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In vacanza alle Maldive (come Miriam Leone)

Fanno invidia le foto apparse sui social di Miriam Leone, splendida attrice italiana, ex Miss Italia, in vacanza alle Maldive. Forse in luna di miele, con il marito Paolo Carullo che ha sposato lo scorso settembre in Sicilia, sua terra natìa.

Non solo le story e i post su Instagram ci fanno sognare, per i colori del mare dalle mille tonalità di verde smeraldo, per il bianco della sabbia che abbaglia, per il piacevole clima che c’immaginiamo là, mentre qui fa ancora freddo, ma anche per il lusso in cui sta trascorrendo la vacanza.

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Miriam Leone nel meraviglioso mare dell’atollo di Raa

Dove si trova il resort di lusso

Miriam e Paolo hanno infatti prenotato una water villa all’Emerald Maldive Resort nell’atollo di Raa, a Nord di Malè, la Capitale della Maldive dove si trova l’aeroporto internazionale. Per raggiungere il resort ci si imbarca su uno di quei piccoli idrovolanti che in pochi minuti arrivano ovunque. Volano bassi e guardare fuori dal finestrino, ammirando i piccoli cerchi verdi (sono le palme delle isole) circondati da una sottile striscia chiara (quella è la spiaggia) e da una azzurra (il mare dal fondale basso) che affiorano dall’acqua, è una vera gioia per gli occhi. Se siete stati alle Maldive almeno una volta sapete che questa è la (meravigliosa) sensazione che si prova.

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La spiaggia meravigliosa dell’Emerald Maldives

Il resort, che fa parte dei Leading Hotels of the World, è un cinque stelle ed è stato costruito su una piccola isola di 20 ettari, con una spiaggia tutt’intorno di un chilometro e mezzo (da percorrere più volte al giorno, avanti e indietro, per fare un po’ di movimento).

Com’è fatto il resort

Costruito in armonia con l’ambiente maldiviano, utilizzando materiali come bambù, pietre naturali e foglie di Ylang Ylang, i cui fiori hanno un buonissimo profumo intenso. Inoltre, è un resort “green”, che pone una grande attenzione all’efficienza energetica e alla conservazione dell’ambiente. Forse è proprio per questo è piaciuto a Miriam.

O forse sarà stata la water villa dove soggiorna, decisamente una delle più lussuose delle Maldive. Molto moderna, con una infinity pool privata che dà direttamente sull’Oceano Indiano, dove quando ci si sveglia la mattina basta mettersi a osservare l’acqua per vedere passare mante, squaletti pinna nera, magari qualche tartaruga e miriadi di pesci colorati.

Quanto costa una vacanza come Miriam Leone

Se la coppia ha prenotato la luna di miele, ha potuto approfittare di una tariffa promozionale “Honeymoon Special” che prevede uno sconto del 20% pagando circa 800 euro a notte per la camera. C’è anche un’offerta invernale, che prevede uno sconto del 10%, in quel caso la villa costa mille euro a notte.

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Le water villa del resort cinque stelle

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Asia Bhutan Viaggi Wanderlust

Perché un viaggio in questo Paese può renderti davvero felice

Se dovessimo misurare la felicità con i parametri utilizzati dalla cultura occidentale, probabilmente, non prenderemmo mai in considerazione l’idea di lasciarci ispirare in termini di stile di vita da quel piccolo stato montuoso dell’Asia che Lonely Planet ha scelto come uno dei posti migliori da visitare nel mondo nel 2020.

Sì perché il Bhutan, nella classifica mondiale del Prodotto interno lordo, risulta uno dei paesi più poveri del nostro globo. Eppure – nonostante questo – è anche il più felice. Non sono i soldi, qui, a scandire la quotidianità delle persone, ma è un altro parametro ancora più importante. Si tratta della FIL, Felicità Interna Lorda, l’indice che viene misurato tenendo in considerazione la salute, il benessere e le relazioni sociali della comunità e che si traduce in una vita semplice, fatta di cose genuine, proprio quelle dietro le quali è nascosta la felicità.

Gli uomini e le donne più felici del mondo sono qui

Il Bhutan è il Paese più felice al mondo. È quello fatto di ritmi lenti, di poco stress e di rispetto e condivisione. Quello in cui, girando per le strade, si vedono le auto ma non si sentono i rumori assordanti dei clacson. Dove le mucche camminano al fianco della carreggiata insieme ai cani e altri animali che vivono in libertà.

