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Il lago incantato che ha rubato i colori al mar dei Caraibi

Un luogo fiabesco, incastonato nel verde, con colori spettacolari e un’atmosfera magica. Stiamo parlando dell’incantevole Lago Königssee che, con le sue acque color verde smeraldo, incanta turisti e visitatori di passaggio in Baviera.

Situato al confine sud-est con l’Austria, il Königssee è il gioiellino del famoso Parco Nazionale di Berchtesgaden, istituito nel 1978 per conservare e proteggere la natura della Baviera. Si tratta dello specchio lacustre più pulito della Germania, profondo fino a 190 metri.

Il Lago Königssee in Baviera

Il lago era la riserva di caccia e pesca dei Canonici di Berchtesgaden, ai comandi dei Re di Baviera, per questo il suo nome significa letteralmente lago del Re. Il verde smeraldo delle sue acque attira l’attenzione degli amanti della natura che restano folgorati dalla profondità di questo colore caraibico. Il suo aspetto, in realtà, è dovuto ad alcune particelle minerali presenti nell’acqua. Dopo il disgelo del ghiacciaio da cui il lago si è formato, alcune particelle, troppo piccole per cadere sul fondo del lago, sono rimaste sospese nell’acqua. Queste riflettono la luce del sole creando riflessi particolari e unici.

Parco Nazionale di Berchtesgaden

Il Lago Königssee sorge al centro del Parco Nazionale di Berchtesgaden, in Baviera. È facile da raggiungere, sia da Salisburgo che da Monaco. Si tratta di è uno dei sedici parchi nazionali della Germania, l’unico nell’area alpina. Esso protegge buona parte delle Alpi di Berchtesgaden che si trovano in territorio tedesco, offrendo un panorama davvero unico.

I sentieri che percorrono questo territorio sono davvero moltissimi. Da quelli più facili, adatti anche ai bambini, a quelli impegnativi, che portano sulla vetta dei massicci più elevati di questa regione. Un luogo verde, pulito, ricco di natura, con temperature miti e paesaggi mozzafiato. Gli amanti del trekking e delle escursioni avranno pane per i loro denti.

Passeggiare circondati da una stupenda vista dai colori scintillanti è davvero la miglior cura per lo stress quotidiano. Questo parco è una meta perfetta per chi è alla ricerca di un viaggio insolito, riposante e riconciliante.

Lago Konigssee in Germania

Fonte: iStock

L’acqua smeraldo del Lago Konigssee

Cosa visitare nei dintorni?

Oltre alla natura, che caratterizza la bellezza di questo posto, nei pressi del lago Königssee c’è St. Bartholomä. Qui si trovano ristoranti tipici e la famosa cappella dedicata a San Bartolomeo, conosciuta per le sue suggestive torrette a cipolla. Potete raggiungere la destinazione con una barca, attraversando le acque smeraldo che sembrano il mare dei Caraibi. Con il battello si arriva anche fino al capolinea di Salet e da lì, con una passeggiata di circa 15 minuti, si giunge al laghetto alpino Obersee. Da questo piccolo lago incastonato tra le rocce si scorge in lontananza la stupenda cascata Röthbach, la più alta della Germania.

Se questo non vi basta, il lago Königssee ospita anche un piccolo isolotto disabitato: l’isola di Christlieger.

Se volete un po’ di fresco e paesaggi incantati, sapete dove andare. Tra camminate, cibo bavarese, natura rigogliosa e acque smeraldine, troverete la pace dei sensi. Il luogo perfetto per pic-nic, gite in famiglia e tanto riposo. Non vi resta che prenotare il soggiorno e volare verso il lago dalle acque cristalline.

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Curiosità itinerari culturali musei Viaggi

Abbiamo trovato il museo più inquietante del mondo. Pronti a entrare?

La chirurgia dei giorni nostri è lontana anni luce da quella dei secoli scorsi. La bravura del medico adesso come allora non veniva messa in dubbio, ma nel corso dell’800 quello che faceva la differenza era la velocità nell’eseguire gli interventi. Alcuni dei migliori chirurghi del XIX secolo hanno lavorato proprio all’interno della soffitta dell’Old St Thomas Church che fungeva da sala operatoria e che adesso è diventato un vero e proprio museo tutto da scoprire.

Una sala operatoria diventata museo

L’Old Operating Theatre Museum è la più antica sala operatoria d’Europa che un tempo si trovava nel campanile della chiesa barocca di St Thomas, Southwark, a Londra, dove sorgeva il St Thomas’ Hospital. Teatro di operazioni fino al 1862, quando l’ospedale è stato trasferito nel quartiere di Lambeth, la sala chirurgica è rimasta nascosta a lungo. Soltanto nel 1957 c’è stata la sua riscoperta, prima della decisione di trasformare la sala in un museo.

Conosciuta come Sala delle Erbe, prima di diventare una vera e propria sala operatoria la stanza veniva utilizzata dal farmacista dell’ospedale per essiccare le piante medicinali, sfruttando i soffitti alti e le navate che ne favorivano il processo. È solo nel 1822 che l’essiccatoio è stato trasformato in una vera e propria sala operatoria.

