Colbacchini di Trento: nell’ottobre del 1924, la campana venne ufficialmente alla luce.

Decorata dallo scultore trentino Stefano Zuech, la campana più grande del mondo mostrava un bassorilievo con sei aquile, il volto sofferente dell’Ecce Homo e una serie di immagini e frasi volte a celebrare il sacrificio dei caduti. In basso, trentadue figure rappresentavano quattro diverse fasi della guerra: la partenza, la lotta, la morte e la vittoria.

L’inaugurazione, il suono e l’arrivo sul Colle

Il 4 novembre 1925, alla presenza del Re d’Italia Vittorio Emanuele III e di una serie di dignitari italiani e stranieri, la campana venne ufficialmente inaugurata. Attenzione però: la sua prima collocazione non era sul Colle: Maria Dolens rintoccava, infatti, dal torrione Malipiero del Castello di Rovereto, nel centro cittadino. Il suono che però don Rossaro aveva immaginato non corrispondeva a quello della campana: così, si penso a rifonderla e a crearne una seconda versione.

La Campana più grande d'Italia a Rovereto

La prima fusione, però, non venne come doveva. Così, si optò per fonderla ancora una volta. I tempi, tuttavia, si erano allungati e, frattanto, era scoppiata un nuovo conflitto: si dovette aspettare così la fine della Seconda Guerra Mondiale per posizionarla al Castello. Una ventina d’anni dopo, però, ecco il nuovo problema: la campana si incrina. Si opta per una quarta fusione, l’ultima. A sostenere i costi economici fu il Lions Club d’Italia, nel 1964.

Nel 1965, la campana è pronta: il suono è perfetto, la sua ultima forma è enorme e ideale per il suo scopo. Mancava solo una cosa: una sede che potesse tenerla al sicuro e darle non solo una casa, ma anche la luce che meritava. Così, si optò per il Colle di Miravalle. Dove, da allora, rintocca ogni sera alle 21.30.

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Sui palazzi di Firenze esistono delle piccole fessure che profumano di vino

Esiste una città italiana che non smette mai di incantare, che stupisce e meraviglia ogni volta, proprio come se fosse la prima. Lei è Firenze, il capoluogo della Toscana, la città d’arte per antonomasia nonché la culla del Rinascimento.

Dal Duomo celebre, maestoso e iconico con quella cupola progettata dal Brunelleschi e il campanile di Giotto, passando per la Galleria dell’Accademia dove è conservata la scultura del David di Michelangelo e per la Galleria degli Uffizi dove sono esposti i capolavori di Botticelli e di Leonardo da Vinci.

Firenze è una vera meraviglia, e lo è anche per quegli scorci meravigliosi che si perdono sul fiume Arno, quelli da ammirare dai ponti conosciuti in tutto il mondo, tra i quali il Ponte Vecchio, e per quel centro storico brulicante di vita, storie e persone. E per quelle fessure che si aprono improvvisamente sulle facciate dei palazzi nobiliari e che profumano di vino.

Le buchette del vino

Appaiono davanti allo sguardo curioso dei passanti quelle fessure che sembrano finestrelle o porticine. Succede improvvisamente, durante una semplice passeggiata tra le strade di Firenze. E quando ne vedete una, fermatevi pure, e preparatevi a un’esperienza incredibile che affonda la sua storia in tempi lontani.

Quelle che avete davanti sono le celebri buchette del vino e, come il nome stesso suggerisce, si tratta di aperture tramite le quali viene venduto il vino ai passanti. Belle, quanto affascinanti e suggestive, queste fessure decorano e impreziosiscono in maniera unica i palazzi del centro storico da secoli.

Per scoprire le loro origini dobbiamo fare un passo indietro nel tempo e spostarci in una Firenze inedita e seducente, quella del XVII secolo. È durante questo periodo che, le famiglie nobiliari che avevano investito nella produzione del vino, iniziarono a diffondere l’usanza di vendere i loro prodotti direttamente dalle loro case e dai loro palazzi, senza intermediazione.

Per facilitare la compravendita, vennero create queste buchette che solitamente erano collegate alla cantina. Attraverso queste avveniva la vendita al dettaglio di bottiglie di vino in strada garantendo una totale discrezione dell’atto.

