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Sospesi nel vuoto per 5 minuti: raggiungere il Dalai Lama con la funivia

Immersa nella verdeggiante valle di Kangra e adagiata alla catena montuosa del Dhauladhar, troviamo la cittadina indiana di Dharamshala, capoluogo del distretto di Kangra, nonché luogo intriso di fascino e spiritualità. Circondato da fitte conifere e da sconfinate piantagioni di tè che si perdono all’orizzonte, questo territorio è una delle mete di pellegrinaggio più celebri di tutto il mondo.

È qui infatti, nel luogo simbolo della storia del Tibet e del subcontinente indiano, che migliaia di persone provenienti da ogni parte del mondo si riuniscono. Non lo fanno solo per lasciarsi meravigliare dal territorio e dalle sue storie, ma soprattutto per raggiungere la parte alta della città, lì dove è situata la dimora del Dalai Lama.

La piccola cittadina, abitata da circa 20.000, persone è divisa in due aree situate a circa 9 km l’una dall’altra, ma con un dislivello di oltre 1000. Dalla parte bassa della città è possibile raggiungere quella alta per visitare il Tsuglagkhang. Ma se prima pellegrini, monaci e cittadini, si trovavano ad affrontare ore di viaggi in automobile o in autobus, adesso potranno arrivare in soli 5 minuti grazie alla nuova funivia Dharamshala Skyway.

Raggiungere il complesso Tsuglagkhang in 5 minuti

La località montana del distretto di Kangra è una popolare attrazione per viaggiatori e pellegrini, un luogo mistico e spirituale impregnato dal buddhismo tibetano, di cui il Dalai Lama ne è capo e maestro. Ed è proprio da lui, e in quella che è la sua residenza dal 1959, situata nella parte alta della città, che migliaia di turisti si recano ogni giorno.

Partendo dall’Upper Dharamsala, fino a poco tempo fa, occorreva attraversare una strada tortuosa che, seppur di breve lunghezza, trasformava i viaggi in interminabili ore di code e traffico, soprattutto nei periodi di maggiore affluenza turistica.

Non solo traffico, ma anche inquinamento che andava a discapito dell’ambiente e della cittadina. Proprio a partire da queste consapevolezze, l’amministrazione locale ha scelto di creare un nuovo mezzo di trasporto. Una funivia ai piedi dell’Himalaya che conduce alla residenza del Dalai Lama in soli 5 minuti.

Dharamshala Skyway: la funivia che conduce al Dalai Lama

Dharamshala Skyway, questo è il nome dell’impianto a fune, è stata realizzata dall’azienda altoatesina Leitner del gruppo HTI con l’obiettivo di consentire a monaci, turisti e residenti di raggiungere i più importanti luoghi di culto del buddismo tibetano.

Dotata di 24 cabine da 8 posti l’una, Dharamshala Skyway potrà trasportare fino a 1.000 persone all’ora lungo un percorso di 1.775 metri in soli 5 minuti, godendo anche di un panorama straordinario su tutto il territorio.

Situata in una posizione strategica, la stazione a valle si trova nelle immediate vicinanze del terminal degli autobus mentre quella a monte a soli 300 metri dalla residenza del Dalai Lama.

Sospesi del vuoto a oltre 1000 metri d’altezza, ma solo per 5 minuti, pellegrini, visitatori, viaggiatori, ma anche cittadini, potranno raggiungere in maniera agevole l’intero complesso Tsuglagkhang, che comprende il Photang (residenza del Dalai Lama), il Museo del Tibet, il Tempio di Tsuglagkhang e il Tempio Namgyal, per entrare in contatto con una cultura lontana dalla nostra, per vivere un’esperienza indelebile e suggestiva.

Dharamshala Skyway

Dharamshala Skyway, la funivia che conduce al Dalai Lama

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Per secoli abbiamo chiamato questo luogo col nome sbagliato

Ci sono luoghi meravigliosi, che emanano un fascino unico: solitamente sono quelli che maggiormente affondano le radici indietro nei secoli, e che ci parlano di civiltà ormai perdute. Ma c’è un particolare sito archeologico che spicca tra i più ammirati al mondo, di cui oggi emerge un dettaglio del tutto nuovo. Forse, infatti, lo abbiamo sempre chiamato con il nome sbagliato.

Machu Picchu: e se il suo vero nome fosse un altro?

Nel cuore del Perù, tra una natura incontaminata, ci sono splendide testimonianze dell’antichissima civiltà Inca. Una delle più suggestive è da sempre Machu Picchu, un famoso sito archeologico: elencato tra i Patrimoni Mondiali dell’UNESCO e considerato una delle sette meraviglie del mondo moderno, è un luogo ricco di fascino incredibile, tra i più visitati di tutti i tempi. Una nuova ricerca, condotta dall’archeologo Brian Bauer (dell’Università dell’Illinois) e dello storico Donato Amado Gonzales, ha portato alla luce quello che potrebbe essere uno dei più madornali errori di sempre.

