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Perché i tetti delle case delle Isole Faroe sono ricoperti d’erba

Alte scogliere brulicanti di uccelli, promontori frastagliati, brughiere desolate, cascate…e casette con i tetti ricoperti d’erba, talmente belle che sembra di essere in un film del Signore degli Anelli. Chiunque abbia viaggiato alle Isole Faroe avrà notato che molte abitazioni locali presentano un tetto con un fitto strato di erba che si sposano alla perfezione con il paesaggio di queste terre remote e solitarie. Questa tipologia di casa è un esempio perfetto di bioedilizia presente soprattutto nei paesi nordici come Islanda, Norvegia, Scozia e, appunto, nelle Isole Faroe.

La copertura d’erba sui tetti è una pratica tradizionale molto diffusa per la protezione dal freddo e dalle piogge perché capace di trattenere il calore all’interno dell’edificio, creando un ottimo sistema di coibentazione. Le case vengono costruite utilizzando materiali naturali: pietra e travi in legno per la struttura e il manto d’erba per il tetto, così da migliorare il comfort abitativo all’interno e avere un basso impatto ambientale.

Breve storia dei tetti dal manto verde

Quando sono comparse le prime case con i tetti verdi sulle Isole Faroe? Per scoprirlo dobbiamo tornare indietro agli insediamenti vichinghi del IX e X secolo. Per sopravvivere e adattarsi a un ambiente ostile, contraddistinto da piogge frequenti e carente di materiali da costruzione come quello dell’arcipelago, gli abitanti si ingegnarono andando a progettare e creare queste coperture, divenute ben presto un tratto distintivo dell’architettura locale.

Il manto erboso offrì loro diversi vantaggi. In primis rappresentò un ottimo isolante termico in quanto riusciva a tenere il calore all’interno e ridurre la necessità per altre soluzioni di riscaldamento. Inoltre, grazie alle sue proprietà impermeabili, creava una barriera naturale contro le infiltrazioni d’acqua, proteggendo le abitazioni dalle piogge abbondanti tipiche del territorio. Oltre alla loro funzionalità, infine, i tetti con manto erboso assumevano un importante valore simbolico, rappresentando l’armonia tra l’uomo e la natura e la profonda connessione degli abitanti con la propria terra.

La tradizionale copertura durò a lungo, almeno fino al XVIII secolo, quando iniziarono a comparire i tetti con le tegole al posto di quelli “verdi”. Le lamiere e i materiali moderni hanno così finito per prendere lo spazio dell’erba, ma l’originario rivestimento ecologico non è andato completamente perduto, al contrario. Negli ultimi anni si è affermato nell’arcipelago grazie alla formazione di un movimento attivo dedicato alla ripresa e alla conservazione delle antiche usanze.

I villaggi delle Isole Faroe dove trovare i tetti verdi più belli

In un’epoca di sensibilizzazione sempre maggiore verso le tematiche ambientali, i faroesi hanno capito che possono sfruttare i tetti erbosi per richiamare i turisti. Per questo motivo, l’arcipelago è diventato anche una meta prediletta dagli amanti dell’ecoturismo grazie a una sorprendente integrazione tra l’ambiente, l’architettura e l’uomo. Non è un caso che la principale struttura culturale dell’arcipelago, la Nordic House, abbia il proprio tetto completamente ricoperto d’erba, come vuole la tradizione. Dove sono i villaggi dove vedere e fotografare i tetti verdi più belli?

Da non perdere sono sicuramente Kirkjubøur, un villaggio storico che ospita le rovine della cattedrale di San Magno, Saksun, famoso per le sue case tradizionali affacciate sul fiordo di Tjörnuvík e la capitale Tórshavn, la quale ospita diverse case con tetti verdi tra cui il Parlamento faroese e la Nordic House.

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Curiosità Viaggi

A caccia di cibi disgustosi

Viaggiare significa conoscere luoghi nuovi, culture diverse e, soprattutto, specialità gastronomiche sempre differenti. Per scoprire una meta, infatti, è fondamentale provare anche i suoi piatti tipici. A volte sono squisiti, talmente tanto che riproduciamo le stesse ricette anche una volta che abbiamo disfatto le valigie e siamo tornati a casa, altre volte, invece, bisogna mettere da parte le resistenze e lasciarsi andare alla scoperta di sapori nuovi, talvolta non in linea con i nostri gusti. In alcuni paesi vi capiterà di incappare in pietanze davvero estreme! Abbiamo stilato l’elenco dei cibi più disgustosi da assaggiare durante i vostri viaggi in giro per il mondo e non solo, perché al secondo posto c’è anche un piatto italiano.

Frutto del Durian, Sudest Asiatico

Il re dei frutti nel Sudest Asiatico? Il frutto del Durian, un gigante spinoso all’esterno, dal profumo un po’ controverso. Di questo frutto si dicono tante cose: c’è chi afferma che è come mangiare un lampone in un bagno pubblico, poiché emana un odore pestilenziale (di piedi, dicono), c’è chi lo paragona a calzini sudati, mentre la polpa, al contrario, è saporita e delicata. Per intenderci, puzza talmente tanto che a Singapore è vietato salire sui mezzi pubblici, mentre in Cina è diventato un vero e proprio status symbol, tanto da far salire i prezzi alle stelle. Quando viaggiate in queste zone non perdete l’occasione di provarlo, potrebbe diventare la vostra prossima ossessione o un incubo culinario!

Frutto del Durian

Fonte: iStock

Il frutto del Durian proveniente dal Sudest Asiatico

Vermi sago, Nuova Guinea

Nascosta tra le foreste della Nuova Guinea si cela una piccola larva bianca, paffuta e un po’ tozza, una vera prelibatezza per gli indigeni. Stiamo parlando dei vermi sago, da assaporare sia crudi che fritti e, giura chi ha avuto il coraggio di assaggiarli, sanno di bacon. Questi polposi vermoni vivono nel cuore della palma di sago (da qui il nome) di cui si nutrono anche. Sono cicciotti, con la scorza dura e ricoperta di peletti mentre all’interno sono giallognoli e cremosi. Una prelibatezza che viene preparata solo per le occasioni speciali e che i viaggiatori più avventurosi non possono assolutamente perdersi!

Cervello di scimmia, Cina

Tutti conosciamo e amiamo i classici involtini primavera, il riso fritto, ma il cervello di scimmia? Premettiamo che questa usanza è ormai considerata illegale, vietata dal 2010, ma in passato la Cina serviva questa pietanza direttamente nel cranio dell’animale ancora cosciente. Una crudeltà atroce e barbara che veniva considerata come un’ottima cura contro l’impotenza, oggi vietata per il benessere animale o per il rischio di contrarre malattie zoonotiche.