All’interno del museo, oltre al tavolo operatorio, è possibile ammirare tutti gli strumenti chirurgici del periodo, come ad esempio quelli per la coppettazione, quelli utilizzati per il sanguinamento, la trapanazione o la perforazione del cranio.

La stanza, però non era stata concepita solo per operare i pazienti, ma anche per dimostrare agli studenti le moderne tecniche chirurgiche del tempo.

Gli antichi strumenti chirurgici

Fonte: Getty Images

Gli strumenti chirurgici presenti nell’Old Operating Theatre Museum

Operazioni senza anestesia

La sala operatoria diventata un’attrazione era stata costruita per le pazienti donne del vicino reparto femminile e veniva utilizzata solo dal ceto basso che, a differenza di quello alto, non poteva permettersi cure mediche a domicilio e nemmeno eseguire interventi direttamente in casa propria. Queste pazienti, quindi, erano disposte a tutto, anche diventare delle cavie pur di avere assistenza. La maggior parte dei casi riguardava amputazioni, perché non potendo assicurare un ambiente antisettico, le operazioni interne potevano essere pericolose.

Le condizioni igieniche dei medici e della sala operatoria erano scarse, il sangue che cadeva a terra durante l’operazione, non veniva rimosso col lavaggio ma raccolto e assorbito dai trucioli di legno. A peggiorare la situazione c’erano gli studenti che assistevano alle operazioni.

Il tavolo operatorio, infatti era posto al centro della sala circondato ai lati da gradoni che ospitavano gli studenti giunti lì per assistere alle tecniche chirurgiche avanguardistiche e ammirare la rapidità dei medici dell’epoca. Ma perché era così importante imparare ad eseguire un intervento in pochi minuti? Perché fino al 1847 ancora non venivano utilizzati gli anestetici, ai pazienti veniva fornito solo un legnetto da mettere tra i denti per limitare le urla, ma anche alcool e oppiacei per attutire il dolore.

Durante le operazioni il medico doveva essere così bravo da riuscire ad eseguire le amputazioni in pochi minuti, perché più velocemente veniva rimosso un arto, minore era il rischio di infezione e maggiori le probabilità di sopravvivenza. Varcare oggi la soglia di questo museo significa fare un tuffo nel passato e scoprire tutte le tecniche chirurgiche ormai dimenticate.

Sala interna dell'Old Operating Theatre Museum

Fonte: Getty Images

Cimeli d’epoca presenti nell’Old Operating Theatre Museum
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Curiosità lusso mare Viaggi ville

C’è un posto speciale in Italia che ha ispirato La Sirenetta. E ora è in vendita

Un luogo silenzioso, circondato dalla natura, che si affaccia sul mare e che si trova in Italia: sì, le origini de La Sirenetta di Hans Christian Andersen sono da ricercarsi nel Belpaese e, precisamente, in quel di Sestri Levante. Proprio qui si trova, infatti, una prestigiosa tenuta comprensiva di parco, villa e vista privilegiata sul golfo ligure dove lo scrittore alloggiò per un breve periodo e che pare avergli suggerito l’iconica storia.

La notizia del momento, però, non riguarda l’esistenza della villa in sé e per sé, considerando che questo luogo era già noto ai più. No, la vera novità è che adesso la tenuta è in vendita: l’annuncio è apparso sul sito web Lionard Luxury Real Estate. E, obiettivamente, fa sognare.

Le caratteristiche della villa de La Sirenetta

Perché questa villa è così speciale e particolare? Perché offre uno scorcio incantevole della riviera ligure, certo, ma non solo. La dimora, una vera e propria magione, fu progettata dall’architetto Luigi Carlo Daneri, che si rifece alle opere e a linguaggio di Le Corbusier. È un esempio tipico di villa pieds dans l’eau, che, tradotto dal francese, significa “villa con i piedi in acqua” per la sua vicinanza al mare.

Sestri Levante: è in vendita la villa che ispirò la Sirenetta

Sì, perché la villa conta su un accesso riservato al mare, con tanto di spiaggia e molo privati. L’intera proprietà si snoda su quasi 25.000 metri quadri, di cui 1.100 occupati dalla dimora, che si eleva su tre livelli tutti dotate di ampie vetrate panoramiche e comprende nove camere da letto, sei bagni e un’enorme cucina dotate di ogni possibile comfort. Non solo: all’esterno si trovano anche una splendida piscina e un piccolo campo da calcio, oltre che enormi spazi verdi ricchi di vegetazione, dotati di sentieri naturali, che permettono di passeggiare e meditare.

Quanto costa la villa de La Sirenetta?

Se si è fortunati, dunque, si può diventare proprietari del luogo dove Hans Christian Andersen concepì l’idea de La Sirenetta. Chiaramente, ci vuole anche un cospicuo conto in banca: la trattativa per la vendita è riservata e considerando che questa splendida villa italiana è stata ufficialmente dichiara Monumento Nazionale di Architettura Moderna, non ci si può aspettare una richiesta inferiore a 20 milioni di euro.