Stando ad un articolo pubblicato sulla rivista Nawpa Pacha: Journal of Andean Archaeology, abbiamo sempre sbagliato il suo nome. Ebbene sì, Machu Picchu si chiamerebbe in realtà in modo diverso. Per capire da dove sia nato questo errore, dobbiamo tornare indietro nel tempo: si ritiene che questa antichissima città venne fondata attorno al 1420 dall’imperatore Inca Pachacútec, e che rimase abitata solamente fino al momento della conquista spagnola. In quel frangente, venne abbandonata e rimase un segreto celato tra le Ande, riemerso solo dopo più di tre secoli di vane ricerche e di leggende che fiorirono sul suo conto.

Quando, nel 1911, l’esploratore Hiram Bingham riuscì finalmente ad individuare la posizione della misteriosa città perduta, le diede il nome di Machu Picchu, sulla base delle informazioni che gli diede la sua guida. Ma gli ampi studi condotti da Bauer e Gonzales, soprattutto su antichi atlanti e mappe risalenti ai secoli scorsi, hanno portato ad una conclusione ben diversa: remote testimonianze rivelano infatti che il sito archeologico si chiamerebbe con un altro nome, e più precisamente Huayna Picchu.

Il vero nome di Machu Picchu

Perché si è venuta a creare questa confusione sul nome dell’antica città Inca? Machu Picchu, nella lingua indigena quechua, significa “vecchia montagna”: a quanto pare, farebbe riferimento all’imponente vetta che si erge a pochi passi dalle splendide rovine. Essendo la cima più elevata, è quella che maggiormente spicca nel panorama – ed è anche la più facilmente riconoscibile. Huayna Picchu significa invece “montagna giovane”, e sarebbe la vetta più vicina alla città Inca. È possibile che il lungo periodo di abbandono – e di relativo silenzio sulla sua esistenza – abbia generato dubbi sul suo vero nome.

Senza contare, poi, che gli archeologi stranieri coinvolti nella ricerca e nello studio di questo importante sito potrebbero non aver tenuto in grande considerazione l’importanza di individuare il suo vero nome, compito reso ancora più difficile dall’ostico linguaggio utilizzato dalle antiche popolazioni indigene. A prescindere dal motivo per cui Machu Picchu potrebbe aver portato per tutto questo tempo un nome sbagliato, è probabile che ormai non gli venga più cambiato. D’altronde, in tutto il mondo è già conosciuto così, ed è come Machu Picchu che è presente in migliaia di documenti, atlanti e libri in qualsiasi lingua.

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È tempo di tornare in Australia, ora è anche più veloce

È stato tra gli ultimi Paesi a riaprire le frontiere ai turisti internazionali e non vedevamo l’ora. Finalmente l’Australia ha anche deciso di allentare le misure e, dal 17 aprile, ai viaggiatori che hanno completato il ciclo vaccinale, non sarà più richiesto neppure il tampone negativo prima della partenza. Non c’è quindi più nulla che ci trattenga dal partire per uno dei viaggi più belli che si possano fare.

Nuovi voli diretti dall’Italia

Come se non bastasse, partiranno anche nuovi voli diretti dall’Italia verso l’Australia, senza dover fare alcuno stop-over né tantomeno una notte di sosta in attesa della connection. A giungo, dopo 18 anni d’assenza, decollerà il primo volo della compagnia di bandiera australiana Qantas da Roma diretto a Perth, porta d’ingresso al continente australiano.

In 15 ore – che passerete tra film pasti e pisolini – arriverete in una delle mete dei sogni di molti. La diversità dei luoghi e delle esperienze che si possono fare rendono l’Australia una delle destinazioni più desiderabili del pianeta.

Perth, porta d’ingresso dell’Australia

Perth non ha nulla da invidiare né a Sydney e neppure a Melbourne. È una città unica nel suo genere, che più di tutte incarna al meglio le molteplici sfaccettature del continente australiano: qui i grattacieli ultramoderni e la frenesia delle grandi città si fondono alla perfezione con gli immensi spazi verdi e le maestose spiagge dalla sabbia dorata.

Perth gode di una posizione molto suggestiva, che fa sì che valga davvero la pena di visitare questo piccolo tesoro nascosto nel cuore dell’Australia. È adagiata su una lingua di terra che s’affaccia sul corso sinuoso dello Swan River, il fiume cittadino che attraversa tutta la metropoli. Il centro cittadino è piuttosto raccolto e ben curato, ed è possibile visitarlo interamente a piedi. Il modo migliore per esplorare la città, d’altronde, è addentrarsi tra i vicoli variopinti, dove le linee moderne e sofisticate dei grattacieli si alternando a deliziosi quartieri in stile vittoriano, tra bar, locali, parchi e negozi. In alternativa, poiché il centro fa parte della Free Transit Zone, si può viaggiare gratuitamente in autobus (qui trovate un articolo approfondito su cosa vedere a Perth).

