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Il Cairo: clima, temperatura e quando andare in vacanza. Cosa sapere

Il Cairo è la Capitale dell’Egitto ed è una perla da scoprire, dove il fascino del passato si incontra con le modernità, rievocando tutt’oggi i fasti dei Faraoni, ma con un occhio al futuro. Una meraviglia da visitare per chi ha sempre sognato di approfondire la cultura egiziana, ma quando visitare Il Cairo in base alle stagioni? Osserviamo clima e temperatura media, in modo tale che tu possa farti un’idea e prenotare la tua prossima (e faraonica) vacanza.

Clima e temperatura a Il Cairo in base alle stagioni

Il vento caldo e polveroso khamsin, le temperature gentili dell’inverno, la pioggia che è quasi un miraggio: se dovessimo descrivere il clima de Il Cairo, useremmo queste parole, perché di certo non è una zona fredda, nemmeno in pieno inverno, quando il clima è mite e gentile rispetto all’estate, ma mai pungente. Del resto, siamo in Egitto: ci troviamo precisamente ai margini del delta del Nilo, in una metropoli dal clima subtropicale desertico.

Autunno

Il momento migliore per pianificare un viaggio al Cairo, quando le temperature estive sono alle “spalle” e le piogge sono rarissime. L’autunno è perfetto perché consente di organizzare anche delle escursioni nei dintorni. A novembre, le temperature medie oscillano tra 25°C e 15°C.

Inverno

Fa freddo al Cairo in inverno? Non proprio, in realtà. Basta dare un’occhiata alle temperature invernali del Cairo per farti un’idea su come organizzare la valigia: a dicembre, oscilla tra 21°C e 11°C, a gennaio tra 19°C e 10°C. Il clima è decisamente perfetto per partecipare ai tour, agli eventi e camminare per le strade di questa metropoli speciale.

Primavera

Insieme all’autunno, è decisamente il periodo propizio in cui prenotare: le temperature, però, aumentano con il passare dei mesi. A giugno, infatti, la media oscilla tra 35°C e 22°C, mentre a fine marzo tra 24°C e 13°C. Quando non sono eccessive, i giorni di pioggia sono assenti e le giornate sono soleggiate, consentendo di pianificare una visita speciale.

Estate

Generalmente, soprattutto per chi patisce molto il caldo, l’estate al Cairo è fortemente sconsigliata, considerando che le temperature sfiorano – e talvolta superano! – i 40°C. Nei mesi di luglio e di agosto le giornate sono torride. Ma, se hai prenotato, l’idea migliore è trascorrere le ore in cui il sole è al suo picco alla scoperta della cultura egiziana, come in uno dei tanti musei presenti in città (il Museo Egizio è una tappa fissa).

Il periodo migliore per visitare Il Cairo

Non è solamente una questione di budget: generalmente, la “bassa stagione” in Egitto viene valutata da giugno ad agosto, quando le temperature sono piuttosto elevate, ma non in Italia, quando, invece, i costi si fanno più convenienti a gennaio e febbraio. Dal punto di vista del clima, dopo aver osservato le temperature medie in base alle stagioni a Il Cairo, possiamo di certo affermare che novembre (o più in generale l’autunno) è un mese propizio, poiché le temperature sono molto più gradevoli e, dal momento in cui le precipitazioni sono assenti, puoi goderti una visita nella metropoli egiziana, in cui ci sono tante cose da vedere, senza affaticarti particolarmente.

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Cosa vedere nel Parco Nazionale di Nairobi

Conosciuto come il più antico parco del Kenya, il parco nazionale di Nairobi è anche l’unico al mondo ad essere sviluppato in prossimità di una città. Proprio l’incredibile vicinante al centro di Nairobi che dista solamente 7 km lo rende estremamente accessibile per i visitatori oltre ai 3 milioni di abitanti. Fondato nel 1946 con l’obiettivo di salvaguardare animali, flora e fauna copre non più di 117 chilometri quadrati e incarna alla perfezione quelli che sono i paesaggi africani. Pianure, foreste e gole ma anche una vegetazione lussureggiante seguono le rive del fiume Athi, cuore pulsante della zona. Stai pianificando la tua vacanza in Kenya? Scopri subito cosa vedere nel Parco Nazionale di Nairobi.

Alla scoperta del Nairobi National Park

C’è chi lo definisce il safari più accessibile del Kenya per la sua prossimità alla città ma pur avendo una superficie decisamente ridotta rispetto ad altre zone della località ha molto da far scoprire. Istituito nel 1946, ha portato avanti nel tempo l’obiettivo di proteggere flora e fauna selvatica che la popolano, soprattutto in prossimità delle rive del fiume Athi.

Al confine con la capitale Nairobi, vanta diversi primati tra cui essere l’unico che confina direttamente con una città. Una delle caratteristiche distintive che lo renderanno perfetto per le tue foto è lo skyline in lontananza: basti pensare che in alcuni punti è possibile osservare lo sfondo dei grattacieli in lontananza creando foto perfette per i social con il contrasto tra l’impatto dell’uomo e la natura selvaggia. Alcuni lo conoscono con il soprannome di “Arca Kifaru” poiché viene considerato a tutti gli effetti un santuario dei rinoceronti. La popolazione ricca di questi esemplari ha una delle concentrazioni degli esemplari neri più alta al mondo. Secondo le statistiche sono più di 50 a popolarlo ma sono state necessarie una serie di misure antibracconaggio per poterle proteggere.

Nonostante le tante tutele però, alcuni malintenzionati continuano il loro operato segnando gli ultimi casi di uccisione nel 2014. Altrettanto comunemente visibili sono leoni e iene che popolano la zona. Più complicati da avvistare ma vivono nel parco anche i leopardi. Non mancano avvistamenti di zebre, facoceri, giraffe, struzzi, bufali e gazzelle. Non sono invece presenti gli elefanti.

Il periodo migliore e più suggestivo per visitarlo è quello che si sovrappone alla migrazione annuale di gnu e zebre che corrisponde ai mesi di luglio e agosto o a quelli di gennaio e febbraio. All’interno della zona si contano in più oltre 400 specie di uccelli, un’esperienza davvero coinvolgente per gli appassionati di bird watching o per chi desidera intraprendere un safari sostenibile e rispettoso.

Il rinoceronte nero

Secondo le ultime ricerche, il rinoceronte è stato inserito ufficialmente tra le specie a rischio di estinzione e per questo motivo sono state adoperate diverse misure nelle aree e negli habitat principali per poterlo proteggere. Lo è ancora di più il rinoceronte nero, uno splendido esemplare simbolo di resilienza da sempre preda dei bracconieri che li uccidono per poter asportare il loro corno utilizzato nei paesi asiatici per lozioni curative. Oggi il Parco di Nairobi ha alzato moltissimo le difese per tutelare i propri animali e si contano circa 50 esemplari, il numero più alto di tutto il mondo segnando un’alta concentrazione e mostrando come determinati comportamenti possano essere arginati.

