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L’albero più alto del mondo è spettacolare, ma non avvicinartici troppo

Meravigliosa è la natura che con la sua sola presenza ci ricorda quanto è immensa la bellezza che appartiene al mondo che abitiamo. È la stessa che ci spinge a organizzare viaggi in lungo e in largo solo per osservare quei panorami selvaggi e incontaminati che lasciano senza fiato.

Boschi, foreste e deserti, e poi ancora laghi, oceani e fiumi creano gli spettacoli più belli di sempre, quelli che sembrano dipinti da un artista o usciti da un libro di fiabe, gli stessi che ci ricordano quanto grandiosità appartiene a Madre Natura.

Non stupisce, quindi, l’esigenza di mettersi in viaggio per andare alla scoperta di questi paesaggi, come quello incredibilmente unico che appartiene al Redwood National Park in California, proprio lì dove vive e dimora quello che è l’albero più alto del mondo. Ma attenzione perché avvicinarsi a questo arbusto potrebbe costarvi molto caro e vi spieghiamo perché.

Hyperion, l’albero più alto del mondo

Si chiama Hyperion ed è l’albero più alto del mondo. Il suo nome, che fa riferimento al titano della mitologia greca, anticipa tutta la sua maestosità. Con i suoi 115,66 metri d’altezza, infatti, si è aggiudicato questo primato, ma raggiungerlo non è facile, né tanto meno consentito.

Hyperion è una Sequoia sempervirens originaria della California settentrionale ed è situata all’interno del Parco Nazionale di Redwood. La sua scoperta risale al 2006 quando i biologi Chris Atkins e Michael Taylor si accorsero di questo gigantesco arbusto e scelsero di studiarlo e di portare il mondo intero alla sua attenzione. L’albero, che ha un’età stimata di 700 anni, è stato insignito anche del premio Guinness World Records.

E così è stato anche se la sua esatta posizione non è mai stata condivisa, e il motivo è più che comprensibile. Il rischio, più concreto che mai, è quello che persone di tutto il mondo possano giungere nel parco per contemplare l’albero mettendo così a rischio la sua vita e quello dell’intero ecosistema dell’area.

Bellissimo e proibito, Hyperion non è l’unica attrazione del Parco Nazionale di Redwood, perché all’interno dell’area che si snoda sulle coste californiane dell’oceano Pacifico, ci sono altri arbusti di notevole altezza. Si tratta delle sequoie coast redwood, chiamate così proprio per il colore rossastro che caratterizza il loro legno, e sono gli alberi più alti del mondo. Tra questi troviamo anche Helios, una sequoia che deteneva il primato di albero più alto del mondo prima della scoperta di Hyperion.

Dentro il Parco Nazionale di Redwood

Come abbiamo anticipato, però, Hyperion è tanto affascinante quanto inavvicinabile. Nonostante all’apparenza possa sembrare un gigante forte e robusto, in realtà, come tutti gli esseri viventi in natura ha degli equilibri molto delicati che possono essere distrutti proprio dall’invadenza dell’uomo e del turismo di massa.

Così ecco che è stato necessario pensare a delle leggi per tutelare la vita di Hyperion. Purtroppo, infatti, nonostante la sua localizzazione fosse stata tenuta nascosta, alcuni viaggiatori sono riusciti a identificare la sequoia e hanno condiviso con gli altri la sua posizione. Questo a portato, negli anni, a un numero sempre più crescente di visitatori che hanno creato varchi e sentieri all’interno dell’area per raggiungere il gigante mettendo a rischio l’albero e anche la loro vita, trattandosi di percorsi non battuti e impervi.

Per far fronte a questa emergenza, i funzionari del parco hanno sentito la necessità di creare delle nuove regole, ma soprattutto di prevedere delle sanzioni che verranno applicate a chiunque si avvicinerà all’albero. Nello specifico, chiunque si avvicinerà a Hyperion, rischierà una multa di 5000 dollari e sei mesi di carcere.

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Fernweh: la nostalgia dei posti dove non si è stati

Vi è mai capitato di provare una specie di nostalgia per i posti in cui non siete mai stati? Se è così non preoccupatevi, è un sentimento che hanno vissuto (e vivono) in molti, a tal punto da avere un nome preciso: Fernweh.

Fernweh, come è nato

Un’emozione, una sensazione e, in alcuni casi, anche un’ansia che è riemersa in maniera drammatica durante il periodo della pandemia, quando non potevamo praticamente uscire di casa e nemmeno attraversare i confini comunali.

Un sentimento che è apparso per la prima volta nel libro del 1902, The Basis of Social Relation, di Daniel Garrison Brinton. L’autore nelle sue pagine descrive tutto ciò come un profondo desiderio/dolore di viaggiare o una “irrequietezza pungente”.

Per poi arrivare al 20° secolo, quando si è integrata la parola Fernweh nel lessico tedesco. Vi basti pensare che le agenzie di viaggio hanno iniziato a usarla negli spot pubblicitari per spingere le persone a partire. Del resto, culturalmente, i tedeschi viaggiano per sentirsi più liberi e per vivere quelle esperienze che difficilmente possono trovare in Germania, come quelle fatte di caldo e di sole.

