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È stata scoperta una sfinge che sorride

L’Egitto, terra di antiche testimonianze di una civiltà lontanissima da noi, continua a regalarci sorprese: nelle ultime settimane, gli archeologi hanno portato alla luce una struttura d’epoca romana che conteneva qualcosa di unico. All’interno di una vasca, infatti, è stata ritrovata una sfinge che sorride. Di che cosa si tratta?

La nuova scoperta in Egitto

Nei giorni scorsi si è parlato moltissimo del tunnel segreto individuato all’interno della Piramide di Cheope, una scoperta che potrebbe finalmente condurci verso la tanto cercata (e finora mai trovata) tomba del faraone. Ma questo non distoglie l’attenzione da altri siti archeologici, dove continuano ad emergere reperti davvero curiosi e interessanti. È il caso del recente ritrovamento avvenuto nei pressi di Dendera, un’antica città egiziana famosa per il suo tempio d’epoca greco-romana dedicato alla dea Hathor.

Proprio nell’area a est del tempio, una missione guidata dall’ex Ministro delle Antichità Egiziano Mamdouh El Damaty ha portato alla luce una struttura romana realizzata su due livelli, utilizzando pietra calcarea e malta. Le prime ipotesi sulla presenza di qualcosa ancora nascosto sotto terra erano state formulate all’inizio dell’anno, quando gli archeologi hanno effettuato delle scansioni radar e delle scansioni magnetiche nei pressi del tempio. Gli scavi hanno quindi permesso di scoprire di che cosa si trattava.

Se i resti della struttura hanno subito affascinato gli esperti, ad attirare l’attenzione è stata soprattutto la vasca trovata nel livello inferiore: doveva essere un bacino di stoccaggio dell’acqua, realizzato con mattoni rossi ricoperti di ardesia e dotato di una scala per accedervi più facilmente. Secondo le prime analisi, sarebbe risalente al periodo bizantino. La vera sorpresa, però, è un’altra. Durante le operazioni di pulizia, all’interno della vasca è riemersa una sfinge che sorride: è un reperto preziosissimo.

Trovata una sfinge che sorride

La statua, costruita in pietra calcarea, rappresenta una sfinge davvero particolare. I tratti del volto appartengono probabilmente a Claudio, il quarto imperatore romano che ha regnato fino al 54 d.C. A sorprendere maggiormente sono i dettagli: la sfinge è stata raffigurata con indosso il Nemes, ovvero il tipico copricapo egiziano indossato dai faraoni a simboleggiare il loro potere. Sulla fronte della statua, inoltre, spicca un Uraeus, una decorazione a forma di serpente, anch’essa simbolo di sovranità. La particolarità più affascinante? Il lieve sorriso che compare sul volto della sfinge.

La scoperta è stata minuziosamente descritta sui profili social del Ministero delle Antichità Egiziano: “L’ispezione preliminare del volto della sfinge suggerisce che quest’ultima rappresenti l’imperatore romano Claudio. La statua è davvero bella, il viso presenta elementi realistici raffigurati in modo molto preciso. L’imperatore è rappresentato con il sorriso e due fossette laterali“. Inoltre, sul volto sono state trovate tracce di colorante giallo e rosso, mentre al di sotto della statua è stato rinvenuto un dipinto romano con geroglifici.

Perché la sfinge è stata trovata sul fondo della vasca? Gli archeologi ipotizzano che la statua sia stata originariamente situata sull’edificio d’epoca romana, come omaggio al grande imperatore. In seguito, durante l’età cristiana, sarebbe poi stata gettata in acqua e ricoperta poi di terra, una volta che il bacino è caduto in disuso. Ora gli esperti continueranno a cercare nei dintorni della struttura, nella speranza di trovare nuove testimonianze risalenti allo stesso periodo.

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I segreti nascosti dietro la Piramide Nera d’Egitto

Costruita dopo le piramidi di Giza, questa è però la più misteriosa d’Egitto. La Piramide di Amenemhat III, un Faraone appartenente XII dinastia egizia, meglio conosciuta come “Piramide Nera”, è un intricato labirinto che ancora oggi nasconde dei segreti.

Si trova all’interno della necropoli di Dahshur, uno dei siti archeologici più importanti dell’antichità, che comprende anche sepolture di nobili e un villaggio di operai nella zona di Saqqara, a una ventina di chilometri a Sud rispetto alle piramidi di Giza e al Cairo. Intitolata al sovrano Amenemhat detto “il potente”, è chiamata “Piramide Nera” per via della presenza di basalto nel nucleo molto scuro e al pyramidion in diorite grigia. Un reperto di pyramidion è conservato nel Museo egizio del Cairo e, secondo gli esperti, potrebbe svelare alcuni misteri, a partire dal materiale con cui è stato forgiato.