Le buchette del vino, visibili ancora oggi in città, hanno la forma di finestrelle, con tanto di arco decorato e porticina in legno. Alcune di queste sono ancora attive e visibili in tutto il loro antico splendore, come quelle di via del Giglio e in via del Sole. Altre sono state murate e si sono trasformate nella preziosa testimonianza della storia che appartiene alla città.

Buchette del vino, Firenze

Fonte: Getty Images

Buchette del vino, Firenze

Sorseggiare il vino a Firenze, in una buchetta

Alcune delle buchette del vino della città di Firenze sono ancora attive e hanno un fascino indescrivibile. Durante l’emergenza sanitaria, molte di queste sono state ripristinate per servire bevande e drink in totale sicurezza.

Ancora in funzione o murate, le buchette del vino sono tantissime: la città, infatti, ne ospita circa 180. L’invito è quello di organizzare una vera e propria caccia al tesoro nel cuore del capoluogo della Toscana.

Se è vero che non esiste una catalogazione ufficiale di questi piccoli gioielli architettonici, è vero anche che grazie al lavoro dell’Associazione Buchette del Vino, che ha come obiettivo quello di valorizzare e preservare questo patrimonio, possiamo orientarci tra i quartieri e le strade della città per scoprirle, fotografarle e sorseggiare del vino.

Tra le più famose troviamo quella incastonata in un’antica facciata di via del Giglio e quella di palazzo Antinori in via del Trebbio. E poi ancora è possibile trovarle in via delle Belle Donne, sulla facciata del Palazzo Viviani, in via dell’Oriuolo e in via Borgo Pinti.

Buchette del vino, Firenze

Fonte: Getty Images

Buchette del vino, Firenze
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Il sito archeologico più importante d’Italia apre di notte

Il sito archeologico più importante d’Italia ora può essere visitato anche di notte. A partire dal 1° luglio e fino al 26 agosto partono le passeggiate notturne a Pompei.

Itinerario notturno

Il percorso ha inizio da Porta Marina e conduce all’area monumentale del Foro Civile, dove si affacciano tutti i principali edifici pubblici per l’amministrazione della città e della giustizia, per la gestione degli affari, per le attività commerciali, come i mercati, oltre ai principali luoghi di culto cittadino.

Sulla parete interna laterale della Basilica sarà, invece, proiettato un video 79 d.C. basato su una selezione di circa 90 foto scattate durante l’emergenza pandemica.

Un resoconto inaspettato di una Pompei privata dei suoi visitatori e perfino del suo vulcano, attraverso immagini non da cartolina di largo consumo. E documentano inoltre anche i quattro depositi di Pompei (Boscoreale, Terme Femminili, Granai del Foro, Casa Bacco), normalmente chiusi al pubblico.

Il percorso si conclude con la visita all’Antiquarium, un edificio dell’’800 che ospita uno spazio museale dedicato all’esposizione permanente di reperti che illustrano la storia di Pompei.

Il 16 luglio è in programma anche un’apertura straordinaria serale di Villa Regina. Sono inoltre attese il 24 e 25 settembre le Giornate europee del patrimonio, con iniziative speciali nei vari siti del parco archeologico di Pompei e l’apertura straordinaria serale il 24 settembre dalle 20 alle 23 con ingresso a 1 euro.

Info utili

Tutti i venerdì sera (a eccezione di venerdì 12 agosto) dalle 20 alle 23 (con ultimo ingresso 22) si può camminare su quelle antiche pietre avvolti dalle suggestioni notturne, accompagnati da un suggestivo percorso sonoro e da proiezioni artistiche. L’ingresso serale a Pompei costa 5 euro. L’accesso sarà consentito fino a un massimo di 1500 persone, distribuite su fasce orarie (500 ogni ora).

Cosa vedere a Pompei

Anche se siamo abituati ad associare l’archeologia classica con Roma, il posto in cui si percepisce davvero come si poteva vivere nell’Impero romano è Pompei. Una città grande, importante e ricca, sepolta da 7 metri di cenere e lapilli per più di mille anni e con tantissimi segreti ancora da scoprire. A Pompei è possibile ripercorrere non solo i luoghi di culto o quelli di importanza storica ma anche la vita di tutti i giorni, come le sue tantissime taverne, i muri con le scritte di propaganda, il lupanare e le piccole botteghe.