Fernweh, ossia la nostalgia per posti in cui non si è mai stati, deriva da “Fern” che vuol dire “lontano” e “weh” che è invece “nostalgia”, e può essere inteso come il desiderio di essere da qualche altra parte e di esplorare luoghi lontani.

L’identikit di chi soffre di Fernweh

A livello generale, è possibile soffrire di Fernweh in maniera più o meno grave, ma anche in periodi circoscritti della propria vita. Ci sono persino persone che ci nascono e che cercano di alleviare questa sensazione viaggiando spesso. Altrettanti individui sviluppano questo sentimento per vari motivi, interni o esterni, fino ad arrivare a chi lo pratica mentalmente, sognando a occhi aperti e immaginando luoghi dove vorrebbe andare ed essere, anche se magari non verranno mai raggiunti fisicamente.

Questo vuol dire che ci sono persone che convivono con il Fernweh per tutta la vita, ossia coloro che hanno costantemente voglia di essere in un posto diverso rispetto a quello dove si trovano. Capita che questi essere umani si trasferiscano in un’altra città o in un altro Paese, ma nonostante questo il disagio rimane, non li abbandona. Per quale motivo? Perché, molto probabilmente, il malessere che sperimentano non dipende dal luogo, ma da loro stessi.

È importante, tuttavia, non confondere il Fernweh con il desiderio di viaggiare. Il secondo, infatti, ci fa vivere anche la voglia di tornare a casa, mentre il Fernweh crea dolore e obbliga a lasciare la propria Patria per vedere il mondo.

Fernweh e Wanderlust

Il Fernweh, però, non è solo. Spesso questa parola viene accostata a un altro importante termine: Wanderlust, anch’esso nato dalla lingua alto-tedesca per poi essere prestato a quella inglese. Con la parola Wanderlust si intende il “desiderio di viaggiare, voglia di vagabondare”, a tal punto che in psicologia si parla persino di Sindrome di Wanderlust per indicare l’ossessione di andare altrove e cercare qualcos’altro. Non solo con l’intento di mettersi alla prova e crescere, ma anche con lo scopo di lasciarsi alle spalle una situazione negativa o di rifiutare determinate condizioni sociali.

In poche parole, la tematica del viaggio è decisamente cara al romanticismo tedesco.

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La spada nella roccia esiste e si trova in Italia

C’è una storia che tutti noi conosciamo, che abbiamo letto e visto al cinema. È la storia di una spada incastonata in una roccia che nessuno è in grado di estrarre. Solo una persona può farlo e quella è destinata a diventare il re di tutta l’Inghilterra. Ma non si tratta di un uomo, bensì di un bambino.

La spada nella roccia è il film di animazione prodotto dalla Walt Disney e basato sul romanzo omonimo di T. H. White. Ve ne parliamo oggi perché sappiamo bene che tutte le vicende legate a Re Artù esercitano ancora un certo fascino su grandi e bambini, al punto tale che sono molte le persone che si mettono in viaggio ogni anno sulle orme del condottiero per raggiungere tutti quei luoghi sospesi tra mito e leggenda.

Quello che forse non sapete ancora, però, è che la leggendaria spada nella roccia esiste davvero. Ma non si trova nel regno di Avalon, come tutti immaginano, ma in Italia, all’interno dell’Eremo di Montesiepi.

Toscana: il mistero della spada nella roccia

Se parliamo della leggendaria spada ella roccia, inevitabilmente, il nostro immaginario ci rimanda alle avventure d’infanzia di Re Artù. Ma la storia di quella conficcata nell’Eremo di Montesiepi, in realtà, ha radici apparentemente differenti seppur estremamente affascinanti e suggestive.

Per scoprire la storia di questa misteriosa arma dobbiamo spostarci nella Val di Merse, un luogo di spiritualità che conserva le rovine dell’Abbazia di San Galgano e l’Eremo di Montesiepi. Secondo la storia è proprio in questo edificio che il Santo visse nel 1170 ritirandosi a una vita da eremita.

All’interno dell’Eremo è custodita una lama, incastonata nella roccia, che racconta storie antiche che rimandano inevitabilmente a leggende, miti e cavalieri, ma anche a spiritualità e credenze popolari. Negli anni moltissime persone hanno cercato di estrarla o di rubarla senza successo. Anzi, proprio l’impossibilità di farlo ha dato vita a nuove e suggestive storie.

Si narra, infatti, che uno dei ladri che tentò di portare via la spada fu sbranato dai lupi. Per evitare altri tentativi di furti fu scelto di proteggere l’arma con una teca che ancora oggi la protegge.

La spada di San Galgano

Ma cosa c’entra il mito di Re Artù con la Toscana? E perché la spada nella roccia si trova nell’Eremo dove visse San Galgano? Sono queste le domande che hanno tenuto aperto il dibattito tra gli studiosi per anni. Per molti, infatti, il mito della spada sarebbe nato proprio nel nostro Paese, un’ipotesi che ha fatto pensare anche che il Santo e il cavaliere della tavola rotonda Galvano fossero la stessa persona.