Cos’è il pyramidion

Il pyramidion è la particolare cuspide piramidale monolitica che rappresentava l’apice delle antiche piramidi e di molti obelischi egizi. Secondo gli storici, questo elemento architettonico rappresentava la pietra sacra chiamata “benben”. Nella mitologia egizia, era la collina emersa dall’oceano primordiale. Su questa collina il creatore Atum generò se stesso e la prima coppia divina di Shu e Tefnut. La sua forma era piramidale, ecco perché i principali edifici religiosi dell’antico Egitto hanno questo aspetto. Fra tutti i pyramidion che sono rimasti, il più particolare è proprio quello della piramide di Amenemhat III.

Gli antichi egizi vengono dallo spazio?

Torna quindi l’antica credenza secondo cui gli antichi egizi potrebbero essere arrivati dallo spazio. Ecco la teoria. I primi egittologi non riuscivano a comprendere di quale materiale fosse composto il pyramidion. L’aspetto di questo materiale e la sua resistenza ricordano il ferro, che però a quei tempi non era ancora conosciuto.

È stato quindi ipotizzato che questa pietra nera e lucida potesse essere giunta sulla Terra dallo spazio sotto forma di meteorite. Ecco perché si parla di una pietra spaziale, posta dagli antichi egizi in cima alla piramide come fosse un’antenna che serviva per comunicare con gli alieni.

Cos’hanno scoperto gli esperti

Gli studiosi hanno poi scoperto che i pyramidion, quasi tutti costruiti durante l’Antico Regno, erano ottenuti da materiali rari, come la diorite o il nero basalto. Con il loro colore scuro dovevano creare un contrasto con il bianco del calcare che rivestiva le piramidi. Durante il Medio Regno, gli egizi cominciarono a usare il granito e ad aggiungervi iscrizioni geroglifiche. Il pyramidon di Amenemhat III proveniente dalla piramide di Dahshur, decorato con geroglifici, non è dunque fatto con una pietra proveniente dallo spazio, ma è di granito scuro.

Perché si chiama “Piramide Nera”

Ci sono due ragioni per cui la piramide di Amenemhat III è detta “Piramide Nera”. La prima, come anticipato, è per via della presenza di basalto nel nucleo molto scuro e al pyramidion in diorite grigia. Ma c’è anche un altro motivo. L’appellativo si deve anche al suo aspetto attuale, grigio e semi distrutto. La piramide, infatti, oggi appare come un cumulo di macerie.

Una rivoluzione epocale

Ma questa piramide ha una grande importanza in quanto rappresenta un passaggio epocale nell’evoluzione architettonica delle piramidi, passando dal modello “a gradoni” a quello dalle linee classiche. E non è tutto. Fu anche la prima a ospitare sia il Faraone defunto sia le sue regine (il labirinto interno pare servisse proprio al re per raggiungere le stanze delle mogli). Infine, era quella ad avere uno dei pyramidion più belli dell’arte egizia.

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Scoperta sensazionale in Egitto: dove conduce il passaggio segreto

L’Egitto è patria di splendide testimonianze archeologiche, monumenti incredibili che sono conosciuti in tutto il mondo – e che ogni anno attirano milioni di turisti. Ma alcuni di essi celano ancora dei segreti davvero suggestivi: è il caso del misterioso tunnel scoperto all’interno della Piramide di Cheope, che ha per lungo tempo ossessionato gli archeologi. Dopo anni di studi, finalmente sappiamo cosa c’è al suo interno.

Piramide di Cheope, il cunicolo segreto

Facciamo un passo indietro: la Piramide di Cheope è la più antica delle tre rinvenute all’interno della necropoli di Giza, uno dei più famosi siti archeologici d’Egitto. È un vero capolavoro d’ingegno, nonché l’unica delle sette meraviglie dell’antichità ancora in perfetto stato di conservazione. Costruita circa 4.500 anni fa, è stata a lungo studiata ed esplorata dagli scienziati, ma è ancora ricca di misteri tutti da scoprire. Come ad esempio il tunnel segreto che è stato rinvenuto al suo interno: dove conduce, e qual è la sua funzione?