L’anfiteatro pompeiano è davvero un’opera mastodontica arrivata ai giorni nostri in ottimo stato. Parliamo di una lunghezza di 135 metri per 104, poteva ospitare fino a 20.000 spettatori. Costruito nel I secolo a.C. ebbe per anni un calendario molto fitto di incontri, tra combattimenti tra gladiatori, giochi circensi, fu un centro importante per incontri politici e opportunità commerciali.

Siamo abituati a pensare alle statue romane, alle tantissime forme di architettura, urbanistica, ma abbiamo pochissime testimonianze dei loro dipinti. L’immenso valore aggiunto di Pompei è che si può ammirare la magnificenza, l’eleganza e la precisione dei dipinti romani, non solo i quattro stilli per affrescare gli ambienti, ma quando troviamo figure umane o animali il risultato è davvero mozzafiato.

Pompei è un sito in continuo divenire, spessissimo si aprono al pubblico aree nuove del sito, e altrettanto spesso si fanno nuovi ritrovamenti. Ogni volta è una nuova scoperta.

 

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L’onda più lunga del mondo è spettacolare! Ed è protetta dalla legge

Sulla costa nord del Perù, tra le onde e il deserto, esiste un piccolo villaggio di pescatori, il suo nome è Malabrigo ed è già meta prediletta di viaggiatori e avventurieri coraggiosi provenienti da ogni parte del mondo.

Giungono qui per scoprire le tradizioni del luogo, il lavoro meticoloso e appassionato dei pescatori e tutte quelle meraviglie naturalistiche che appartengono al territorio. Ma si fermano qui soprattutto per contemplare, affrontare e cavalcare lei: l’onda sinistra più lunga del mondo.

Qui il mare si increspa fino a creare una serie di fitte onde che, a pieghe alte e ravvicinate, creando uno spettacolo senza pari che incanta e stordisce. Si tratta di Chicama, l’onda leggendaria che in Perù è protetta con una legge.

Benvenuti a Malabrigo

Non ha bisogno di presentazioni il villaggio di Malabrigo, soprattutto per i surfisti che qui hanno trovato il loro paradiso terrestre. Conosciuta anche come Puerto de Malabrigo o Puerto Chicama, questa piccola cittadina portuale è situata nella provincia di Ascope, nella regione di La Libertad.

È diventata famosa soprattutto per quella leggendaria onda che bagna la costa e che attira qui tantissimi curiosi provenienti da ogni parte del mondo. Un’onda che è cara ai surfisti quanto al Paese che, qualche anno fa, ha istituito una legge nazionale per la sua conservazione.

Cosa rende Chicama così straordinaria ve lo diciamo subito. Si tratta dell’onda sinistra più lunga del mondo che può essere cavalcata fino a quattro minuti. La sua estensione permette ai surfisti di restare sulla cresta, a due metri di altezza, per più di 200 secondi.

Chicama, l’onda leggendaria protetta dalla legge

Per proteggere le straordinarie coste e il patrimonio naturalistico del territorio dagli investimenti industriali e dalle costruzioni, il Paese sudamericano, grazie al supporto di attivisti, naturalisti e surfisti, ha istituito la Legge n. 27280, conosciuta anche conosciuta come la “Ley de Rompientes”. Questa disposizione è considerata la prima legge a protezione delle onde in tutto il mondo.

La strada è stata lunga e in salita ma alla fine, grazie a norme specifiche che tutelano il tratto di costa interessato, l’onda di Chicama è salva. E non è l’unica perché il governo peruviano ha continuato a portare avanti una politica di protezione per le onde e per le coste.

Oltre a essere bellissima, suggestiva e protetta, l’onda di Chicama è anche misteriosa e suggestiva, tutto merito di quelle storie e di quelle leggende che si tramandano localmente da secoli. Si narra, infatti, che un giovane avventuriero giunse a Malabrigo per affrontare e cavalcare l’onda eterna, considerata la porta d’accesso ai confini della Terra.