Secondo la tesi più accreditata, la spada che oggi è conficcata nella roccia all’interno dell’edificio di Montesiepi apparteneva al cavaliere Galgano Guidotti. Dopo aver condotto una vita dissoluta, l’uomo arrivò nel territorio di Montesiepi dove cambiò radicalmente la sua vita. Una volta ritiratosi nell’edificio, conficcò la sua spada all’interno della roccia per creare una croce davanti alla quale pregare ogni giorno.

Questa stessa tesi, però, è stata messa in dubbio per anni da molti studiosi che hanno ipotizzato che l’arma fosse un falso. La maggior parte delle ricerche fatte negli anni, però, hanno confermato che la realizzazione della spada risale proprio al 1100.

E Re Artù? La spada che avrebbe estratto il re quando era solo un bambino, in realtà, non fu mai trovata acuendo ancora di più il mistero di una storia che affascina oggi, esattamente come ieri.

Spada di San Galgano

Fonte: iStock/lkonya

Spada di San Galgano
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In questa città esiste un attraversamento pedonale che è un inno all’amore

Le nostre esperienze di viaggio, tutte, hanno sempre a che fare con l’amore. A volte questo sentimento scoppia nel cuore all’improvviso, proprio quando ci fermiamo a guardare le meraviglie della destinazioni che abbiamo scelto, oppure lo fa quando queste restano nel nostro cuore per non andare via mai più.

Altre volte, invece, l’amore è parte integrante del viaggio stesso perché abbiamo scelto di vivere e condividere quell’avventura con le persone che amiamo. Ed è proprio quando questo accade che le città, i borghi e i Paesi che visitiamo si trasformano nelle scenografie romantiche che fanno da sfondo ai nostri ricordi più belli.

Ed è quello che succede quando si raggiunge la contea di Suizhong, situata nella città-prefettura cinese di Huludao, perché è qui che si trova l’attraversamento pedonale più suggestivo e romantico del mondo intero.

Le strisce pedonali dell’amore

Il rosso, che si sa, è il colore degli affari di cuore domina sull’asfalto di Binhai Avenue catturando l’attenzione dei passanti. È questa nuance che caratterizza quello che è un attraversamento pedonale che non ha nulla a che fare con quelli che già conosciamo perché questo celebra l’amore. Le tradizionali strisce orizzontali, infatti, sono intervallate da cuori di diverse dimensioni all’interno dei quali campeggia la scritta “I love you”.

Per avvistare, fotografare e attraversare queste strisce pedonali dobbiamo recarci nella contea di Suizhong situata nella città di Huludao, proprio quella che conserva i resti del suo straordinario passato tra i monumenti storici situati sulle colline che la circondano, le stesse dalle quali è possibile avvistare il mare.

Ed è questa città, con il suo attraversamento pedonale che celebra l’amore, che merita di diritto un posto in tutti quei luoghi che da sempre consideriamo romantici. Quelli da raggiungere con la propria dolce metà durante un viaggio indimenticabile. Quelli dove scattare selfie suggestivi e fotografie affascinanti destinate a immortalare i momenti più dolci della vita.

I luoghi dell’amore nel mondo

“Le strisce dell’amore” – così ci piace chiamarle – di Binhai Avenue ci hanno letteralmente conquistati per il loro messaggio e, come abbiamo anticipato, entrano di diritto nella lista delle destinazioni e delle esperienze che tutti gli innamorati possono fare in giro per il mondo.

Sono tanti, infatti, i luoghi romantici da raggiungere per chi viaggia in coppia. A volte si tratta di intere città, quelle magiche e suggestive, quelle che incantano e affascinano. Altre volte, invece, si tratta di alloggi intimi e selvaggi, di panorami da ammirare in due e di scorci che lasciano senza fiato.

Ponti, giardini e tunnel, e poi ancora tramonti infuocati sul lago e mari. Se parliamo di intere città, invece, non possiamo non pensare a Venezia e a Parigi, e ancora Verona. Luoghi conosciuti in tutto il mondo per quella allure romantica che da sempre gli appartiene.

Ma non sono di certo gli unici. Basti pensare al tunnel dell’amore nei pressi di Klevan in Ucraina. Quel tratto di ferrovia abbandonato, e caratterizzato da una natura lussureggiante, è considerato uno dei luoghi più romantici del mondo intero. È proprio qui, infatti, che migliaia di innamorati si scambiano promesse ogni giorno.

Esistono, poi, delle vere e proprie strade dedicate agli innamorati che si trovano nel nostro Paese. Quelle le riconoscete subito perché sono segnalate da cartelli stradali – Kiss Please – che non impongono divieti o obblighi, ma invitano le persone a fermarsi davanti al panorama e a baciarsi per celebrare l’amore.