Rinoceronti nel parco di Nairobi

Fonte: iStock

Nairobi National Park, i rinoceronti da vicino

L’avifauna per gli appassionati di birdwatching

Il Parco Nazionale di Nairobi in Kenya è un vero e proprio paradiso per gli amanti del birdwatching. Con oltre 400 specie di uccelli registrate, tra cui rapaci, esemplari acquatici e numerose specie migratorie, avrai l’imbarazzo della scelta. Non dimenticare di portare con te un binocolo e una guida della regione per poter riconoscere le diverse specie che popolano il parco.

Tra gli avvistamenti più ricercati ci sono l’aquila marziale, il bucorvo abissino e il vivace tessitore masai, apprezzato per i suoi nidi intricati. Se visiti il parco durante la stagione delle piogge, potresti essere sorpreso dalla presenza di specie migratorie provenienti da lontano. L’alba e il tramonto sono i momenti migliori per incontrarli, quando il parco si anima dei suoni e dei colori di centinaia di specie diverse.

Giraffe Masai

Tra gli incontri e avvistamenti che ti lasceranno a bocca aperta ci sono le giraffe. Le specie masai si distinguono per il comportamento docile e gentile, il mantello maculato e l’iconico collo lungo. Potresti essere fortunato e vederne una mandria che si muove elegantemente attraverso la savana, oppure mentre si nutrono dalle alte cime degli alberi.

All'interno del National Park di Nairobi scoprire le giraffe masai

Fonte: iStock

Giraffe nel National Park di Nairobi

Safari e big 5 (senza elefanti)

Quando si organizza un safari in Kenya, uno degli obiettivi è incontrare i Big Five: leoni, leopardi, elefanti, rinoceronti e bufali. In questo caso però, le cose sono un po’ diverse, seppur si possa organizzare attraversando la savana devi sapere che con il supporto di una guida potrai avvistare alcune specie tranne gli elefanti che invece non vivono qui ma in altre località.

Il monumento memoriale agli elefanti

Perché gli elefanti non sono presenti? Molto probabilmente la causa è da ricercare nell’operato dei bracconieri. Per omaggiare gli animali selvaggiamente uccisi negli anni, nel 1989 è stato inaugurato un luogo speciale all’interno del Nairobi National park. Si tratta dell’Ivory Burning Memorial Site, un memoriale dove l’avorio viene trasformato in cenere, un monumento che vuole omaggiare gli elefanti con un falò di 12 tonnellate di avorio. Un gesto concreto per combattere il traffico dell’avorio e salvare gli elefanti rimasti, pochissimi esemplari in tutta la zona.

Safari fotografico per contrattare l’espansione della città

Nairobi sta crescendo, la città e in modo particolare la sua espansione commerciale sta invadendo anno dopo anno una superficie un tempo destinata interamente al parco. Seppur le associazioni stiano facendo il possibile per tutelare gli animali e il loro biohabitat, i turisti possono fare la loro parte. Sostenere attraverso safari fotografici dà modo al parco di potersi proteggere, mettere dei limiti e agire contro questa presa di posizione della capitale che rischia di mettere a repentaglio la sicurezza e la tutela degli esemplari che abitano la zona protetta. Organizza un safari fotografico con l’aiuto di guide del posto, ricorda di avere sempre un comportamento etico e rispettoso per gli animali e per l’ambiente.

 

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Visto turistico per l’Egitto: cosa serve per richiederlo e quanto costa

Stai pianificando di visitare l’Egitto? Probabilmente ti starai informando su quanto è necessario per accedere al Paese. Per poter fare una vacanza qui, visitare il Cairo o goderti una bella crociera sul Nilo devi sapere che il visto turistico per l’Egitto è obbligatorio. Ma quanto costa? Come ottenerlo e quanto dura? Ti svelo tutte le informazioni utili che possono servirti.

Come ottenere il visto turistico per l’Egitto

Non preoccuparti, se desideri ottenere un visto turistico per l’Egitto il processo da affrontare è tutto sommato semplice, ma è importante seguire tutte le procedure per evitare inconvenienti. Di seguito ti svelo i metodi principali per richiedere il visto per l’Egitto e goderti finalmente una vacanza al Cairo, alla scoperta delle piramidi oppure una bella crociera sul Nilo.

  • Richiesta di visto elettronico (e-visa). Tra le modalità più convenienti a tua disposizione c’è quello di domanda digitale. Potrai infatti richiederlo on line attraverso il sito ufficiale del governo egiziano, creando un account con le proprie generalità e informazioni personali. Compila il modulo di richiesta inserendo il numero del passaporto, la durata del soggiorno e le motivazioni del viaggio. Poi effettua il pagamento della tassa e aspetta conferma. Generalmente viene approvata in circa 7 giorni lavorativi;
  • Richiesta di visto all’Ambasciata. Puoi richiedere il visto turistico per l’Egitto direttamente presso l’Ambasciata o il Consolato egiziano in Italia. Ti serviranno un passaporto valido, due fotografie formato tessera, il modulo di richiesta del visto compilato, la conferma delle prenotazioni di volo andata e ritorno oltre che dell’hotel dove soggiornerete; anche in questo caso effettuerai il pagamento della tassa del visto, il tempo di elaborazione è tra i 5 e i 10 giorni lavorativi;
  • Richiesta di visto turistico per l’Egitto all’arrivo. Nonostante non sia il metodo che ti consiglio o preferisco, devi sapere che è possibile ottenere il visto turistico per l’Egitto all’arrivo in aeroporto o il porto d’ingresso, per cittadini di diverse nazionalità, tra cui ad esempio molte dell’Unione Europea, Stati Uniti, Canada e Australia oltre che molti Paesi occidentali. Anche in questo caso ti serviranno il passaporto valido e la conferma della prenotazione alberghiera. Poi sarà sufficiente pagare la tassa del visto in contanti, e completata la procedura, riceverete il vostro visto turistico per l’Egitto.

Costi e durata del visto turistico per l’Egitto

I costi del visto turistico per l’Egitto possono variare a seconda della nazionalità e del tipo di visto scelto:

  • Visto elettronico (e-visa): 25 dollari per l’ingresso singolo, circa 60 dollari per l’ingresso multiplo;
  • Visto presso l’Ambasciata: tra i 20 e 30 dollari a seconda della nazionalità per l’ingresso singolo, tra i 50 e i 70 USD per l’ingresso multiplo;
  • Visto all’arrivo: 25 dollari per l’ingresso singolo, il visto per ingressi multipli all’arrivo non è previsto.

Quanto dura il visto turistico per l’Egitto

Il visto turistico per l’Egitto ha generalmente una durata standard ma ci sono alcune variazioni a seconda del tipo di visto richiesto. Quello classico ti consente di restare nel Paese per un massimo di 30 giorni, mentre quello multiplo offre più ingressi in entro un periodo di 90 giorni sempre con un soggiorno massimo di 30 giorni.

Estensione del visto turistico per l’Egitto

Se desideri soggiornare in Egitto oltre la durata iniziale del visto puoi farlo ma dovrai richiederne un’estensione presso il Dipartimento di Immigrazione del Ministero dell’Interno in Egitto, con il passaporto e la copia del visto attuale, compilerete il modulo e pagherete una tassa, le estensioni sono valide per un massimo di 90 giorni, ma la decisione finale è a discrezione delle autorità competenti.