Il selvaggio Western Australia

Da Perth si apre un intero continente, che inizia nel Western Australia che da solo merita un viaggio – occupa la metà occidentale dell’Australia – e regala esperienze uniche. Qui sono i colori i veri protagonisti. Il verde intenso del mare della Coral Coast e il bianco abbagliante delle spiagge – a Esperance c’è Lucky Bay, nel South West, la spiaggia più bianca di tutta l’Australia – si scontrano con l’oro del Golden Outback e il rosso del deserto del North West. Incredibili formazioni disegnate da Madre Natura lasciano i visitatori a bocca aperta.

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Lucky Bay, la spiaggia più bianca dell’Australia

Il deserto australiano

Come il Pinnacles Desert, una distesa desertica lungo la Coral Coast e all’interno del Namburg National Park a circa 250 chilometri da Perth, caratterizzata da migliaia di formazioni rocciose di diverse forme e altezze, alcune arrivano fino a cinque metri.

Chi cerca il deserto di sabbia rossa lo trova senza andare ad Ayers Rock – la roccia simbolo dell’Australia – tra il Kimberley e Pilbara, un paesaggio antico che copre centinaia di migliaia di chilometri quadrati, una delle terre selvagge più affascinanti del mondo nonché una delle ultime frontiere incontaminate di landa selvaggia del nostro pianeta.

Qui, non manca la fauna selvatica che ci si aspetta di trovare in questo continente sperduto in capo al mondo. Ci sono canyon maestosi, sorgenti dalle acque cristalline e ideali per una fresca nuotata e il più grande percorso per fuoristrada d’Australia e numerosi sono i ranch dove poter soggiornare.

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Il Pinnacles Desert nel Western Australia

Acqua rigogliosa

Tra i luoghi più spettacolari ci sono le Horizontal Fall, cascate orizzontali, visibili dalla barca navigando e tra due gole e sull’acqua che forma delle rapide. E le King George Falls, le cascate gemelle più alte del Western Australia che si trovano in mezzo al North Kimberley Marine Park, raggiungibili sono in barca o in aereo. Acqua e roccia, un paesaggio quasi primordiale, quello che si trova in questa parte di Australia.

Rocce primordiali

Le Bungle Bungles sono delle particolari rocce che ricordano degli alveari, formatesi oltre 350milioni di anni fa, situate nel Purnululu National Park. Il Kimberley è ricco di attrazioni naturali e, al largo della costa di Broome, c’è un altro tipo di roccia unica con impronte fossili, formata dai dinosauri oltre 120milioni di anni fa.

Mentre la Wave Rock, una roccia naturale a forma di un’alta onda oceanica alta 15 metri e lunga 110 che forma il fianco di una collina solitaria conosciuta come “Hyden Rock”, a circa 300 km da Perth.

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Wave Rock, la roccia a forma di onda in Australia

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Tra diamanti e storie sepolte sotto il lago che sembra un zaffiro

Esiste un luogo così magico e suggestivo che sembra finto, o al massimo uscito da qualche cartone della Walt Disney. Tutto merito di quella forma perfetta e di quel colore così intenso che lo caratterizzano in maniera univoca e gli danno le sembianze di un enorme zaffiro incastonato nella terra di tundra e di fiumi, di laghi e piccoli villaggi. Eppure il cratere di Pingualuit è reale, ed è bellissimo da qualsiasi prospettiva lo si guardi.

Lì, dove un tempo c’era una terra pianeggiante, un grosso cratere creato da un meteorite ha lasciato il segno per sempre, scolpendo in maniera definitiva i lineamenti della la penisola di Ugava, nel Québec del nord.

Ribattezzato l’occhio di cristallo dagli Inuit, protettori di questa terra da secoli, il cratere di Pingualuit è diventato famoso nel mando per una missione organizzata da parte di un ricercatore di diamanti. Ma il vero tesoro stava le storie che le sue acque profonde possono raccontare.

L’ottava meraviglia del mondo

Correva l’anno 1943 quando, la prima fotografia aerea ritrasse la bellezza di questo cratere ricolmo di acque dalle mille sfumature di blu. Negli anni ’50, i giornali di tutto il mondo, si apprestavano a condividere quell’istantanea che sembrava aver svelato l’ottava meraviglia del mondo. Fu solo alla fine degli anni ’90, però, che qualcuno si interessò davvero al cratere di Pingualuit e organizzò una missione per scoprire i suoi segreti.

Si trattava di dell’Ontario Frederick W. Chubb  che, credendo che questo fosse la testimonianza di un antico vulcano, organizzò una missione per andare alla ricerca di diamanti e pietre preziose. All’arrivo, però, grazie alla presenza degli esperti, si scoprì che quello era un cratere creato dall’impatto fortissimo di un meteorite caduto su quella terra più di un milione di anni fa.

Un cratere che ha un diametro di oltre 4 chilometri e una profondità che supera i 250 metri. Non a caso è considerato uno dei bacini d’acqua più profondi di tutto il Nord America, nonché uno dei più limpidi del mondo intero. Le acque dolci che abbondano all’interno della voragine sono, invece, considerate le più pure di tutto il nostro pianeta.