Gangtey Valley, Bhutan

Gangtey Valley, Bhutan

Sono le famiglie a prendersi cura di loro, lasciando il cibo per le strade affinché loro si nutrano. E non c’è caos né disordine in questo microcosmo dove natura, uomini e felicità si incontrano e si fondono annullando tutti i confini.

Si riuniscono tra le strade e si incontrano durante le feste nazionali o in occasione delle partite di calcio anche se sono ultimi nelle classifiche mondiali. A loro non interessa vincere, quanto più assaporare il valore più autentico delle competizioni e del gioco di squadra.

E in quei templi suggestivi incastonati tra le vette delle montagne, i villaggi rurali e i mercati locali appaiono i falli. Sono situati sulle pareti dei muri e dei negozi, nei dipinti murali. Ma non la loro presenza non ha nulla a che fare con la pornografia o con i richiami sessuali, si tratta di un simbolo sacro che serve a scacciare gli spiriti maligni, un simbolo nazionale contro il male.

Ed è proprio in tutte queste meraviglie, così diverse e distanti dalla nostra cultura, che il Bhutan si è conquistato il nome di Paese più felice nel mondo. Tutto è successo quando, più di due ventenni fa, il Re Jigme Dorji Wangchuck decise di abbandonare i parametri del PIL e adottare quelli del FIL. La felicità dei cittadini doveva essere messa al primo posto e così è stato fatto.

Lo stesso modo in cui viene trattato il turismo internazionale – con tanto di tariffa turistica giornaliera – fa parte di questo stile di vita, di questa personale filosofia della città. Un viaggio in questo Paese equivale a un’esperienza di alto valore in grado di segnare per sempre la vita dei viaggiatori, ma al contempo di garantire un basso impatto sulla quotidianità del Paese e della vita dei suoi abitanti.

Taktshang Monastery

Taktshang Monastery

Cosa aspettarti dal Paese della felicità

Un viaggio in Bhutan significa così tante cose che poterle descrivere tutte è quasi in possibile. L’intero territorio è impregnato dal Buddismo, pensate che questo è l’unico Paese al mondo ad aver mantenuto il Buddismo mahāyāna come religione ufficiale. Una scelta, questa, evidente in ogni aspetto della loro vita, nel rispetto nei confronti di tutte le creature viventi.

Un viaggio in Bhutan non è solo un’esperienza, ma un vero e proprio privilegio che ci allontana da tutte le convinzioni che riguardano la cultura occidentale. Ci permette di toccare con mano un mondo antico preservato da una cultura estremamente all’avanguardia, di osservare i suggestivi panorami del territorio e di entrare nel vivo delle tradizioni buddiste. Di imparare a vivere secondo altri ritmi, quelli che seguono le regole della felicità.

Punakha Dzong

Punakha Dzong

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Sigiriya: la leggenda dell’antica fortezza costruita sulla roccia

In un posto tanto lontano, quanto meraviglioso e suggestivo, esiste una fortezza costruita su una roccia, e in essa incastonata, che è considerata l’ottava meraviglia del mondo. Stiamo parlando dell’enigmatica e straordinaria Sigiriya, la reggia dello Sri Lanka, sospesa tra terra e cielo e tra realtà e leggende.

Situata su una collina vulcanica ad un’altezza che sfiora i 370 metri, la fortezza, completamente scolpita nella pietra, è stata riconosciuta nel 1982 come Patrimonio dell’Umanità da parte dell’Unesco. In ogni periodo dell’anno, qui, si recano migliaia di viaggiatori provenienti da tutto il mondo.

L’impatto visivo è quasi devastante: la fortezza emerge prepotentemente dalla natura incontaminata dello Sri Lanka per stagliarsi contro il cielo. Ma è solo avvicinandosi, passo dopo passo, che ci si rende conto della complessità, apparentemente inspiegabile, di una delle più incantate meraviglie del nostro Pianeta.