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La spiaggia più bizzarra d’Europa si trova su un’isola a forma di puzzle

C’è sempre un buon motivo per organizzare un viaggio nei Paesi Bassi, in ogni momento dell’anno e in ogni stagione. Per raggiungere la meravigliosa capitale, così ricca di musei, arte e cultura, o per visitare le altre città e le periferie dove il panorama è dominato da canali che regalano scorci suggestivi, da campi di tulipani che si perdono all’orizzonte e da mulini a vento che definiscono in maniera unica il paesaggio urbano.

La verità è che l’intero territorio del Paese non smette mai di stupire. Non lo fa grazie alla bellezza, alle tradizioni e a tutte quelle peculiarità che appartengono per natura ai Paesi Bassi, ma anche per quei luoghi inediti e inaspettati che possiamo incontrare, visitare ed esplorare durante i nostri i viaggi.

Come quella spiaggia olandese, bizzarra e molto particolare, riconoscibile fra mille. Una piccola isola a forma di puzzle collegata alla terra ferma e situata nel comune Maarssen, in provincia di Utrecht, che è un parco giochi, ma anche un centro ricreativo, nonché uno dei luoghi più amati dai cittadini locali. Scopriamola insieme.

Utrecht: la spiaggia inaspettata

Lontano dai sentieri più battuti dal turismo di massa che attraversano i Paesi Bassi, ma anche dalle spiagge più celebri e frequentate in estate, troviamo un luogo particolarmente apprezzato dai cittadini di Utrecht e non solo. Uno stabilimento balneare che è anche parco giochi e centro ricreativo dove grandi e bambini possono trovare refrigerio durante le giornate più calde dell’estate. Una destinazione che può essere frequentata dai viaggiatori anche in altri momenti dell’anno per osservare i meravigliosi panorami naturali  che circondano l’intera area.

Per scoprire questa inedita spiaggia dobbiamo recarci nei pressi del lago di Maarsseveense, una meravigliosa riserva naturale tanto amata quanto frequentata dai cittadini del luogo e del Paese intero. Questa è situata nella provincia di Utrecht, una delle città più suggestive dei Paesi Bassi conosciuta per il suo centro medievale e per la sua importanza religiosa, che si configura come il punto di partenza per raggiungere una spiaggia inedita sulla quale rilassarsi durante i viaggi nel Paese durante i mesi più caldi.

Impossibile non riconoscere la spiaggia di Maarsseveense Plassen: questa è collegata con una sottile pontile a un’isola galleggiante a forma di puzzle. Si tratta di un’area ricreativa, che è anche parco giochi e stabilimento balneare, dove grandi e bambini possono rilassarsi, prendere il sole, giocare o tuffarsi nelle acque turchesi del lago.

Maarsseveense Plassen

Fonte: IPA

Maarsseveense Plassen

L’isola olandese a forma di puzzle

È un puzzle galleggiante, caratterizzato da un prato verdeggiante, quell’area che ospita la spiaggia più bizzarra d’Europa nonché un parco giochi destinato a intrattenere le famiglie locali e i viaggiatori in vacanza nei Paesi Bassi. Vista dall’alto, con la sua caratteristica forma, Maarsseveense Plassen emerge tra le acque del lago con i suoi colori cangianti: si tratta di scivoli, barche dei pirati e altre strutture ricreative per bambini. Non mancano ovviamente aree prendisole e accessi diretti nel lago per chi vuole nuotare tra le acque limpide del bacino.

Si tratta di un vero e proprio stabilimento balneare, chiamato anche Strandbad, all’interno del quale famiglie, cittadini, coppie e viaggiatori possono rifugiarsi durante le calde giornate d’estate e trascorrere vacanze indimenticabili.

Maarsseveense Plassen

Fonte: IPA

Maarsseveense Plassen

 

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47 secondi per arrivare: questo è il volo più corto del mondo

Avete mai detto a qualcuno «arrivo tra un minuto»? Bene, semmai doveste prendere l’aereo di cui stiamo per parlarvi stareste proprio dicendo il vero, perché vi trovereste sul volo più corto del mondo, la cui durata totale è di soli 47 secondi. Sì, davvero: meno di un minuto per arrivare da un posto all’altro a bordo di un velivolo piccolo e leggero.

Proprio la brevissima durata del volo e la particolarità dell’aereo, oltre che alla prospettive future (e sostenibili) stanno facendo sì che questa tratta così originale sia sempre più gettonata, nonostante il viaggio, in termini di chilometri, non sia esattamente vantaggioso dal punto di vista economico. Ma scopriamo di più.

La rotta del volo più corto del mondo

Quali mete collega il volo più corto del mondo? Due isole della Scozia, precisamente Westray, la più grande dell’arcipelago delle isole Orcadi (situato sul Mare nel Nord della Scozia nord-orientale) e Papa Westray, isola più piccola dello stesso arcipelago. Le due isole sono da sempre collegate anche dai traghetti, ma per ragioni che all’inizio erano prettamente commerciali sono stati costruiti degli aeroporti su entrambi gli atolli.