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Siwa, una delle oasi più straordinarie d’Egitto

L’Egitto è una delle destinazioni più popolari del Nord dell’Africa: ha tante attrazioni e paesaggi variegati, che spaziano dalle spiagge dorate lambite dal mare azzurrissimo alle dune di sabbia del deserto dove scoprire le antiche e mistiche Piramidi. Alcuni degli angoli più sorprendenti del paesaggio di questa nazione, però, sono le oasi.

L’Oasi di Siwa, è una vera gemma nascosta nel cuore del deserto occidentale dell’Egitto, un luogo incantevole che ammalia i viaggiatori con la sua bellezza naturale e la sua ricca storia. Situata a circa 50 chilometri dal confine con la Libia, Siwa è un’oasi remota e un po’ difficile da raggiungere, ma che vale la pena di vedere per l’esperienza unica e autentica che offre ai viaggiatori.

Dove si trova l’Oasi di Siwa e come raggiungerla

L’Oasi di Siwa si trova nel Governatorato di Matrouh, nel nord-ovest dell’Egitto, a circa 560 chilometri dal Cairo. Circondata da palmeti lussureggianti e sorgenti d’acqua termale, Siwa è famosa per la sua atmosfera paradisiaca e la sua autenticità.

Il periodo migliore per visitare l’Oasi di Siwa è durante l’autunno e la primavera, quando le temperature sono più miti, poiché durante l’estate il caldo nel deserto egiziano può risultare davvero eccessivo.

Lago salato, Oasi di Siwa

Fonte: iStock

Il lago salato nell’Oasi di Siwa

Ma come raggiungere questa splendida oasi? Il modo ideale per arrivare a Siwa, è prendere un autobus da Il Cairo o Alessandria, oppure optare per un viaggio in auto, in pieno stile on the road. Siwa è anche accessibile tramite voli da Il Cairo all’aeroporto di Marsa Matrouh, da cui è poi possibile prendere un taxi o un autobus diretto all’oasi.

Cosa fare a Siwa e nei dintorni

Posta tra la depressione di Qattara e il Grande Mare di Sabbia, l’oasi di Siwa dista circa 600 km dalla capitale egizia, motivo per cui dirigersi lì in auto richiederà almeno 8-9 ore di guida. Eppure, come già accennato, Siwa è una delle oasi più particolari in Egitto: qui è possibile immergersi nell’atmosfera più autentica del luogo, andando alla scoperta di villaggi beduini e non solo.

La prima tappa è sicuramente quella alla Fortezza di Shali, centro nevralgico dell’antica storia di Siwa: oggi ancora domina il paesaggio, con le sue costruzioni in argilla e sale.

Ma non solo. In questa zona, infatti, è possibile anche fare un’escursione a due grandi laghi salati, il Siwan e il lago El-Zeitoun. Questa zona, inoltre, è particolarmente nota per la presenza del Tempio di Alessandro Magno, anche conosciuto con il nome di Tempio dell’Oracolo.

Fortezza di Shali

Fonte: iStock

La maestosa Fortezza di Shali

L’area che comprende l’oasi è vasta, ha una lunghezza di 80 km e una larghezza di circa 20 km e conta pressappoco 7.000 abitanti: tra questi, vi sono tribù originarie della Libia e della Tunisia, che parlano una lingua locale nota come Amazighi. La vita nell’oasi scorre lenta: la popolazione principalmente si occupa di attività agricole, come la coltura dei datteri e delle olive.

Gli amanti del relax saranno felici di sapere che nell’oasi di Siwa è possibile anche scoprire sorgenti di acqua calda rigenerative: ad esempio, la sorgente di Cleopatra, Bir Wahed e quelle che hanno origine dal monte Dakrour.

Tra le attività più belle da fare nei dintorni dell’oasi c’è quella di andare alla scoperta di Fitnas Island: ammirare il tramonto e i fenicotteri rosa sorseggiando un tè Siwan tradizionale, aromatizzato da foglie di limone, è un’esperienza da non perdere.

Per i più adrenalinici, invece, da non mancare è l’esperienza al Siwa Oasis Desert Safari: salite a bordo di una jeep 4×4 e avventuratevi nel Grande Mare di Sabbia per un po’ di sandboarding sulle dune.

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Kenya, riapre l’hotel che cambiò la vita della regina Elisabetta

È uno di quei luoghi dove sembra di tornare indietro nel tempo. L’hotel Treetops – cime degli alberi – in Kenya è ancora oggi fatto interamente di legno e si trova laddove un tempo esisteva una casa sull’albero in cui soggiornò la regina Elisabetta II d’Inghilterra la notte di quel 1952 in cui il padre, re Giorgio VI, morì e divenne ufficialmente regina. Il Treetops Lodge si trova nel bel mezzo dell’Aberdare National Park, sull’omonima catena montuosa, a pochi chilometri dalla township di Nyeri, nel Kenya centrale, e ancora oggi è uno degli hotel più belli del mondo.

La storia del Treetops Hotel

Il Treetops Hotel aprì per la prima volta nel 1932 grazie a un’idea del Maggiore inglese Eric Sherbrooke Walker, un ufficiale decorato che decise di stabilirsi a vivere in Kenya e volle regalarlo alla moglie Lady Bettie. Inizialmente, fece costruire una tree house molto spartana sulla cima di un fico di ben 300 anni nell’Aberdare National Park, un parco che si trova a circa 2mila metri di altitudine, offrendo agli ospiti dell’hotel Outspan che già la coppia possedeva a Nyeri una vista privilegiata sulla fauna locale.

L’idea era quella di offrire una piattaforma sicura e comoda, anche come giaciglio per la notte, per osservare gli animali lungo il percorso che facevano per raggingere le pozze d’acqua durante la notte, ma anche per cacciarli (ai tempi non si era ancora così sensibili sostenibilità ambientale e alla difesa delle razze animali protette o in via di estinzione). Peraltro, ai tempi la politica era “no see, no pay” ovvero gli ospiti non avrebbero dovuto pagare l’esperienza nel caso non avessero avvistato nessun animale.

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Un’immagine dell’epoca della principessa Elisabetta e del principe Filippo in Kenya

Da una prima e originale tree house fatta di due modeste camere, la richiesta di questa esclusiva esperienza wild fu talmente forte che si ampliò fino a diventare una struttura di 35 camere che poteva così essere definita hotel.

Dove la principessa Elisabetta divenne regina

La richiesta aumentò a dismisura soprattutto dopo che vi soggiornarono la principesa Elisabetta con il marito, il principe Filippo, duca di Edimburgo, invitati personalmente dai Walker. La tree house Treetops fu così ampliata e la capacità passò da due a quattro camere, inclusa una per un cacciatore che vi risiedeva in modo permanente.

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Gli elefanti attraversano la proprietà del Treetops Hotel

Fu durante il suo soggiorno al Treetops che la principessa ricevette la terribile notizia della morte del padre avvenuta nella notte tra il 5 e il 6 febbraio del 1952 e contemporaneamente che sarebbe stata lei a succedergli sul trono d’Inghilterra. Qui la ricordano ancora come l’unica donna al mondo a essere salita in cima a un albero da principessa e a esserne scesa da regina. la regina Elisabetta II tornò al Treetops per un secondo viaggio nel 1983.