Sigiriya

Sigiriya

Sigiriya: tra realtà e leggende

Situata nel Distretto di Matale, nelle vicinanze di Dambullain, la fortezza costruita su una roccia vulcanica che possiamo vedere oggi è fatta risalire al V secolo d.C, tuttavia secondo gli storici e gli archeologici le sue origini affondano le radici in epoche ben più antiche. È probabile che le popolazioni antiche abitassero o utilizzassero questa altura già 10000 anni fa.

La costruzione è fatta risalire alla volontà del re Kasyapa che scelse proprio l’ammasso magmatico per costruire la sede del suo intero, una reggia naturale contraddistinta da giardini, affreschi e disegni scolpiti nella roccia. La storia vuole che per insidiarsi nel regno, il re uccise suo padre e bandì suo fratello per poi ergere il suo straordinario palazzo.

Ma la scia di sangue collegata a questo regno non era destinata a finire. Secondo la storia, infatti, a seguito di un’invasione il sovrano si suicidò e la montagna vulcanica fu restituita ai monaci buddisti che ci abitavano prima che questo si insediasse, gli stessi che l’abitarono, secondo le fonti, fino al XIV secolo.

La storia potrebbe finire qui ed esaudire così la curiosità di molti di noi, ma la verità è che questa narrazione non spiega la complessità dell’intera fortezza. Attraversando la fortezza, infatti, è impossibile non notare tutti quei dettagli all’avanguardia che sembrano inspiegabili per un epoca così lontana. E poi ci sono quelle donne, misteriose e bellissime, che appaiono negli splendidi affreschi della parte inferiore della fortezza.

Questi possono essere spiegati da un’altra versione della storia che conosciamo e che dipinge il re Kashyapa come un uomo molto bello e potente circondato da molte donne. Quelle raffigurate, quindi, sarebbero proprio le sue concubine.

Naturalmente ci sono altre storie che ruotano attorno a questo sito e che riguardano proprio la terra dello Sri Lanka. Secondo alcuni, la fortezza sarebbe stata eretta per imitare il regno di Kuvera, dio della ricchezza, e le figure sugli affreschi delle divinità.

Sigiriya

Sigiriya

Le fauci del leone

Per avere le idee ancora più chiare – o forse ancora più confuse – c’è anche un elemento imprescindibile che dobbiamo considerare, ovvero la presenza di due possenti zampe di un leone. Le troviamo proprio all’ingresso del portale che conduce sulla parte superiore della fortezza.

Il nome stesso Sigiriya, composto dai due termini sinha e giriya tradotti come leone e gola, è un chiaro riferimento all’animale. Secondo gli storici le due grandi zampe sono solo i resti della figura di un leone, forse proprio con le fauci spalancate che facevano da ingresso.

Questo ha portato a tante altre teorie e ipotesi, anche più misteriose, per giustificare in qualche modo la costruzione di un luogo così straordinario. Qualche anno fa, la ricercatrice Amelia Sparavigna, ha ipotizzato un collegamento tra il complesso archeologico di Sigiriya e lo zenit del Sole. Il suo studio ha aperto la strada a nuove ipotesi relative alla funzione astronomica del sito esistente, prima ancora delle storie e delle leggende che ora conosciamo.

Sigiriya

Sigiriya

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Arabia Saudita Asia Destinazioni Viaggi

Arabia Saudita, sarà questa la meta del futuro

Ai turisti che visiteranno AlUla, in Arabia Saudita, sembrerà di trovarsi catapultati in un film di fantascienza. Nel bel mezzo del deserto, tra dune di sabbia, rocce scolpite dal tempo e resti di un’antica civiltà vedranno spuntare installazioni ultramoderne come Maraya, un cubo di specchi realizzato nel 2017, il più grande del mondo, tanto da essere entrato nel libro dei Guinness, che riflette il paesaggio e di cui a malapena si scorge la presenza. È in realtà una sala concerti, ma che ospiterà anche eventi e spettacoli.

Fa parte, questo progetto, dell’obiettivo che il Paese s’è dato di diventare una delle migliori destinazioni al mondo da visitare entro la fine del 2030. In quanto primo progetto di rilancio dell’Arabia Saudita, è già divenuto un grande successo internazionale.