Sestri Levante: qui nacque La Sirenetta e il luogo speciale che la ispirò è in vendita

Per altro, bisogna considerare che per anni la villa è appartenuta a un famoso editore italiano che oltre a usarla solo come residenza estiva, l’ha sempre trattata talmente tanto bene che ogni arredo, ogni decoro e ogni dettaglio sembrano nuovi e immacolati. Nel corso dei secoli, per altro, la tenuta ha ospitato grandi nomi della letteratura, del design e dell’architettura: ciò che si acquista, dunque, non è solo una splendida tenuta ma anche un vero e proprio pezzo di storia.

La villa di Sestri Levante e La Sirenetta

Ma tornando a La Sirenetta, perché si dice che questa prestigiosa villa abbia ispirato Andersen? È presto spiegato: la dimora sorge appunto a Sestri Levante, che ha uno dei centri storici più belli e particolari d’Italia: si articola, infatti, in una striscia di terra che divide il mare in due baie incantevoli, quella del Silenzio e quella delle Favole. Proprio il centro storico di levante, un istmo di terra così particolare, sarebbe nato, secondo la leggenda, per via di un amore proibito.

Quale amore? Quello fra la sirena Segesta, con occhi d’argento e capelli rosso fuoco, che Nettuno aveva eletto come sua figlia più bella, e il tritone Tigullio. A Segesta e alle altre sirene, Nettuno aveva dato il permesso di emergere e giacere sugli scogli per presidiare il luogo: con la loro bellezza, infatti, le sirene distraevano pirati e pescatori malintenzionati, li attraevano e poi Nettuno stesso li giustiziava, onde evitare che rovinassero quello scorcio così belli.

I tritoni, invece, avevano il ruolo di presidiare i fondali e non era stato dato loro il permesso di emergere: la loro bontà e la loro indulgenza era nota ai più, erano sempre un po’ ingenui e ciò non li rendeva adatti a svolgere il compito che invece le furbe sirene portavano a termine egregiamente. Tuttavia, un giorno, mentre Tigullio svolgeva il suo ruolo e si annoiava, fu colpito dal canto più bello che avesse mai sentito.

In Liguria c'è una villa che ha ispirato La Sirenetta: e ora è in vendita

Tigullio provò a rimanere indifferente, ma di fatto, ogni giorno, per tre giorni, quel canto ammaliante gli colpiva il cuore e gli rapiva l’anima. La terza sera, quando la Luna stava sorgendo, Tigullio nuotò e nuotò per emergere, disobbedendo a Nettuno: lì vide Segesta, con la pelle chiarissima baciata dalla luce lunare, i capelli rossi che brillavano e gli occhi talmente tanto accesi da farlo innamorare subito, perdutamente.

Per Segesta non fu diverso. I tritoni, generalmente, erano brutti, un po’ deformi. Tigullio, invece, era bellissimo con la sua pelle ocra, gli occhi azzurri come il mare, i capelli neri che gli incorniciavano il viso e il corpo proporzionato. Ma non solo: era anche la creatura più dolce e gentile che avesse mai visto. Nei primi giorni, però, i due non si toccavano. Si guardavano, parlavano e Tigullio ascoltava il canto di Segesta, avvicinandosi ogni giorno un poco di più, senza osare fare altro.

Un giorno, però, i due erano talmente vicini che Tigullio toccò la coda della bella Segesta. Questo tocco fece sì che Nettuno si accorgesse di ciò che stava accadendo: un tritone e la sua figlia più amata e bella si stavano avvicinando senza che fosse lui a decretare la loro unione. Furioso, il dio del mare scagliò su Tigullio una maledizione che lo pietrificò, senza però tenere conto che il tritone aveva la mano sulla coda della sirena, che venne pietrificata anch’essa.

Da allora, si dice che il centro di Sestri altro che non sia che il corpo di Tigullio aggrappato alla coda pietrificata di Segesta. E proprio questa storia così straziante portò Andersen a inventare La Sirenetta, sostituendo però il tritone con un essere umano.

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Curiosità Viaggi

C’era una volta il pinnetto sardo, la dimora antica e rurale dei pastori

Le pinnettas sono antiche costruzioni pastorali tipiche della Sardegna, il luogo perfetto dove alloggiare per i veri viaggiatori che vogliono conoscere al meglio la cultura e la storia locale. In alcune zone, come ad esempio in Ogliastra, vengono anche chiamate barraccos o coiles, ma in generale sono diffuse in tutta la regione.

Da vecchie abitazioni tipiche, alcune di queste costruzioni hanno subito dei lavori di riqualifica, trasformandosi in hotel. Altri pinnetti, invece, sono preservati e valorizzati da associazioni locali ed è possibile avvistarli in numerosi itinerari escursionistici dell’entroterra.

Cosa sono le pinnettas?

Le pinnettas, chiamate anche pinnetti, sono abitazioni tipiche della Sardegna, con un’identità ed un aspetto caratteristici e unici. Di forma generalmente circolare con copertura conica, solitamente sono costruite completamente con pietre sistemate a strati senza legante, alcune però hanno soltanto la base in pietra e la copertura in frasche o canne. La forma particolare e i materiali usati nella costruzione le rendono simili alle antiche capanne nuragiche.

