Se un tempo il Lago d’Aral era uno dei bacini più importanti dell’Asia Centrale, oltre che il terzo più grande nel mondo, negli ultimi anni non restava granché della sua imponenza, solo qualche barca arrugginita e sabbia tossica. Ma qualcosa sta cambiando. Da simbolo di disastro ecologico, diventa emblema di speranza grazie al progetto di recupero portato avanti dal governo del Kazakistan.
“Il volume d’acqua della parte nord del Lago di Aral è aumentato del 42% e ha raggiunto 27 miliardi di metri cubi alla fine della prima fase del progetto per preservare l’area settentrionale”, come ha dichiarato il ministro kazako delle Risorse Idriche e dell’Irrigazione.
Non solo il governo, anche gli stessi abitanti del luogo stanno dimostrando particolare resilienza e impegno per affrontare questa sfida e contribuire alla rinascita, seppur lenta, di almeno una parte del lago. Ma qual è la storia che ha portato il Lago d’Aral a diventare un deserto salato e come funziona il progetto che sta provando a farlo rinascere?
Perché il Lago d’Aral ha rischiato di scomparire
Il Lago d’Aral, situato in Asia Centrale tra l’Uzbekistan e il Kazakistan, si è prosciugato a partire dagli anni Sessanta a causa del prelievo delle acque dei fiumi che lo alimentavano e della loro gestione irresponsabile, diventando ben presto uno dei peggiori disastri ecologici di sempre. Per conoscerne la storia bisogna tornare indietro al periodo della Guerra Fredda, quando il regime sovietico decise di deviare il corso di due dei principali fiumi che alimentavano il lago per irrigare le coltivazioni intensive di cotone.
L’obiettivo, perfettamente raggiunto, era fare del cotone il pilastro dell’economia locale: l’Uzbekistan è il sesto produttore di cotone a livello mondiale e, con una produzione pro capite di 50 chilogrammi, è secondo solo agli Stati Uniti in termini di esportazione. Ma a quale prezzo? Le piantagioni intensive, si sa, richiedono un uso massiccio di diserbanti e pesticidi chimici che hanno inquinato sia il suolo che l’acqua.
Il lago, non avendo emissari, non è stato in grado di smaltire queste sostanze tossiche e, una volta evaporata l’acqua, ciò che resta è solo sabbia tossica.
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Fonte: iStock
La graduale rinascita del Lago d’Aral
Contro qualsiasi previsione, tuttavia, il Lago d’Aral sta vivendo una graduale rinascita. Il Kazakistan, in collaborazione con organizzazioni internazionali, ha lavorato negli ultimi anni per ripristinare la propria porzione del lago, in particolare la sezione settentrionale del bacino lacustre.
I progetti sono nati a partire dal 1993, quando nacque l’IFAS (International Fund for Saving the Aral Sea), con la partecipazione di Kazakistan, Tagikistan, Turkmenistan, Uzbekistan e Kirghizistan (come Paese osservatore), nell’ottica di coinvolgere tutti gli stati dell’area nella lotta alla desertificazione e nel recupero dell’ambiente naturale.
Nel 2008, invece, ha preso il via l’Aral Sea Conservation Project che ha portato alla costruzione della diga Kokaral per impedire che l’acqua si disperdesse nella sabbia e si contaminasse con il sale. Grazie a questa iniziativa, come ha dichiarato il ministro kazako delle Risorse Idriche e dell’Irrigazione: “Al culmine del periodo di irrigazione di quest’anno (2024) sono fluiti nel lago 80 metri cubi di acqua al secondo dal fiume Syr Darya, contro i soli 6 metri cubi al secondo dell’anno scorso”.
Le conseguenze dell’inaridimento del lago sull’ambiente
La strada è ancora lunga, anche perché le conseguenze dell’inaridimento del Lago d’Aral sull’ambiente e sugli abitanti sono davvero tante. Chi viveva di pesca, per esempio, come la città di Moynaq, non solo ha dovuto prendere le distanze dalla costa subendo un forte arresto nell’economia locale, ma ha dovuto anche affrontare gravi problemi di salute causati dalla pessima qualità dell’aria, fortemente inquinata.
L’inaridimento del lago, inoltre, ha privato gli abitanti di una risorsa idrica importante, oltre che causare la morte di molte specie animali.