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La Maraya Concert Hall di AlUla, un edificio da Guinness

Arte nel deserto

Sulla scia della buona riuscita di Maraya, proprio il deserto è divenuto un museo a cielo aperto, ospitando 15 opere installazioni come parte dell’edizione 2022 di Desert X AlUla, la versione saudita del tradizionale Desert X che ogni due anni viene ospitato nella Coachella Valley in California. Quindici artisti internazionali hanno presentato le loro opere imitando le formazioni rocciose, i miraggi e le oasi del deserto e le antiche leggende locali.

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L’opera di Jim Denevan per Desert X 2022 ad AlUla

Resort eco-sostenibili

Vere opere architettoniche in perfetta simbiosi con l’ambiente sono anche i primi resort che stanno sorgendo nella zona. Come il meraviglioso Habitas AlUla, inaugurato a novembre 2021, un hotel di lusso sostenibile perfettamente integrato nel sito, dove gli ospiti possono letteralmente toccare con mano le pietre del sito. Ed è solo il primo di una serie di meravigliosi alberghi che apriranno nei prossimi mesi per ospitare tutti i turisti che ben presto visiteranno AlUla e l’Arabia Saudita. Tra i più attesi, quello progettato da Jean Nouvel, Sharaan, già considerato un “capolavoro” di design, costruito direttamente nelle montagne della Sharaan Nature Reserve di AlUla, integrandosi perfettamente nel paesaggio.

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Il nuovo resort progettato da Jean Nouvel ad AlUla

Trasporti a zero emissioni

Per sentirsi come nella Tatooine di “Guerre stellari” mancano solo le automobiline elettriche. Che arriveranno a breve. È in progetto, infatti, l’introduzione di piccoli “pod” con guida autonoma che, silenziosi, sostenibili e a zero emissioni, si muoveranno nel deserto portando i visitatori (22 alla volta su ciascun pod) avanti e indietro dagli hotel alla scoperta del sito di AlUla e della città vecchia e, nei prossimi anni, anche degli altri luoghi turistici della zona, come l’antica città di Dadan, il sito Unesco di Hegra o (Mada’in Saleh), la seconda città del grande regno nabateo di Petra, in Giordania, e il villaggio di Al Jadidah.
Non solo tra le destinazioni top del mondo ma sarà anche una delle più “eco”, quindi.

Meta da vip

Intanto, è partita una grande promozione per iniziare ad attirare visitatori in questa parte di mondo ancora piuttosto inesplorata. Innanzitutto, bisogna far parlare del luogo.
E l’Arabia Saudita l’ha fatto con alcuni grandi eventi che hanno attirato l’attenzione dei più curiosi, come il mega concerto di Andrea Bocelli che si è tenuto nel 2021 proprio qui, nel sito Unesco di Hegra o quello di Alicia Keys e di Seal o ancora la recente sfilata di Dolce&Gabbana, che si è svolta nell’area di Jabal Ikmah, la più grande biblioteca a cielo aperto dell’Arabia Saudita, dove le iscrizioni in aramaico, dadanitico, thamudico, minaico e nabateo sopravvivono da migliaia di anni impresse nelle rocce.
Inoltre, le celebrity che stanno iniziando a trascorrevi le vacanze, come Lapo Elkann che ci è andato in luna di miele, e molti altri.

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La sfilata di Dolce&Gabbana ad AlUla

Primi voli diretti

Poi bisogna portare i turisti. Da fine gennaio è partito il primo volo diretto da Parigi ad AlUla della compagnia di bandiera Saudia Airlines. Questa nuova rotta in partenza dall’Europa offre l’opportunità ai viaggiatori francesi ma anche a quelli dei Paesi limitrofi di essere tra i primi a visitare questa straordinaria regione. Dopo un volo di cinque ore, si atterra al nuovo aeroporto di AlUla.

L’Arabia Saudita è un Paese in pieno sviluppo, insomma. Se non fosse stata colpita, come tutti, dalla pandemia di Covid forse avrebbe anche già spalancato le porte da molto tempo ai turisti senza troppe restrizioni.

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Il sito di Mada’in Salehin Arabia Saudita

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Asia Israele itinerari culturali Notizie Viaggi

Scoperta sensazionale in Israele: così cambia la storia

La Galilea è una delle zone più interessanti di Israele. Dal punto di vista naturalistico, ma anche archeologico e nell’ambito della paleontologia. Oltre che per la tradizione spirituale, questa regione è davvero unica al mondo proprio per la straordinaria storia dell’uomo preistorico e per le evidenze qui lasciate.