In origine, i pinnetti sono nati con uno scopo ben preciso: come punto d’appoggio per i pastore. Infatti, erano, e a volte ancora sono, utilizzate dai pastori per il pernottamento in territori selvaggi o poco accessibili, per il deposito di vivande o di materiali vari utili al lavoro con il bestiame. Dei piccoli rifugi per trovare riposo e cibo dopo le lunghe giornate di lavoro. Al giorno d’oggi però, i pinnetti sono spesso rimodernati e utilizzati per finalità turistiche.

Pinnetto in Sardegna

Fonte: iStock

La tradizionale dimora dei pastori sardi

Fare una passeggiata alla scoperta dei pinnetti

Per ammirare i pinnetti e scoprire la bellezza dei sentieri sardi, l’ideale è una passeggiata per il Supramonte. L’altezza media dei suoi monti è di circa 900 m, il territorio è costituito da un altopiano tagliato da valli profonde. Percorrendo questi sentieri si possono scoprire le vie dei pastori e trovare quindi i pinnetti in cui essi trovavano rifugio la notte. Le piccole capanne di pietra emergono dalla natura selvaggia e dura di questi monti, come piccole oasi di pace. Se amate escursioni e trekking, questi percorsi sono davvero perfetti.

Dormire in un pinnettu

Alcuni pinnetti sono diventati invece degli hotel. Ad esempio, Essenza Sardegna, oppure il pinnetto in località Su Lau, ma ce ne sono molti altri. Si tratta di complessi turistici in cui è possibile sperimentare un po’ di Sardegna sulla propria pelle. Ogni stanza è arredata in tipico stile sardo, riprendendo gli elementi originali delle capanne di una volta, creando un’atmosfera rustica e intima. Un’esperienza da provare.

La salvaguardia e la ristrutturazione

A Dorgali, un paese tra mare montagna,  un gruppo di cittadini in modo disinteressato e con forte impegno civico, ha organizzato la ristrutturazione dei pinnetti. Decine di persone che hanno rimesso a posto i muri e realizzato tutti gli interventi necessari a far rivivere le antiche capanne dei pastori. In altre località invece sono intervenute associazioni ed enti benefici, per recuperare e valorizzare la bellezza di queste antiche dimore di pietra.

Ogni viaggio in Sardegna merita un itinerario tra la natura selvaggia, i sentieri sterrati e i percorsi costeggiati dagli antichi pinnetti dei pastori.

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aurora boreale Curiosità Europa Posti incredibili Svezia Viaggi

Cacciatori di aurore, avete mai sentito parlare del Blue Hole di Abisko?

Se siete amanti delle aurore, dei colori freddi e brillanti delle notti artiche, abbiamo un posto che fa proprio per voi. Si tratta di Abisko, un villaggio svedese impregnato di magia. Qui, infatti, è possibile assistere al Blue Hole, un fenomeno meteorologico poco noto rende questo piccolo centro della Svezia artica uno dei posti migliori sulla Terra per vedere l’aurora boreale.

Lo spettacolo dell’aurora nel Blue Hole di Abisko

Per assistere allo spettacolo del Blue Hole è necessario viaggiare fino a Abisko, uno villaggi più settentrionali della Svezia, situato a 250 km a nord del Circolo Polare Artico. Proprio nel cielo che si staglia sopra questa piccola località, c’è una macchia di cielo che si estende da 10 a 20 kmq sopra il villaggio, il lago Torneträsk e il parco nazionale di Abisko. Questa porzione di infinito rimane chiara e limpida sempre, indipendentemente dal clima circostante. Questo fenomeno rende Abisko uno dei posti migliori al mondo per assistere costantemente all’Aurora Boreale.

Infatti, la regione è soggetta a tempeste di neve e altri fattori climatici che rendono impossibile ammirare l’aurora. Ma il Blue Hole rendere questo spettacolo visibile anche se tutto intorno si scaglia il maltempo.

Il Blue Hole of Abisko è circondato da montagne che ostacolano le precipitazioni, assicurando 200 giorni all’anno di cielo limpido. Da Abisko è possibile prendere una seggiovia, che, in venti minuti, porta all’Aurora Sky Station, situata a 1000 metri di altitudine sulla vetta del monte Nuolja. Qui, l’assoluta mancanza di inquinamento atmosferico trasforma le lunghe notti artiche in occasioni perfette per andare caccia di aurore. Sta a voi scegliere quale punto sfruttare per ammirare un’aurora boreale da sogno.

Aurora boreale vista da Abisko
L’aurora boreale vista da Abisko

Abisko in Svezia

Se immaginate Abisko come una meta turistica con hotel, ristoranti e comfort vari, vi state sbagliando. Il luogo che offre la più bella aurora boreale al mondo è una località remota e sperduta tra la neve e il ghiaccio della Svezia. Qui troverete una piccola stazione ferroviaria sola, nella tundra innevata. Niente lampioni, né macchine, né case, il cielo è il padrone assoluto. A pochi metri, un unico edificio, il Mountain Lodge. È tutta qui Abisko, una perla custodita nella Lapponia svedese, a un’ora di treno dall’abitato più vicino. Vi immergerete a pieno nel vostro viaggio, scordando tutto il resto.

L’aurora boreale è l’attrazione principale di Abisko durante i mesi invernali, ma il microclima offre anche altri eventi meteorologici spettacolari. Tra questi, i rarissimi “archi lunari“, noti anche come arcobaleni lunari e aloni lunari, che si verificano quando la luce della luna si riflette e si rifrange attraverso le goccioline d’acqua e cristalli di ghiaccio nell’aria che circondano il Blue Hole.