Oggi questo specchio d’acqua illuminato dal sole fa parte del Parco Nazionale di Pingualuit istituito nel 2004 e che comprende tutta la tundra circostante.

Ma il cratere di Pingualuit è molto più di un’attrazione turistica da raggiungere e fotografare. Nonostante l’esistenza di questo occhio di cristallo fu concessa al mondo negli anni ’40 attraverso la fotografia, c’era già chi lo conosceva e lo proteggeva. Si tratta degli Inuit, la popolazione originaria dell’area, che hanno tenuto segreto per secoli questo luogo.

Il mistero della perfezione

Sono stati gli Inuit a dare il nome di occhio di cristallo di Nunavik al cratere, una denominazione suggestiva che non fa che confermare il fascino esercitato da questo luogo. Ma non erano solo le sue dimensioni maestose a distinguerlo, ma anche la sua perfetta simmetria circolare. Sembrava quasi come se qualcuno disegnato un cerchio, lo avesse scavato e poi riempito d’acqua.

E visto da vicino, il cratere, è ancora più sensazionale. Gli occhi si perdono nella profondità che si spalanca nel cratere, dove all’interno scintilla un blu intenso dal colore zaffiro. Considerato un luogo sacro, gli Inuit hanno celato a lungo l’esatta posizione del cratere, venerandolo come fonte di energia, rinascita e purezza. Il nome stesso di Pingualuit è un omaggio alla sua stessa presenza, è traducibile infatti come “Là dove la terra risorge”.

Il cratere, creato un milione di anni fa, si riempito nei secoli di acqua dolce a seguito della caduta delle piogge e dello scioglimento delle nevi, dando vita a un lago cristallino di immensa meraviglia.

Il cratere di Pingualuit

Il cratere di Pingualuit

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Apre il giardino delle rose più romantico d’Italia

Nel cuore della Franciacorta, tra filar d’uva e colline che risentono della brezza del lago, riapre ogni primavera uno dei roseti più belli che esistano. Non soltanto sbocciano più di mille varietà di rose di ogni forma, colore e soprattutto profumo, ma il contesto in cui si trova è tra i più romantici che si possano trovare in Italia.

Ci troviamo al Castello Quistini, a Rovato, in provincia di Brescia, nel bel mezzo della Franciacorta, una zona famosa in tutto il mondo per le sue bollicine, un delizioso maniero dominato da una torre, circondato dalle antiche mura all’interno del quale si sviluppa un vasto parco.

A partire dal 6 maggio e fino ai primi di giugno i giardini del castello riapriranno al pubblico, con visite gratuite, corsi e tanti eventi.

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Il roseto del Castello Quistini nella Franciacorta

Il parco e il labirinto di rose

Il parco del castello è molto grande e nasconde diverse chicche. Il labirinto di rose è una di queste. Consiste in tre ampi cerchi concentrici fatti esclusivamente da rose, con un gazebo al centro coperto con una splendida rosa rampicante a unica fioritura (Banksiae Alba e Banksiae Alba Plena). I tre cerchi sono a loro volta divisi in quattro settori circolari dove crescono rose ti specie diversa e che raccontano la storia di questo splendido fiore. Il giardino è, infatti, anche un vivaio specializzato in rose antiche, moderne e inglesi, che poi si possono anche acquistare e portare a casa.

Qualche anno fa, all’interno del parco, è stato creato anche un giardino bioenergetico basato su studi e tecniche molto antiche, secondo le quali le piante e la natura sono benefiche per le persone e possiedono proprietà terapeutiche sotto forma di principi attivi, utilizzati da tempo in vari preparati medicinali o alimentari.

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Il labirinto di rose del Castello Quistini

Una parte è riservata al “brolo” del castello che, nel bresciano, è considerato l’area produttiva della casa, dove crescono frutti, erbe aromatiche e piante officinali. Qui sono stati reinseriti molti frutti antichi come il biricoccolo, il nashi, il fico brogiotto, il pero cotogno che, nella stagione giusta, anche i visitatori possono gustare.

Ma non è finita qui. Appena fuori dalle mura del parco, si nasconde anche un piccolo giardino segreto dove crescono alcune varietà di ortensie tra le più particolari.

Il Castello Quistini

Conosciuto anche come Palazzo Porcellaga, dal cognome del nobile Ottaviano che lo fece costruire nel 1560, come residenza fortificata sostitutiva del Castello di Rovato, il Castello Quistini è uno degli ultimi esempi di queste architetture e possiede una cinta muraria a forma di pentagono irregolare con mura sottili, oltre a cinque torrioni agli angoli e una torre di quattro piani posta all’interno.