Hakarl, Islanda

L’hakarl, ovvero lo squalo fermentato islandese, non è per i deboli di stomaco. Dovete immaginare un pesce con l’odore di ammoniaca e formaggio stagionato andato a male, la consistenza di una gomma da masticare usata e un gusto così intenso che fa lacrimare anche i vichinghi più coriacei. Considerato il gusto, è visto più come un’attrazione per i turisti coraggiosi piuttosto che un piatto tradizionale.

Caffè kopi luwak, Asia

In rito del caffè in Italia è fondamentale, ma in Asia? Qui c’è un caffè particolare chiamato kopi luwak, prodotto con le bacche, ingerite, parzialmente digerite e defecate dallo zibetto delle palme comune. Un prodotto tipico delle isole dell’arcipelago indonesiano, quali Sumatra, Giava e Sulawesi, e delle Filippine. Le bacche vengono raccolte tra le feci dell’animale, ripulite e trattate come normali chicchi e poi trasformate in bevanda fumante. Perché andare a ravanare nelle feci di un animale? Perché la bacca di caffè non viene digerita dalla bestiola, però gli enzimi dello zibetto ne intaccano la parte esterna, conferendo alla bacca un aroma amaro e unico, causato dalla parziale digestione delle proteine.

Caffe Kopi Luwak

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Il caffe Kopi Luwak indonesiano

Tarantola, Cambogia

In Cambogia esiste una città chiamata Skun e soprannominata la “città dei ragni” dove potete immaginare quale sia il piatto tipico. La tarantola, temuta in molte parti del mondo, qui viene fritta e resa croccante per diventare la protagonista di uno dei cibi più amati del posto. Quindi, se siete pronti a sfidare le vostre papille gustative e a stupire raccontando questa storia, non perdete l’occasione di assaggiare la tarantola fritta in Cambogia. Non mettete da parte i peli e le zampette perché qui, della tarantola, non si butta via niente.

Casu Marzu, Sardegna, Italia

In realtà la Sardegna non è l’unica regione d’Italia (e probabilmente del mondo) a lavorare un formaggio in questo modo. E non c’è niente di particolarmente disgustoso in questo piatto, ma ad alcuni non piace. Di sicuro il casu marzu desta molta curiosità, poiché il gusto piccante gli è conferito dalle larve della mosca casearia (Piophila casei) che lo contaminano. L’insetto deposita le uova sulla forma di pecorino, dove nascono centinaia di larve che traggono nutrimento dalla forma di cacio stessa, cibandosene e sviluppandosi. Il sapore? Forte.

Balut, Filippine

I più coraggiosi in viaggio verso le Filippine non possono perdere l’occasione di provare il Balut, un uovo di anatra fecondato e bollito nel suo guscio poco prima della schiusa, quando al suo interno si è già formato un embrione quasi completo. Viene considerata un’ottima fonte di proteine, alcuni lo definiscono addirittura afrodisiaco. Come mangiarlo? Si condisce con sale, aceto o salse a piacere e viene venduto anche nei baracchini lungo gli angoli delle strade.

Pacha, Iraq

Alcuni potrebbero storcere il naso, ma in Iraq è considerato un piatto delizioso e prelibato. Il Pacha è una specialità tradizionale con protagonista la testa bollita della pecora, impiegata anche per creare una zuppa ricca e corposa, dal colore ambrato e dalla consistenza gelatinosa. Ripulito della lana, il cranio viene portato in tavola intero e ci si aspetta che sia riportato in cucina completamente pulito, lasciando sul piatto soltanto il cranio del povero animale. Le parti migliori? Le guance e la lingua!

Vino di topolini, Korea

Avete mai sentito parlare del vino di topolini? Se pensate che l’animale dal quale prenda il nome centri qualcosa, avete ragione! Questo liquore potente e molto alcolico, considerato un ottimo tonificante, è realizzato con i topi: i contadini raccolgono i topolini di campagna, li lavano accuratamente e li fanno fermentare con riso, miele e spezie. Trascorso il dovuto tempo, si beve. Il sapore? Di gasolio, dicono. Può piacere o meno, ma è considerato un vero e proprio must per chi vuole immergersi nelle tradizioni culinarie della Corea rurale.

Lutefisk, Norvegia

Sicuramente non è un piatto adatto ai deboli di cuore, il Lutefisk. Si tratta di merluzzo messo in ammollo nella soda caustica. Proprio così: la preparazione prevede una lavorazione di 14 giorni prima della cottura. Lo stoccafisso viene immerso in acqua per sei giorni, poi scolato e immerso nuovamente, ma stavolta in una soluzione di idrossido di sodio per due giorni. Questo provoca una denaturazione delle proteine e fa sì che assuma una consistenza gelatinosa. In questo stadio il pesce è velenoso e per poter essere consumato deve subire un secondo ammollo di altri 6 giorni, con frequenti cambi d’acqua per sciacquarlo al meglio dalla soda caustica. Al termine di questo procedimento il lutefisk può essere cucinato e servito.

Escamoles, Messico

Detto anche caviale di insetto, questo piatto consiste in larve di formica, raccolte alle radici dell’agave. La consistenza è più o meno quella del formaggio Jocca, per capirsi. Queste uova, considerate una leccornia, vengono servite all’interno di taco con guacamole. Ma i puristi dicono che la salsa serve solo a evitare che al primo morso tutte le uova di formica rotolino fuori dall’involucro. Buon appetito!

Escamoles

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Escamoles messicano
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Italia a numero chiuso: dove si applicano limiti ai visitatori

Migliaia di visitatori che si accalcano sulle spiagge o nelle città, rendendo la vita impossibile ai residenti e rovinandosi essi stessi l’esperienza: è il problema dell’overtourism, che negli ultimi anni si è fatto sentire più che mai, soprattutto con la ripresa del turismo dopo la pandemia. Molte località famose hanno così deciso di adottare limitazioni e divieti per cercare di tenere sotto controllo la situazione. Anche in Italia abbiamo delle misure restrittive che si applicano nelle principali mete turistiche. Scopriamo quali sono.

Le limitazioni e i divieti in Italia

Hanno fatto scalpore le recenti misure adottate da città come Amsterdam (che ha vietato la costruzione di nuove strutture ricettive) o da località di mare come Ibiza (dove non si possono vendere alcolici nelle ore notturne). Sono tutti divieti imposti per cercare di contrastare il fenomeno dell’overtourism, che sta portando allo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali e al disordine che impedisce ai residenti di vivere in serenità. Anche in Italia, negli ultimi anni, sono state applicate delle limitazioni simili, sempre per affrontare il problema dell’affollamento turistico.