Preparatevi a temperature a -30° sotto lo zero, vestiti pesanti e diverse coincidenze aeree. La Lapponia Svedese è una regione bella quanto ostile, ma con le giuste attrezzature si può viaggiare con tranquillità.

Un luogo magico in cui le lunghe notti buie si illuminano dei colori dell’aurora e degli arcobaleni lunari. Abisko non avrà da offrire grandi attrazioni cittadine, ma ha quello che le metropoli non avranno mai: una natura spettacolare, da togliere il fiato.

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Madrid: il ristorante più antico del mondo si trova in città

L’atmosfera di Madrid, possiamo ben dirlo, è unica nel suo genere. La capitale spagnola è talmente particolare da incantare ogni anno migliaia di migliaia di turisti. Ma oltre alla sua storia, alla sua magia e al suo fascino, c’è anche un altro motivo per visitarla: qui, infatti, sorge il ristorante più antico del mondo.

Si tratta del Sobrino de Botin, nato nel 1725 come semplice locanda e diventato, nel corso dei secoli, uno dei punti di riferimento per chi vuole mangiare bene in città. Al punto da diventare uno dei ristoranti preferiti di Ernest Hemingway.

La storia del Sobrino de Botin

Ma qual è la storia del Sobrino de Botin? Pare che corresse l’anno 1700 quando a Madrid arrivò un cuoco francese di nome Jean Botìn. L’uomo si era formato in alcune notevoli cucine parigine e aveva lavorato in diversi altri paesi della Francia, ma aveva un’idea davvero ambiziosa: voleva lavorare per un nobile della corte d’Asburgo.

Insieme alla moglie, Botìn si trasferì in una strada vicinissima a Plaza Mayor. Non riuscì a raggiungere l’obiettivo di lavorare per l’aristocrazia, ma fu molto furbo nel rilevare, insieme alla moglie, che proprio la presenza della corte d’Asburgo in città aveva fatto crescere sensibilmente la popolazione, con tanti artigiani e visitatori che si recavano in città.

Ristorante Botin: aperto nel 1725, è il più antico del mondo

Botìn e la moglie dovettero attendere qualche anno prima di poter fare propri gli spazi che oggi ospitano il ristorante, ma riuscirono ad aprire una piccola locanda atta ad ospitare chi, ancora, non aveva una casa propria ed era disposto a pagare per dormire e mangiare.

Il ristorante più antico del mondo e l’arte della cucina

I coniugi Botìn riuscirono ad affermarsi rapidamente, per diverse ragioni. In primis per la posizione centrale nella capitale, ma anche per i lavori di ristrutturazione che interessarono prima il piano terra e poi il primo piano. Proprio questi lavori resero il ristorante ancora più particolare, accogliente e tradizionale, con la creazione di un forno a legna di un patio interno tanto rustico quanto suggestivo.

Ristorante Botin: aperto nel 1725, è il più antico del mondo

A rendere famosi i Botìn e Jean in particolare, però, era il talento culinario. Il cuoco francese riuscì persino ad aggirare un divieto (temporaneo) per il quale nelle locande e nelle osterie non si potevanp vendere carne, vino e altri generi alimentari. Come? semplicemente chiedendo agli ospiti di portare gli ingredienti: avrebbero pagato “solo” la manodopera. E le pietanze di Botìn erano così squisite che chiunque si recasse nella locanda era disposto a pagare anche più di quanto lo stesso cuoco volesse.

Il ristorante più antico del mondo, tra leggenda e gusto

Alla morte dei coniugi Botìn, la locanda ha cambiato nome, passando da Casa Botìn a Sobrino de Botìn [nipote di Botìn, ndr], perché fu proprio il nipote a rilevarlo, trasformandolo sempre più in un ristorante in senso stretto. Pare che la sua fama fosse tale da portare un giovane Goya a lavorare lì come lavapiatti e che diversi poeti, pittori, letterati e personaggi di spicco ci siano passati almeno una volta per godere delle sue deliziose pietanze.

Il Ristorante Botin a Madrid, in assoluto il più antico del mondo

Ma a proposito, cosa si mangia al Sobrino de Botin? Qualsiasi pietanza tipica spagnola, chiaramente, ma i suoi piatti forti sono l’agnello e il maialino da latte arrosto (cordero asado e cochinillo asado). Le carni vengono da un’area della Spagna, quella compresa tra Sepúlveda-Aranda-Riaza, notissima per le materie prime di qualità e vengono poi arrostite lentamente, con cura. A gestire il ristorante, oggi, è la famiglia Gonzalez, un trio di cuochi ed esperti della ristorazione che hanno deciso di portare avanti la tradizione di Botìn, con passione e dedizione.

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Curiosità Europa Minorca Viaggi

Il luogo più bianco e instagrammabile di Minorca

Quando arriviamo, un’orda di belle ragazze che indossano lunghi e ampi abiti colorati – di quelli perfetti per fare la “ruota” – e cappelli a falda larga in mano o già pronto sulla testa, ci precede.