Con il passare del tempo, data la velocità del volo, non poche persone hanno iniziato a preferirlo ai traghetti. Il volo è operato da Loganair, compagnia scozzese che conta su una modesta ma solida flotta e che dagli anni Sessanta opera tra le Orcadi e le Isole Shetland.

Chilometri e mezzi del volo più corto del mondo

Come fa questo volo a durare così poco? Perché, ovviamente, copre una distanza davvero breve. Si tratta di meno di 3 chilometri, 2,7 per la precisione. La “lunghezza” di questa rotta è oggetto di diverse battute ironiche tra gli scozzesi, perché il caso ha voluto che la pista aerea dell’aeroporto di Edimburgo fosse lunga proprio 2,7 chilometri.

I voli partono a una frequenza molto elevata, perché anche i tempi di imbarco e sbarco sono piuttosto contenuti. D’altronde, i mezzi utilizzati sono dei Britten-Norman BN-2 Islander, velivoli leggerissimi con soli otto posti a bordo. L’unico giorno in cui non sono effettuati è il sabato, quando entrambi gli aeroporti sono chiusi.

Una curiosità: il pilota Stuart Linklater è, attualmente, l’uomo ha effettuato il volo più breve del mondo più di qualsiasi altro al mondo: ha guidato i suoi aerei lungo questa tratta più di 12.000 volte, prima di ritirarsi nel 2013. E ha anche stabilito il record per il volo più veloce: soli 42 secondi.

Quanto costa il volo più corto del mondo?

Abbiamo accennato al fatto che il volo è costoso, ma occorre fare una piccola precisazione. La somma che si spende non è da capogiro: si va da 30 a 36 sterline a tratta (quindi da 36 a 44 euro circa). Andata e ritorno, pertanto, si attestano intorno agli 80 euro che per fare un’esperienza del genere probabilmente non sono neanche tantissimi, ma che in relazione alla distanza percorsa e alle rotte low cost in tutto il mondo sono una cifra notevole.

Il costo del biglietto viene scontato se si è appassionati di aviazione o se si stanno facendo dei corsi di specializzazione riguardanti la guida di aerei, elicotteri o la carriera di hostess e steward. Infine, per i residenti delle due isole (che, peraltro, sono pochissimi: appena 600 a Westray e appena 100 a Papa Westray) il volo è gratuito perché fa parte del servizio pubblico scozzese.

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Il lago incantato che ha rubato i colori al mar dei Caraibi

Un luogo fiabesco, incastonato nel verde, con colori spettacolari e un’atmosfera magica. Stiamo parlando dell’incantevole Lago Königssee che, con le sue acque color verde smeraldo, incanta turisti e visitatori di passaggio in Baviera.

Situato al confine sud-est con l’Austria, il Königssee è il gioiellino del famoso Parco Nazionale di Berchtesgaden, istituito nel 1978 per conservare e proteggere la natura della Baviera. Si tratta dello specchio lacustre più pulito della Germania, profondo fino a 190 metri.

Il Lago Königssee in Baviera

Il lago era la riserva di caccia e pesca dei Canonici di Berchtesgaden, ai comandi dei Re di Baviera, per questo il suo nome significa letteralmente lago del Re. Il verde smeraldo delle sue acque attira l’attenzione degli amanti della natura che restano folgorati dalla profondità di questo colore caraibico. Il suo aspetto, in realtà, è dovuto ad alcune particelle minerali presenti nell’acqua. Dopo il disgelo del ghiacciaio da cui il lago si è formato, alcune particelle, troppo piccole per cadere sul fondo del lago, sono rimaste sospese nell’acqua. Queste riflettono la luce del sole creando riflessi particolari e unici.

Parco Nazionale di Berchtesgaden

Il Lago Königssee sorge al centro del Parco Nazionale di Berchtesgaden, in Baviera. È facile da raggiungere, sia da Salisburgo che da Monaco. Si tratta di è uno dei sedici parchi nazionali della Germania, l’unico nell’area alpina. Esso protegge buona parte delle Alpi di Berchtesgaden che si trovano in territorio tedesco, offrendo un panorama davvero unico.

I sentieri che percorrono questo territorio sono davvero moltissimi. Da quelli più facili, adatti anche ai bambini, a quelli impegnativi, che portano sulla vetta dei massicci più elevati di questa regione. Un luogo verde, pulito, ricco di natura, con temperature miti e paesaggi mozzafiato. Gli amanti del trekking e delle escursioni avranno pane per i loro denti.

Passeggiare circondati da una stupenda vista dai colori scintillanti è davvero la miglior cura per lo stress quotidiano. Questo parco è una meta perfetta per chi è alla ricerca di un viaggio insolito, riposante e riconciliante.

Lago Konigssee in Germania

Fonte: iStock

L’acqua smeraldo del Lago Konigssee

Cosa visitare nei dintorni?