La presenza del cunicolo è stata ipotizzata nel 2016, quando alcuni archeologi avevano individuato uno spazio vuoto dietro l’entrata principale della piramide. Per evitare di danneggiare questa immensa opera architettonica, gli studiosi hanno messo in piedi un progetto durato diversi anni. Dapprima hanno utilizzato la radiografia muonica, una tecnica non invasiva sviluppata presso l’Università di Nagoya, in Giappone, per poi spingersi attraverso il passaggio segreto con una specie di endoscopio, una minuscola telecamera introdotta attraverso una fessura di pochi millimetri. Così, finalmente dli scienziati hanno potuto esplorare questo tunnel.

Lungo circa 9 metri, con una larghezza pari a 2,10 metri e un’altezza di 2,3 metri, è un cunicolo non rifinito caratterizzato da monoliti che formano un soffitto spiovente. Secondo quanto affermato da Mostafa Waziri, direttore del Consiglio Supremo delle Antichità d’Egitto, è possibile che sia stato costruito per alleviare il peso della piramide sull’ingresso principale e ridistribuirlo su tutta la struttura. Ma ci sono ancora molte domande in attesa di una risposta. Potrebbero infatti esserci dei segreti ancora da scoprire, come una camera non ancora individuata che potrebbe trovarsi al di sotto del tunnel.

Il tunnel segreto all'interno della Piramide di Cheope

Fonte: ANSA Foto

Il tunnel segreto all’interno della Piramide di Cheope

Dove porta il passaggio segreto

Ci sono davvero altri misteri da svelare, attorno a questo cunicolo segreto? Secondo gli esperti, le sorprese potrebbero essere ancora molte. “Continueremo la nostra scansione, per capire cosa possiamo scoprire al di sotto del cunicolo o alla fine di esso” – ha dichiarato Waziri. Cosa si aspettano di trovare all’interno della Piramide di Cheope, in un luogo rimasto ben nascosto per migliaia di anni? Qualche dettaglio in più lo ha svelato l’archeologo egiziano Zahi Hawass, presente alla conferenza stampa con cui è stata annunciata la scoperta.

“Crediamo che qualcosa sia nascosto sotto il tunnel” – ha ammesso Hawass. E quel qualcosa potrebbe essere la camera in cui giace il sepolcro di Cheope, faraone della IV dinastia d’Egitto, che nonostante le lunghe ricerche non è mai stato ritrovato. Sarebbe dunque una scoperta epocale, addirittura la più importante del secolo. Ci vorranno però ancora molte indagini per poter capire se davvero c’è un’altra stanza segreta da individuare, e se al suo interno ci sono altri segreti meravigliosi da riportare alla luce.

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Ruanda: un viaggio da fare almeno una volta nella vita

L’Africa è un luogo dalle infinite meraviglie, dove la natura è ancora selvaggia e le città ricche di bellissime sorprese: ormai da anni molti turisti la scelgono per un viaggio avventuroso alla scoperta di panorami unici al mondo. Una delle mete emergenti è il Ruanda, chiamato anche la “terra delle mille colline” per i suoi paesaggi incantevoli. Sono ormai lontani i tempi in cui da questo posto così incredibile giungevano solo terribili notizie, mentre il Paese stava affrontando una delle più gravi emergenze umanitarie di sempre. Oggi tutto è cambiato, andiamo a scoprire quali sono le tappe imperdibili per conoscere meglio questi luoghi magici.

Ruanda, una terra ricca di emozioni

Solo una manciata di anni fa, pensare di esplorare una terra ricca di fascino come il Ruanda sembrava impossibile. Era il 1994 quando il Paese, reduce da una lunga guerra civile che aveva messo a dura prova la popolazione, venne scosso da un genocidio di portata enorme, che causò probabilmente oltre un milione di vittime. Eppure, una lenta ma inesorabile ripresa ha condotto la Nazione ad una rinascita che oggi merita di essere celebrata: la sua radicale trasformazione è visibile nei suoi paesaggi naturali e nei suoi pittoreschi villaggi, nelle tradizioni e nella cultura, negli occhi degli abitanti che ci accolgono con calore.

Cosa vedere, dunque, in un viaggio in Ruanda? La prima tappa non può che essere Kigali, la sua capitale: è una città piccola, ma dal fascino sorprendente. Cuore economico e culturale del Paese, si è sviluppato attorno al distretto finanziario e ha pian piano invaso le colline circostanti, in un dedalo di casette e imponenti palazzi che si stagliano contro il cielo. Qui si può visitare il Memoriale del Genocidio, un monumento storico che ospita i resti di oltre 250mila vittime, inaugurato nel 2004. E per immergersi completamente nell’atmosfera più autentica del Paese, non resta poi che sbirciare tra le tante bancarelle del mercato locale, un vero tripudio di colori e di profumi.