Di questa onda, però, tanto bramata quanto temuta, se ne persero le tracce e nessuno riuscì più a trovarla fino a quando un surfista in vacanza negli anni ’60 giurò di aver cavalcato un’onda perfetta che si estendeva verso sinistra e che era cos’ lunga da sembrare infinita. Fu allora che molti curiosi iniziarono a sorvolare e ad esplorare la zona alla ricerca di quell’onda leggendaria che, ormai era certo, esisteva. Poi fu trovata: il resto fa parte della nuova storia di Chicama.

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A bordo di un treno per scoprire l’ultima frontiera

Se state programmando un viaggio al fresco, magari tra i ghiacciai luminosi e i paesaggi innevati dovreste valutare l’Alaska. I tour che attraverso il paese sono molto famosi, tra crociere e percorsi on the road, ci si può sbizzarrire. Un Paese ricco di riserve naturali, montagne, laghi e tanta natura da scoprire. Ma il modo più originale per scoprire le bellezze di questo Paese lontano è l’Alaska Railroad, un treno che attraversa la zona centro-meridionale.

Alla scoperta dell’Alaska in treno

L’Alaska centromeridionale è ricca di fitte foreste e stagni che brillano sotto la morsa del vento. Cime innevate riempiono l’orizzonte, gole scavate dai torrenti e corsi d’acqua freddissimi attraversano le pianure. I laghi paludosi incontrano prati verdi e dal finestrino di questo treno è possibile ammirare il Monte Denali altissimo ed imponente. Non è da tutti addentrarsi luoghi così estremi a livello ambientale, per questo attraversare l’Alaska in treno è una delle opzioni sempre più apprezzate.

Il comfort su un treno

L’Alaska Railroad è un treno che offre ogni servizio utile per godersi un viaggio alla scoperta di nuovi luoghi innevati. Il viaggio è completo di comodi sedili, grandi finestrini e vagoni a cupola così trasparenti che da perdersi nel cielo. Non manca nulla, anzi. Vi sembrerà di stare in un salotto.

Viaggiare su questo treno è accessibile. Ci biglietti di Adventure Class che offrono i comfort di base, oppure tariffe Gold Star. Queste ultime costano di più, ma offrono anche la cena e un drink nel vagone ristorante privato, e punti di osservazione all’aperto, oltre a delle guide turistiche a bordo pronte a rispondere a tutti i tipi di domande.

Ci sono due percorsi tra cui scegliere, entrambi con partenza ad Anchorage: la Coastal Classic e la Denali Star.

L'Alaska in treno

Fonte: iStock

Scoprire l’Alaska in treno

Il percorso Coastal Classic

Il Coastal Classic è lungo quasi 200 chilometri ed è stato costruito tra il 1903 e il 1910. La buona notizia è che questa è la scelta perfetta per chi ha a disposizione solo un giorno. Partendo presto e dirigendosi a sud attraverso la penisola di Kenai fino a Seward, a Resurrection Bay, alle 18:00 sarete di ritorno.

Un modo comodissimo e smart per ammirare paesaggi, lasciarsi rapire da scorsi a perdita d’occhi, senza scomodarsi o perdere intere giornate. Scegliendo questa opzione procederete lenti tra i ghiacciai Skookum e Spencer e la Chugach National Forest .

La rotta Denali Star

La rotta Denali Star copre quasi 600 chilometri andando dal Parco Nazionale di Denali fino a Fairbanks, la porta dell’Artico. Se siete alla ricerca di una vera avventura questo è il percorso da scegliere. Dura circa tre giorni ed è una vera bomba di emozioni.

Il treno, in questo caso, ferma a Wasilla e Talkeetna. Avrete l’occasione di visitare il National Park Visitor Center e incontrare gli orsi. L’ultima tappa della Denali Star è appunto, Fairbanks. La città è famosa per le sculture di ghiaccio e l’aurora boreale.

Una soluzione davvero unica per esplorare un paesaggio così meraviglioso e complesso. A bordo di un treno si è al sicuro, al caldo, niente fatica. Solo tanta bellezza da ammirare, foto da scattare e un tuffo al cuore ad ogni ghiacciaio all’orizzonte.