Oltre alla natura, che caratterizza la bellezza di questo posto, nei pressi del lago Königssee c’è St. Bartholomä. Qui si trovano ristoranti tipici e la famosa cappella dedicata a San Bartolomeo, conosciuta per le sue suggestive torrette a cipolla. Potete raggiungere la destinazione con una barca, attraversando le acque smeraldo che sembrano il mare dei Caraibi. Con il battello si arriva anche fino al capolinea di Salet e da lì, con una passeggiata di circa 15 minuti, si giunge al laghetto alpino Obersee. Da questo piccolo lago incastonato tra le rocce si scorge in lontananza la stupenda cascata Röthbach, la più alta della Germania.

Se questo non vi basta, il lago Königssee ospita anche un piccolo isolotto disabitato: l’isola di Christlieger.

Se volete un po’ di fresco e paesaggi incantati, sapete dove andare. Tra camminate, cibo bavarese, natura rigogliosa e acque smeraldine, troverete la pace dei sensi. Il luogo perfetto per pic-nic, gite in famiglia e tanto riposo. Non vi resta che prenotare il soggiorno e volare verso il lago dalle acque cristalline.

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Abbiamo trovato il museo più inquietante del mondo. Pronti a entrare?

La chirurgia dei giorni nostri è lontana anni luce da quella dei secoli scorsi. La bravura del medico adesso come allora non veniva messa in dubbio, ma nel corso dell’800 quello che faceva la differenza era la velocità nell’eseguire gli interventi. Alcuni dei migliori chirurghi del XIX secolo hanno lavorato proprio all’interno della soffitta dell’Old St Thomas Church che fungeva da sala operatoria e che adesso è diventato un vero e proprio museo tutto da scoprire.

Una sala operatoria diventata museo

L’Old Operating Theatre Museum è la più antica sala operatoria d’Europa che un tempo si trovava nel campanile della chiesa barocca di St Thomas, Southwark, a Londra, dove sorgeva il St Thomas’ Hospital. Teatro di operazioni fino al 1862, quando l’ospedale è stato trasferito nel quartiere di Lambeth, la sala chirurgica è rimasta nascosta a lungo. Soltanto nel 1957 c’è stata la sua riscoperta, prima della decisione di trasformare la sala in un museo.

Conosciuta come Sala delle Erbe, prima di diventare una vera e propria sala operatoria la stanza veniva utilizzata dal farmacista dell’ospedale per essiccare le piante medicinali, sfruttando i soffitti alti e le navate che ne favorivano il processo. È solo nel 1822 che l’essiccatoio è stato trasformato in una vera e propria sala operatoria.

All’interno del museo, oltre al tavolo operatorio, è possibile ammirare tutti gli strumenti chirurgici del periodo, come ad esempio quelli per la coppettazione, quelli utilizzati per il sanguinamento, la trapanazione o la perforazione del cranio.

La stanza, però non era stata concepita solo per operare i pazienti, ma anche per dimostrare agli studenti le moderne tecniche chirurgiche del tempo.

Gli antichi strumenti chirurgici

Fonte: Getty Images

Gli strumenti chirurgici presenti nell’Old Operating Theatre Museum

Operazioni senza anestesia

La sala operatoria diventata un’attrazione era stata costruita per le pazienti donne del vicino reparto femminile e veniva utilizzata solo dal ceto basso che, a differenza di quello alto, non poteva permettersi cure mediche a domicilio e nemmeno eseguire interventi direttamente in casa propria. Queste pazienti, quindi, erano disposte a tutto, anche diventare delle cavie pur di avere assistenza. La maggior parte dei casi riguardava amputazioni, perché non potendo assicurare un ambiente antisettico, le operazioni interne potevano essere pericolose.

Le condizioni igieniche dei medici e della sala operatoria erano scarse, il sangue che cadeva a terra durante l’operazione, non veniva rimosso col lavaggio ma raccolto e assorbito dai trucioli di legno. A peggiorare la situazione c’erano gli studenti che assistevano alle operazioni.

Il tavolo operatorio, infatti era posto al centro della sala circondato ai lati da gradoni che ospitavano gli studenti giunti lì per assistere alle tecniche chirurgiche avanguardistiche e ammirare la rapidità dei medici dell’epoca. Ma perché era così importante imparare ad eseguire un intervento in pochi minuti? Perché fino al 1847 ancora non venivano utilizzati gli anestetici, ai pazienti veniva fornito solo un legnetto da mettere tra i denti per limitare le urla, ma anche alcool e oppiacei per attutire il dolore.

Durante le operazioni il medico doveva essere così bravo da riuscire ad eseguire le amputazioni in pochi minuti, perché più velocemente veniva rimosso un arto, minore era il rischio di infezione e maggiori le probabilità di sopravvivenza. Varcare oggi la soglia di questo museo significa fare un tuffo nel passato e scoprire tutte le tecniche chirurgiche ormai dimenticate.