L’esempio più in voga è quello di Venezia, che è diventata a “numero chiuso”: nel 2024, la città ha adottato un sistema di ingressi contingentati (sulla base del pagamento di un ticket) per i turisti che non pernottano, seppur solamente in date stabilite con largo anticipo. Tutto ciò per incentivare un turismo più economicamente conveniente e ridurre gli accessi nelle giornate “calde” dell’anno. Anche sulle Dolomiti si sta valutando un’opzione del genere. Se al momento sono in vigore solo alcuni limiti specifici, come l’accesso su prenotazione al lago di Braies, si parla ora di introdurre una particolare tassa di soggiorno per i turisti.

Altre località molto turistiche hanno adottato misure simili. A Portofino, ad esempio, sono state istituite delle zone rosse per gestire al meglio i flussi dei visitatori. Un esempio che potrebbe dare ispirazione anche alle Cinque Terre, un’oasi dalla bellezza indiscutibile, ma anche estremamente fragile. L’isola di Procida, invece, ha disposto particolari restrizioni sulla circolazione dei mezzi privati durante la stagione estiva, per regolare il traffico e ridurre le immissioni di CO2, fonte principale dell’inquinamento in questo piccolo paradiso.

Le spiagge a numero chiuso

Non mancano, infine, le spiagge a numero chiuso. Una delle ultime novità riguarda la Riviera del Conero, una delle località più belle delle Marche: la piccola baia di Portonovo che si dipana ai piedi del Monte Conero è un posto talmente bello e delicato da meritare assolutamente di essere protetto dall’assalto dei turisti. Così, quest’anno ha inizio la sperimentazione di una zona ad accesso controllato (ZAC) che aiuti a contingentare il numero di bagnanti sulla spiaggia, consentendo di riempire i parcheggi sino a saturazione e sfruttando delle navette per l’accesso al litorale.

E naturalmente non possiamo fare a meno di citare l’esempio della Sardegna, dove le spiagge a numero chiuso continuano ad aumentare di anno in anno. Le sue coste sono infatti particolarmente a rischio di danno ambientale, quindi le autorità hanno adottato misure di sicurezza per ridurre il numero dei turisti. In alcune località famosissime come La Pelosa di Stintino e Cala Coticcio, sull’isola di Caprera, si potrà accedere solamente dietro prenotazione e rispettando alcuni precisi divieti, tutti imposti con l’obiettivo di preservare queste piccole oasi naturali. Altre, addirittura, sono completamente vietate ai turisti, come ad esempio la spiaggia rosa di Budelli: è così fragile da dover essere tutelata con il divieto totale d’accesso.

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Clima di Reykjavik, guida al periodo migliore per visitare la capitale islandese

Stai pianificando un viaggio a Reykjavik e ti chiedi quale sia il periodo migliore per visitare la capitale dell’Islanda? Vuoi sapere quali esperienze non perdere in base alla stagione? Allora questa guida dettagliata al clima di Reykjavik fa proprio al caso tuo. Che tu sogni di vedere l’aurora boreale, esplorare paesaggi innevati, o goderti le lunghe giornate estive sotto il sole di mezzanotte, qui trovi tutte le informazioni e i consigli pratici per pianificare il tuo viaggio. Scopri il periodo migliore per andare Reykjavik in base ai tuoi interessi personali e alle attività che desideri svolgere, per prepararti al meglio alla tua avventura nella capitale islandese!

Clima generale a Reykjavik

Trovandosi nella zona subartica, Reykjavik vanta un clima oceanico subpolare, caratterizzato da inverni freddi e umidi ed estati brevi e fresche. A differenza di quanto ci si potrebbe aspettare, considerata la posizione settentrionale dell’Islanda, la città gode di temperature tutto sommato più miti rispetto ad altre località situate alla stessa latitudine. Questo grazie alla benefica influenza della Corrente del Golfo che mitiga il clima, mentre per contro l’Oceano Atlantico porta cieli mutevoli e frequenti precipitazioni durante tutto l’anno.

La capitale dell’Islanda registra una media di 148 giorni di pioggia all’anno per un totale di circa 530 mm di precipitazioni distribuiti uniformemente nell’arco dei 12 mesi, anche se pioviggini e rovesci sono più frequenti soprattutto in autunno e in inverno. Tuttavia, le piogge sono generalmente leggere e costanti e raramente si verificano forti precipitazioni. La neve è presente da novembre ad aprile.

I venti, provenienti in prevalenza da sud e sud-ovest, sono una componente costante del clima di Reykjavik. Soffiano con una media di 16 km/h, ma possono intensificarsi durante le bufere, e insieme alla forte umidità, che è intorno all’80%, possono rendere la temperatura percepita più fredda di quanto non sia in realtà. Su questo aspetto influiscono anche le ore di luce, che variano notevolmente nel corso dell’anno. Nel periodo del solstizio d’estate il sole può rimanere sopra l’orizzonte per oltre 20 ore con il verificarsi del cosiddetto fenomeno del “sole di mezzanotte”; mentre in inverno le giornate sono particolarmente buie, con 4-5 ore di luce solare nel periodo del solstizio d’inverno.

Il clima in primavera a Reykjavik

La primavera a Reykjavik è una stagione di transizione caratterizzata da un clima mutevole e dal risveglio della natura. Le ore di luce solare aumentano, le temperature iniziano gradualmente a salire dopo i rigori invernali e man mano che si avanza verso maggio, la temperatura media a Reykjavik oscilla tra 5°C e 10°C. Nonostante ciò, il clima islandese è notoriamente imprevedibile e può capitare di sperimentare bruschi cambiamenti meteorologici anche nell’arco della stessa giornata.

Le precipitazioni in primavera sono abbastanza comuni, con possibile alternanza di pioggia e neve nell’arco di poche ore. Le giornate iniziano a diventare più lunghe, un fenomeno che culmina con l’arrivo del sole di mezzanotte a giugno. A maggio, Reykjavik gode di circa 20 ore di luce al giorno, rendendo questo periodo particolarmente piacevole per i residenti e i turisti.

La primavera a Reykjavik è una stagione di grande fermento culturale e attività all’aperto. Con il disgelo, i prati e le colline circostanti si tingono di verde, gli abitanti approfittano delle giornate più lunghe per organizzare escursioni, gite in bicicletta e passeggiate nei parchi cittadini. Tra gli eventi primaverili più importanti, c’è il First Day of Summer (Sumardagurinn fyrsti), che si svolge il primo giovedì dopo il 18 aprile e segna simbolicamente l’inizio dell’estate secondo il calendario islandese tradizionale. Nonostante le condizioni meteorologiche possano essere imprevedibili, la bellezza del paesaggio islandese e la vivacità culturale della città rendono questo periodo dell’anno un momento speciale per visitare Reykjavik.

Panorama di Reykjavik

Fonte: iStock

Panorama di Reykjavik

Il Clima in Estate a Reykjavik

L’estate è uno dei periodi migliori per visitare Reykjavik, con la possibilità di praticare innumerevoli attività all’aperto, grazie a temperature medie diurne che oscillano tra 10°C e 15°C, ma nei giorni più caldi possono raggiungere anche i 20°C. Le notti, tuttavia, possono essere fresche, con le medie che scendono intorno ai 7-10°C. Le precipitazioni sono relativamente frequenti in estate, con piogge leggere e brevi che si alternano a periodi di cielo sereno.