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La Princess Elizabeth-Suite del Treetops Hotel in Kenya

Il resort dagli Anni ’50 a oggi

La struttura originale venne in seguito sostituita da una più grande, sempre costruita sugli alberi ma appoggiata su una sorta di palafitta, ma nel ’54 venne bruciata dalle milizie del Kenya Land and Freedom Army (KLFA) durante le rivolte. Fu così che l’hotel venne ricostruito ex novo difronte alla stessa pozza d’acqua e divenne molto di moda tra la clientela benestante. Tra gli ospiti d’eccezione ci furono Charlie Chaplin, Joan Crawford, Lord Mountbatten, Paul McCartney e Lord Baden-Powell, fondatore dei boy scout.

Rispetto al resort originale, vennero aggiunte delle lounge panoramiche e degli osservatori nascosti da dove poter osservare e fotografare gli animali che si abbeveravano. Inolte, gli ospiti possono soggiornare nella Princess Elizabeth Suite. L’ultima sfida che questo esclusivo hotel ha dovuto affrontare è stata la pandemia di Covid che l’ha obbligato a chiudere i battenti nel 2021. Ha riaperto soltanto nell’agosto del 2024.

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La visita della regina Elisabetta nel 1983
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Egitto, una nuova scoperta fa luce sulla costruzione delle piramidi

L’Egitto è una terra affascinante e gran parte del suo charme lo deve alle magnifiche, possenti e misteriosi piramidi. Infatti, le piramidi sono da sempre un mistero per via della loro forma geometrica perfetta, della loro immensità e delle curiosità circa la loro costruzione. Tantissimi sono gli studi e le ricerche al riguardo: come è possibile che in un’epoca in cui la manovalanza non disponeva degli aiuti degli strumenti più tecnologici e avanzati, si siano potute costruire delle strutture così possenti e perfette?

Ecco perché ancora oggi si producono ricerche, documentari e saggi sulle piramidi egizie. Non a caso, infatti, gli studi sulla origine e sul modo in cui le piramidi siano state costruite continuano ancora ed è così che possiamo parlare di una nuova scoperta al riguardo: l’ultimo studio pubblicato il 5 agosto 2024 sulla rivista Plos One di Xavier Landreau ha rivelato ulteriori dettagli sul modo in cui sia stato possibile far fluire l’acqua nei pozzi posti dentro la Piramide di Djoser, acqua che è servita al trasporto dei blocchi di costruzione della stessa piramide.

La Piramide di Djoser e la scoperta francese

Xavier Landreau, ricercatore dell’Istituto CEA Paleotechnic in Francia e il suo team hanno raccontato al mondo sulla rivista Plos One la loro nuova scoperta: uno studio ben accurato, infatti, sembrerebbe fare chiarezza, finalmente, sul modo in cui l’acqua sia stata fatta fluire all’interno dei due imponenti pozzi posti nella Piramide di Djoser.

Piramide di Djoser, Saqqara

Fonte: iStock

Vista sulla Piramide di Djoser a Saqqara

Secondo questo studio, infatti, questi due pozzi di acqua servivano a far sì che questa potesse far alzare e poi abbassare un galleggiante utile al trasporto dei blocchi per la costruzione della piramide.

Alla base della loro teoria, dunque, ci sarebbe l’utilizzo di un sistema idraulico realizzato sapientemente all’interno della piramide stessa. I ricercatori hanno individuato ben due pozzi verticali all’interno della struttura piramidale, che potrebbero essere stati sfruttati per far fluire l’acqua: a supporto di questa ipotesi, comunque plausibile, il team di studiosi ha anche esaminato una struttura proprio adiacente alla Piramide di Djoser, la recinzione di Gisr el-Mudir. Il cosiddetto “Grande Recinto” è una costruzione, in passato misteriosa e poco compresa dalla scienza, che forse è servita nei lavori di costruzione della Piramide di Djoser come una sorta di diga. In questo modo, la diga avrebbe contenuto l’acqua e i sedimenti provenienti dalle fonti idriche più vicine per far poi confluire l’acqua, una volta purificata dai vari detriti, all’interno dei pozzi nella piramide.

Inoltre, i ricercatori hanno anche portato alla luce molteplici scomparti scavati all’interno del terreno esterno alla piramide, che forse all’epoca potrebbero essere stati costruiti come impianto di trattamento dell’acqua. Qui, i sedimenti si sarebbero depositati man mano che l’acqua fluiva lungo i diversi comparti, prima di essere convogliata priva di impurità all’interno dei pozzi della struttura.

Questa scoperta fa nuova luce sui metodi ingegneristici di cui si sono serviti gli antichi egizi per costruire una delle più stupefacenti meraviglie del mondo, nonché dimostra che gli egizi erano già in grado di utilizzare nell’antichità alcune tecnologie idrauliche che anche oggi sembrano più che avanzate.

Qual è la Piramide di Djoser

La Piramide di Djoser è ritenuta la più antica e la più maestosa dell’area della necropoli di Saqqara: questa imponente piramide rappresenta infatti un’importante pietra miliare nell’evoluzione dell’architettura funeraria egizia. Costruita durante la III dinastia per il faraone Djoser, la monumentale struttura è stata progettata dall’architetto Imhotep, che l’ha resa famosa per la sua innovazione e la grandiosità.

La piramide si distingue per essere la prima in pietra a gradoni della storia egizia e la sua struttura ha infatti posto le basi per le future piramidi che hanno poi caratterizzato il paesaggio delle necropoli egizie. La sua forma a gradoni, simboleggiante la scala che il faraone doveva salire per raggiungere il cielo e unirsi agli dei, riflette le credenze spirituali dell’antico Egitto. Imhotep, inoltre, introdusse anche gallerie sotterranee e corridoi nel complesso funerario, aprendo la strada a nuove tecniche architettoniche che si sarebbero evolute nelle piramidi successive.

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Il clima a Nairobi, come scegliere il periodo migliore per andare

Spesso definita la “città verde al sole” per la presenza di vaste aree naturali, Nairobi gode di un clima sub-tropicale di altitudine con temperature miti tutto l’anno, che la distingue dalle altre capitali del continente africano, noto per i suoi estremi termici.

La posizione geografica a 1795 metri sull’altopiano del Kenya, a breve distanza dall’equatore, gioca un ruolo fondamentale nel determinarne il clima. Se da un lato la vicinanza all’equatore potrebbe far pensare a un clima torrido, l’altitudine della città agisce come un naturale condizionatore d’aria, mitigando le temperature ed evitando gli eccessi di calore tipici delle zone equatoriali.

Di conseguenza, le medie annuali si aggirano intorno ai 19°C, con le massime che raramente superano i 30°C e le minime che di rado scendono sotto i 10°C. Tuttavia, questi valori possono variare significativamente a seconda dell’ora del giorno e della stagione.

