Come tutte le favole anche questa comincia con c’era una volta. Era il 1978, infatti, quando l’infermiera neozelandese Louise Juliet Sutherland, all’età di 52 anni, scelse di avventurarsi nella sua missione impossibile: attraversare la foresta amazzonica da sola in sella alla sua bici.
Una traversata tutt’altro che facile, fatta di ambienti ostili, strade mai percorse e isolamento totale, che ha segnato la storia dei viaggi in bicicletta, e non solo, due volte. La prima, nel 1978, e la seconda, oggi, grazie all’impresa del medico veronese Alberto Vaona che riportando alla luce la storia di Louise Juliet Sutherland, che oggi rivive nel libro Il Viaggio impossibile edito da Ediciclo Editore, ha scelto di calcare le sue orme pedalando per oltre 2.000 km sulla Transamazonica.
Il viaggio impossibile: intervista ad Alberto Vaona
Sono due le storie che si intrecciano in questa fiaba contemporanea dai lineamenti incantati. La prima è quella di Louise Juliet Sutherland, forse dimenticata, sicuramente poco conosciuta, l’infermiera cinquantenne di origine neozelandese che nel 1978 partì da Londra per atterrare in Brasile con un solo e unico obiettivo: compiere un’impresa epica, l’unica che ancora oggi porta la firma di una donna.
In sella alla sua bici Peugeot nuova di zecca, con due borsette attaccate al portapacchi e una scorta di latte condensato, l’infermiera compì il suo viaggio impossibile tracciandone la memoria in un libro. Un testo che, di recente, è stato ritrovato proprio da Alberto Vaona, il secondo protagonista di questa storia.
Il medico veronese, classe 1975, durante un viaggio a Lima in Perù, sorvolò la foresta amazzonica e ne rimase incantato. Da lì cominciò la sua personale ricerca per trovare un modo per attraversare la regione in bicicletta. Fu proprio allora che fece la conoscenza di una storia di emancipazione e coraggio, quella di Louise Sutherland.
Nel 2023 Alberto Vaona ha ripercorso in bicicletta quella stessa foresta, ricalcando le orme percorse negli anni ’70 dall’infermiera neozelandese anche grazie agli appunti ricevuti dalla fsuaamiglia. Quest’anno, invece, ha tradotto il testo della Sutherland, pubblicato nel novembre del 2024 da Ediciclo Editore, per raccontare Il viaggio impossibile corredato da fotografie di ieri e di oggi.
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Il viaggio impossibile
Ciao Alberto, ci parli un po’ di te?
Sono nato 49 anni fa a Verona dove sono cresciuto e vivo da sempre perché come fa dire Shakespeare a Romeo “Non c’è mondo fuori dalle mura di Verona.” In realtà di mondo ne ho trovato parecchio là fuori e il mio modo di esplorarlo è in bici, la mia grande passione. A Verona esercito la professione di medico e mi occupo in particolare di telemedicina, settore di cui ho cominciato ad occuparmi proprio al fine di poter continuare a viaggiare in bici ma al contempo poter lavorare
A che età hai scoperto la passione per la bicicletta e quando, invece, hai iniziato a viaggiare pedalando?
L’esplorazione in bici è sempre stata una mia fissa: da bambino eludevo la sorveglianza dei miei genitori e fuggivo ad esplorare le vie del quartiere…poi le colline di Verona per sentieri in bici e a 16 anni avevo già fondato la mia “agenzia” con l’amico Federico: l’Alberico viaggi. Il primo grande viaggio intercontinentale a 33 anni, 4 mesi in solitaria sulla Ruta 40 nella Patagonia argentina, il mio primo amore, quello che non si scorda mai.