A rendere particolarmente affascinante l’estate a Reykjavik è il fenomeno del sole di mezzanotte. Durante il solstizio d’estate, il sole non tramonta mai completamente, creando una luminosità continua per tutto l’arco delle 24 ore. Un’opportunità unica per vivere la capitale islandese in tutta la sua bellezza e fare attività outdoor nella natura circostante a qualsiasi ora del giorno o della notte. L’estate è pertanto una stagione ricca di eventi culturali, festival, concerti e manifestazioni sportive come la Midnight Sun Run, una corsa agonistica aperta a tutti sotto la luce del sole di mezzanotte.

Il Clima in Autunno a Reykjavik

In autunno le giornate diventano progressivamente più corte, con l’equinozio d’autunno a fine settembre che segna un drastico calo delle ore di luce. Le temperature iniziano a scendere gradualmente dopo l’estate: a settembre le medie si aggirano intorno a 10°C, mentre le notti possono essere fresche, con temperature sui 5°C; a ottobre, le temperature diurne scendono a circa 5°C, con minime notturne prossime allo zero; novembre registra ulteriori cali, con temperature che variano tra 0°C e 3°C durante il giorno e scendono spesso sotto lo zero di notte.

Le precipitazioni aumentano man mano che l’autunno avanza, con piogge frequenti e occasionalmente neve a partire dalla fine di ottobre e novembre. Per la sua posizione geografica sull’Atlantico settentrionale, specialmente in autunno Reykjavik è soggetta a venti forti che possono provenire sia dall’Artico che dall’Atlantico, portando aria fredda e tempeste occasionali.

In autunno, con le notti che si allungano, si creano le condizioni ideali per avvistare l’aurora boreale. Con le sue luci danzanti verdi e viola nel cielo notturno, questo spettacolare fenomeno naturale è una delle principali attrazioni autunnali e invernali dell’Islanda, che attira visitatori da tutto il mondo. Questa stagione è ideale anche per escursioni nei dintorni della città e per provare l’esperienza rilassante di un bagno nelle sorgenti termali e nelle piscine geotermiche, come la famosa Laguna Blu, particolarmente invitanti durante i freschi giorni autunnali.

Il Clima in Inverno a Reykjavik

L’inverno trasforma la città in un paesaggio incantato spruzzato di neve, con temperature fredde, notti lunghe e la possibilità di ammirare spettacolari fenomeni naturali come l’aurora boreale. L’inverno islandese è noto per la sua variabilità, con condizioni meteorologiche che possono cambiare rapidamente nel corso della giornata.

Le temperature a Reykjavik sono fredde, ma comunque relativamente miti rispetto ad altre regioni situate alla stessa latitudine, grazie alla Corrente del Golfo. Le medie diurne variano tra -1°C e 4°C, mentre le notti possono essere significativamente più fredde, con temperature che spesso scendono sotto lo zero. Dicembre e gennaio sono i mesi più freddi, con le medie che si aggirano intorno a -2°C.

Neve, pioggia e nevischio sono la norma, anche se le nevicate abbondanti sono piuttosto rare, e quando si verificano, la neve tende a sciogliersi rapidamente per le oscillazioni della temperatura. Le giornate sono brevi, con 4-5 ore di luce diurna a dicembre, aumentando gradualmente verso febbraio.

Nonostante le brevi ore di luce e le condizioni meteorologiche mutevoli, l’inverno offre numerose opportunità per praticare attività all’aperto e partecipare a eventi culturali. Si possono fare escursioni sulle colline circostanti, oppure praticare sci e snowboard nelle aree sciistiche vicine alla città.
Uno dei fenomeni naturali più affascinanti dell’inverno è l’aurora boreale, visibile soprattutto durante le notti limpide e scure, e Reykjavik, con il suo basso inquinamento luminoso, offre numerosi punti di osservazione sia in città che nei dintorni.

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Borgo Egnazia, il resort di lusso del G7 e dei vip

Un piccolo paese della Puglia è divenuto famoso in tutto il mondo perché ospita un resort molto amato dalle celebrity di tutto il mondo. Il luogo è Savelletri di Fasano, in provincia di Brindisi, e il resort è Borgo Egnazia. Questo hotel di lusso è al centro del mondo in questi giorni perché, dal 13 al 15 giugno, ospita il vertice del G7 a cui partecipa per la prima volta anche Papa Francesco, insieme ai Capi di Stato di Italia, Francia, Germania, Regno Unito, Stati Uniti, Canada e Giappone.

Dentro Borgo Egnazia

Borgo Egnazia è un bellissimo resort di lusso, che prende il nome dal Parco Archeologico di Egnazia nel quale si trova e che custodisce meravigliosi reperti archeologici dell’epoca messapica e romana. Liberamente ispirato nelle forme, nei materiali e nei colori a un tipico borgo pugliese del quale propone le più genuine tradizioni locali accompagnate ai servizi di altissimo livello. Costruito in tufo, la pietra locale della zona, si ispira alle antiche masserie e ai villaggi di una volta. Il complesso ha tre aree principali: la Corte, un elegante edificio centrale con camere finemente arredate, il Borgo, il cuore pulsante della struttura con la piazza, le stradine e gli angoli che ricordano un tipico villaggio rurale e le ville, arredate in stile classico ma ricercato e dotate di ogni confort.

Aperto tutto l’anno, questo hotel affacciato sul mare con due spiagge private comprende una sessantina di camere, 92 casette e 29 ville, motivo per cui ha una grande offerta per chi è in cerca di privacy. Al suo interno ci sono diversi ristoranti, piscine interna ed esterna, campi da tennis, una splendida spa e le 18 buche del San Domenico Golf Club, un percorso immerso nella macchia mediterranea, tra ulivi secolari e affacci sul mare, considerato il più bello della Puglia.

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Fonte: @Giorgio Baroni

Una delle piscine di Borgo Egnazia

Dei due beach club, Cala Masciola, che si trova a soli dieci minuti a piedi dal resort e ha anche un fish restaurant, si distingue per il caratteristico scoglio basso, mentre La Fonte, a otto minuti di auto, con sabbia fine e acque limpide, è perfetta per le famiglie con bambini perché mette a disposizione attrezzature per giocare, un bar e i lettini.