Sala interna dell'Old Operating Theatre Museum

Fonte: Getty Images

Cimeli d’epoca presenti nell’Old Operating Theatre Museum
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C’è un posto speciale in Italia che ha ispirato La Sirenetta. E ora è in vendita

Un luogo silenzioso, circondato dalla natura, che si affaccia sul mare e che si trova in Italia: sì, le origini de La Sirenetta di Hans Christian Andersen sono da ricercarsi nel Belpaese e, precisamente, in quel di Sestri Levante. Proprio qui si trova, infatti, una prestigiosa tenuta comprensiva di parco, villa e vista privilegiata sul golfo ligure dove lo scrittore alloggiò per un breve periodo e che pare avergli suggerito l’iconica storia.

La notizia del momento, però, non riguarda l’esistenza della villa in sé e per sé, considerando che questo luogo era già noto ai più. No, la vera novità è che adesso la tenuta è in vendita: l’annuncio è apparso sul sito web Lionard Luxury Real Estate. E, obiettivamente, fa sognare.

Le caratteristiche della villa de La Sirenetta

Perché questa villa è così speciale e particolare? Perché offre uno scorcio incantevole della riviera ligure, certo, ma non solo. La dimora, una vera e propria magione, fu progettata dall’architetto Luigi Carlo Daneri, che si rifece alle opere e a linguaggio di Le Corbusier. È un esempio tipico di villa pieds dans l’eau, che, tradotto dal francese, significa “villa con i piedi in acqua” per la sua vicinanza al mare.

Sestri Levante: è in vendita la villa che ispirò la Sirenetta

Sì, perché la villa conta su un accesso riservato al mare, con tanto di spiaggia e molo privati. L’intera proprietà si snoda su quasi 25.000 metri quadri, di cui 1.100 occupati dalla dimora, che si eleva su tre livelli tutti dotate di ampie vetrate panoramiche e comprende nove camere da letto, sei bagni e un’enorme cucina dotate di ogni possibile comfort. Non solo: all’esterno si trovano anche una splendida piscina e un piccolo campo da calcio, oltre che enormi spazi verdi ricchi di vegetazione, dotati di sentieri naturali, che permettono di passeggiare e meditare.

Quanto costa la villa de La Sirenetta?

Se si è fortunati, dunque, si può diventare proprietari del luogo dove Hans Christian Andersen concepì l’idea de La Sirenetta. Chiaramente, ci vuole anche un cospicuo conto in banca: la trattativa per la vendita è riservata e considerando che questa splendida villa italiana è stata ufficialmente dichiara Monumento Nazionale di Architettura Moderna, non ci si può aspettare una richiesta inferiore a 20 milioni di euro.

Sestri Levante: qui nacque La Sirenetta e il luogo speciale che la ispirò è in vendita

Per altro, bisogna considerare che per anni la villa è appartenuta a un famoso editore italiano che oltre a usarla solo come residenza estiva, l’ha sempre trattata talmente tanto bene che ogni arredo, ogni decoro e ogni dettaglio sembrano nuovi e immacolati. Nel corso dei secoli, per altro, la tenuta ha ospitato grandi nomi della letteratura, del design e dell’architettura: ciò che si acquista, dunque, non è solo una splendida tenuta ma anche un vero e proprio pezzo di storia.

La villa di Sestri Levante e La Sirenetta

Ma tornando a La Sirenetta, perché si dice che questa prestigiosa villa abbia ispirato Andersen? È presto spiegato: la dimora sorge appunto a Sestri Levante, che ha uno dei centri storici più belli e particolari d’Italia: si articola, infatti, in una striscia di terra che divide il mare in due baie incantevoli, quella del Silenzio e quella delle Favole. Proprio il centro storico di levante, un istmo di terra così particolare, sarebbe nato, secondo la leggenda, per via di un amore proibito.

Quale amore? Quello fra la sirena Segesta, con occhi d’argento e capelli rosso fuoco, che Nettuno aveva eletto come sua figlia più bella, e il tritone Tigullio. A Segesta e alle altre sirene, Nettuno aveva dato il permesso di emergere e giacere sugli scogli per presidiare il luogo: con la loro bellezza, infatti, le sirene distraevano pirati e pescatori malintenzionati, li attraevano e poi Nettuno stesso li giustiziava, onde evitare che rovinassero quello scorcio così belli.

I tritoni, invece, avevano il ruolo di presidiare i fondali e non era stato dato loro il permesso di emergere: la loro bontà e la loro indulgenza era nota ai più, erano sempre un po’ ingenui e ciò non li rendeva adatti a svolgere il compito che invece le furbe sirene portavano a termine egregiamente. Tuttavia, un giorno, mentre Tigullio svolgeva il suo ruolo e si annoiava, fu colpito dal canto più bello che avesse mai sentito.

In Liguria c'è una villa che ha ispirato La Sirenetta: e ora è in vendita

Tigullio provò a rimanere indifferente, ma di fatto, ogni giorno, per tre giorni, quel canto ammaliante gli colpiva il cuore e gli rapiva l’anima. La terza sera, quando la Luna stava sorgendo, Tigullio nuotò e nuotò per emergere, disobbedendo a Nettuno: lì vide Segesta, con la pelle chiarissima baciata dalla luce lunare, i capelli rossi che brillavano e gli occhi talmente tanto accesi da farlo innamorare subito, perdutamente.