È di recente una scoperta a dir poco sensazionale. Vicino al lago di Galilea, sono stati rinvenuti i resti di un insediamento che risale a 23mila anni fa. L’analisi dei resti animali ritrovati dimostra che qui gli antichi abitanti prosperavano in maniera straordinaria.

La scoperta straordinaria

Uno studio pubblicato a fine gennaio sulla rivista Plos One dal team dell’Istituto di archeologia dell’Università ebraica di Gerusalemme, infatti, ha messo in evidenza i ritrovamenti di resti di un campo di pescatori-cacciatori-raccoglitori precedentemente sommerso sulle rive del lago di Galilea. Attraverso un’attenta analisi della varietà e dell’uso dei resti di animali, il team ha concluso che questi sopravvissuti all’ultima era glaciale prosperavano, mentre la maggior parte dei loro contemporanei, in altre parti del mondo, erano quasi affamati, a causa della temperatura estremamente fredde.

La storia del sito israeliano

Il sito israeliano, noto come Ohalo II, fu occupato alla fine della massima espansione dell’ultima era glaciale, tra 23.500-22.500 anni fa. Ohalo II è noto per l’eccellente conservazione delle capanne a cespuglio e dei resti botanici. Lo studio, guidato dalla studentessa di dottorato dell’università Tikvah Steiner, sotto la supervisione della professoressa Rivka Rabinovich e dell’archeologo dell’Università di Haifa, il professor Dani Nadel che ha effettuato gli scavi del sito, ha esaminato la dieta e l’uso di parti di animali per determinare il benessere e lo stile di vita degli antichi abitanti di questa zona.

Durante la massima espansione dell’ultima era glaciale, le calotte glaciali coprivano gran parte del Nord America, del Nord Europa e dell’Asia, influenzando profondamente il clima terrestre causando siccità, desertificazione e un forte calo del livello del mare. Ironia della sorte, Ohalo II è stato scoperto nel 1989, in seguito a condizioni di siccità che hanno abbassato di diversi metri il livello dell’acqua del lago di Galilea.

Gli scavi archeologici

Gli scavi sono stati effettuati tra il 1989-1991 e di nuovo tra il 1998-2001. Il sito si estende per 2000 metri e si trova vicino alla punta meridionale della zona moderna del lago di Galilea, a circa 9 chilometri a Sud di Tiberiade. Il sito contiene i resti di sei capanne a cespuglio di forma ovale, focolari a cielo aperto, la tomba di un maschio adulto, oltre a varie installazioni e cumuli di rifiuti. Abbondanti materiali organici e inorganici forniscono una ricchezza di informazioni sullo stile di vita dei pescatori-cacciatori-raccoglitori che abitavano quest’area.

Una scoperta che cambia la storia

Da un’attenta analisi di 22.000 ossa di animali rinvenute nel sito, tra cui gazzelle, cervi, lepri e volpi, nonché dalla documentazione precedente sul numero di resti di piante carbonizzate, strumenti di selce e chicchi di cereali, il team ha concluso che Ohalo II presenta un quadro di sussistenza diverso rispetto alla maggior parte degli altri siti del periodo Mesolitico.

Le oscillazioni climatiche durante l’ultimo periodo della massima glaciazione hanno avuto effetti minimi sull’Alta Valle del Giordano, in particolare vicino a Ohalo II, consentendo a quelle persone di utilizzare un’ampia nicchia ecologica composta da varie piante commestibili, mammiferi, rettili, uccelli e pesci.

“Nonostante la loro capacità di cacciare animali anche di grandi dimensioni, questi abitanti cacciavano una vasta gamma di prede e avevano strumenti e tempo sufficienti per sfruttare appieno le carcasse di animali fino al midollo”, ha spiegato Steiner. Allo stesso modo si può notare come “le tartarughe siano state apparentemente selezionate secondo una specifica linea, il che potrebbe suggerire che i loro gusci da usare come ciotole, e non la loro carne, fossero l’obiettivo principale. La lepre e la volpe sono state probabilmente cacciate per le loro pelli”, ha concluso la ricercatrice.