Il resort preferito dai vip

A Borgo Egnazia sono abituati a trattare con i vip. Oltre a essere frequentato da politici, il resort ospita regolarmente celeb che lo scelgono epr le loro vacanze o per celebrare matrimoni (lo hanno scelto per convolare a nozze Justin Timberlake e Jessica Biel). Tra i personaggi celebri che lo frequentano spesso c’è Madonna che vi ha trascorso diverse estati e festeggiato il suo compleanno che cade il 16 di agosto. Poi ci sono i Beckham che amano godersi le vacanze qui tra pedalate in bicicletta, cene al ristorante e mattinate in spiaggia, da soli o in compagnia dell’intera famiglia. Ma ci sono stati anche Tom Hanks e Michael Bublè, per non parlare poi dei Ferragnez ai tempi d’oro. Savelletri è una delle mete turistiche più ambite di Puglia, non solo dai Grandi della Terra, ma da chi ha grandi portafogli.

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Fonte: Ufficio stampa

Il borgo in cui si trova Borgo Egnazia

Quanto costa soggiornare a Borgo Egnazia

Parlando di costi, se siete un po’ curiosi, possiamo darvi solo qualche indicazione perché, si sa, nel mondo del turismo non è più possibile fissare un listino prezzi degli hotel in quanto variano a seconda della stagionalità, della durata del soggiorno e anche della richiesta. Se la richiesta è alta anche i prezzi salgono, insomma. Poiché Borgo Egnazia è aperto tutto l’anno, si può pensare di regalarsi questa splendida esperienza che potrete raccontare agli amici per i prossimi anni a venire in bassa stagione, quando una camera doppia colazione inclusa costa a partire da 240 euro al giorno.

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Quali sono gli aerei più veloci del mondo? La Top 10

In molti ricorderanno probabilmente l’iconico Concorde, un jet supersonico che per quasi 30 anni ha solcato l’oceano Atlantico a velocità incredibili: fu il secondo velivolo commerciale a raggiungere Mach 2, toccando quasi i 2.200 km/h. A causa di un drammatico incidente e dei costi notevoli per la manutenzione e il rifornimento di aerei di questo tipo, il jet è stato messo in congedo nel 2003. E da quel momento nessun altro velivolo ha saputo fare di meglio. Ad esclusione dei voli militari, quali sono ad oggi gli aerei più veloci del mondo? Scopriamolo insieme.

Gli aerei più veloci del mondo

Per i voli commerciali, è davvero difficile poter toccare certe velocità: il peso e i costi da affrontare per ridurre notevolmente i tempi in viaggio sono eccessivi, quindi le tratte transoceaniche hanno ancora una durata notevole – a discapito dei passeggeri, che comunque si sarebbero trovati a pagare cifre da record per poter viaggiare più velocemente. Molti jet privati, tuttavia, hanno pian piano adeguato la loro tecnologia per poter raggiungere almeno velocità Mach 1, pari a circa 1.225 km/h (ovvero la velocità del suono). Ecco quali sono i più veloci al mondo.

La classifica dei jet super veloci

Al decimo posto troviamo il Dassault Falcon 7X, entrato in servizio nel 2007 e ancora oggi in funzione: è stato il primo velivolo privato ad avere integrato il sistema di controllo Fly-by-Wire, che sostituisce i tradizionali comandi di volo diretti con un sistema elettronico digitale. La sua velocità? Circa 1.112 km/h, ovvero Mach 0,9. La sua autonomia è pari a meno di 9.500 km, tuttavia sufficiente per un volo diretto tra Londra e Singapore.

Il nono posto è occupato dal suo successore, il Dassault Falcon 8X: tocca una velocità di Mach 0,9 (ovvero 1.112 km/h) come il suo compagno, ma ha decisamente più autonomia – oltre 10.300 km a tratta. L’ottava posizione vede spiccare il Bombardier Global 6500, anch’egli con una velocità Mach 0,9: la “battaglia” si gioca tutto sulle distanze, visto che questo jet privato può coprire oltre 10.600 km senza bisogno di fare scalo.

Saliamo leggermente con il settimo posto, dove si classifica il Bombardier Global 7500: stavolta siamo ad una velocità Mach 0,925 (pari a 1.142 km/h), con possibilità di coprire tratte fino a quasi 12.400 km senza scalo. In sesta posizione troviamo il Gulfstream G500, che vola anch’egli a Mach 0,925 e tocca un’autonomia di poco più di 8.500 km. Mentre al quinto posto c’è il Gulfstream G600, che ha la stessa identica velocità ma una portata ben superiore – pari a più di 10.600 km.

Quarta posizione per il Gulfstream G650ER, che ha dalla sua parte una maggior autonomia (la sigla “ER”, infatti, sta per “raggio esteso”): la sua velocità è ancora Mach 0,925 e la portata è di ben 12.000 km senza scalo. Al terzo posto, toccando il podio, c’è il Gulfstream G650: con una velocità Mach 0,925 e un’autonomia di oltre 11.200 km, è un vero leader nel settore. Ancora un Gulfstream per il secondo posto. Si tratta del G700, anch’egli in grado di raggiungere Mach 0,925 e con un’autonomia di 12.000 km.

Eccoci infine al primo posto: se lo aggiudica il Cessna Citation X+, che guadagna il titolo di jet privato più veloce al mondo. La sua velocità massima è Mach 0,935, pari a circa 1.154 km/h, e ha un’autonomia decisamente ridotta (appena 5.500 km). Per i più curiosi, tuttavia, c’è un’importante novità: il prossimo anno dovrebbe decollare il Bombardier Global 8000, che probabilmente sottrarrà il titolo al Cessna. Si parla infatti di una velocità Mach 0,94 (1.160 km/h) e di un’autonomia di oltre 12.800 km.

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Piatti tipici dell’Islanda: quali provare

L’Islanda, terra di meraviglie naturali, ghiacciai imponenti, geyser e sorgenti termali, come la Laguna Blu, l’Aurora Boreale e cascate spettacolari, immerse in paesaggi vulcanici mozzafiato. Oltre ad affascinare con le sue bellezze naturali, l’Islanda ha tanto da offrire a chi è alla ricerca di divertimento, attività all’aperto come escursioni o sport estremi, per gli amanti di arte, ma anche per gli amanti di cibo tradizionale.

La cucina islandese, infatti, è ricca di storia e tradizione, un mix unico di sapori ed ingredienti locali. Ecco quali sono le specialità islandesi e perché provarle.

Hákarl, lo squalo fermentato

L’hákarl è il piatto tipico più famoso, forse anche il più temuto, di tutta l’Islanda. Il motivo? Si tratta di squalo fermentato, una prelibatezza antica che risale al tempo degli antichi Vichinghi. Questo piatto viene preparato con carne di squalo della Groenlandia, la quale è tossica se consumata cruda e fresca a causa dell’alto contenuto di acido urico.
Proprio per questo, la fermentazione dura diversi mesi.

Viene servito come antipasto in molti locali tradizionali, spesso accompagnato dal Brennivín, un liquore tipico.