Sono influencer e instagrammer arrivate in questo minuscolo borgo dell’isola di Minorca dai quattro angoli del globo per scattare foto e selfie e fare reel e story.

Un angolo di Grecia in Spagna

Binibeca (o Binibèquer), un ex porto di pescatori la cui architettura ricorda più un villaggio della Grecia che non un angolo di Spagna, è uno dei luoghi più instagrammati di Minorca e forse di tutto l’arcipelago delle Baleari. Che siate social o meno, questo posto va comunque visto.

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Fonte: 123rf

Tra i vicoli di Binibeca a Minorca

I cartelli affissi ai muri ricordano, in diverse lingue, che qui ci vive della gente e che quindi è apprezzato il silenzio. I vicoli stretti sui quali s’affacciano le case bianche creano infatti eco. Altri cartelli chiedono la cortesia di non salire sulle scalinate private, di non entrare nei cortili e, comunque, di avere rispetto per la privacy degli abitanti del borgo. Evidentemente a un certo punto si esagerava. E infatti ora è un luogo di silenzio dove regna la pace.



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La storia di Binibeca

Del resto, come non restare affascinati questo delizioso villaggio completamente bianco, decisamente inaspettato, che si trova lungo la costa meridionale di Minorca, a una decina di chilometri dalla Capitale Mahón, affacciato su un porticciolo.

Le stradine intricate dove perdersi e le sue case imbiancate a calce rendono Binibeca uno dei paesi più belli della Spagna.

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Fonte: 123rf

Le case imbiancate a calce a Binibeca

Conosciuto anche come il paese bianco della Spagna, fu costruito negli Anni ’60 e poi completamente restaurato e ricreato a immagine e somiglianza dei paesini di pescatori tipici del Mediterraneo.

L’idea venne a due architetti spagnoli, il minorchino Antonio Sintes e Javier Barba, di Barcellona, che progettarono e costruirono insieme le 165 case che formano Binibèquer Vell (in catalano, “vecchia”) e che rappresentano fedelmente l’essenza di un tipico villaggio di mare mediterraneo, con molte somiglianze con i paesaggi tipici delle isole greche.

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Fonte: 123rf

A Binibeca tutto è candido come la neve

Binibeca, più bel villaggio di Spagna

Non c’è un’abitazione che sia uguale all’altra. Alcune hanno scalinate, altre piccoli balconi di legno o di calce bianca, altre ancora terrazze o comignoli sul tetto. Anche le porte d’accesso sono una diversa dall’altra. La prima a essere stata costruita è Casa Candi. Trovarla è semplice perché ognuna ha un nome.

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Fonte: SiViaggia – Ilaria Santi

Casa Candi, la più antica di Binibeca

Le stradine di pietra s’insinuano nel cuore del borgo e portano verso piccole piazze o verso la chiesetta o verso il piccolo porto.

Oggi, molte delle proprietà sono diventate delle strutture ricettive turistiche, ma qualcuna è ancora abitata dalla gente del posto.

Non mancano piccoli bar e ristoranti con deliziosi cortili interni ombreggiati e tanti piccoli negozi, anche di alimentari, per gli abitanti del luogo.

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Fonte: 123rf

L’architettura mediterranea di Binibeca
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Curiosità Viaggi

I posti nel mondo dove puoi sentirti a Venezia, anche se non ci sei

È straordinaria, è bellissima, affascinante e seducente. È la città più romantica del mondo e anche una delle più frequentate di tutta Italia. Turisti da ogni parte del mondo arrivano qui, per fotografare i canali, per farsi i selfie sulle gondole e per ammirare la maestosità di un luogo che entra nel cuore e lì resta, per sempre.

Stiamo parlando di Venezia, la città che non ha strade, ma solo canali. Quelli in cui si affacciano opulenti palazzi, edifici rinascimenti e gotici che regalano scorci magici e onirici che lasciano senza fiato.

La verità è che di Venezia ce n’è soltanto una, come confermano i viaggiatori che qui hanno lasciato un pezzo di cuore. Eppure tanta è la bellezza del capoluogo del veneto che tutti, nel mondo, hanno provato a imitarlo.

Le copie di Venezia

Esistono alcune città che sono destinate a farci innamorare, e Venezia è una di queste. La sua bellezza è così iconica e celebre nel mondo che ogni anno migliaia di visitatori giungono proprio nella laguna per toccare con mano tutto il fascino che questa sprigiona da secoli.

Ed è lo stesso fascino che, probabilmente, ha trasformato Venezia in una delle città più copiate al mondo. Attenzione però perché non parliamo solo di riferimenti evidenti o di ricostruzioni parziali dei monumenti iconici, ma di veri e propri cloni della laguna.

Probabilmente nessuno di questi potrà mai restituire le stesse sensazioni che si provano quando si visita La Serenissima, eppure alcune di queste copie sono così ben fatte che vi lasceranno senza fiato. Scopriamo le più celebri.