Cosa vedere in Ruanda

Un luogo davvero speciale è Nyanza, un tempo villaggio di grande importanza: qui venne stabilita la capitale del regno di Ruanda, e la più bella testimonianza di quel periodo è il King’s Palace Museum, ospitato all’interno dell’antico Palazzo Reale. A non molta distanza, si può anche visitare il Museo Etnografico di Huye, il quale accoglie un’ampia collezione di manufatti artistici e archeologici per comprendere meglio la cultura e le tradizioni ruandesi. Ma il vero spettacolo di questo Paese è la sua natura incontaminata.

Il Parco Nazionale dell’Akagera, situato nella parte nord-orientale del Ruanda, al confine con la Tanzania, è una vasta area protetta caratterizzata da paesaggi d’acqua meravigliosi (qui si trovano alcuni splendidi laghi, tra cui il Shakani) e da habitat molto diversi tra loro, come l’ampia pianura alluvionale e le numerose zone montuose. Questo è il luogo ideale per un safari alla scoperta dei Big 5, i cinque grandi animali della savana africana. È invece all’interno del Parco Nazionale di Nyungwe che è racchiusa una meravigliosa foresta pluviale, dove poter osservare elefanti, scimpanzé e una sconfinata varierà di uccelli. Tantissimi sentieri adatti ad un trekking avventuroso ci condurranno alla scoperta di un ambiente unico al mondo.

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L’Egitto avrà una nuova capitale economica, tutta high tech

Sarà costruita sul modello degli Emirati Arabi la nuova capitale economica dell’Egitto che sta sorgendo a qualche chilometro da Il Cairo. La società che si sta occupando della realizzazione di strade, quartieri e di edifici avveniristici, la Skidmore, Owings & Merrill LLP, è la stessa che ha costruito il Burj Khalifa di Dubai, il grattacielo più alto del mondo.

Questa città, completamente diversa dal Cairo, non ha ancora un nome (per il momento la chiamano “NAC” o “The Capital Cairo” o ancora “New Cairo“), ma si sa che sarà pronta nel 2023 e che sarà il nuovo centro culturale e amministrativo del Paese.

Una nuova capitale per l’Egitto

L’idea di voler costruire una nuova capitale è scaturita dall’esigenza di ‘svuotare’ in parte l’attuale capitale egiziana, che con circa 20 milioni di abitanti è una delle città più popolose al mondo, decentrando tutto il settore economico in una nuova ‘city’ che, in futuro, dovrebbe ospitare fino a 6,5 miliardi di persone. Ma non è stato l’unico motivo.

Creare una città ex novo ha anche lo scopo di presentare una nuova idea di Egitto, non più legata solo all’archeologia e ai fondali marini. Un Egitto che invogli l’arrivo di nuovi investitori che facciano ripartire il Paese. Un Egitto con palazzi di cristallo, dalle forme più bizzarre, con grattacieli e aree verdi, che sia anche una nuova attrazione turistica per tutti coloro che viaggiano ispirati da architettura e desgin.

La nuova città che sorgerà a Est del Cairo, tra il Nilo e il Canale di Suez, avrà un’area complessiva di 700 chilometri quadrati e 200 km quadrati di parchi (sarà il sistema di parchi più grande del mondo). Ospiterà un nuovo parlamento, una banca centrale, un aeroporto, un palazzo presidenziale (sarà otto volte più grande della Casa Bianca), un business district, il minareto con il campanile più alto dell’Egitto, il nuovo Teatro dell’Opera, il Museo delle Capitali, che racconta la storia dell’Egitto da 5.000 anni fa ai giorni nostri, e la Biblioteca.

Inoltre, sull’esempio di Milano, sorgeranno ben tre palazzi stile Bosco Verticale. Srà sempre l’architetto Stefano Boeri a progettare per l’Egitto il New Cairo vertical forest che avrà l’obiettivo di dare ossigeno e caratterizzare la città più attesa degli ultimi anni.

Uno degli edifici sarà destinato a hotel, mentre gli altri due saranno occupati da residenze di vario tipo. Le strutture ospiteranno 350 alberi e oltre 10.000 arbusti scelti tra le specie atoctone.

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Ifrane, il Marocco che non ti aspetti: qui puoi sciare

Il Nordafrica vanta paesaggi davvero affascinanti e ricchi di sorprese: uno dei Paesi più visitati è sicuramente il Marocco, lambito dalle acque dell’oceano Atlantico e del mar Mediterraneo. Ma le spiagge da sogno e le città pittoresche non sono certo le sue uniche attrattive. Nell’entroterra c’è una cittadina davvero deliziosa, incastonata tra le montagne. È la meta ideale per chi ama sciare, e qui le temperature sono decisamente molto più basse di quanto non si possa pensare. Andiamo alla scoperta di Ifrane, un luogo magico.