La stagione delle piogge

La “stagione delle lunghe piogge”, che va da marzo a maggio, e la “stagione delle brevi piogge”, tra ottobre e dicembre, sono l’elemento maggiormente distintivo del clima di Nairobi. Durante questi periodi, la città riceve la maggior parte delle precipitazioni annuali, che sono cruciali per l’agricoltura e la gestione delle risorse idriche, ma se troppo abbondanti possono anche causare danni e inondazioni.

Durante le lunghe piogge, Nairobi può ricevere fino a 200 mm di pioggia al mese. Le precipitazioni sono generalmente intense ma di breve durata, con temporali frequenti che possono provocare allagamenti improvvisi nelle aree colpite. La vegetazione rigogliosa e il rinnovato approvvigionamento idrico sono tra gli aspetti positivi di questa stagione. Infatti, oltre a rinfrescare l’aria e abbassare le temperature, i rovesci contribuiscono a rinverdire il paesaggio dando refrigerio agli abitanti.

La stagione delle lunghe piogge è caratterizzata da precipitazioni frequenti e a volte intense, soprattutto nel tardo pomeriggio e durante la notte, ma che raramente perdurano per l’intera giornata. Le temperature medie giornaliere si aggirano intorno ai 15-24°C. Nei giorni più caldi le massime diurne possono raggiungere i 25-28°C, mentre quelle notturne possono scendere fino a 10-14°C.

Marzo segna l’inizio delle piogge, che aumentano gradualmente fino a raggiungere il picco in aprile, per poi iniziare a diminuire verso maggio, causando una forte umidità che è all’origine della nebbia mattutina. Un fenomeno piuttosto comune, specialmente nelle aree suburbane e rurali intorno alla città, ma che tende a dissiparsi nelle prime ore del giorno, con l’aumento delle temperature.

Sebbene meno intense delle lunghe piogge, le brevi piogge sono altrettanto importanti per mantenere l’equilibrio idrico della regione. In questa stagione le precipitazioni sono più sporadiche e meno prevedibili, spesso seguite da una periodo di rigogliosa fioritura e vegetazione lussureggiante che addolcisce il paesaggio urbano.

Tra ottobre e dicembre le temperature medie giornaliere variano tra i 14 e i 26°C. Le mattine e le sere possono essere fresche, con valori che scendono fino a 12-16°C, mentre durante il giorno possono salire fino a 24-28°C. In questa stagione le piogge sono in genere di breve durata, ma possono essere intense.

Settembre è un mese di transizione, con precipitazioni ancora relativamente sporadiche rispetto ai mesi successivi, più frequenti nel tardo pomeriggio e durante la notte, mentre le mattine e le prime ore del pomeriggio sono spesso asciutte e soleggiate. La nebbia mattutina è un fenomeno frequente, specialmente nelle aree più elevate e nei sobborghi, ma tende a dissolversi rapidamente man mano che aumenta la temperatura.

Mercato Nairobi

Fonte: iStock

Frutta al mercato di Nairobi, Kenya

La stagione secca

Giornate soleggiate e cieli sereni sono la norma durante la stagione secca, che va da giugno a settembre e da dicembre a febbraio, quando i valori diurni possono salire sensibilmente, ma le notti rimangono relativamente fresche. E’ il periodo migliore per il turismo, con condizioni meteo stabili e temperature ideali per visite e attività nella natura.

Durante l’estate, che corrisponde ai mesi di dicembre, gennaio e febbraio, il clima si mantiene piacevolmente caldo, con medie giornaliere che variano tra i 15 e i 26°C. Le mattine e le serate possono essere fresche, con valori che scendono fino a 10-14°C, mentre le medie diurne possono salire fino a 27-30°C nei giorni più caldi.

Questa combinazione di freschezza e calore moderato rende l’estate un periodo particolarmente indicato per esplorare la città e i suoi dintorni. Il clima è secco, con rare precipitazioni che si manifestano sotto forma di brevi acquazzoni, e venti leggeri provenienti principalmente da nord-est che mitigano il calore.

I mesi di giugno, luglio e agosto corrispondono alla stagione secca invernale contraddistinta da temperature relativamente fresche che variano tra i 10 e i 22°C. Le notti e le prime ore del mattino possono essere piuttosto fredde, con le medie che scendono fino a 9-12°C, mentre durante il giorno aumentano fino a 20-23°C.

Giugno e luglio sono i mesi più secchi dell’anno, con rare piogge e un clima decisamente asciutto, anche se verso la fine di agosto cominciano a verificarsi occasionalmente brevi piogge. Venti leggeri e costanti, provenienti principalmente da sud-est, aiutano a mantenere un clima fresco durante il giorno e la notte.

I microclimi di Nairobi

Uno degli aspetti più affascinanti del clima di Nairobi è la presenza di microclimi dovuta alla diversità del paesaggio urbano, che comprende parchi, foreste urbane, aree residenziali e industriali, in cui si creano differenze locali nelle condizioni climatiche. Ad esempio, nelle aree verdi come il Parco Nazionale di Nairobi e nei numerosi parchi e giardini pubblici, si possono rilevare temperature leggermente più basse e maggiore umidità rispetto alle zone più densamente urbanizzate e trafficate del centro città.

Quando andare a Nairobi

La stagione secca è il periodo migliore per programmare un viaggio a Nairobi. Durante l’estate australe è comunque consigliabile portare con sé un maglione leggero o una giacca per le serate fresche, abbigliamento leggero e T-shirt per il giorno, senza dimenticare cappelli e occhiali da sole.

In inverno, oltre a un abbigliamento leggero ma caldo, è opportuno portare anche una giacca per riscaldarsi nelle notti più fresche. Nelle stagioni delle piogge, un abbigliamento confortevole e un cappello sono ideali per le attività all’aperto, senza dimenticare di avere sempre un piccolo ombrello a portata di mano e una giacca impermeabile per affrontare le piogge occasionali.

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Swakopmund: un viaggio nella storica città coloniale della Namibia

La Namibia è un paese che affascina per molte ragioni: il deserto del Namib è tra le prime che, di norma, portano i viaggiatori in quella porzione di Africa sud-occidentale. Visitare la città di Swakopmund potrebbe essere una valida seconda ragione per fermarsi da quelle parti, se non altro per ammirare una città in perfetto stile tedesco, appena poco più a nord del Tropico del Capricorno. La Namibia, dal 1884, divenne un territorio coloniale controllato dalla Germania. La città di Swakopmund venne fondata qualche anno più tardi, nel 1892, sulla foce del fiume Swakop. Il suo nome, in tedesco, descrive proprio la sua posizione sulla foce.

Quello che si sente spesso dire di Swakopmund è che sia molto più interessante e piacevole di Windhoek, la capitale amministrativa della Namibia. La fortuna di questa città,  al momento della sua fondazione, si doveva al porto che costituiva uno dei maggiori e più importanti scali di questa parte della costa africana.  Swakopmund custodisce ancora molto di quel passato coloniale e, inoltre, è interessante sia dal punto di vista culturale che da quello pratico: può essere un’ottima base per iniziare il tuo viaggio africano in Namibia e partire alla volta di posti più selvaggi.