Per la costruzione venne utilizzata la pietra serena, tipica dell’area del Lago d’Iseo, con la quale furono costruiti molti altri palazzi e cascine in tutta la Franciacorta. Nonostante parte del castello sia privata, è possibile visitare alcune sale, tra cui la Sala Grottesca, che prende il nome dalle maschere grottesche che si possono vedere nella cornice superiore, e il Salone che, con i suoi 150 metri quadrati, è la sala a unica campata più grande della Franciacorta.

Aperture di primavera

In occasione della spettacolare fioritura delle oltre mille varietà di rose, è stato pianificato un calendario di aperture che offrono anche la possibilità di visitare liberamente il parco, ma ci sono anche tour guidati nel labirinto di rose.

Per chi partecipa alle visite guidate, è previsto un tour dal titolo “Tra rose, storia e leggenda”, accompagnato dal padrone di casa, alla scoperta delle numerose curiosità botaniche del giardino, inclusi alcuni oggetti misteriosi nascosti in natura, come le figure di animali realizzati con materiali riciclati che si celano tra i cespugli di rose. Senza tralasciare la storia e l’architettura del palazzo.

Tra i numerosi eventi, sono inclusi diversi laboratori teorico-pratici, aperti a tutti e a numero chiuso, sul tema dell’artigianato e del vivere “green”, con esperti del settore che insegnano a realizzare un terrarium o un vaso in terra cruda o a conoscere le famose tecniche d’arte giapponese.

Per visitare Castello Quistini e il suo splendido giardino di rose è necessario prenotare online. Gli orari cambiano a seconda del giorno, quindi è meglio verificare sul sito prima di andare. L’ingresso costa 8 euro, 10 con la visita guidata.

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Paularo, il villaggio degli alpinisti del Friuli-Venezia Giulia

Si trova nel cuore della Val d’Incarojo l’affascinante borgo di Paularo, prima località del Friuli-Venezia Giulia (e sesta in Italia) entrata nella rete transfrontaliera dei Villaggi degli Alpinisti (Bergsteigerdörfer). Il circuito, promosso dai Club alpini dei cinque Paesi aderenti (Austria, Germania, Italia, Slovenia e Svizzera), raggruppa 37 località dell’arco alpino che puntano sull’autenticità e sulla frequentazione lenta e rispettosa dell’ambiente per attirare i visitatori.

Natura incontaminata, assenza di strutture impattanti, il permanere di tradizioni mantenute vive dalla popolazione e le numerose possibilità di escursioni in quota fanno di Paularo un centro molto apprezzato dai turisti, di cui vogliamo offrirvi un piccolo assaggio.

Alla scoperta di Paularo, il “salotto della Carnia”

Incerta l’origine del nome di Paularo. C’è chi sostiene che derivi dal latino “pabolarium” (pascolo), chi lo fa risalire al termine “povui-poulars”, ossia “luogo di ippocastani”, come testimoniano gli unici secolari esemplari arborei di piazza Julia, eredi una piantagione più vasta.

Andando indietro nella storia, scopriamo che la prosperità della valle che ospita il paese è perlopiù legata al dominio della Serenissima Repubblica Veneta. Nella seconda metà del 1500, Paularo visse un Rinascimento di cui si possono tutt’oggi ammirare le tracce, come nello straordinario altare ligneo della chiesa di Dierico.

A contribuire a dare maggior lustro alla storia di questi luoghi fu, nel 1700, Jacopo Linussio, creatore di una delle maggiori manifatture tessili settecentesche d’Europa, considerato il primo imprenditore della Carnia, concentrato di natura e gioielli da scoprire. In quel periodo venne completata la struttura urbanistica del centro storico con la costruzione di Palazzo Linussio (ora Fabiani), tra i principali luoghi di interesse di Paularo, che per la signorilità delle case viene da alcuni definito il “salotto della Carnia”.

Lo si capisce già imbattendosi nel Palazzo Calice Screm, imponente complesso architettonico costruito nel XVI secolo, considerato il prototipo della casa carnica, con ampi loggiati ad archi a tutto sesto, sorretti da eleganti pilastri in pietra locale. O nel Palazzo Valesio-Calice, situato su un’altura di Villafuori, in posizione dominante quasi completamente il capoluogo. Edificato nel 1591 per opera di una famiglia veneziana, è composto da due ali e disposto su un ampio cortile racchiuso da un muro di cinta merlato. Lo si può raggiungere anche attraverso una storica e lunga gradinata detta “Cjamburjan”.

Nella frazione di Villamezzo, invece, da una piazzetta, si può ammirare uno dei tipici esempi di casa carnica, la Cort di Tarusç. Per entrare nel vivo delle tradizioni locali, vi basterà fare un giro per le botteghe, dove si possono scoprire i più tradizionali oggetti dell’artigianato carnico, dai mobili rustici alle scarpèts, le tipiche calzature del posto. Da non perdere, poi, una visita alla Mozartina, un museo privato che racchiude la preziosa collezione di strumenti musicali antichi e moderni del proprietario, Giovanni Canciani. Degno di nota è anche l’Ecomuseo “I Mîstirs”, dedicato ai mestieri tradizionali della valle. E di sicuro meritano una visita le numerose chiese che impreziosiscono il Villaggio degli Alpinisti friuliano (qui gli altri cinque in Italia).