Ifrane, la città marocchina dove si scia

Il Marocco non è solo il luogo dove concedersi una vacanza relax al mare o a frugare tra i tanti suq ricchi di artigianato e stoffe dai mille colori. Quella che vogliano scoprire oggi è una piccola città dal fascino unico al mondo, con una storia davvero particolare. Ifrane, situata a ben 1700 metri di altitudine tra i Monti del Medio Atlante, venne fondata in tempi piuttosto recenti: nacque sul finire degli anni Venti del ‘900, quando il Paese era ancora un protettorato francese. Essendo il clima marocchino decisamente troppo caldo per le famiglie europee che vi abitavano, si decise di costruire un villaggio di montagna per poter godere di estati più fresche ed inverni caratterizzati da abbondanti nevicate.

L’influenza francese si può notare ancora oggi: Ifrane è un borgo graziosissimo, che richiama in qualche modo lo stile dei classici paesi alpini. Tanto che in passato è stato soprannominato la “piccola Svizzera”, un angolo di paradiso molto lontano dall’idea del deserto e delle temperature roventi che nell’immaginario comune ricorda il Marocco. Pian piano, la cittadina si sviluppò sempre più e divenne una rinomata meta turistica interna, sia durante la stagione estiva (per chi vuole cercare un po’ di refrigerio) che durante quella invernale. Negli ultimi anni, sono nate diverse piste da sci che hanno subito attratto gli amanti dello sport sulla neve. E se pensate che in Marocco non possa poi fare così tanto freddo, sappiate che è proprio Ifrane a detenere il record: nel 1935, qui la colonnina di mercurio raggiunse i -23,9°C, la temperatura più bassa mai segnata in Africa.

Ifrane

Fonte: iStock

Ifrane

Cosa fare a Ifrane e dintorni

Il centro di Ifrane, che dista poche decine di km da Fès, è una meraviglia: tra chiese e moschee, ci sono molte architetture che vale la pena vedere. Ma il posto più bello è il Parc La Prairie, ampia zona verde nel cuore della città. Tra giardini rigogliosi e laghetti dall’aria decisamente romantica, spunta all’improvviso il profilo maestoso del Palazzo Reale. Costruito nel ‘900 per il sultano Muhammad ibn Yûsuf, è ancora oggi la residenza estiva del Re e della sua famiglia. Uno dei simboli di Ifrane è poi il Leone: si tratta di una grande scultura realizzata negli anni Trenta da un soldato tedesco, nel periodo della Seconda Guerra Mondiale. Pare che sia un omaggio all’ultimo leone del Medio Atlante, ucciso poco prima che la statua venne progettata.

Nei dintorni della città, a dominare è la natura selvaggia: le montagne offrono infinite possibilità per chi vuole concedersi un po’ di trekking, e le piste da sci sono una vera calamita per i turisti. Assolutamente da visitare è il Parco Nazionale di Ifrane, che ospita una ricca fauna selvatica. Qui è possibile ammirare alcuni esemplari di macaco barbaresco, un animale in via di estinzione, ma anche tante altre creature dei boschi e moltissimi volatili. Tra i suoi paesaggi più belli ci sono quelli d’acqua, con i ruscelli che sgorgano impetuosi e piccole cascate spumeggianti da visitare.

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In viaggio verso il Kenya senza cellulare. Chi vuole unirsi?

Le esperienze di viaggio, quelle straordinarie, indelebili e indimenticabili, sono probabilmente quelle all’insegna dell’autenticità e delle avventure genuine e senza fronzoli. Ecco perché sempre più viaggiatori scelgono destinazioni solitarie e immerse nella natura con l’unico desiderio di vivere le meraviglie che appartengono al mondo che abitiamo senza distrazioni.

Delle vere e proprie esperienze di disconnessione che non solo ci allontanano dalla città, ma anche dai social network, dal web e dalle continue notifiche dei nostri smartphone e dei device. Queste, almeno, sono le intenzioni di partenza delle cosiddette vacanze digital detox che non sempre, però, si traducono i fatti.

E allora ecco la sfida più stimolante dell’anno: partire verso una destinazione straordinaria lasciando il cellulare a casa. Quanti di voi vogliono unirsi a questo viaggio?