L’architettura in stile tedesco in piena africa

Quando ci immaginiamo una casa di legno, col tetto spiovente e con decorazioni intagliate simili a cuori e fiori, tutto ci potremmo aspettare tranne che si tratti del patrimonio storico di una città africana. Sono molti, infatti, i viaggiatori che restano stupiti dall’architettura coloniale tedesca che costituisce il nucleo storico di Swakopmund.

In epoca coloniale, solitamente si portava nel paese conquistato o acquisito l’architettura che ci sono conosceva. Ecco quindi spuntare case a graticcio e abitazioni che sembrano più baite che case di origine africana! Sicuramente, visitare il centro di Swakopmund ti darà modo di fare delle foto che sapranno sorprendere. Prova a mostrarle, chiedendo ai tuoi amici di indovinare dove ti trovi!

Alcuni degli edifici storici di Swakopmund sono degni di nota anche per il loro valore architettonico. La vecchia prigione di Altes Gefängnis è, per esempio, uno dei pochissimi esempi rimasti intatti di prigioni storiche tedesche fuori dalla Germania. Un altro luogo degno di nota da vedere a Swakopmund è la Wörmannhaus. Questa casa è l’edificio più vecchio di tutta Swakopmund ed è sorto lo stesso anno della fondazione della città.

Venne costruita per un importante armato e spedizioniere, originario di Amburgo, che prese dimora in Namibia, per sfruttare commercialmente il porto di Swakopmund. Attualmente è una biblioteca pubblica, all’interno del quale c’è anche un ufficio per le informazioni turistiche, e può essere visitata.

Molto particolare e, a tratti, quasi straniante, è la chiesa evangelica costruita nel centro di Swakopmund. Le sembianze sono quelle di un comune edificio di culto che possiamo trovare sulle Alpi o in paesi germanofoni dell’Europa.

Cosa vedere a Swakopmund: l'architettura in stile coloniale tedesco

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Le case in stile tedesco, nel centro di Swakopmund

L’Acquario della Namibia, dove scoprire flora e fauna

Swakopmund è anche sede del National Marine Aquarium of Namibia, ovvero dell’acquario statale di questa nazione africana. Gli acquari sono luoghi dove poter ammirare molta di ciò che la biologia marina di un luogo ci offre e, allo stesso modo, sono posti dove i ricercatori possono effettuare per bene tutti gli studi utili per comprendere al meglio la vita sul nostro pianeta. La fauna marina della Namibia è davvero consistente e lo si può vedere visitando questo il National Marine Aquarium di Swakopmund.

La vita marina, lungo le coste della Namibia, è influenzata dalla corrente del Benguela, un flusso importante che interessa l’Africa sud-occidentale. Questo acquario statale è stato aperto nel 1995 proprio per raccontare, e studiare, tutto quello che l’Oceano Atlantico ha dato alla Namibia. L’acquario è aperto, solitamente, tutti i giorni, tranne il lunedì, dalle 10 alle 16.

Swakopmund Museum: cosa vedere in Namibia

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Il faro della città è la sede dello Swakopmund Museum

Il museo cittadino, per conoscere la storia della Namibia

Gli amanti dei musei storici non resteranno delusi da un viaggio nella città di Swakopmund. Uno degli edifici più particolari della città fa da contenitore allo Swakopmund Museum, un’istituzione culturale che fu fondata nel 1951, con l’intento di fare da collettore a varie collezioni storiche e naturali. Il museo è gestito da privati ma, ovviamente, è aperto al pubblico e rappresenta la più grande collezione privata di tutta la Namibia. Al suo interno si trova davvero di tutto: da reperti che raccontano la lunga formazione geologica della Namibia, fino ad auto storiche portate in Africa dalle navi tedesche.

Le collezioni di questo museo raccontano sia il periodo di dominazione tedesca che quello in cui la Namibia divenne parte della Repubblica Sudafricana e, quindi, dominio britannico. Oltre a questo, viene dato spazio anche agli anni dal 1991 in poi, ovvero quando la Namibia divenne indipendente. Il negozio del museo è un ottimo luogo per fare acquisti a tema culturale: se cerchi dei libri sulla storia della Namibia, molto probabilmente li troverai lì.

Una passeggiata lungo il Jetty, il molo storico della città

Non si può lasciare Swakopmund senza aver fatto una passeggiata lungo il Jetty, lo storico molo costruito nel 1904 dai tedeschi. Inizialmente, per i suoi primi otto anni di vita, questo molto era completamente costruito in legno. I tedeschi usarono le stesse tecniche dei moli del Nord della Germania, dove le onde e le correnti sono, però, molto più gentili di quelle oceaniche. Nel 1912, il Jetty venne ricostruito in acciaio, restando fortemente in uso come attracco per le navi commerciali e quelle passeggeri fino alla conclusione della Grande Guerra.

Successivamente, non vene più usato ma restò un punto di riferimento per la città di Swakopmund. Attualmente è un’attrazione turistica dove passeggiare e dove scattare delle splendide fotografie. Gettandosi per 200 metri circa nell’Oceano Atlantico, concede ai viaggiatori la migliore vista verso ovest. Le foto dei tramonti della Namibia, da questo molo, saranno perfette.

Cosa vedere in Namibia: la Skeleton Coast, vicino a Swakopmund
La Skeleton Coast incontra l’Oceano Atlantico

Le meraviglie della Skeleton Coast, uno dei luoghi più incredibili dell’Africa

La Skeleton Coast della Namibia è un altro dei motivi che portano viaggiatori e turisti in questa parte di Africa. Viene chiamata così la parte di litorale tra le foci del fiume Swakop – dove, appunto, si trova Swakopmund – e Kunene, corso d’acqua che segna il confine tra Namibia e Angola. Dal 1973, la Skeleton Coast è un parco nazionale, con alcune aree ulteriormente protette al proprio interno: questo significa che alcuni pezzi di questo parco nazionale sono dei veri e propri paradisi naturali intoccabili.

La Skeleton Coast è il punto di incontro tra il Deserto del Namib e l’Oceano e deve questo nome alla sua fama di essere un luogo profondamente inospitale per qualsiasi specie vivente. Oltre a questo, in questo trappo del territorio della Namibia sono presenti “gli scheletri”, o meglio i relitti, di alcune navi e mezzi di trasporto. Ovviamente, con la giusta attrezzatura, visitarla diventa non solo un piacere ma anche qualcosa di fondamentale da fare durante un viaggio in Namibia. La città di Swakopmund è un ottimo punto di partenza per iniziare questa esplorazione. L’ambiente è decisamente quello di un deserto sabbioso, con colori molto chiari e con dune capaci di muoversi di ora in ora. Per questo motivo, è sempre un bene visitare la Skeleton Coast con una guida o raccogliendo tutte le informazioni del caso.

La Skeleton Coast è un’altra “vittima” felice della Corrente del Benguela: questo fenomeno fisico porta di sovente al formarsi di fitte nebbie lungo la costa, capaci di coprire anche la città di Swakopmund. Questo è dovuto proprio all’incontro tra la corrente del Benguela, solitamente fredda, e le più calde acque continentali. Le nebbie rendono la Skeleton Coast ancora più affascinante e, a tratti, misteriosa. Le nebbie sono spesso l’unica fonte d’acqua della flora e della fauna della Skeleton Coast, divenendo così come oro puro per la Natura.