Perché provarlo? È un’esperienza culinaria unica, vicina alla storia e alla cultura islandese. Anche se, attenzione, il suo odore è davvero pungente ed il sapore altrettanto forte: un vero rito di passaggio per i visitatori dell’Islanda!

Porzioni di Hakarl in essiccazione all'aperto

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Lo squalo fermentato, Hakarl, in essiccazione all’aperto

Un prodotto ricco di proteine e povero di grassi: lo Skyr

Lo Skyr è un marchio molto conosciuto in Italia, che si può trovare in molti supermercati. Pochi sanno, però, che questo prodotto ha origine islandese. Si tratta di un prodotto molto simile allo yogurt, ma che, tecnicamente, è più simile ad un formaggio fresco, dalla consistenza densa e cremosa ed il sapore acidulo.

Visitando l’Islanda non si può fare a meno dello Skyr, un alimento povero di grassi e ricco di proteine, che fa parte della dieta degli abitanti dell’isola fin dall’antichità. Si può gustare con frutta secca, miele o muesli.

Il tradizionale Plokkfiskur

Uno stufato di pesce fatto con pesce bianco bollito, come, ad esempio, il merluzzo o l’eglefino, patate, cipolle e besciamella: questo è il Plokkfiskur.
Non proprio salutare, almeno quanto lo Skyr, ma sicuramente una di quelle ricette che permette di immergersi nella vera cultura islandese. Perfetto, soprattutto, per riscaldare il corpo durante le fredde e pungenti giornate invernali.

È possibile assaggiare questo piatto tradizione in molti ristoranti disponibile in molti ristoranti che servono cucina tradizionale islandese e in alcune case islandesi come piatto fatto in casa.

Svið, con rabarbaro e patate

Lo Svið è probabilmente uno dei piatti più particolari della tradizione culinaria islandese. Si tratta di una vera e propria testa di pecora bollita, servita integra o, in alcuni casi, tagliata a metà. Per la sua preparazione si parte prima dalla rimozione della lana e poi dalla pulizia totale della testa, prima della cottura, fino ad ottenere una consistenza tenera della carne.

In passato questa ricetta fu creata per evitare lo spreco di cibo ed oggi viene servita specialmente nei mesi invernali e/o durante le festività tradizionali.

Un particolare? Gli islandesi considerano l’occhio come la parte migliore. Provare per credere!

La zuppa di carne Kjötsúpa

La Kjötsúpa, piatto tradizionale della cucina islandese, è una zuppa di carne di agnello, che include al suo interno ingredienti come agnello, patate, carote, cipolle, rape e molte volte anche il cavolo. È caratterizzata da una cottura lenta, che rende la carne tenera e soprattutto saporita.

Rappresenta il perfetto comfort food per le fredde giornate invernali, molto nutriente e tipico delle zone rurali dell’Islanda. È un piatto decisamente comune nelle case islandesi e, quindi, se si ha la possibilità di essere ospiti di una famiglia locale, ci saranno elevate possibilità di mangiare questo tradizionale piatto della cucina tipica Islandese.

Pylsur: l’hot dog islandese

Le Pylsur sono conosciuti come gli hot dog islandesi e rappresentano un istituzione nel Paese. Questi hot dog di carne di agnello, manzo e maiale, sono serviti in un panino morbido e vengono conditi con cipolle crude e/o fritte, ketchup dolce, senape e remoulade, una salsa molto simile alla maionese.

Il famoso chef Anthony Bourdain, grande figura del panorama della cucina mondiale e vero amante dello street food mondiale, era un grande fan delle Pylsur, gli hot dog islandesi.
Il posto più famoso dove mangiarle le Pylsur è il Bæjarins Beztu Pylsur, uno stand di hot dog nella capitale, a lavoro dal 1937.

Non si tratta di un semplice hot dog, ma di una vera delizia islandese. Rappresenta la soluzione perfetta per uno spuntino veloce e saporito mentre si esplora la capitale Reykjavik ed i suoi dintorni.

Hot Dog islandese con condimento

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Pylsur, famoso hot dog islandese

L’Harðfiskur essiccato

Si tratta di un pesce essiccato, solitamente merluzzo, che viene battuto fino all’ottenimento di una consistenza croccante per poi subire un lento processo di essiccazione all’aria aperta. L’Harðfiskur viene spesso mangiato con del burro spalmato sulla superficie.

Rappresenta uno snack tradizionale e molto salutare per la cucina tipica dell’Islanda e risulta un ottimo nutriente ed è possibile acquistarlo in qualsiasi supermercato o negozio di alimentari islandese o nei mercati locali.

Il pane tradizione dell’Islanda: il Rúgbrauð

Il Rúgbrauð è un pane di segale scuro, molto conosciuto per la sua dolcezza e la sua consistenza densa e ben lontana dal pane tradizionale conosciuto in Italia. Secondo la tradizione culinaria islandese, questo pane di segale veniva prima cotto lentamente in una pentola coperta e interrato vicino a una sorgente termale per 24 ore, sfruttando così il calore geotermico.

Questo pane è una delizia unica, da mangiare con burro, formaggio o pesce affumicato. Il suo gusto così dolce lo rende anche perfetto per essere gustato con la marmellata. Se si visita l’Islanda, di certo non bisogna farsi scappare questo pane di segale, disponibile nelle panetterie e nei supermercati di tutta l’Islanda o nei ristoranti, come parte di un menu tradizionale.

Un bicchiere di Brennivín, per concludere i pasti

Anche se non è un piatto, menzionare il Brennivín è assolutamente una bevanda da provare per un’immersione totale nella cultura culinaria tipica di quest’isola. Questo liquore tradizionale, conosciuto anche come “morte nera”, è fatto con patate fermentate e aromatizzato con semi di cumino.

Viene spesso consumato come accompagnamento all’Hákarl, lo squalo fermentato, e ad altri piatti tradizionali. Provarlo è quasi obbligatorio durante un viaggio in Islanda.

L’Islanda è un Paese che affascina e incanta per la sua bellezza naturale, la sua cultura così antica e le sue tradizioni uniche. Questo Paese ha molto da offrire. Qui è possibile vivere esperienze magiche, che vanno oltre l’Aurora Boreale, e che renderanno le visite sull’isola qualcosa di indimenticabile.

 

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Curiosità Viaggi

Le città portafortuna

Ci sono alcuni luoghi nel mondo che, per la loro storia, la loro cultura e le loro tradizioni, sono considerati autentici porti della buona sorte. Che si creda o meno negli amuleti, scoprire e visitare queste città può essere un’esperienza affascinante e ricca di significato – anche perché ognuna di queste è comunque una meraviglia e uno scrigno di tesori architettonici, artistici e naturalistici!

Le città portafortuna nel mondo sono numerose in realtà e questo concetto è comunque legato a una determinata credenza o tradizione locale. Da Barcellona a Roma, ecco le città più famose in cui un luogo o un simbolo sembra avere la capacità di attrarre la buona sorte per i viaggiatori che vi si fermano.