Partire senza cellulare: la sfida dell’anno

Partirà da Milano, il 10 marzo del 2023, il primo viaggio totalmente smartphone free dell’anno. A organizzare questa sfida, quella di restare senza cellulare per sette lunghissimi giorni, sono state Monica Bormetti e Stefania Clementi, fondatrici di YogaDigitalDetox.com, che hanno pensato a questa avventura come a un’esperienza di disconnessione totale dalla tecnologia.

La destinazione del viaggio è Nairobi e, siamo certi, non ha bisogno di presentazione. La bellezza della capitale del Kenya, infatti, precede il suo nome, così come lo fanno il Parco Nazionale della città, una delle più importanti riserve faunistiche del Paese, e l’orfanotrofio degli eleganti. Insomma, le cose da fare qui sono tantissime e tutte sono destinate a sorprendere. Chissà se i viaggiatori che giungeranno in città potranno apprezzarle di più senza il loro smartphone.

Nairobi, dicevamo, è solo il punto di partenza di un’esperienza autentica e genuina che proseguirà a Watamu, una piccola città costiera del Kenya conosciuta soprattutto per le spiagge di sabbia bianca e per i giardini di corallo. Trascorrere qui una settimana, senza tecnologia, sarà una vera e propria sfida per i partecipanti del viaggio.

Un’esperienza sicuramente al di fuori dall’ordinario che però permetterà alle persone che ne prendono parte di sperimentare un nuovo modo di viaggiare che abbraccia quella tendenza sempre più prepotente nei viaggi: disconnettersi dal mondo lì fuori.

La missione dell’avventura, infatti, è quella di andare alla scoperta di un luogo bellissimo senza distrazioni, con l’obiettivo di rilassarsi, riconnettersi a sé stessi e con la natura e ricaricare le batterie in un ambiente sereno e incontaminato. A rendere l’esperienza ancora più straordinaria ci pensa il meraviglioso paesaggio offerto da Watamu che fa da cornice a quello che si prospetta un viaggio indimenticabile.

In viaggio senza smartphone: un’opportunità

Ma è davvero possibile mettersi in viaggio senza uno smartphone? Una domanda lecita, questa, per la nostra generazione che è cresciuta proprio a pane e tecnologia. Siamo convinti, ormai, che il cellulare sia indispensabile per ogni spostamento, figuriamoci per quelli a lungo viaggio. E invece non è proprio così.

Lasciare lo smartphone a casa, e vivere un’esperienza totale di digital detox, può permetterci di esplorare le meraviglie del mondo senza distrazioni, ansie o preoccupazioni che, naturalmente, nascondo quando siamo sempre connessi.

Senza cellulare, invece, possiamo davvero concentrarci sull’avventura e su nient’altro, senza doverci preoccupare di postare ogni movimento sui social network o di essere connessi agli altri e per gli altri. Insomma, se è vero che è più importante “vivere che condividere”, questo viaggio lo dimostrerà.

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Un’altra particolare scoperta è appena avvenuta in Egitto

Oggi vi riportiamo di nuovo in Egitto perché, proprio da queste parti, è avvenuta una scoperta assolutamente particolare. Un ritrovamento effettuato da un gruppo di archeologi mentre erano impegnati negli scavi della necropoli dell’oasi di Fayum, a 90 chilometri da sud del Cairo. Vediamo insieme in cosa consiste questa sorprendente scoperta.

Ritrovato lo scheletro di una bambina sepolta insieme a 142 cani

Sì, avete lette bene. Il recente ritrovamento fatto in Egitto consiste nel corpo di una bambina sepolta insieme a 142 cani. A effettuare la scoperta è stato un team di archeologi della Cei Ras che da anni lavora nella necropoli di Fayum, dove si trovano sepolture che risalgono al IV secolo a.C.

I resti dei cani, coperti di polvere blu, sono stati ritrovati all’interno di una tomba appartenente all’élite dell’epoca. L’ipotesi attualmente più accreditata è che siano annegati durante una terribile alluvione.

Stando alla prima analisi, la bambina nel momento della morte aveva tra gli 8 e i 9 anni. Ma gli esperti si sono chiaramente domandati quale fosse l’origine degli animali: se cani domestici e da compagnia o da lavoro (pastorizia e caccia). Attualmente non c’è una risposta definitiva che potrebbe far luce su aspetti importanti della cultura e delle tradizioni dell’epoca.

Le dichiarazioni degli addetti ai lavori

Come riporta La Stampa, gli archeologi hanno fatto sapere che: “I cani sono stati accuratamente sepolti. Molti sono sdraiati su un fianco, proprio di fronte alla bambina”. Una circostanza importante poiché fa capire quanto gli animali, e in particolari i cani, fossero apprezzati dagli antichi egizi, considerati di fatto membri di famiglia.