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Tutti a bordo del treno più chic del Pianeta, che porta dalla Tanzania all’Angola

Ammirare i magnifici scenari africani dal finestrino di un treno di lusso ispirato al leggendario Orient-Express. E’ la proposta di Rovos Rail, società sudafricana che da 35 anni organizza esclusivi viaggi attraverso i paesi dell’Africa australe a bordo di un convoglio che combina il glamour e l’atmosfera retrò di un treno d’epoca con un comfort e un servizio senza pari.

Sinonimo di eleganza e avventura, Rovos Rail propone una ventina di itinerari di durata variabile da due giorni a due settimane, che si snodano attraverso alcune delle più affascinanti destinazioni del continente, come Sudafrica, Mozambico, Zimbabwe, Zambia, Tanzania e Angola, e attirano un numero crescente di viaggiatori internazionali.

Il favoloso Sentiero dei Due Oceani

Proprio in questi giorni è in corso il tour “Sentiero dei Due Oceani”, partito da Dar Es Salaam, la vivace capitale della Tanzania, sulle rive dell’Oceano Indiano, e diretto in Angola, sull’Atlantico tropicale. Un avvincente coast-to-coast di 4300 chilometri attraverso i paesaggi spettacolari della Repubblica Democratica del Congo e dello Zambia.

Tra le soste di maggior interesse c’è quella a Lobito, una città portuale in piena espansione grazie a numerosi progetti infrastrutturali, tra cui il famoso Corridoio di Lobito, che vede la partecipazione anche dell’Italia con il Piano Mattei. Questa è la terza volta che Rovos Rail arriva in Angola, dopo i viaggi inaugurali nel luglio 2022 e nel 2023, offrendo un’occasione unica per scoprire le meraviglie turistiche di un paese che ha aperto le sue porte al mondo.

Naturalmente lungo il percorso sono previste numerose tappe per consentire di esplorare il meraviglioso patrimonio naturalistico, storico e culturale dei vari paesi, con visite guidate a siti storici e incontri con le comunità locali. Il tour ha una durata totale di 15 giorni, tra andata e ritorno, ma i viaggiatori possono scegliere di percorrere l’intero itinerario o optare per specifiche tappe del viaggio.

Un Viaggio di Lusso in Stile Orient-Express

E mentre si viaggia da una destinazione all’altra, a bordo del Rovos Rail si vive un’esperienza di lusso straordinaria. Le carrozze del treno, decorate in stile Orient-Express, sono impreziosite da pannelli in legno pregiato e trainate da locomotive diesel o elettriche. Con una capienza massima di 72 passeggeri, il treno offre suite arredate con eleganza e dotate di tutti i comfort e un servizio a cinque stelle, sale ristorante e spazi conviviali dove gli ospiti possono socializzare.

L’Affascinante Trilogia Africana

Un altro itinerario che riscuote grande successo è “Trilogia Africana”, che offre la possibilità di immergersi in una varietà di paesaggi straordinari. La prossima partenza è fissata per il 2 ottobre, quando il treno lascia la stazione Rovos Rail di Pretoria dirigendosi verso il Parco Kruger per un safari indimenticabile. Il viaggio prosegue attraverso il Regno di eSwatini (ex Swaziland) e la riserva naturale di Hluhluwe, fino a Durban e i suoi giardini botanici tropicali.

Attraversando la Valle delle Mille Colline e le montagne del Drakensberg, si raggiunge il villaggio minerario di Kimberley e l’arido Karoo. Dopo aver visitato Upington e l’impressionante Fish River Canyon, i passeggeri esplorano il deserto del Kalahari e il Parco Garas. Un volo turistico li porterà a Sossusvlei per un pernottamento tra le dune del Parco Namib-Naukluft. Infine, il treno arriva a Windhoek e al Parco Nazionale Etosha, concludendo il viaggio sulla selvaggia costa atlantica a Walvis Bay.

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Le delizie di Città del Capo: un viaggio nella cucina del Sudafrica

Pochi paesi sanno essere dei veri e propri puzzle culturali più del Sudafrica, un luogo dove la cultura africana si mescola con altre, come quella britannica, orientale e boera. Come se questo non bastasse, il fatto di essere un punto di passaggio fisico e geografico tra due oceani, rende luoghi come Città del Capo ancora più sfaccettati e interessanti. Lo si vede benissimo passeggiando per strada così come sedendosi a tavola.

I piatti tipici del Sudafrica sono molti e tutti capaci di raccontare le mille anime che compongono questo paese. Prendere in mano un menù di un ristorante o trovarsi davanti alla blackboard di un truck di street food sono delle esperienze capaci di aggiungere – è proprio il caso di dirlo – il giusto sapore a un viaggio in Sudafrica. Con una proposta gastronomica capace di mescolare così tante provenienze, cosa mangiare a Città del Capo? Ecco qualche consiglio.

Le influenze della cucina sudafricana a Città del Capo

I piatti tipici di un luogo si differenziano a seconda della zona in cui ci troviamo. Niente è come Città del Capo per assaggiare la gastronomia sudafricana: l’affaccio sul due oceani, le montagne alle spalle della città e una varietà di genti che ne compongono la cittadinanza fanno di questa città del Sudafrica un vero e proprio piatto ricco nel quale i viaggiatori buongustai si tuffano più che volentieri. Guardando le proposte gastronomiche di Città del Capo si notano molte influenze tipiche dell’Oceano Indiano: l’uso delle spezie è stato portato in città in secoli di scambi commerciali con altri luoghi importanti dell’Impero britannico.

Oltre a questo, Città del Capo porta a tavola anche molta della tradizione zulu tipica di questo paese del continente africano. La lunga cottura delle carni e la mescolanza di proteine e riso è proprio tipica di molte cucine tipiche africane. Come se ciò non bastasse, i primi coloni del Sudafrica furono gli olandesi. Chiamati storicamente Boeri, gli olandesi che colonizzarono la zona del Capo di Buona Speranza portarono con sé cibi e pietanze che ancora oggi si trovano in Sud Africa.

Biltong: un piatto tipico da assaggiare a Città del Capo

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Biltong: da piatto tradizionale a snack tipico del Sudafrica

Il Biltong: lo snack per eccellenza da mangiare in Sudafrica

Trovare un buon Biltong da mangiare a Città del Capo è tutt’altro che difficile. Questo piatto si deve proprio all’arrivo dei Boeri in questa parte dell’Africa e la sua origine ci porta dritti nei Paesi Bassi del XVII Secolo. Il Biltong nasce come alimento base da portare in lunghe navigazioni. Si tratta di carne essiccata, originariamente di manzo, condita con spezie varie. In oltre quattro secoli di presenza in Sudafrica, il Biltong non ha modificato la sua essenza ma sono state create diverse varianti, con carni tipiche del luogo, oltre a quella di manzo.

Il Biltong si mangia come semplice snack oppure lo si può condire e accompagnare con altro. Un altro regalo degli olandesi è, per esempio, l’uso del formaggio che, col Biltong , sta proprio bene. Non ti sarà difficile trovarlo al supermercato così come nei banchi dei vari mercati di Città del Capo. Per non parlare delle varianti approdate fino al mondo dello street food, in cui il Biltong diventa il ripieno per deliziosi panini.