Cosa fare e vedere a Paularo e dintorni

Anche i dintorni di Paularo sono ricchi di tesori da scoprire. Una bella sorpresa in cui ci si imbatte poco prima di arrivare in paese è la Cascata di Salino, spettacolare salto d’acqua di 30 metri, incastonato tra le rocce e una natura rigogliosa.

Il territorio è particolarmente amato per il suo paesaggio incontaminato, fatto di pascoli e foreste, e incredibili punti panoramici. A renderlo una meta rinomata è la varietà di offerta degli itinerari escursionistici sia di media montagna che in quota e nel fondovalle, oltre a percorsi scialpinistici e per ciaspolatori e vie di roccia per gli alpinisti. Insomma, da queste parti annoiarsi è praticamente impossibile.

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Paularo, il villaggio degli alpinisti nel Friuli-Venezia Giulia

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Le location del film “La figlia oscura”

Tratto dall’omonimo romanzo di Elena Ferrante, “La figlia oscura”, scritto e diretto dall’attrice americana Maggie Gyllenhaal, è stato già giudicato uno dei migliori film dell’anno. Racconta la storia di Leda (l’attrice Olivia Colman) che, durante una vacanza al mare da sola, rimane particolarmente affascinata da una giovane madre (l’attrice Dakota Johnson) e dalla figlioletta che osserva sulla spiaggia. Il loro atteggiamento la costringe ad affrontare le scelte non convenzionali che ha compiuto quando era una giovane madre.

La spiaggia di “La figlia oscura”

Protagonista di tutta la vicenda è la location meravigliosa dove è stato girato il film. Siamo in Grecia, sull’isola di Spetses, che fa parte delle isole del Golfo di Saronico. È un’isola molto folkloristica, tanto che è possibile visitarla utilizzando delle carrozze trainate da cavalli.

Vasta è la scelta di spiagge e non è stato difficile trovare quella perfetta dove ambientare le scene del film. Quelle nella parte Nord, come la spiaggia di Kaiki, sono caratterizzate da ciottoli, mentre la costa meridionale è sabbiosa e si trovano spiagge come la bella Paraskevi.

Una delle spiagge più frequentate è quella di Agia Paraskevi, con la sua bellissima costa di sabbia finissima e una fresca pineta. Chi, invece, cerca il divertimento, intorno al capoluogo vi sono diverse spiagge come Lazareto, Zogheria e Vrelos, dove vengono organizzati eventi e attività acquatiche, specie le immersioni.

Cosa vedere a Spetses

Girovagando per l’isola si può ammirare l’architettura delle tipiche casette bianche e degli splendidi edifici in stile veneziano. Sull’isola è possibile visitare anche numerose chiese e monasteri tradizionali. Nel capoluogo si trova la cattedrale ortodossa di Agios Nikolaos, con il suo campanile in marmo, la pavimentazione a mosaico e, all’interno, le immagini iconografiche di San Nicola.

Oltre alla cattedrale vi sono anche altre chiese minori degne di nota, come la Chiesa di Agia Marina, la Chiesa Bizantina di Agia Triada o la Chiesa di Panagia Armata. Oltre ai siti religiosi vi sono diversi musei, come il Museo di Spetses, in cui sono conservati molti reperti storici dell’isola, o il Museo Bouboulina, dedicato all’eroina locale Laskarina Bouboulina.

Come arrivare a Spetses

L’isola di Spetses non è dotata di aeroporto, quindi l’unico modo per raggiungerla è via mare. Vi sono numerosi collegamenti dal porto di Atene fino all’isola. Con il catamarano il viaggio dura circa 2 o 3 ore, mentre i traghetti tradizionali impiegano il doppio del tempo. Una volta raggiunta l’isola, per le sue dimensioni ridotte, non è necessario dotarsi di grandi mezzi di trasporto, è possibile approfittare o del servizio di autobus oppure noleggiare uno scooter per visitare liberamente questo piccolo gioiello della Grecia.

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L’isola e la spiaggia di Spetses in Grecia

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La stanza d’hotel più bucolica che mai

Ogni estate, per poche settimane, si può dormire in mezzo a un campo di grano. Un letto matrimoniale, piumino, cuscino e nient’altro. Tutt’intorno, una vista a 360 gradi sulla natura, con scorci dei tetti di Bolzano. Sopra la testa, un tetto di stelle. La colonna sonora: il canto dei grilli. È la camera più bucolica che si possa trovare in Italia.

Dormire in un campo di grano

A offrire questa meravigliosa esperienza è un maso altoatesino, l’Haflingerhof, che si trova a San Genesio Atesino, in provincia di Bolzano. Prima che il grano venga raccolto dai contadini del maso per farne mangime per gli animali durante l’inverno, viene allestita una delle camere proprio in mezzo al campo antistante la struttura (dove ci sono altri tre comodi appartamenti, che possono ospitare da due fino a cinque persone). Purché il grano sia abbastanza alto, naturalmente, si può dormire all’aperto da maggio a luglio.