Il Parc Güell a Barcellona

Barcellona, con la sua inconfondibile architettura modernista, è celebre per il suo eclettico Parc Güell, disegnato dal genio di Antoni Gaudí. Passeggiando tra i suoi sentieri, le sculture colorate e i pavimenti a mosaico, si dice che si possa assorbire l’energia positiva emanata dal parco, portando fortuna e ispirazione. Un’esperienza sicuramente imperdibile per il viaggiatore di sosta a Barcellona, tra una tapas e l’altra.

Parc Güell a Barcellona

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Le statue di Parc Güell a Barcellona

Mons e il Grand-Place

La città belga di Mons è conosciuta per il suo Grand-Place, una bellissima piazza circondata da maestosi edifici storici e incoronata dalla grandiosa Hôtel de Ville. Qui, la leggenda narra che sfregando la testa della Gargouille, una statua di bronzo, si possa trovare la propria fortuna, esprimendo un desiderio. Sarà vero o solo una diceria? Chi lo sa, noi consigliamo di tentare la buona sorte, altrimenti ci si potrà comunque consolare con una scorpacciata di delizioso cioccolato locale.

Firenze e la Fontana del Porcellino

Passeggiando per le strade di Firenze, nei pressi del Ponte Vecchio, non si può non fare una sosta presso la Fontana del Porcellino, una celebre fontana di bronzo con un cinghiale al centro. La tradizione vuole che, gettando una moneta nella sua bocca e accarezzando il suo muso, si possa attirare la buona sorte.

Milano e il toro in Galleria

La fastosa Galleria Vittorio Emanuele II di Milano, con il suo maestoso soffitto a vetri, è un luogo che molti considerano foriero di fortuna. Si dice che girare tre volte sul mosaico del toro nella Galleria porti prosperità e ricchezza. Sarà così? Sicuramente attrarre un po’ di ricchezza non sarebbe male, soprattutto se ci si vuole dare allo shopping nel lussuoso ed esclusivo Quadrilatero della Moda.

Verona e la Casa di Giulietta

La città dell’amore per eccellenza, Verona, è anche sede di uno dei luoghi più romantici e fortunati d’Italia: la Casa di Giulietta Capuleti. Toccare il seno della statua di Giulietta nel cortile è ritenuto un gesto che porta fortuna nell’amore.

Statua di Giulietta a Verona

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Dettaglio della Statua di Giulietta a Verona

Roma e la Fontana di Trevi

Forse la più famosa fontana al mondo, la Fontana di Trevi a Roma – resa celebre anche grazie al regista Federico Fellini ne La Dolce Vita – è anche un celebre portafortuna. Gettare una moneta con la mano destra oltre la spalla sinistra per assicurarsi un ritorno a Roma è ormai un rito consolidato per milioni di visitatori.

Il Taj Mahal ad Agra

Simbolo indiscusso del Paese e persino dichiarato Patrimonio dell’Umanità Unesco, il Taj Mahal è anche noto per essere una delle 7 Meraviglie del mondo moderno. Non solo: questo capolavoro di architettura indiana è anche legato a una leggenda che suggerisce portare la fortuna e l’eterno amore agli innamorati che scambiano qui una promessa, proprio come il legame che unì l’imperatore Shah Jahan e la moglie Mumtaz Mah.

Taj Mahal ad Agra

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Il Taj Mahal ad Agra al tramonto

Santa Sofia a Istanbul

La Basilica di Santa Sofia è forse il simbolo principale e il luogo più noto di Istanbul ai turisti: una tradizione vuole che coloro che inseriscono il pollice nel foro della Colonna piangente, facendo ruotare la mano in senso antiorario attorno a questo, possano trarre beneficio soprattutto in merito allo stato di salute.

New York e il Toro a Wall Street

Se volete sbarcare il lunario e far sì che i vostri affari vadano sempre a gonfie vele, forse vale la pena cercare di attrarre la dea bendata a New York. Qui la statua del toro che spicca sulla piazza davanti a Wall Street è ormai un’icona: vero totem della scaramanzia, la statua di Arturo Di Modica sembra avere il potere di portare fortuna a tutti coloro che sfregano i testicoli dell’animale.

Greenwich e il meridiano zero

Quante volte vi è capitato di pensare “vorrei poter fare un reset, ricominciare da zero”? E allora quale posto migliore se non il Meridiano Zero di Greenwich, dove sembra che ci sia l’opportunità di iniziare l’anno nuovo nel migliore e nel più propizio dei modi. Secondo la tradizione, infatti, il meridiano porta fortuna a tutti coloro che desiderano ricominciare la loro vita da zero, lasciandosi alle spalle problemi e vizi e dedicandosi a tutti i buoni propositi. Affinché la magia si realizzi, il viaggiatore deve sostare sul meridiano facendo sì che una gamba stia nell’emisfero orientale e l’altra gamba posi nell’emisfero occidentale. In alternativa, si può stare con tutti e due i piedi sulla linea principale del meridiano, focalizzandosi sul sogno che si vuole vedere realizzato.

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Statua della Libertà: storia e curiosità del simbolo di New York

New York, una città cosmopolita, monumentale, iconica. Un viaggio nella Grande Mela è ricco di cose da fare e da vedere e scegliere non è sempre facilissimo. Se c’è un’attrazione, però, che non può mancare nella lista, questa è sicuramente la Statua della Libertà. Con il suo color verde rame, Lady Liberty domina la baia di New York da Liberty Island, una piccola isola di quasi 60 mila metri quadri situata all’interno della foce del fiume Hudson, ed è considerata il vero simbolo non solo della città, ma della nazione intera.

La posizione all’ingresso della baia non è casuale: con i suoi 46 metri, che diventano 93 metri se si considera il piedistallo, il monumento aveva come obiettivo quello di accogliere chiunque arrivasse negli Stati Uniti. Ma non raccontiamo tutto ora: la Statua della Libertà è un’icona la cui fama è legata anche alla sua storia, alle tante curiosità che l’avvolgono e alle caratteristiche stesse della sua struttura. Tutte informazioni che troverai proseguendo la lettura di questo articolo!

La storia della Statua della Libertà

Molti non sanno che il nome completo della Statua della Libertà è “La Libertà che illumina il mondo” e che a costruirla non fu un americano, bensì un francese. Édouard Laboulaye, politico e dalla vocazione antischiavista, nel 1865 si accorda con lo scultore Bartholdi per fare un dono al popolo americano in onore della vittoria dell’Unione nella Guerra civile e per suggellare la fratellanza tra i due paesi. Ispirandosi ad altre sculture americane e italiane, Bartholdi progetta una prima struttura in rame. Con i suggerimenti dell’architetto Viollet-le-Duc e del noto Gustave Eiffel, il progetto prende vita e comincia a essere eretto su terra francese.