Parliamo de “Il viaggio impossibile’’. Come sei venuto a conoscenza della storia di Louise Juliet Sutherland? E come è nata l’esigenza di ripercorrere le sue orme? Nel 2010 viaggiavo su un aereo per Lima, dove avrei iniziato la Lima Buenos Aires in bici. L’aereo volava sopra la grande foresta e dall’alto di notte vedevo i fulmini che illuminavano
là sotto le sagome degli alberi a perdita d’occhio nel buio più completo. In quel momento mi chiedevo se attraversare la foresta in bici fosse possibile. Una volta tornato a casa mi misi in testa di farlo e per prima cosa cercai se qualcuno lo aveva già fatto. E mi imbattei in “The impossible ride” della Sutherland che riuscii a recuperare in Amazon UK in una delle ormai introvabili copie autografate da Louise con “Best wishes”… quasi una dedica personalizzata.
Com’è stato, invece, il tuo “Viaggio impossibile” e quali difficoltà hai incontrato?
Il libro della Sutherland lo recuperai nel 2011. Nel 2020 ero pronto a partire per rifare lo stesso percorso ma arrivò il Covid e dovetti aspettare il 2023 per riprovare. L’organizzazione è stata meticolosa e questo è stata la chiave per riuscire nell’impresa: non lasciare nulla al caso. Le difficoltà sono state legate soprattutto al clima estremamente caldo e umido mentre tra gli imprevisti – non mi si crederà – il recupero del contante: lungo tutta la Transamazzonica oggi si paga con app, ma le poche volte che non c’è il wi-fi, trovare il contante è un problema.
Qual è stato, se c’è stato, il momento più difficile della tua avventura? E quale, invece, il più bello?
Come gruppo – viaggiavo con due compagni di viaggio – ci sono stati dei problemi che abbiamo risolto da persone adulte ma va detto anche che ci siamo uniti come gruppo proprio con questo obiettivo; quindi, ci aspettavamo che sotto pressione avremmo scricchiolato. Comunque abbiamo retto. I momenti più belli sono stati durante le notti in tenda nel cuore della foresta nel tratto più conservato. Ascoltare a notte fonda il canto di uccelli sconosciuti, simili a voci umane, alcuni vicini altri lontani, ha significato sentire che eravamo dentro la Natura, una natura misteriosa che ci parlava di noi stessi.
Ci racconti del tuo progetto IoSonoAmazzonia?
Io sono Amazzonia è lo slogan sotto cui abbiamo viaggiato: il nostro viaggio ha voluto essere una testimonianza che chi ci ha seguito ha potuto apprezzare in diretta. Abbiamo cercato di consentire a loro, un migliaio di persone, di vedere con in nostri occhi. Sul grado di deforestazione, sulle terribili violazioni dei diritti umani a cui gli indios sono sottoposti, sulle misere condizioni di vita di chi vive lungo la strada. Lo stesso libro della Sutherland nasce dall’idea di dare un contributo per migliorare il diritto alla salute delle popolazioni dell’Amazzonia (il libro è nato per finanziare il suo progetto delle Cliniche Mobili). Così anche noi abbiamo raccolto fondi per il progetto Nave della Salute di Amazonia Onlus.
20 paesi visitati in bici e la traversata della Foresta Amazzonica: quali sono i tuoi prossimi progetti?
Vorrei tornare in Amazzonia. Da Humaità, dove inizia il cul di sacco della Transamazzonica, parte la BR319, una strada non asfaltata che si dirige a nord verso Manaus e oltre e che attraversa molti parchi nazionali. Se la BR230, la Rodovia Transamazzonica, dimostra la distruzione della foresta causata dall’essere umano, la BR319 dovrebbe dimostrare invece la bellezza della foresta vergine… Il governo brasiliano ha espresso l’intenzione di asfaltarla. Vorrei percorrerla prima che arrivi l’asfalto perché con l’asfalto arriva la distruzione. E vorrei immergermi ancora una volta in quella natura “madre” che di notte ho ascoltato sussurrarmi delicatamente “messaggi misteriosi che parlavano di me”.