Il maso Haflingerhof fa parte dell’associazione degli agriturismi Gallo Rosso , findal 1998, promuove e favorisce l’attività di ormai 1.600 agriturismi in tutto l’Alto Adige. I masi che offrono alloggio sono classificati con i fiori (come le stelle per la Guida Michelin) che vanno da due a cinque: più alto è il numero dei fiori, più numerosi sono i criteri soddisfatti dalla struttura.

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La stanza nel campo di grano ©Haflingerhof

Attività nella natura

Al maso si arriva con la funivia che parte dal Capoluogo e che risale l’altopiano del Monzoccolo, quel rilievo che divide Bolzano da Merano. I proprietari hanno trasformato un’attività di famiglia, quella dei Plattner, che gestiscono il maso già da cinque generazioni, in un maso didattico. Tutto l’anno organizzano attività per bambini dove insegnano tutto ciò che bisogna sapere per conoscere la vita di un contadino.

In base alla vegetazione di ogni singola stagione si insegna loro come dal fieno si arrivi al latte, come si coltivano le patate, come si arrivi dal frumento al pane, la storia e la tradizione che si cela dietro l’agricoltura, come si lavorano i frutti e come comportarsi con gli animali che vivono in montagna.

A monte del maso Haflinger si trova il Salto, una delle zone più belle dell’Alto Adige per andare a passeggio. Su questo magnifico altipiano, dove trovare i famosi prati di larici (quello del Monzoccolo è l’altipiano di larici più grande d’Europa), si possono intraprendere anche delle escursioni più lunghe.

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Dormire nel grano sotto un tetto di stelle ©Haflingerhof

Il “paese dei cavalli” offre anche molte occasioni agli amanti dell’equitazione. Questa, infatti, è la terra dei cavalli di razza Haflinger – o avelignese – dall’inconfondibile manto biondo e la criniera chiara e folta. Impiegato come animale da soma e per i lavori agricoli, per la sua stazza e la sua forza, oggi viene impiegato nelle scuole di equitazione, anche a scopo turistico.

Da San Genesio passa un’importantissima strada: il Sentiero europeo E5 che, da Pointe du Raz, in Bretagna, sulla costa dell’Atlantico, attraversa le Alpi passando attraverso la Svizzera, la Germania, l’Austria e raggiunge l’Italia terminando, in teoria, a Venezia, in pratica, al momento, a Verona, proprio davanti all’Arena, dopo aver percorso un totale di 3.050 chilometri.

Il sentiero porta giù a Bolzano, che si può quindi raggiungere anche a piedi in due ore circa, oppure al Rifugio Punta Cervina, a Scena, che è la tappa successiva del Sentiero europeo E5, fino in Val Passiria.

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Il paese di San Genesio Atesino

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Merano è in fiore: la città non è mai stata così bella

In primavera ci sono le più grandi migrazioni umane: persone provenienti da ogni parte del mondo, infatti, si spostano per ammirare la rinascita della natura nei luoghi fioriti. Città che si colorano e inebriano i sensi, tappeti di fiori che invadono parchi, giardini e deserti aridi: è questo il momento migliore per andare alla scoperta degli spettacoli naturali più belli di sempre.

Ma non c’è bisogno di volare dall’altra parte del globo per assistere a questa grande bellezza, perché alcuni degli spettacoli più incredibili sono proprio qui, nel nostro Belpaese. Come a Merano, la deliziosa città alpina che in questo periodo dell’anno cambia volto e si trasforma in un paese delle meraviglie.

Lo fa perché è letteralmente invasa da colori e profumi, da piante e fiori provenienti da ogni parte del globo in bella vista sulla soleggiata e centrale Passeggiata Lungo Passirio. È il Merano Flower Festival, uno degli appuntamenti più magici e sensoriali da vivere questa primavera.

Merano Flower Festival

In concomitanza con l’arrivo della primavera, e di tutti quegli spettacoli messi in scena da Madre Natura, città, paesi e borghi del mondo intero si mobilitano per celebrare la grande bellezza. Lo fanno con i festival e le manifestazioni che vengono sapientemente pensate tutto l’anno e che vanno in scena proprio tra marzo e aprile. Sono le stesse che attirano ogni anno migliaia di turisti.

Tra queste troviamo il Merano Flower Festival, un evento che trasforma la città termale di Merano in un paesaggio inedito e straordinario che lascia senza fiato. Assoluta protagonista di questa profumata kermesse è la dea flora proveniente da tutti i continenti che qui viene messa in mostra alla stregua di un’esposizione artistica diffusa.