Gli studi attuali si sono concentrato sui resti di rettili, uccelli e mammiferi trovati in una delle capanne durante le sue tre occupazioni consecutive. Nell’ambito dello studio, sono state effettuate l’identificazione e la quantificazione delle diverse specie animali: sono state misurate le dimensioni ossee e le superfici ossee sono state sottoposte ad esame spettroscopico per identificare segni di taglio e usura.

Inoltre, una studentessa post-dottorato all’Università ebraica ed esperta in erpetologia, la dott.ssa Rebecca Biton, ha scoperto che le tartarughe erano tutte di taglia uniforme, il che potrebbe indicare una selezione consapevole, da parte dei cacciatori, di una dimensione specifica di tartaruga per l’utilizzo del loro guscio.

Secondo il team dei ricercatori, Ohalo II è un meraviglioso esempio di una vera economia ad ampio spettro durante l’ultima era glaciale, proprio all’inizio del periodo epipaleolitico. Una scoperta sensazionale, insomma.

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Gli scavi archeologici a Ohalo II, in Israele

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Tahiti, scoperta una nuova barriera corallina incontaminata

Le profondità oceaniche hanno ancora tante sorprese da regalarci: nelle ultime settimane, la Polinesia si è arricchita di una nuova barriera corallina ancora incontaminata. La scoperta è avvenuta al largo delle coste di Tahiti, dove migliaia di coralli rosa giganti hanno trovato il loro habitat ideale, protetti (almeno per il momento) dall’inquinamento dei mari e dagli effetti negativi del riscaldamento globale. Un vero e proprio mondo sottomarino dal fascino incredibile

Tahiti, la nuova barriera corallina

Un team di subacquei internazionali ha scoperto nientemeno che una nuova barriera corallina, lunga ben 3 km e situata a profondità inaspettate. Se la maggior parte dei coralli cresce infatti ad un massimo di 25 metri dalla superficie, questi hanno trovato il loro habitat in quella denominata “zona crepuscolare”, che va dai 30 ai 120 metri sotto il livello dell’acqua. Qui, nonostante le temperature scendano ripidamente, vi arriva ancora abbastanza luce affinché queste forme di vita spettacolari possano crescere.

In effetti, la nuova barriera corallina polinesiana è davvero rigogliosa: vi spiccano esemplari di corallo rosa gigante che hanno dimensioni superiori ai 2 metri di diametro. “È stato magico assistere a questi coralli meravigliosi che si estendono a perdita d’occhio. È come un’opera d’arte” – ha affermato il fotografo francese Alexis Rosenfeld, che ha partecipato all’esplorazione sottomarina durante la quale è stata effettuata la scoperta. Secondo gli esperti, questo ecosistema avrebbe impiegato oltre 25 anni per crescere.

La barriera corallina individuata al largo delle coste di Tahiti ha un’altra caratteristica: vista la sua profondità, è rimasta per tutto questo tempo abbastanza protetta dagli effetti del riscaldamento oceanico. L’innalzamento delle temperature marine è infatti una delle prime cause di stress dei coralli, che perdono rapidamente il loro bellissimo colore e muoiono nel giro di pochi giorni. Lo sbiancamento dei coralli, un fenomeno che purtroppo riguarda tantissimi ecosistemi marini (la Grande Barriera Corallina australiana, nel 2016, ha subito gravi danni che hanno coinvolto ben l’80% dei suoi esemplari), non ha dunque colpito questa meraviglia.

Le barriere coralline polinesiane

La Polinesia vanta acque splendide e riccamente popolate: le sue barriere coralline sono dei veri capolavori, da proteggere e conservare con molta cura. Qui si trovano alcuni degli ecosistemi marini più affascinanti al mondo. È il caso, ad esempio, del Parco Marino delle Isole Cook, il più grande esistente sulla terra: nel cuore dell’oceano Pacifico è possibile ammirare coralli dai colori mozzafiato, crostacei e stelle marine, ma anche pesci tra i più bizzarri mai visti e una ricca vegetazione. E, con un pizzico di fortuna, si possono avvistare persino squali giganteschi.