Storici, studiosi e veterinari sembrano essere tutti d’accordo: buona parte delle carcasse apparterebbero ai predecessori diretti dei moderni levrieri e saluki, altri somigliano maggiormente al lupo e ai cani selvatici.

Per riuscire però a chiarire la scoperta è già stata avviato uno studio specifico sul dna degli amici a quattro zampe. A tal proposito un’altra interessante risposta è quella relativa alle cause del decesso: come vi accennavamo l’alluvione, o comunque un evento naturale decisamente catastrofico. Per il momento queste sono le ipotesi più attendibili.

Viene del tutto esclusa, invece, la soppressione da parte dell’uomo. Questo perché non era affatto raro a quel tempo che gli animali venissero sepolti accanto ai loro proprietari, compagni di vita quotidiana ma anche una sorta di status symbol.

La zoologa Galina Belov del centro di Studi Egittologici dell’Accademia russa delle scienze ha esaminato i cani e ha scoperto che tutti hanno esalato il loro ultimo respiro nello stesso momento, senza “alcuna prova di violenza”.

La necropoli dell’oasi di Fayum

La necropoli dell’oasi di Fayum è particolarmente importante perché nei dintorni di questa zona si trovano le rovine di diversi villaggi e, nelle vicinanze, la vecchia città egizia di Crocodilopolis/Arsinoe, dedicata al dio coccodrillo Sobek.

Ma non solo. È stata dichiarata patrimonio mondiale dell’Unesco nel 1979, e accoglie un gruppo di tombe che presentano dipinti e iscrizioni ben conservate, illustranti le attività quotidiane dell’antico Egitto.

Il Fayum, inoltre, è la più grande oasi del Paese e la più vicina al fiume Nilo. Senza dimenticare che è storicamente nota anche come luogo di caccia preferito dai faraoni e le elites nobiliari che si susseguirono durante le varie epoche storiche.

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L’Egitto stupisce ancora: cosa è stato scoperto

Non sono passati molti giorni dall’ultima scoperta effettuata in Egitto che ecco che questo splendido Paese ci regala un’altra perla dal valore storico inestimabile. Un ritrovamento che ha dell’eccezionale e che, ancora una volta, ci dona nuovi dettagli per comprendere a pieno la vita dell’antico popolo egiziano, i loro usi, le tradizioni e quegli elementi essenziali da aggiungere al grande puzzle che ha portato l’uomo alla sua società attuale.

Una scoperta il cui merito va agli esperti dell’Università di Tubinga, quelli dell’Università Ludwig-Maximilians, in Germania e all’equipe dell’Università americana del Cairo e che, almeno sulla carta, consentirebbe di approfondire e conoscere meglio alcuni dettagli essenziali delle varie tecniche utilizzate dall’antica popolazione egizia durante il processo della mummificazione.

La scoperta

Si tratta, infatti, del ritrovamento di un laboratorio di imbalsamazione sito a Saqqara, uno scrigno di tesori inestimabili e Patrimonio UNESCO, e dello studio approfondito di 31 vasi in ceramica recuperati al suo interno. Le incisioni analizzate, infatti, descriverebbero nei dettagli le istruzioni per permettere il processo di mummificazione dei corpi dei defunti. Procedimento che ha consentito la conservazione delle mummie dei faraoni, funzionari, ecc., arrivate fino a noi e scoperte nel corso dei tanti scavi archeologici effettuati proprio in Egitto e all’interno delle sue Piramidi e siti di interesse.

Per quanto conosciuto fino a oggi, infatti, l’imbalsamazione si basava essenzialmente su un processo molto lungo e complicato nel quale venivano adoperate diverse di sostanze chimiche, unguenti specifici per la conservazione dei corpi e miscele apposite, utili a mantenere il defunto integro nel suo viaggio nell’aldilà. Nozioni che si sono ottenute grazie allo studio e agli esami condotti sui residui organici ritrovati sulle mummie egizie. Ma che non hanno risolto i tantissimi dubbi sul processo di mummificazione e sulle sue diverse fasi.

Cosa hanno svelato le antiche incisioni

Di fatto, quindi, questa nuova ed eccezionale scoperta, potrebbe consentire agli studiosi di comprendere ciò che fino a oggi è rimasto sepolto nella memoria degli antichi. Per esempio sulla tipologia delle miscele usate per l’imbalsamazione che pare fossero di tre diversi composti, che comprendevano la resina di elemi, quella di pistacia e dei sottoprodotti di ginepro, cipresso e cera d’api. Intrugli utilizzati soprattutto per la conservazione della testa del defunto. Mentre altre tipologie di miscele venivano adoperate per ammorbidire la pelle del resto del corpo.