Merano: un tour tra i colori e i profumi del mondo

Ci sono le protee, gioielli della flora australiana e sudafricana in trasferta alpina che trasformano i giardini e le case eleganti con i loro enormi fiori, e ci sono anche le tillandsie, piccole meraviglie della flora sudamericana prive di radici. Non mancano le affascinanti orchidee che arrivano dalle zone tropicali e subtropicali dell’America e soprattutto dell’Asia, accompagnate da piante carnivore, bromelie e gli affascinanti bonsai.

A questi si aggiungono le piante succulente africane e i cactus americani, oltre a importanti campionari di specie pregiate e rare che provengono da tutto il mondo. A portarle qui, a Merano, sono i vivaisti, i botanici e i collezionisti, che permetteranno ai visitatori, per pochi giorni, di fare un tour tra i colori e i profumi del mondo camminando sulla Passeggiata Lungo Passirio.

Una manifestazione unica nel Belpaese, questa, che va ad aggiungersi a un’agenda fittissima di viaggi, manifestazioni ed esperienze da vivere durante la stagione più magica che c’è.

L’appuntamento con il Merano Flower Festival è da venerdì 22 a lunedì 25 aprile, quattro giorni durante i quali sarà possibile ammirare un tripudio di piante, profumi e colori in una cornice urbana resa ancora più magica dalle soleggiate giornate che si prospettano. È questa l’occasione migliore per scoprire e riscoprire la città termale sul Passirio e innamorarsi, di nuovo, del mondo che abitiamo.

Merano in fiore

Merano in fiore

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Il nuovo grattacielo di New York sfida tutte le leggi della fisica

A Manhattan è nato un nuovo “landmark”: il grattacielo residenziale più sottile che sia mai stato costruito. Una freccia nel cielo, che prende il nome dall’indirizzo dove è ubicato:
111 West 57th Street, di fronte a Central Park.

La “supertall tower” rivoluziona, così, lo skyline di New York City, diventando la nuova icona in città. Progettato, dallo studio di architettura SHoP Architects (lo stesso che realizzerà il nuovo Consolato degli Stati Uniti di Milano, nell’ex edificio che ospitava il Tiro a segno e che sarà pronto per il 2025), il nuovo grattacielo d’acciaio, vetro e terracotta da 84 piani è alto 436 metri e, alla base, misura solamente 24×18 metri. Man mano che si sale diventa ancora più sottile per terminare con una sottilissima punta che sembra essere stata interrotta a metà dell’opera.

La torre che sfida la fisica

Una delle caratteristiche della torre è la scanalatura che è stata creata sul lato Sud e che aumenta man mano che sale, dando l’idea che il grattacielo scompaia nel cielo (e in effetti nelle giornate di pioggia sembra davvero che una parte sia nascosta tra le nuvole, invece manca proprio). Il lato Nord, invece, quello che dà su Central Park, continua dritto fino alla cima dell’edificio.

Per garantire la stabilità di questo edificio super sottile, sulla cima è stato installato uno smorzatore da 800 tonnellate in caso di forte vento o di un evento sismico.

Impossibile non notarlo. È visibile da tutta Manhattan e dagli altri borough che formano New York City. Chi sale in cima a una delle terrazze panoramiche o degli osservatori di Manhattan (qui un articolo sui più belli e imperdibili dove andare, incluso il nuovissimo One Vanderbilt) può godersi la vista del 111 West 57th in tutta la sua sottigliezza.

Il grattacielo più sottile del mondo è sorto là dove un tempo si trovava un altro edificio iconico, lo Steinway Building, un bellissimo palazzo degli Anni ’20 che ospitava la sede della Steinway & Sons, famosa per i suoi pianoforti suonati da grandi artisti del calibro di George Gershwin, Cole Porter e Sergei Rachmaninoff. La costruzione della nuova torre è iniziata già nel 2015 e, per erigerla, è stata impiegata la più grande gru autoportante mai usata a New York.

Il grattacielo residenziale per super ricchi

All’interno, il 111 West 57th ospiterà 60 splendidi appartamenti di lusso il cui costo si aggira intorno ai 52 milioni di euro per le penthouse (uno studio costa “solo” 16 milioni) e una parte di negozi nei primi piani. Ci sono 14 ascensori, metà dei quali che arrivano direttamente negli appartamenti.

Gli interni sono stati progettati dallo Studio Sofield. Il critico Paul Goldberger ha descritto gli interni come “probabilmente i più eleganti” tra quelli delle altre costruzioni previste sulla cosiddetta “Billionaires’ Row”, la strada dei miliardari, e nell’area intorno a Central Park, compreso l’iconico 432 Park Avenue che passa così in secondo piano, pur restando, con i suoi 426 metri, il più alto edificio della città, e il famoso “Billionaire Building”, One57, che si trova sempre nel quartiere di Midtown a Manhattan.

L’edificio ha però mantenuto alcuni elementi del precedente palazzo della Steinway, come la hall, alta 14 metri, con arcate di marmo bianco e colonne di marmo verde. È rimasta anche l’antica sala concerti, in omaggio alla passata funzione dello Steinway Building.

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Il nuovo 111 West 57th Street, il grattacielo più sottile del mondo