E a livello economico, dove hanno trovato i soldi per realizzare un’idea così mastodontica? Le raccolte fondi sono state il mezzo principale grazie al quale è stato possibile non solo creare la Statua della Libertà, ma anche trasportarla in America. Con l’intervento di personaggi illustri come l’editore Joseph Pulitzer, il quale lanciò una petizione per convincere i newyorkesi a fare una donazione, i singoli pezzi vennero spediti con diverse traversate oceaniche e la scultura venne inaugurata ufficialmente nel 1886.

Dentro la Statua della Libertà: curiosità e caratteristiche

Realizzata in stile neoclassico, la Statua della Libertà rappresenta Libertas, divinità dell’antica Roma e, come lascia intendere la parola stessa, personificazione della libertà. Grazie alla sua altezza, che ricordiamo è di 93 metri totali fino alla punta della fiaccola, è visibile fino a 40 km di distanza e il peso complessivo arriva a ben 225 tonnellate. Una curiosità di cui non tutti sono a conoscenza riguarda il colore: oggi la vediamo color verde rame, ma in origine era rossastra, proprio come il rame. È lo scorrere del tempo che, ossidando il materiale a contatto con l’aria, ne ha modificato l’aspetto.

Le 7 punte che adornano l’aureola della Statua della Libertà rappresentano i 7 mari e i 7 continenti nei quali si voleva che venisse diffuso il concetto universale di libertà, mentre ai suoi piedi ci sono delle catene spezzate, simbolo della liberazione dal potere dispotico. All’interno della statua, invece, troviamo colonne e travi a struttura reticolare collegate alle lastre esterne attraverso l’ausilio di rivetti, oltre che una spirale di metallo che la percorre dal basso verso l’alto. Per arrivare in cima si può utilizzare un comodo ascensore, ma gli ultimi 33 metri verso la corona possono essere percorsi solo a piedi salendo 354 gradini lungo una scala a chiocciola.

Statua della Libertà a New York

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Dettaglio della testa della Statua della Libertà a New York

Come visitare la Statua della Libertà

Essendo uno dei monumenti simbolo di New York è anche quello tra i più visitati al mondo, soprattutto perché, una volta arrivati in cima, offre una vista mozzafiato sulla città. Trovandosi su un isolotto nel mezzo del fiume Hudson, la prima cosa da fare è prendere il traghetto con partenza da Battery Park o da Liberty State Park, nel New Jersey. L’unico rivenditore autorizzato è il Statue City Cruise e i biglietti, che comprendono il traghetto andata e ritorno, il museo della Statua della Libertà, il museo dell’Immigrazione di Ellis Island e l’audioguida, possono essere acquistati comodamente online.

Esistono diverse tipologie di biglietto: quella base permette di salire sul traghetto e di avvicinarsi alla scultura, senza però poter entrare al suo interno; la seconda tipologia include il piedistallo, grazie al quale si può entrare all’interno della statua e salire i 224 gradini per arrivare fino al livello dei piedi; infine, la terza tipologia include anche la corona. L’accesso dei visitatori è limitato, quindi consigliamo di acquistare i biglietti con largo anticipo e di godersi il simbolo di New York in totale tranquillità, portando a casa un’esperienza unica e indimenticabile.

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“Non taggare questa spiaggia”, così a Maiorca si combatte l’overtourism

Con l’avvicinarsi dell’estate, molte splendide località di villeggiatura si trovano ad affrontare nuovamente le conseguenze negative dell’overtourism. Tra queste c’è anche l’isola di Maiorca, una delle perle delle Baleari, amata soprattutto dai più giovani: l’amministrazione ha deciso di adottare così una particolare iniziativa che trae spunto da una campagna social diffusa lo scorso anno. Scopriamo di che cosa si tratta.

Maiorca e il problema dell’overtourism

L’overtourism è un problema che affligge tantissime splendide destinazioni in tutto il mondo, con conseguenze spesso nefaste: lo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali, l’aumento dei rifiuti, l’impossibilità di godersi l’esperienza di viaggio e, per i residenti, un gran numero di disagi nella vita quotidiana. Insomma, non sorprende che ormai da qualche anno si cerchi di combattere il fenomeno, anche a costo di perdere qualche turista. È il caso di Venezia, che nel 2024 ha introdotto il ticket d’ingresso per contingentare il numero dei visitatori.

All’estero, iniziative che hanno suscitato molto scalpore sono quelle adottate da Amsterdam, che ha deciso di non costruire più hotel per limitare gli arrivi, e da Ibiza, che – da capitale della movida – ha vietato in alcune località la vendita di alcolici nelle ore notturne. Anche Maiorca, un’altra delle meravigliose isole delle Baleari, ha introdotto una nuova misura che potrebbe finalmente aiutare a combattere l’overtourism, con gran vantaggio per i visitatori e per gli abitanti. Tutto nasce da una campagna social che, lo scorso anno, ha riscosso parecchio successo online.

L’iniziativa anti-turismo di massa

“Non taggare questa spiaggia”: ecco il nuovo mantra che si sta diffondendo sempre più rapidamente a Maiorca. Nell’estate 2023, questo slogan ideato da un’agenzia di comunicazione locale aveva fatto il giro del web ed era stato condiviso da moltissime persone, con l’obiettivo di spingere i visitatori a non taggare le località più esclusive dell’isola, per evitare che venissero prese di mira dalla folla. Quest’anno, l’amministrazione di Maiorca ha chiesto all’agenzia di fare un passo in avanti. E così lo slogan è stato stampato su centinaia di adesivi distribuiti ai residenti e ai commercianti.

Questi adesivi possono essere attaccati ovunque, invitando i turisti a non condividere online foto e indicazioni precise sul loro viaggio. L’obiettivo è sempre lo stesso: proteggere almeno quelle calette più nascoste e sconosciute ai più, così da preservare la loro bellezza incontaminata, a disposizione dei pochi che riescono a raggiungerle. “L’idea è nata dal successo della campagna online. La gente ci chiedeva qualcosa di tangibile, in modo che potesse raggiungere più persone anche al di là degli schermi” – ha spiegato Virginia Moll, direttrice dell’agenzia, in un’intervista al quotidiano Ultima Hora.

“Il sovraffollamento colpisce innanzitutto noi residenti, rendendo il soggiorno più costoso e peggiorando la nostra qualità della vita, ma a risentirne sono anche i turisti. Per questo motivo la nostra campagna cerca di coinvolgerli nella ricerca di soluzioni per risolvere questo problema” – ha concluso la Moll. Insomma, un’iniziativa decisamente originale, che porta la lotta contro l’overtourism ad un livello superiore: quello dei social network, dove in effetti si gioca in un ambito particolarmente favorevole ai più giovani, i veri destinatari di questa campagna.