The Venetian, Macau

Fonte: iStock/jimmyan

The Venetian, Macau

Da Las Vegas a Macau: Venezia nel mondo

Mentre si passeggia nel cuore della città più scintillante e luminosa che mai appare improvvisamente, e inaspettatamente, un’inedita Venezia. C’è la laguna con le gondole che l’attraversano. C’è il campanile di San Marco e il Ponte di Rialto, frequentatissimo a ogni ora del giorno e della notte. Ci sono tantissimi dettagli che rimando proprio alla città italiana anche se ci troviamo a Las Vegas, in uno dei resort più grandi e stravaganti del mondo.

Il suo nome è The Venetian e si tratta di uno dei più grandi e opulenti complessi turistici, e non è solo ispirato a Venezia, ma è esattamente la sua copia. Davanti all’ingresso che affaccia su Las Vegas Strip due riproduzioni fedeli del campanile di San Marco e del Ponte di Rialto accolgono i turisti. All’interno, invece, c’è un lago artificiale che crea tutta una serie di canali dove navigano i gondolieri per trasportare gli ospiti del resort da una parte all’altra.

The Venetian rappresenta una delle più fedeli riproduzioni della nostra laguna e non è l’unica. Nonostante, infatti, l’idea di una copia della città non abbia entusiasmato molti italiani, la presenza del resort si è rivelata un successo in questi anni, al punto tale che la struttura è stato inaugurata anche in Cina.

Per esplorarla dobbiamo recarci a Macau, è qui che la stessa catena turistica ha aperto il complesso alberghiero identico al precedente e, anzi, ancora più grande. Al suo interno, infatti, è possibile visitare quello che è il casinò più grande del mondo intero.

Restiamo sempre in Cina per scoprire un’altra copia de La Serenissima, forse anche la più criticata. Si tratta di Venice Water Town, a Hangzhou. Una vera e propria città lagunare che si snoda tra diversi canali sui quali si affacciano case, ristoranti e hotel che però non hanno nulla a che fare che fare con i maestosi palazzi della città. Ovviamente non manca neanche Piazza San marco con il suo campanile, ma le riproduzioni sono così esagerate da sembrare davvero poco fedeli.

Venice Water Town, Hangzhou

Fonte: iStock

Venice Water Town, Hangzhou

 

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Lo sapevi che esiste una piramide “piegata”?

Simbolo dell’Egitto, ma soprattutto dell’eccellenza architettonica dell’antichità, le piramidi sono costruzioni affascinanti dalla forma inconfondibile. Proprio la forma che all’apparenza sembra così semplice, in realtà è ricca di mistero. Ancora oggi archeologi e appassionati non smettono di domandarsi come sia stato possibile realizzare strutture così imponenti, che con la loro bellezza tolgono puntualmente il fiato, senza l’utilizzo di tecniche ingegneristiche moderne.

A rendere ancora più intriganti questi monumenti funebri, che si stagliano dalla sabbia e che caratterizzano il paesaggio del deserto, ci pensano alcune “versioni” particolari come la Piramide Piegata fatta costruire dal faraone Snefru, intorno al 2600 a.C. e che si trova nella Necropoli di Dahshur. Il complesso sorge a 45 chilometri dal Cairo ed è a metà strada tra Saqqara sud e il sito archeologico Mazguneh.

Le intuizioni del faraone Snefru

Appartenente alla IV dinastia egizia, il Faraone Snefru, padre di Cheope, visse oltre 2000 anni prima della nascita di Cristo. Di lui si ricordano le vittorie durante le campagne militari contro i Nubiani e le tribù libiche, ma soprattutto l’ingegno architettonico che lo portò a costruire delle piramidi innovative per il suo tempo.

Non è un caso che a Dahshur si possano ammirare oggi due costruzioni davvero eccezionali, la preziosa eredità del periodo in cui Snefru ha regnato. Non c’è soltanto quella piegata a dominare il panorama, ma anche quella rossa, entrambe a rappresentare il passaggio dai monumenti funerari a gradoni a quelli più classici. In realtà, prima di queste due piramidi, il faraone aveva ordinato di costruirne un’altra, quella di Meidum che però crollò durante la realizzazione. I tre edifici voluti da Snefru hanno caratterizzato il percorso evolutivo e architettonico che ha portato poi alle famose piramidi di Giza.

Uno scorcio della Piramide Piegata

Fonte: IPA

La Piramide Piegata fatta costruire da Snefru

Un errore e una correzione che l’hanno resa unica

Unica nel suo genere: la Piramide Piegata di Dahshur non ha eguali, ma come è possibile che abbia una forma così strana? Inizialmente fu costruita con un angolo di inclinazione di 54 gradi, ma durante la realizzazione gli architetti furono costretti a modificare il progetto iniziale. Il terreno infatti non era in grado di reggere il peso della struttura e avrebbe potuto cedere da un momento all’altro.

Per questo motivo fu necessario ridurre l’angolo di inclinazione fino a 43 gradi, una decisione che ha reso stabile la piramide e che a distanza di secoli contraddistingue il suo aspetto piegato. Ancora oggi è in un discreto stato di conservazione, tanto che è possibile ammirare nella metà inferiore la pietra calcarea bianca che rivestiva in origine l’intera struttura.

Con i suoi 105 metri di altezza, è impossibile non rimanere affascinati con il naso all’insù, ad ammirare la sua bellezza senza tempo che si può ritrovare anche all’interno. Infatti recentemente è stata sottoposta a un attento restauro che ha portato alla luce due splendide camere sepolcrali che sono state aperte ai visitatori.

