Ai margini del deserto del Sahara, 600 chilometri a sud-ovest di Tripoli, esiste una città “perfetta”, progettata nel dettaglio per resistere alle temperature estreme e ai forti venti che generano tempeste di sabbia.
Si tratta di Ghadames, “Perla del Deserto”, dalle imponenti mura bianche e ocra, ombreggiata da palme: un’oasi spettacolare che ha ottenuto il riconoscimento UNESCO, uno dei più significativi capolavori architettonici del Sahara nonché fulgido esempio di pianificazione ambientale.
Il segreto per resistere al caldo e al freddo estremi
Ghadames, nota da almeno 2000 anni, deve la sua attuale struttura compatta agli arabi musulmani che la edificarono nel VII secolo e si è poi espansa nel corso dei secoli.
Con temperature che in estate raggiungono i 55 gradi e in inverno scendono sotto lo zero, la città è plasmata da un labirinto di passaggi ombrosi, sinuose zinqas (vicoli ad arco ricoperti di legno di palma), e lucernari che portano illuminazione e ventilazione, agevolano l’orientamento e mantengono la temperatura a circa 20 gradi.
L’idea alla base dei passaggi curvi è impedire il passaggio di raffiche di sabbia del deserto.
Le pareti interne delle abitazioni, che risplendono di bianco con uno strato protettivo di calce, sono state costruite con mattoni di fango essiccati al sole: tale miscela di argilla, sabbia e paglia era stratificata sopra le pietre che le isolavano dall’umidità.
Il segreto di questa tecnica costruttiva così ingegnosa sta nei muri: infatti, grazie agli spessi muri di terra o pietra, il calore del sole tarda ad arrivare all’interno degli edifici durante il giorno e viene irradiato verso il cielo durante la notte. In questo modo, al mattino, le pareti si sono raffreddate abbastanza da poter ricominciare questa importanza funzione protettiva.
Ma non è tutto: il sapiente utilizzo dei materiali da costruzione disponibili permette di ottenere il massimo comfort con mezzi minimi. Nel deserto, ciò significa frescura senza aria condizionata e calore senza riscaldamento.
La meraviglia e la storia della città-oasi
Proseguendo nella passeggiata alla scoperta di Ghadames, ci si imbatte in porte ricavate da semplici tronchi di palma, alcune borchiate di ottone, poi archi bassi, nicchie curve e dakkar, ovvero panchine incorporate perfette per rilassarsi che, di solito, indicano una moschea vicina (in città se ne trovano ben 21, anche se poche sono ancora in uso, e solo il venerdì).
Molti archi sono impreziositi con incisioni, cesellature oppure decorati con delicati dipinti (una mano di Fatima, una stella, intricate geometrie) che aggiungono fascino e mistero.
Al centro della Medina, si aprono due piazze ad arcate che racchiudono giganteschi gelsi: la città, in passato, era una meta privilegiata per i commercianti ambulanti che, con le loro carovane, si riunivano per scambiare le merci più svariate.
Ghadames, infatti, sorge in una posizione strategica dove oggi si incontrano Tunisia, Algeria e Libia, ed era proprio da qui che i cammelli carichi partivano a ovest verso Timbuktu, a sud verso Ghat e Bornu o a nord verso i porti del Mediterraneo: divenne, quindi, un punto di incontro chiave per numerose civiltà e i suoi abitanti berberi (conosciuti localmente come Amazigh), i Ghadamisa, molto rispettati.
Dagli anni Ottanta, tuttavia, a causa della scarsità d’acqua e della mancanza di servizi igienici moderni, la città fu progressivamente abbandonata con la costruzione di una più moderna non lontano.
Oggi, l’antica Ghadames non ha residenti permanenti, anche se durante la rovente estate, il suo comfort rispetto ai condomini di cemento della città nuova attira molte persone, che tornano qui per entrare nelle moschee e sale da tè e assaporarne il refrigerio.
Inoltre, si prendono cura di molti tra i 121 giardini dell’oasi che sono irrigati, grazie a un complesso sistema di canali, dai pozzi artesiani e dalla sorgente sotterranea di Ain al-Faras.