I ricercatori, poi, sempre grazie alle incisioni decifrate sui vasi ritrovati, hanno potuto constatare come, molte di queste sostanze, non fossero presenti in Egitto, ma venissero importate da altre zone, come il Levante o le foreste pluviali del sud-est asiatico. E di come, quindi, il popolo egiziano avesse dei contatti e un commercio fiorente con altre popolazioni o per lo meno di come fossero dediti all’intraprendere viaggi per procurarsi quanto gli serviva per poter attuare il delicatissimo processo di imbalsamazione.

Una scoperta davvero eccezionale, patrimonio di una cultura e di un popolo dal carattere eccezionale. E che apre le porte a nuove conoscenze riguardo a questa antica civiltà, misteriosa e affascinante, estremamente evoluta e che, ieri come oggi, non smette mai di insegnarci qualcosa.

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È appena stata scoperta un’intera città romana

Che non si finisca mai di scoprire è cosa ormai risaputa, ma che ci sia un Paese in cui i ritrovamenti di tesori antichi avvengano praticamente ogni giorni è davvero molto sorprendente. Il luogo in questione è l’Egitto, dove è appena stata rinvenuta un’intera città romana. Scopriamo insieme i dettagli di questa clamorosa scoperta.

Luxor, scoperta una città romana

A Luxor, teatro di recentissime e continue scoperte e considerata anche la Tebe dei faraoni nel sud, sono stati riportati alla luce i resti di “un’intera città romana” risalenti ai primi secoli dopo Cristo. Come dichiarato del Ministero delle Antichità, tali ruderi sembrerebbero quel che rimane di “un’intera città residenziale” del II e III secolo, scoperta “sulla sponda orientale del Nilo, vicino al tempio di Luxor”, a circa 500 km a sud de Il Cairo.

La città è tornata alla luce vicino al parco Yassi Andrawos Palace, un punto di riferimento a Luxor che un tempo apparteneva a un aristocratico egiziano che servì come leader durante la rivolta del 1919 contro l’occupazione britannica.

Una zona, come vi accennavamo in precedenza, in cui le scoperte sono davvero numerose e soprattutto una più particolare dell’altra. Proprio in questa estensione dell’antica Tebe sono riemerse persino “officine metallurgiche” con molti strumenti e “monete romane in rame e bronzo”.

A spiegarlo è stato, come riporta l’ANSA, Mostafa Waziri, il segretario generale del Supremo consiglio delle Antichità egiziano: “E gli scavi continuano. Già nel 2021 una missione archeologica egiziana aveva scoperto la “più grande città antica dell’Egitto“, risalente a più di 3.000 anni fa, sulla sponda occidentale di Luxor dove si trovano le famose valli dei re e delle regine. Un antico abitato che all’epoca era stato descritto “in buone condizioni di conservazione, con muri quasi completi e stanze piene di oggetti di vita quotidiana”.

Come si collega questa scoperta alle altre

Le scoperte, in Egitto, avvengono un po’ ovunque, come nell’incredibile necropoli di Saqqara, a sud del Cairo. Un di questi, per esempio, riguarda l’eccezionale ritrovamento di oltre 100 sarcofagi intatti che si è rivelato essere la più grande scoperta del 2020. Tuttavia, non è stata l’unica degli ultimi anni.

Tornando a Luxor, solo pochi giorni fa è stata rinvenuta la tomba di una moglie reale della XVIII dinastia, quella di Akhenaton e Tutankhamon, risalente al 3.500 anni fa.

Secondo gli esperti, questi annunci hanno un significato più politico ed economico che scientifico. Come potete immaginare, il Paese di 104 milioni di abitanti è in grave crisi economica e conta principalmente sul turismo per raddrizzare le proprie finanze. L’obiettivo del governo è quello di arrivare a 30 milioni di turisti all’anno entro il 2028, contro i 13 milioni prima del Covid-19.

Per rivitalizzare questo settore, in preda a diverse crisi dalla primavera araba del 2011 ma che dà lavoro a due milioni di persone e genera oltre il 10% del Pil, Il Cairo promette, tra le altre cose, oramai da mesi l’imminente apertura del suo “Grande Museo Egizio”, vicino l’altopiano di Giza, quello su cui sorgono le famosissime e iconiche piramidi. Ma a quanto pare il tutto è ancora rimandato a data da destinarsi.