Entrare all’interno di questo monumento rappresenta un vero e proprio tuffo nel passato, quando ci si trova all’interno di un edificio così antico è impossibile non immaginare gli sforzi e gli ingegni degli architetti dell’epoca, i quali sono stati “ripagati” a distanza di millenni con il riconoscimento da parte dell’Unesco come patrimonio mondiale.

La struttura interna della Piramide Piegata

Fonte: IPA

L’interno della Piramide Piegata

 

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La campana più grande del mondo è in Italia

Immaginate un suono armonico che, ogni sera, puntuale, parte da un piccolo punto su un colle per cercare di toccare i cuori e la sensibilità del mondo intero. Immaginatelo nell’intento di far vibrare non solo i timpani, ma anche le anime e i cuori di chi lo ascolta: avrete, a questo punto, un’idea di ciò che vuol fare la campana più grande del mondo. Che, per la cronaca, si trova in Italia.

Avrete capito che non si tratta di una campana qualsiasi: non a caso, è chiamata la Campana dei Caduti, battezzata con il nome di Maria Dolens. È dedicata a tutti i caduti di tutte le guerre del mondo, senza alcun tipo di distinzione: né razza, né fede, né sesso, né ideologia. Maria Dolens suona per loro, inneggiando alla pace.

Maria Dolens, la campana più grande del mondo

La Campana dei Caduti troneggia sul Colle di Miravalle, in quel di Rovereto. Circondata da una natura tanto mozzafiato quanto silenziosa, spicca al centro di Largo Padre Jori Eusebio. Arrivarci non è difficile: una passeggiata in salita ed eccola, suggestiva più che mai: alta più di 3 metri, pesa oltre 300 quintali e il colore scuro del meccanismo che la aziona, insieme al suo bronzo, crea un contrasto intenso con i pilastri bianchissimi che la reggono.

Campana dei Caduti a Rovereto

Fonte: 123rf

Campana dei Caduti a Rovereto

Il contrasto, per altro, è voluto: la campana deve attirare l’attenzione, perché il suo scopo è quello di raccontare, ricordare, di ottenere non solo l’ascolto ma anche lo sguardo di chi la nota. È un monumento che deve dare tanto un senso di continuità quanto restituire la prepotenza della rottura creata dalla guerra. E ci riesce alla perfezione.

La nascita della campana più grande del mondo

Ma come nasce questa campana? Il suo ideatore fu don Antonio Rossaro. Il sacerdote, che operava a Rovereto, era colpito dalla tragedia della Prima Guerra Mondiale. Gran parte delle famiglie della zona avevano perso i loro cari, per un conflitto sanguinoso. Una volta terminata la guerra, don Rossaro pensò proprio a una campana che doveva essere ricavata da un materiale particolare: il bronzo fuso dei cannoni dei vari Paesi che avevano partecipato alla guerra.

Campana dei Caduti a Rovereto

Il sacerdote fece di tutto per perseguire il suo scopo. Prese contatto con ambasciatori e diplomatici e riuscì a fare in modo che il bronzo, già fuso e derivante non solo dai cannoni, ma anche da altre armi e materiale bellico, arrivasse a Rovereto. Fu usata una grande fucina, quella della Fonderia Colbacchini di Trento: nell’ottobre del 1924, la campana venne ufficialmente alla luce.

Decorata dallo scultore trentino Stefano Zuech, la campana più grande del mondo mostrava un bassorilievo con sei aquile, il volto sofferente dell’Ecce Homo e una serie di immagini e frasi volte a celebrare il sacrificio dei caduti. In basso, trentadue figure rappresentavano quattro diverse fasi della guerra: la partenza, la lotta, la morte e la vittoria.

L’inaugurazione, il suono e l’arrivo sul Colle

Il 4 novembre 1925, alla presenza del Re d’Italia Vittorio Emanuele III e di una serie di dignitari italiani e stranieri, la campana venne ufficialmente inaugurata. Attenzione però: la sua prima collocazione non era sul Colle: Maria Dolens rintoccava, infatti, dal torrione Malipiero del Castello di Rovereto, nel centro cittadino. Il suono che però don Rossaro aveva immaginato non corrispondeva a quello della campana: così, si penso a rifonderla e a crearne una seconda versione.

La Campana più grande d'Italia a Rovereto

La prima fusione, però, non venne come doveva. Così, si optò per fonderla ancora una volta. I tempi, tuttavia, si erano allungati e, frattanto, era scoppiata un nuovo conflitto: si dovette aspettare così la fine della Seconda Guerra Mondiale per posizionarla al Castello. Una ventina d’anni dopo, però, ecco il nuovo problema: la campana si incrina. Si opta per una quarta fusione, l’ultima. A sostenere i costi economici fu il Lions Club d’Italia, nel 1964.

Nel 1965, la campana è pronta: il suono è perfetto, la sua ultima forma è enorme e ideale per il suo scopo. Mancava solo una cosa: una sede che potesse tenerla al sicuro e darle non solo una casa, ma anche la luce che meritava. Così, si optò per il Colle di Miravalle. Dove, da allora, rintocca ogni sera alle 21.30.