Per Segesta non fu diverso. I tritoni, generalmente, erano brutti, un po’ deformi. Tigullio, invece, era bellissimo con la sua pelle ocra, gli occhi azzurri come il mare, i capelli neri che gli incorniciavano il viso e il corpo proporzionato. Ma non solo: era anche la creatura più dolce e gentile che avesse mai visto. Nei primi giorni, però, i due non si toccavano. Si guardavano, parlavano e Tigullio ascoltava il canto di Segesta, avvicinandosi ogni giorno un poco di più, senza osare fare altro.

Un giorno, però, i due erano talmente vicini che Tigullio toccò la coda della bella Segesta. Questo tocco fece sì che Nettuno si accorgesse di ciò che stava accadendo: un tritone e la sua figlia più amata e bella si stavano avvicinando senza che fosse lui a decretare la loro unione. Furioso, il dio del mare scagliò su Tigullio una maledizione che lo pietrificò, senza però tenere conto che il tritone aveva la mano sulla coda della sirena, che venne pietrificata anch’essa.

Da allora, si dice che il centro di Sestri altro che non sia che il corpo di Tigullio aggrappato alla coda pietrificata di Segesta. E proprio questa storia così straziante portò Andersen a inventare La Sirenetta, sostituendo però il tritone con un essere umano.

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C’era una volta il pinnetto sardo, la dimora antica e rurale dei pastori

Le pinnettas sono antiche costruzioni pastorali tipiche della Sardegna, il luogo perfetto dove alloggiare per i veri viaggiatori che vogliono conoscere al meglio la cultura e la storia locale. In alcune zone, come ad esempio in Ogliastra, vengono anche chiamate barraccos o coiles, ma in generale sono diffuse in tutta la regione.

Da vecchie abitazioni tipiche, alcune di queste costruzioni hanno subito dei lavori di riqualifica, trasformandosi in hotel. Altri pinnetti, invece, sono preservati e valorizzati da associazioni locali ed è possibile avvistarli in numerosi itinerari escursionistici dell’entroterra.

Cosa sono le pinnettas?

Le pinnettas, chiamate anche pinnetti, sono abitazioni tipiche della Sardegna, con un’identità ed un aspetto caratteristici e unici. Di forma generalmente circolare con copertura conica, solitamente sono costruite completamente con pietre sistemate a strati senza legante, alcune però hanno soltanto la base in pietra e la copertura in frasche o canne. La forma particolare e i materiali usati nella costruzione le rendono simili alle antiche capanne nuragiche.

In origine, i pinnetti sono nati con uno scopo ben preciso: come punto d’appoggio per i pastore. Infatti, erano, e a volte ancora sono, utilizzate dai pastori per il pernottamento in territori selvaggi o poco accessibili, per il deposito di vivande o di materiali vari utili al lavoro con il bestiame. Dei piccoli rifugi per trovare riposo e cibo dopo le lunghe giornate di lavoro. Al giorno d’oggi però, i pinnetti sono spesso rimodernati e utilizzati per finalità turistiche.

Pinnetto in Sardegna

Fonte: iStock

La tradizionale dimora dei pastori sardi

Fare una passeggiata alla scoperta dei pinnetti

Per ammirare i pinnetti e scoprire la bellezza dei sentieri sardi, l’ideale è una passeggiata per il Supramonte. L’altezza media dei suoi monti è di circa 900 m, il territorio è costituito da un altopiano tagliato da valli profonde. Percorrendo questi sentieri si possono scoprire le vie dei pastori e trovare quindi i pinnetti in cui essi trovavano rifugio la notte. Le piccole capanne di pietra emergono dalla natura selvaggia e dura di questi monti, come piccole oasi di pace. Se amate escursioni e trekking, questi percorsi sono davvero perfetti.

Dormire in un pinnettu

Alcuni pinnetti sono diventati invece degli hotel. Ad esempio, Essenza Sardegna, oppure il pinnetto in località Su Lau, ma ce ne sono molti altri. Si tratta di complessi turistici in cui è possibile sperimentare un po’ di Sardegna sulla propria pelle. Ogni stanza è arredata in tipico stile sardo, riprendendo gli elementi originali delle capanne di una volta, creando un’atmosfera rustica e intima. Un’esperienza da provare.

La salvaguardia e la ristrutturazione

A Dorgali, un paese tra mare montagna,  un gruppo di cittadini in modo disinteressato e con forte impegno civico, ha organizzato la ristrutturazione dei pinnetti. Decine di persone che hanno rimesso a posto i muri e realizzato tutti gli interventi necessari a far rivivere le antiche capanne dei pastori. In altre località invece sono intervenute associazioni ed enti benefici, per recuperare e valorizzare la bellezza di queste antiche dimore di pietra.

Ogni viaggio in Sardegna merita un itinerario tra la natura selvaggia, i sentieri sterrati e i percorsi costeggiati dagli antichi pinnetti dei pastori.