Le barriere coralline rappresentano un incredibile patrimonio che dobbiamo preservare. Il rischio dello sbiancamento dei coralli è solo una delle conseguenze del riscaldamento globale e dell’inquinamento dei mari, che mettono in serio pericolo la sopravvivenza di questi ambienti dal fascino unico. La scoperta del nuovo ecosistema al largo di Tahiti, perfettamente conservato, apre nuovi scenari: è possibile che i coralli stiano diventando più resistenti all’innalzamento delle temperature. E di certo il ritrovamento non è che un piccolo tassello dell’enorme puzzle sottomarino. Si stima che solo il 20% dei fondali sia stato esplorato, e chissà quante meraviglie ancora ci attendono.

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Arabia Saudita Asia Notizie Viaggi

Scoperta una rete stradale antica “circondata” da 17.800 tombe

Una nuove e importantissima scoperta è avvenuta in Arabia Saudita: è stata riportata alla luce un’antica rete stradale, risalente a ben 4.500 anni fa, che metteva in collegamento le oasi del territorio. Ma ancor più interessante è che questa era “circondata” da tantissimi monumenti funebri.
Chi ha fatto la scoperta in Arabia Saudita
Questa scoperta, che potrebbe cambiare profondamente la nostra comprensione della storia antica del Medio Oriente, è stata effettuata da alcuni ricercatori dell’Università della Western Australia e della Royal Commission for AlUla, il cui lavoro è stato pubblicato sulla rivista The Holocene.
In cosa consiste il ritrovamento
Il team di ricercatori ha riportato alla luce dei “viali funerari”, ossia dei lunghi corridoi che collegavano oasi e pascoli, delimitati da migliaia di elaborati monumenti funerari, costruiti da popolazioni che vivevano nel Nord-Ovest dell’attuale Arabia Saudita tra la prima e la media età del Bronzo.
Per individuare e analizzare questi singolari viali funerari, il team ha utilizzato alcune immagini satellitari, fotografie scattate da elicotteri, rilievi al suolo e scavi. Grazie a tutto il lavoro condotto nelle aree di studio principali delle contee di AlUla e Khaybar, sono stati individuati viali che si estendono su un’area di 160.000 km2, con oltre 17.800 tombe con una sorta “coda” e con forme diverse.
I ricercatori hanno inoltre fatto sapere che “le più alte concentrazioni di monumenti funebri su questi viali si trovavano vicino a fonti d’acqua permanenti, con la direzione dei viali che indica che le popolazioni li usavano per viaggiare tra le principali oasi, comprese quelle di Khaybar, AlUla e Tayma“.
Strade e sentieri minori si perdono, inoltre, nei territori che circondano le oasi, suggerendo che fossero utilizzati anche per spostare mandrie di animali nei pascoli vicini durante i diversi periodi di pioggia.
Le dichiarazioni di chi ha fatto la scoperta
A tal proposito, il principale autore dello studio, Matthew Dalton, della School of Humanities dell’UWA, ha spiegato: “Le strade funerarie erano le principali reti stradali del loro tempo e dimostrano che le popolazioni che vivevano nella penisola arabica 4.500 anni fa erano molto più socialmente ed economicamente collegate tra loro di quanto pensassimo in precedenza“.
Ma non solo. Dalton ha sottolineato: “Queste oasi, in particolare Khaybar, mostrano alcune delle più dense concentrazioni di monumenti funebri conosciuti in tutto il mondo. Il gran numero di tombe dell’età del bronzo costruite intorno a loro suggerisce che già all’epoca le popolazioni avevano iniziato a stabilirsi in modo più permanente in questi luoghi favorevoli“.
Mentre il direttore del progetto, Hugh Thomas, anche lui della School of Humanities dell’UWA, ha concluso: “La ricerca chiude un anno straordinario per il progetto. I documenti pubblicati nel 2021 hanno contribuito a dimostrare che nei tempi antichi AlUla e Khaybar erano caratterizzati da un panorama insediativo ricco e dinamico. I reperti archeologici provenienti da queste regioni hanno il potenziale per cambiare profondamente la nostra comprensione della storia antica del Medio Oriente“.
In sostanza, quel che è emerso da questa nuova scoperta è una rete stradale fittissima punteggiata da un’incredibile quantità di monumenti funebri – come detto in precedenza sono circa 17.800 – che risalirebbe all’età del Bronzo, ossia circa 4.500 anni fa. Un rilevamento che davvero può aiutarci a vedere la storia antica in maniera molto più chiara e, per alcuni aspetti, abbastanza diversa.
L’area del ritrovamento