Il Bobotie: il piatto delle feste delle famiglie sudafricane

Un altro piatto di totale origine boera è proprio il Bobotie, un vero e proprio must da assaggiare durante un viaggio nella regione del Capo di Buona Speranza. A differenza del Bitong, il Bobotie è composto da carne di manzo macinata, speziata, mescolata con frutta secca e cotto dentro una base fatta di latte vaccino. Ne risulta una sorta di sugo denso e molto cremoso che viene messo in una pirofila, coperto di besciamella e formaggio e messo in forno. Un po’ come se fosse una lasagna ma senza la pasta. La versione più comune del Bobotie è l’espressione gastronomica del Sudafrica: nel corso dei secoli si è arricchito di spezie come il curry e la besciamella è stata resa preziosa dall’aggiunta dello zafferano.

Proprio come le nostre lasagne, il Bobotie è un piatto che si prepara nei giorni di festa o durante le occasioni da passare in famiglia. Non manca mai, però, sui menù dei ristoranti di Città del Capo, compresi quelli del celebre Waterfront della città. Un tempo si accompagnava col pane ma, nel corso dei secoli, quest’ultimo è stato sostituito dal riso.

Il Braai: paese che vai, grigliata che trovi

Molti piatti sudafricani da assaggiare a Città del Capo portano nomi in Afrikaans, la lingua tipica della popolazione bianca stanziatasi in questa zona dell’Africa. È il caso del Braai, parola che designa la carne alla griglia. Trattasi davvero della tipica grigliata alla quale tutti pensiamo, con una predominanza dell’uso delle salsicce rispetto a quelle di tagli di carne molto più importanti e nobili. Spesso si utilizzando anche alcuni pesci e del pollo. Nel Braai non mancano mai le Boerewors, le salsicce tipiche della tradizione gastronomica boera in Sudafrica.

Cosa mangiare a Città del Capo. Cape Malay Curry

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Cape Malay Curry: l’influenza malese in Sudafrica

Il Cape Malay Curry: l’influenza orientale nella cucina del Sudafrica

Il fatto di trovarsi sul punto di incontro tra Oceano Atlantico e Oceano Indiano ha fatto di Città del Capo un porto fondamentale dove le navi, sia olandesi che inglesi, si fermavano durante i loro viaggi di ritorno dall’Oriente più lontano verso la madrepatria. Questo ha portato un grande commercio di beni diversi in Sud Africa, compresi i vari tipi di curry disponibili a quei tempi. Nasce così il Malay Cape Curry, un piatto di origine malese – come dice il suo nome – che, nell’arco di poco, è diventato una pietanza tipica da mangiare a Città del Capo. Altro non è che uno stufato al curry, con verdure varie.

La parte proteica è, solitamente, fatta di agnello o pesce. Il tutto viene, come è facile pensare, accompagnato da riso. Questo piatto è, solitamente, piccante. Informati sempre sul grado di piccantezza prima di assaggiarlo. Si può mangiare praticamente ovunque e non mancano i chioschi che lo vendono direttamente per strada.

Il Potjiekos: da piatto povero a simbolo gastronomico nazionale

Un’altra parola Afrikaans ma per raccontare, stavolta, un piatto che ha più a che fare con il lato zulu del Sudafrica. Potjiekos è il nome di una pentola in ghisa, solitamente utilizzata per la preparazione di questo piatto. Gli ingredienti principali sono vari tipi di carne, verdure, molte spezie e solitamente del brodo ottenuto dalla bollitura di tagli di scarto e ossa. Cosa ti troverai nel piatto se ordini del Potjiekos a Città del Capo? Come molte delizie tipicamente africane, il risultato finale è una sorta di spezzatino dal sugo denso, gustoso e piccante.

Non esiste una ricetta ufficiale del Potjiekos: veniva spesso preparato con gli scarti delle cucine degli abitanti ricchi di Città del Capo. La sua vera e propria caratteristica peculiare, oltre all’uso di una grossa pentola di ghisa posta direttamente sul fuoco all’aperto, è il fatto di dover cucinare per moltissime ore. Anche il Potjiekos può essere considerato una vera e propria icona del Sudafrica a tavola. A Città del Capo non mancherai di poterlo gustare in modalità popolari e per strada, così come alla tavola di grandi chef, pronti ad attingere dalla tradizione per creare qualcosa di grandioso e degno di qualche stella.

Cosa mangiare a Città del Capo: Gatsby Sandwich

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Il Gatsby Sandwich

Il Gatsby Sandwich: il panino più originale del Sudafrica

Nasce, invece, negli Anni ’70, un sandwich che, oggi, è un vero e proprio signature food del Sudafrica. Si chiama Gatsby e venne inventato da un sudafricano di origine indiana che gestiva una piccola gastronomia in un sobborgo di Città del Capo chiamato Athlone. Questa zona era un quartiere che gravitava attorno alla presenza di varie industrie e la necessità era quella di inventare un panino molto sostanzioso, che potesse essere il pranzo ideale per i molti operai presenti in quell’area. Ne risultò un panino con dentro davvero molti ingredienti. In origine veniva usato un pane al latte, rotondo e morbido, simile al pane degli hamburger.

Attualmente, si usa una piccola baguette. Al suo interno, ci sono almeno quattro tipi di carne diversa o di pesce diverso. Il tutto condito con una salsa di curry masala. Come se questo non bastasse, si aggiungono le patatine fritte condite con l’aceto, come si fa in Inghilterra. La particolarità? Le patatine non sono l’accompagnamento ma entrano di diritto proprio nel panino. Questo sandwich, negli anni, è diventato molto celebre e ora è riprodotto ovunque in città. Il nome Gatsby fu attribuito a questo sandwich da uno degli operai che era solito acquistarlo come suo pranzo.

Il Malva Pudding: non è un budino e ha un ingrediente segreto

Non può di certo mancare un dolce da assaggiare durante il tuo viaggio a Città del Capo, vero? La gastronomia sudafricana è generosa anche in quanto a dolcezze, quasi tutte, però, importante dall’Europa. Lo è anche la versione originaria del Malva Pudding, arrivato nella regione del Capo di Buona speranza con i primi coloni olandesi. Nel tempo, ha subito diverse variazioni dovuti al fatto che, ogni tanto, mancavano alcuni ingredienti oppure ce n’erano di totalmente diversi. Il Malva Pudding, malgrado il nome, non è un budino ma assomiglia di più a una torta con poca lievitazione.

Il nome “Malva” deriva dalla soluzione trovata al fatto che, spesso, mancavano gli aromi per dargli un gusto particolare. È pur vero che, in Sud Africa, arrivavano un sacco di spezie diverse ma, spesso, si andava ad attingere al proprio giardino. Fu così che venne usato il geranio, chiamato Malva dai Boeri. Un vero mistero, invece, rappresenta il fatto che una delle caratteristiche principali di questo dolce sia l’uso dell’aceto nella sua composizione. Non lasciarti impressionare da questo fatto e vai oltre l’apparenza. Lo troverai ovunque a Città del Capo.